Film > Star Wars
Ricorda la storia  |      
Autore: Itsamess    18/12/2019    4 recensioni
 
In un Universo (molto lontano) e Alternativo, all'età di otto anni il nome della tua anima gemella ti compare sulla pelle, preferibilmente in un alfabeto da te conosciuto, dal momento che i caratteri aurabesh sono piuttosto ostici da leggere.
 
Poe Dameron non ha bisogno di un'altra nota di ritardo e invece perde tutta la prima ora di lezione per cercare di capire cosa significa quello che ha scritto sulle costole, ma non riesce comunque a venirne a capo.
 
FN-2187 al posto del nome ha una cicatrice - come tutti gli Stormtrooper, del resto.
 
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Finn, Poe Dameron
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Let's be soulmates'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Con il tuo nome sulle mie labbra

 
Mi sono svegliato con il tuo nome sulle mie labbra,
Mi sono svegliato con le tue labbra nella mia immaginazione
Tu ti sei svegliato con il mio nome sulle tue labbra
O sono tutto solo in questa infatuazione?
 
 Per un po' forse continuerò ad urlare il tuo nome a me stesso, nel cuore
ma prima o poi la ferita si cicatrizzerà
 
 
 
Dicevano che quando accadeva potevi sentirlo – come un ronzio statico nelle orecchie, unito alla sensazione che tutta la pelle iniziasse a bruciare.
Non era doloroso, comunque. Chi aveva il sonno particolarmente pesante spesso non se ne accorgeva nemmeno, svegliandosi la mattina successiva con il nome della propria anima gemella impressa da qualche parte sulla pelle, preferibilmente in un carattere non alieno.
 
Sonno o non sonno, il piccolo Poe Dameron non aveva alcuna intenzione di perdersi la comparsa del proprio Anagràfo. Erano letteralmente anni che aspettava quel momento, da quando i suoi genitori si erano seduti al tavolo della cucina e gli avevano fatto il Discorso, ovvero quel particolare monologo detestato da tutti i bambini della galassia perché imbarazzante e sdolcinato e pieni di espressioni come vero amore e partner per la vita. I Dameron non erano stati da meno: con orgoglio si erano tirati su le maniche e avevano mostrato al figlio i propri Anagràfi abbinati, che in una grafia elegante e minuta recitavano, rispettivamente, i nomi Shara Bey e Kes Dameron.
 
Era questo che rendeva tanto affascinante il sistema delle anime gemelle: la sua esattezza.
Gli Anagràfi non mentivano mai. Ti dicevano nome e cognome della persona che ti era destinata, e a te non restava altro che trovarla, come un relitto di astronave di cui ti forniscono le coordinate. Era rassicurante sapere che anche un sentimento astratto e imprevedibile come l’amore poteva avere una manifestazione fisica evidente sotto forma di marchio d’inchiostro: la mamma aveva il nome di papà sul polso e gli apparteneva, papà aveva il nome della mamma sul polso e le apparteneva. Quel pomeriggio, Poe aveva imparato che l’amore era qualcosa che c’entrava con il possesso, e che dare il proprio nome ad una cosa la rendeva un po’ più tua, un po’ come quando il primo giorno di scuola aveva scritto il proprio nome sulle matite colorate per evitare che i suoi compagni gliele prendessero per errore.
 
---
 
La notte della vigilia del suo ottavo compleanno, Poe la stava trascorrendo sotto alle coperte, in compagnia di una delle sue storie della buonanotte preferite, ovvero le avventure della Principessa Leia.
(Anni dopo avrebbe scoperto che Leia preferiva essere chiamata Generale Organa, più che Principessa, e la sua ammirazione per lei sarebbe cresciuta ancora di più).
 
Erano arrivati alla parte in cui lei e Han Solo vengono traditi da Lando Calrissian e consegnati al terribile Darth Vader, che intende usarli come esca per attirare Luke Skywalker. Sua madre gli aveva raccontato quella storia così tante volte che ormai Poe la conosceva a memoria, eppure non si stancava mai di sentirgliela ripetere – anche perché se uno riusciva a superare la parte più sdolcinata arrivavano le spade laser.
 
«..ma i malvagi Stormtrooper interruppero il loro bacio, trascinando via Han Solo!» concluse Shara in tono melodrammatico. Si posò una mano sul cuore con fare teatrale e continuò a leggere: «La principessa fece un passo in avanti e guardando l’uomo fisso negli occhi gli disse “Ti amo!”. Han Solo, pur ammanettato, non poté fare a meno di sfiorare il nome che aveva impresso sul polso sinistro. “Lo so” le rispose, un attimo prima di essere immobilizzato in un blocco di grafite.»
 
«Ma tanto poi la principessa Leila lo libera!» esclamò Poe con gli occhi che gli brillavano.
 
«Giusto, tesoro, dopo lo libera.» gli rispose con dolcezza la madre «Ma adesso a nanna, domani è una giornata importante! Non capita tutti i giorni di compiere otto anni!»
 
«Proprio per questo non devo andare a dormire!» protestò vivacemente lui «Voglio restare sveglio. Voglio vedere comparire il nome!»
 
Lo sguardo di Shara si addolcì, ma la tua voce rimase ferma.
«Se resti sveglio non compare. È la regola.»
 
Non esisteva nessuna regola del genere, ma Shara sperava che il bambino fosse troppo ingenuo o troppo assonnato per capirlo, e per fortuna fu così. Poe non oppose resistenza quando lei si chinò verso di lui per rimboccargli le coperte.
«Se non riesci ad addormentarti prova a contare gli Ewoks, ok? Vedrai che domattina il tuo Anagràfo sarà lì ad aspettarti, te lo prometto.»
 
Shara gli diede un bacio sulla fronte coperta di ricci neri e spense con un soffio la candela poggiata sul comodino. La stanza sprofondò nel buio. La maggior parte dei bambini forse ne sarebbe stata spaventata, ma non Poe: era incredibilmente coraggioso, quasi troppo, si ritrovò a pensare Shara. Sarebbe diventato un grande pilota, un giorno, ne era sicura.
 
«Buonanotte, piccolo.»
Non ricevendo risposta, immaginò che il bambino si fosse già addormentato, e piano richiuse la porta dietro di sé.
 
Ovviamente, Poe aveva soltanto finto di dormire.
Non aveva la minima intenzione di perdersi un momento tanto importante come la comparsa del suo Anagràfo, anche solo per vedere se era qualcuno che già conosceva o qualcuno che ancora doveva incontrare… aveva un milione di domande che gli vorticavano in testa, ma la stanchezza della giornata era davvero troppa e pur senza volerlo nel giro di pochi minuti il bambino piombò in un sonno profondo.
 
Quando si svegliò la seconda luna non era ancora tramontata.
Dovevano essere circa le cinque del mattino. Poe aprì gli occhi di colpo, si fiondò giù dal letto e corse in bagno, davanti a quello che la famiglia Dameron utilizzava come specchio ma che in realtà era solo il rivestimento riflettente del portellone di una vecchia nave. Si sfilò in fretta la maglia, restando a torso nudo, ed iniziò ad esaminare attentamente la propria immagine alla ricerca dell’Anagràfo.
 
Aveva sentito di persone a cui non ne era comparso nessuno, a testimonianza del fatto che loro stesse non erano interessate a nessun legame sentimentale o sessuale, e di altre che invece ne avevano più di uno, perché amare una sola persona non riusciva a soddisfarle completamente.
(Lui non aveva richieste particolari. Sperava solo che l’Universo si fosse ricordato di assegnargli un ragazzo, come match, perché stava iniziando a realizzare che le ragazze non erano il suo genere – dove genere doveva essere inteso in senso letterale.)
 
La verità era che Poe non era sapeva cosa avrebbe trovato – a otto anni le relazioni non erano esattamente il suo primo pensiero – ma di certo non si aspettava un Anagràfo simile.
 
Non aveva dovuto cercarlo a lungo: la maggior parte della gente l’aveva scritto sul polso come i suoi genitori, o comunque sulle braccia, in un punto che fosse visibile ma che lasciasse comunque la possibilità di coprirlo per ragioni di privacy.
 
L’Anagráfo di Poe si trovava sulle sue costole, appena sotto al cuore.
Il problema era che non si trattava un nome, ma di una sequenza alfanumerica.
 
FN-2187
 
---
 
In un villaggio piccolo come Yavin 4, la notizia del bizzarro Anagràfo di Poe Dameron si era diffusa in fretta, prima ancora che il diretto interessato potesse capire che cosa diavolo significasse.
 
Il suo primo pensiero era stato che si trattasse di un qualche nome in codice – come quelli che usavano i Ribelli nelle storie che sua madre gli raccontava sempre prima di metterlo a letto. Sarebbe stato piuttosto figo avere un’anima gemella che combatteva nella Resistenza, aveva pensato sospirando il bambino, immaginandosi un impavido pilota che trascorreva le giornate a difendere la galassia dal malvagio Primo Ordine.
 
I suoi genitori non ne erano stati così entusiasti.
Quando Poe gli aveva fatto vedere il proprio Anagràfo, suo padre aveva distolto lo sguardo con disgusto, con rabbia quasi. Aveva trascinato la moglie in camera e sbattuto la porta dietro di sé. È una vergogna, Shara. Nella nostra famiglia, è inaccettabile lo aveva sentito urlare Poe, rendendosi improvvisamente conto che era la prima volta che sentiva suo padre alzare la voce. Quando finalmente i suoi genitori erano tornati in soggiorno, Kes si era inginocchiato di fronte a Poe e lo aveva guardato dritto negli occhi. Stava piangendo anche lui. «Non mostrerai mai a nessuno quell’orrendo codice», gli aveva detto, «perché è un insulto a tutto quello in cui crediamo io e tua madre e disonorerebbe la nostra intera famiglia.»
 
Poe glielo aveva promesso, ma per qualche motivo non era bastato: per un po’ suo padre aveva avuto una strana ombra di diffidenza negli occhi ogni volta che posava lo sguardo su di lui, come se fosse stato tradito dalla propria stessa carne.
 
«Perché papà non mi parla?» aveva chiesto una sera in mezzo ai singhiozzi, mentre sua madre gli accarezzava dolcemente la fronte «È colpa del mio Anagràfo? È perché è un ragazzo?»
 
«Tu pensi sia un ragazzo?» aveva domandato Shara cautamente, senza il minimo accenno di giudizio nell'espressione.
 
«Beh, a me le ragazze non piacciono quindi… sì, immagino di sì» aveva ammesso il bambino « È questo il problema?»
 
«Ascoltami bene, Poe Dameron»
Shara lo aveva preso per le spalle e lo aveva guardato dritto negli occhi.
«Questo non sarà mai un problema. Potrai amare chiunque vorrai, ragazzi, ragazze, perfino dei Wookie! Non devi lasciare che nessuno ti dica mai il contrario, ok?»
 
«Ok... Ma allora perché papà è arrabbiato con me?»
 
«Non è arrabbiato, è solo… spaventato. Quello che hai sulla pelle, quel codice, non è un buon segno.» sospirò Shara «Mi devi promettere che farai quello che ti ha chiesto e ti dimenticherai di questa storia»
 
«Ma non posso dimenticarmela, si tratta della mia anima gemella! Perché non posso stare con lei?» esclamò il bambino, stringendo i pugni «Con lui? Insomma con questo Effe, enne, due, uno…»
 
«Vedi? Neanche te lo ricordi!» aveva esclamato Shara con una punta di sollievo nella voce «Il tuo Anagràfo è una maledizione, e non corrisponde a nessuna persona reale. Devo promettermi che non andrai mai a cercare questo ragazzo, perché lui non sarebbe... non sarebbe come te lo aspetti. Dimenticatelo.»
 
«Ma tu mi avevi detto… mi avevi detto che gli Anagràfi erano come le coordinate di un aereo e-»
 
«Dimentica quello che ho detto! Il tuo non è Anagràfo come tutti gli altri, non è come il mio, vedi? Non corrisponde a nessuno. Cerca di considerarlo come se fosse un semplice un codice di errore, una specie di 404 Non Trovato, capisci?»
 
Ma Poe non aveva capito.
Non era riuscito ad arrendersi all’idea che davvero in tutto l’universo non esistesse nessuno di compatibile con lui, perché d’accordo, forse non mangiava mai le verdure e a volte si dimenticava di fare i compiti, ma non era cattivo e si meritava di avere un’anima gemella come tutti gli altri.
«Non è giusto» decretò infine, tenendo gli occhi bassi.
 
Shara lo abbracciò forte a sé, inspirando il profumo infantile della sua pelle.
«Lo so che fa male, piccolo… ma non tutti hanno un’anima gemella, e riescono comunque ad essere felici. Luke Skywalker non l’aveva, eppure è stato uno dei più grandi eroi del nostro tempo. E poi cerca di vedere il lato positivo… in questo modo non sarai costretto a fare nulla, ma sarai libero di decidere per te stesso. Ti è stata data in dono la libertà e la libertà-»
 
«È la cosa più preziosa che esista nella galassia.» sospirò il bambino «Lo so, mamma, me lo ripeti sempre…»
 
«Perché è la verità.» puntualizzò Shara, portandosi le mani alla sottile catenella che portava al collo. Ci aveva infilato la fede nuziale, un cerchio argenteo un po’ annerito dal tempo. Shara preferiva portarla così, perché diceva che l’anello doveva stare più vicino possibile al suo cuore, anche se Poe sapeva che il vero motivo per cui non lo indossava sull’anulare era che le dava fastidio quando doveva impugnare la cloche con cui pilotare le navi. La praticità prima di qualsiasi cosa, questo era sua madre.
«Lo vedi quest'anello? Me lo ha regalato papà quando mi ha chiesto di sposarlo. Siamo stati fidanzati per molti anni... quando mi ha fatto la proposta sapeva già di essere la mia anima gemella, perché aveva il mio nome sul polso e sapeva che io avevo il suo - ma ha voluto chiedermelo comunque, perché credeva nella libertà più di quanto credesse nell’amore. Credo che sia questo l'importante. Credo che sia per questo che gli ho detto di sì. Se ami qualcuno devi lasciarlo libero di scegliere, ed è questa libertà che l’Universo ti sta lasciando… dovresti esserne felice.»
 
«Ma io volevo un nome com’è tutti gli altri» brontolò il bambino «Come il tuo, o come quello di papà…»
 
«Oh, Poe! Prima o poi succederà anche a te, di incontrare una persona e sceglierla, per sempre e ogni giorno. E magari le regalerai un anello come questo, chissà…»
 
«E se non la trovassi?»
 
«Ma che dici? Certo che la troverai! Alla fine l’amore è un po’ come una partita a carte, e tu stai semplicemente giocando senza jolly. Puoi vincere lo stesso»
 
Poe tirò su col naso.
«Davvero?»
 
«Ma certo! E ti svelo un segreto» disse Shara. Abbassò il tono di voce e si sporse in avanti, sussurrandogli all’orecchio: «Senza jolly ci si diverte il doppio»
 
----
 
Era morta tre settimane dopo, prima che Poe facesse in tempo a dirle del sogno che aveva fatto in cui salvava la galassia a bordo di un caccia.
 
Kes ne era stato devastato. Aveva sempre pensato che Shara sarebbe rimasta uccisa in battaglia, da eroina, come tante volte aveva rischiato di fare quando erano entrambi giovani volontari della Resistenza- e invece era successo una mattina d’estate non particolarmente diversa dalle altre. Non c'erano state esplosioni, né blaster, solo un giramento di testa, un dolore al centro del petto e poi buio. Se ne era andata senza far rumore, sgattaiolando via dalle vite di suo marito e di suo figlio prima ancora che si svegliassero, come le mattine in cui usciva a fare un giro di prova sulla piccola nave da ricognizione che tenevano sul retro.
 
Dopo la sua morte il resto della famiglia si era rivelato incapace di ritrovare un equilibrio, come uno sgabello che traballa se qualcuno sottrae il libro che faceva da spessore sotto alla gamba più corta. Ovviamente a quel punto l'intera faccenda dell’anima gemella di Poe era passata in secondo piano, anche se i suoi compagni di classe non avevano smesso di lanciargli delle frecciatine. D’accordo, una battuta ogni tanto non faceva male a nessuno, però in quel momento a Poe faceva male qualsiasi cosa.
 
Un pomeriggio, un tipo più grande gli gridò dietro che lo sapevano tutti che le ragazze non erano il suo tipo, ma che almeno speravano che gli piacessero gli umani.
 
Poe si era ritrovato con il labbro spaccato e una sospensione da scuola per una settimana. L’unico lato positivo era che se non altro era riuscito ad attirare l’attenzione di suo padre. Dopo la morte di Shara, Kee infatti aveva chiuso il figlio fuori dal proprio studio così come lo aveva chiuso fuori dal proprio dolore. Con la faccenda della sospensione Poe si era aspettato che si arrabbiasse, che lo mettesse in punizione per il resto dei suoi giorni e gli ripetesse per la millesima volta che non doveva lasciarsi coinvolgere nelle risse, soprattutto in quelle che riguardavano il suo ripugnante Anagràfo – e invece suo padre lo aveva soltanto abbracciato.
 
Per un po’ erano rimasti così, stretti e immobili, poi Kes gli aveva sfiorato la guancia con un carezza e aveva mormorato: «Ora fa male, ma ogni giorno ne farà di meno, fino a che non passerà del tutto» e Poe non aveva capito se si stava riferendo al labbro spaccato o al lutto subito, così aveva annuito e basta.
 
Da quel momento però aveva scelto di giocare d’anticipo.
Ogni volta che qualcuno faceva un commento sul suo Anagràfo, Poe era il primo a riderci su, forzando una risata che di giorno in giorno suonava sempre più sincera, anche se non c’era niente di divertente.
 
«Andiamo, Dameron, chi mai si chiamerebbe FN-2187?»
 
«Un droide probabilmente!»
 
Quell’estate, nelle gite al fiume, aveva preso l’abitudine di fare il bagno con la maglietta, per proteggere almeno in parte quel FN-2187 che aveva stampato sulle sue costole. Ovviamente tutti ne erano già a conoscenza, ma il fatto di tenerlo nascosto dava meno adito ai pettegolezzi.
 
Ogni tanto ci passava sopra le dita, senza farsi vedere, chiedendosi se la sua anima gemella potesse sentirlo o se quella carezza fosse come un messaggio alla ricetrasmittente a cui nessuno avrebbe risposto mai. La seconda ipotesi era molto più probabile, ma questo non gli impediva di fantasticare sull’aspetto del misterioso FN-2187: aveva già deciso che si sarebbe trattato di un ragazzo e che non sarebbe dovuto essere più alto di lui, o almeno non tanto. Sarebbe stato spiritoso, e buono come lo era stata sua madre. Si domandava che suono avrebbe avuto la sua voce e di che colore sarebbero stati i suoi occhi, e perso in quei pensieri si addormentava con la testa china sui compiti e la mano ferma sotto al cuore.

 
---
 
Intanto, in un dormitorio enorme e bianco dall’altra parte dell’universo, un ragazzino senza nome si tormentava la benda che aveva sul polso cercando con tutto se stesso di ricordare qualcosa (qualsiasi cosa) e invece c’erano solo vuoto, e silenzio, e buio - tutto intorno e dentro di lui.
 
---
 
Anche a distanza di anni, una volta concluso il percorso in Accademia, Poe non aveva perso l’abitudine di sbirciare i polsi delle persone quando stringeva loro la mano nell’assurda speranza di leggervi il proprio nome, ma non accadeva mai.
Non che tra le fila della Resistenza ci fosse molto tempo per le anime gemelle, comunque - era difficile fare progetti a lungo termine quando ogni giorno ci si lanciava nell’ennesimo attacco folle e disperato contro il Primo Ordine, partendo in venti e ritornando in sei.
 
Il sesso aiutava a non pensarci, e Poe era sempre felice di una nuova distrazione.
Gli altri piloti erano tutti più grandi di lui e nessuno di loro si chiamava FN-2187, ma per una serata potevano andare, anche perché il più delle volte erano già suoi amici e questo paradossalmente rendeva le cose più semplici: nessun silenzio imbarazzante al momento della presentazioni, nessun rancore al mattino seguente. Gli altri cadetti gli offrivano una birra e scherzavano sul fatto che fosse troppo giovane per berla davvero; gli facevano i complimenti per il suo bell’aspetto, o per il modo in cui aveva guidato la missione di ricognizione quella mattina. Si spogliavano con la fretta di chi sa di non avere molto tempo da vivere e vuole di sfruttarne a pieno ogni secondo, e Poe faceva lo stesso.
 
«Carino il tuo tatuaggio»
 
«Mai fare una scommessa con un mercante di rottami» rispondeva in fretta Poe, prima di seppellirsi di nuovo fra le gambe del pilota nella speranza che la conversazione finisse lì.
 
La verità era che ora non aveva più otto anni ma venticinque, e combattere l’ascesa del Primo Ordine era una questione ben più importante della sua situazione sentimentale. Non si trattava soltanto di qualcosa che doveva alla sua gente, ma anche il modo di onorare la causa per la quale i suoi genitori avevano sacrificato la vita: quando uno aspira a diventare il miglior pilota della Resistenza non ha molto tempo per dedicarsi alla ricerca dell’anima gemella.
 
Però c’erano cose che restavano, nonostante tutto.
La prima era la fede di sua madre, che adesso era lui a portare infilata in una sottilissima catenina argentea come collana.
La seconda era quel misterioso nome che aveva sulle costole – quel nome che da tempo, per praticità, dato che lettere e numeri erano difficili da tenere a mente, aveva scelto di cambiare in Finn.
 
---
 
D’accordo, forse farsi catturare dal Primo Ordine non rientrava esattamente nei piani, ma chi aveva bisogno di un piano, comunque? Poe era sempre stato il tipo che preferiva buttarsi nel bel mezzo della situazione e improvvisare - anche se in effetti doveva ammettere che era difficile farlo con polsi e caviglie immobilizzati. Ma se la sarebbe cavata. Non era la prima volta che un paio di Stormtrooper troppo sicuri di sé si illudevano di fargli paura con qualche minaccia e qualche blando metodo di tortura: in Accademia aveva imparato a non farsi piegare da dolore fisico, e in un modo o in un altro sarebbe riuscito a scappare. Sperava solo che BB8 fosse riuscito a mettersi in salvo insieme alla mappa che sembrava potesse condurli da Luke Skywalker.
 
In quel momento, il secco suono di un portellone che veniva aperto lo distolse dai suoi pensieri e nella stanza entrò una persona che Poe non conosceva.
Non più, almeno.
 
«Poe Dameron… il miglior pilota della Resistenza a bordo della mia nave.» sentenziò l’uomo vestito di nero «Devo ammettere che è un onore.»
 
«L’onore è tutto tuo, credimi.»
 
Le labbra dell’uomo si piegarono in un sorriso sprezzante: «Sempre così spavaldo e ignaro di qualsiasi rispetto per l’autorità… certe cose non cambiano mai.»
 
Ben invece era cambiato.
Non era più il ragazzino solitario e malinconico che Poe ricordava dalla tua infanzia. D’accordo, era ancora solitario, e la sua bocca sottile era ancora perennemente piegata in una smorfia di disprezzo per il resto della galassia, ma aveva i capelli più lunghi, e una profonda cicatrice dalle linee spezzate a solcargli il viso altrimenti infantile. Anche il suo nome era diverso - si faceva chiamare qualcosa come Kylo Ren adesso – e questo rendeva ancora più difficile prenderlo sul serio.
Questo, e il suo ridicolo mantello nero.
 
«Mi piace il nuovo look, sai? Ti dona… anche se devo comunicarti che mi ha appena chiamato una mia collega Wookie. Rivuole il taglio di capelli.»
 
«Basta con le sciocchezze. Vedremo se avrai ancora la battuta pronta dopo la nostra piccola chiacchierata. Non sarà piacevole, ti avverto.»
 
Su questo almeno era stato sincero.
Poe poteva pensare soltanto ad una cosa che fosse peggiore di essere torturato telepaticamente, ed era essere torturato telepaticamente da un amico. Essendo cresciuto con lui, Kylo Ren sapeva benissimo quali tasti premere.
 
Non cercare di resistermi. La tua mente è come un libro aperto per me, Poe. Posso sottolineare i passaggi più dolorosi e strappare ogni pagina bella. Sai che ne sarei capace. Quindi perché non rivelarmi subito il contenuto della mappa, così da risparmiare a me un disturbo e a te un'inutile sofferenza?
 
Come un flash rivide la delusione dei suoi genitori quando lo avevano scoperto a sgattaiolare fuori di casa per un bagno di mezzanotte nel fiume. Risentì le grida di scherno dei suoi compagni e il suono con cui il naso del ragazzo che lo aveva deriso si era rotto sotto al suo pugno e istintivamente fu tentato a portarsi le mani alla bocca, per fermare il fiotto di sangue che sentiva  scendergli giù dal labbro spaccato, ma che in realtà esisteva solo nella sua mente.
Erano solo illusioni, solo trucchi. Non c’era nulla di reale.
«Dovrai fare di meglio.»
 
Non mettermi alla prova.
Io ti conosco, Poe. Conosco i tuoi sogni, le tue paure… e conosco il tuo segreto, e la vergogna che provi a riguardo.
 
Poe aveva cercato di non ascoltarlo, ma la voce di Kylo Ren era risuonata forte e chiara nella sua mente, quasi lui gli avesse versato le parole direttamente dentro alle orecchie.
 
Ai tuoi compagni nella Resistenza lo hai detto? Sanno che cosa hai tatuato sul cuore?
 
Poe scosse la testa, ma più per scacciare quel pensiero più che per rispondere alla sua domanda.
Kylo Ren continuò, soddisfatto di aver trovato un nervo scoperto.
 
Certo che no. Come potrebbero lasciarti pilotare ancora le loro navi, se sapessero quello che so io? Se sapessero del disonore che arrechi non solo alla tua famiglia, ma alla loro intera causa? Come puoi guardarti allo specchio, alla mattina?
 
«Non so di cosa parli» ringhiò Poe.
 
Oh, sì che lo sai. Forse non riesci ad ammetterlo a te stesso, ma sai benissimo cosa significa quella sigla. Per questo non la mostri a nessuno. Perché il solo fatto di averla fa di te un traditore. E a quanto ricordo la Resistenza non ha alcuna pietà verso i traditori.
 
Poe aveva ceduto poco più di un'ora dopo, quando anche l’ultimo residuo di forza di volontà lo aveva abbandonato e l’ultimo muro nella sua mente aveva ceduto. La lenta e crudele tortura inflitta da Kylo Ren lo aveva lasciato esausto, svuotato, come un droide che qualcuno ha dimenticato acceso tutta la notte. Sperava che il suo primo soggiorno sulla base Finalizer sarebbe stato un po’ più piacevole di così.
 
In quel momento, sentì di nuovo il suono di apertura del portellone.
Chi poteva essere? Qualcuno tornato a finire il lavoro, ed estorcergli altre informazioni sui piani della Resistenza? Poe voltò quanto più poteva la testa, e con la coda dell’occhio non vide lo svolazzante mantello nero di Kylo Ren, ma la bianca armatura di uno Stormtrooper.
 
Si sarebbe detto un soldato del Primo Ordine identico a tutti gli altri, se non fosse stato per la pennellata di sangue che gli solcava il casco, altrimenti immacolato. Poe non poté fare a meno di domandarsi se si trattasse di sangue ribelle o di sangue imperiale, e lo colpì quanto potessero essere identici: a volte dimenticava che sotto a quelle armature in polimero si nascondevano persone reali, che potevano amare e soffrire ed essere ferite tanto quanto lui.
 
«Seguimi e non dire una parola.» gli intimò sottovoce lo Stormtrooper, mentre con un gesto impacciato lo liberava dai supporti che gli bloccavano braccia e gambe. Poe non potè fare a meno di notare che si muoveva di fretta e con circospezione, come se temesse di essere spiato, o seguito.
Possibile che uno Stormtrooper volesse ad aiutarlo a fuggire?
 
«Sei della Resistenza?» gli domandò senza capire, quando finalmente si trovò faccia a faccia con lo Stormtrooper. Si era tolto il casco e ora lo fissava dritto negli occhi.
Si trattava solo di un ragazzo. Non doveva avere più di venticinque anni.
«Perché mi stai aiutando?»
 
«Perché è la cosa giusta da fare.» sentenziò lo Stormtrooper, con un tono di voce fiero e coraggioso degno di un olo-sceneggiato sulla vita di Luke Skywalker.
Quel ragazzo era un pessimo bugiardo.
 
«Ti serve un pilota.» comprese Poe, senza nemmeno curarsi di dare alle proprie parole una sfumatura interrogativa.
 
«Ok, mi serve un pilota» ammise lui con un mezzo sorriso imbarazzato.
Poe avrebbe quasi riso della situazione, se solo ogni singolo muscolo non gli avesse fatto così dannatamente male.
 
Venti minuti dopo stavano scaricando tutte le loro munizioni sulle navi del Primo Ordine, facendosi strada fuori dalla base spaziale a furia di esplosioni. A quanto aveva capito, lo Stormtrooper non aveva mai usato quel tipo di arma prima, eppure insieme se la stavano cavando piuttosto bene.
 
«Davvero è la tua prima volta? Hai una mira niente male, amico!»
 
«Grazie-» mormorò lui, un po’ imbarazzato.
Si era fermato appena prima di pronunciare la parola signore.
 
«Io sono Poe, comunque. Poe Dameron… E tu invece sei..?»
 
«FN-2187.»
 
E in quell’istante, il cuore di Poe perse un battito, forse anche due.
 
Tutti quegli anni passati a cercare di capire cosa volesse dire quella assurda sigla alfanumerica sul suo petto e ora il famoso FN-2187 di trovava di fronte a lui.
(o meglio, dietro di lui, dato che stava manovrando i lanciamissili del caccia TIE e gli stava dando temporaneamente le spalle)
 
Tutto, finalmente, assumeva un senso: le grida di suo padre, le preoccupate rassicurazioni di sua madre, le criptiche parole di Ben.
 
È una vergogna, Shara! Nella nostra famiglia, è inaccettabile!
 
Quello che hai sulla pelle, quel codice, non è un buon segno… Devo promettermi che non andrai mai a cercare questo ragazzo.
 
Forse non riesci ad ammetterlo a te stesso, ma sai benissimo cosa significa quella sigla. Per questo non la mostri a nessuno. Perché il solo fatto di averla fa di te un traditore.
 
Era semplicemente grandioso: la sua anima gemella esisteva veramente, ed era uno Stormtrooper.
Un nemico, anzi peggio, un bersaglio. Non era questo che gli avevano insegnato in Accademia? – Il bianco indica il punto dove sparare.
 
Poe aprì e richiuse la bocca senza emettere alcun suono.
Gli sembrava troppo assurdo per essere vero.
Dopo qualche momento balbettò: «Cosa?»
 
«FN-2187» ripeté il ragazzo con un tono di voce un po’ più alto, probabilmente pensando che Poe non lo avesse sentito. Dopo poco aggiunse, come giustificazione: «È l’unico nome che mi abbiano mai dato...»
 
In realtà non era così. Da anni Poe, poco prima di andare a dormire, gli aveva dato la buonanotte, chiamandolo però con un nome un po’ differente – un po’ per comodità, un po’ perché quei numeri e quelle lettere gli erano sempre sembrati troppo impersonali.
 
«Beh, io non ho intenzione di usarlo. Troppo complicato. Ti chiamerò Finn…» disse, con il tono di voce più disinvolto che riuscì a trovare «Va bene Finn
 
Era un po’ come quando desideri con tutto te stesso un gatto e sai già come lo chiameresti, se ne avessi uno – con la differenza che in questo caso il gatto poteva esprimere il proprio parere a riguardo.
 
«Sì. Sì, mi piace!» rispose Finn.
 
Poe non ebbe bisogno di guardarlo in faccia per sapere che stava sorridendo, e non poté fare a meno di sorridere a propria volta.
Finalmente aveva trovato la sua anima gemella, e ora niente avrebbe potuto separarli.
 
---
 
Niente, a parte un caccia TIE specificamente progettato per autodistruggersi in caso di furto. E quale luogo migliore per precipitare se non un pianeta desertico, e prevalentemente disabitato?
A dirla tutta, Finn avrebbe anche potuto avvertirlo della cosa, perché dopotutto era stato un soldato del Primo Ordine fino a cinquanta minuti prima. Poe era rimasto completamente sepolto da una muraglia di sabbia. L’unica cosa che poteva fare era restare immobile, e aspettare che la duna di stabilizzasse prima di risalire in superficie.
 
Quando finalmente ci riuscì, davanti a sé vide solo distese e distese di dune dorate.
Di Finn, nessuna traccia.
 
Con la punta delle dita, sfiorò l’Anagràfo nell’assurda speranza che potesse metterlo in contatto con lui, ma non successe niente. Nessun legame telepatico da Jedi, nessun lampo di luce. Forse non ce l’aveva fatta. Anche sotto metri cubi di sabbia Poe aveva sentito chiaramente il caccia esplodere… Possibile che Finn non avesse fatto in tempo ad uscire?
 
Ma si era salvato, doveva essersi salvato. L’Universo non poteva essere tanto crudele da fargli conoscere la sua anima gemella e poi di lasciarla morire in un luogo desolato come i Calanchi di Goazon, una delle aree più inospitali di tutta Jakku.
Finn si era salvato, per forza. Restava solo da ritrovarlo.
 
---
 
Ok, adesso l’Universo stava davvero iniziando ad esagerare.
Poe aveva appena fatto in tempo a riabbracciare Finn e a flirtare con lui su una giacca in pelle che gli donava, ma sarebbe stata meglio sul pavimento della sua stanza, quando Finn era entrato in un misterioso coma senza nessun apparente motivo.
 
Nelle ore trascorse al suo capezzale, Poe avrebbe potuto provare a dirgli la verità, rivelandogli che erano diciassette anni che lo stava aspettando e che si era innamorato di lui nel momento in cui lo aveva visto rubare quella nave del Primo Ordine.
 
In realtà una volta, qualche settimana prima, aveva provato ad introdurre il discorso, attaccando bottone con lui nello spogliatoio della base, ma la conversazione non era andata esattamente come sperava – soprattutto perché Finn gli aveva rivelato di aver iniziato ad uscire con quella ragazza, Rose.
 
«Wow» era riuscito a mormorare Poe, sorpreso. La svolta che aveva preso il discorso gli sembrava del tutto inspiegabile e francamente orribile, ma non poteva lanciare una petizione online per cambiare le cose «… è una notizia grandiosa, amico, sono felice per te»
 
«Per il momento ci stiamo solo frequentando» puntualizzò Finn.
 
«Quindi non sei il suo Anagràfo?» provò a chiedere Poe, ostentando noncuranza.
 
Lui scuote la testa. «Il suo match originario è morto in battaglia. Rose non mi ha voluto dire molto.»
 
«Mi dispiace, veramente. E lei invece è il tuo match?»
 
«Oh, io non ho un match…» rispose dopo qualche istante Finn, stringendosi nelle spalle «Diciamo che il Primo Ordine non crede molto nelle anime gemelle. Ci bruciano via il nome non appena compare. Credo che sia perché i soldati non hanno tempo per queste cose…»
Finse di cercare qualcosa nell’armadietto per distogliere lo sguardo.
«O forse, chissà, volevano toglierci anche l’ultima cosa che ci rendeva umani. Non solo ci rubano il nostro nome, ma si prendono anche il nome di qualcun altro.»
 
Poe non aveva saputo bene cosa dirgli. Stupidamente, non lo aveva mai sfiorato l’idea che il Primo Ordine potesse aver privato Finn del suo Anagràfo, anche se questo spiegava perché l’amico tendesse ad evitare il discorso relativo alle anime gemelle. Per questo Poe gli aveva dato una pacca sulla spalla e gli aveva detto che i Segni erano delle sciocchezze  e che se voleva stare con quella Rose allora doveva farlo.
 
«Ma come faccio a capire se è quella giusta?» gli aveva domandato Finn.
 
«Non lo so... Lo senti, credo.»
 
«Lo sento? Come una perturbazione nella Forza?»
A quel punto Finn aveva sfoderato quella sua stupida Faccia da Jedi (l’aveva copiata da Rey, poco ma sicuro) ed era scoppiato a ridere.
La conversazione era finita lì e la questione anime gemelle era stata definitivamente chiusa.
 
Per questo motivo Poe era alquanto restio a riaprirla in quel momento, seduto al capezzale di Finn, Anche perché, per quanto drammatica e romantica fosse la situazione, Finn non sarebbe stato nelle condizioni di dargli una risposta, qualunque essa fosse.
E così Poe si ritrovò a fare la cosa che gli riusciva peggio, ovvero aspettare pazientemente che lui si svegliasse. Passò nella sua stanza tutte le notti per svariate settimane, raccontando a tutti la scusa che voleva che il compagno vedesse una faccia amica al proprio risveglio da quel misterioso coma. Nessuno fece troppe domande - forse perché la Resistenza al momento aveva questioni ben più importanti di cui occuparsi, fra l’ascesa di Kylo Ten e la perturbazione nella Forza che aveva causato quella Rey – e i giorni sfrecciarono via come sgusci in una corsa, ognuno simile al precedente.
 
Una sera, senza alcun preavviso, le condizioni di Finn migliorarono, e nel giro di pochi istanti il ragazzo riaprì gli occhi.
Poe si sentì invadere dal sollievo. Stava per domandargli se si sentisse bene o se gli servisse qualcosa, ma lui lo precedette e in tono affannato chiese: «Dov’è Rey?»
 
Esiste una specie di regola non scritta, fra amici, che impone che quando uno dei due chiede notizie di una guerriera Jedi che potrebbe essere l’unico modo di fermare il male nell’universo, l’altro sia tenuto a rispondergli, e a rimandare qualsiasi altra questione per un secondo momento.
Per cui, quando Finn chiese notizie di Rey, Poe non poté fare a meno di ripetersi che avrebbe giocato senza jolly, e che sarebbe riuscito a far innamorare di sé l’amico in ogni caso.
Insomma, era Poe Dameron, per Cassiopea!
Chi avrebbe potuto resistergli?
 
---
 
Finn, evidentemente.
Non che Poe avesse fatto chissà quale mossa, in realtà: aveva notato che l’amico non aveva molta esperienza in termini di relazioni, e non avrebbe mai voluto approfittarne. Se gli si fosse dichiarato direttamente forse Finn si sarebbe sentito in dovere di dirgli di sì anche solo per amicizia, o per curiosità, o chissà per quale altro motivo.
 
Finn era un meraviglioso mistero che Poe non riusciva a comprendere del tutto. Quanto più lui stesso era diretto, e schietto, e impulsivo, tanto più Finn rifletteva all’infinito su ogni questione, seguendo procedimenti mentali che Poe non era sicuro di seguire davvero.
 
Una volta, ad esempio, gli aveva chiesto come mai, il venerdì sera, i piloti fossero soliti ritrovarsi a bere qualcosa e a chiacchierare.
Quando Poe gli aveva spiegato che era soltanto per festeggiare, Finn era sembrato perplesso.
 
«Festeggiare che cosa?»
 
«Non lo so… la fine della settimana, il fatto che siamo vivi, la reintroduzione di Plutone nel sistema solare, quello che vuoi!» aveva riso Poe «È davvero così importante?»
 
«No, immagino di no» aveva risposto Finn arrossendo, anche se non era sembrato convinto.
 
Poe gli aveva messo un braccio intorno alla spalla e Finn non si era ritratto. Buffo come un gesto di affetto prima tanto casuale potesse iniziare a rivestire un’importanza sempre maggiore ora che anche i sentimenti di Poe si facevano più chiari e definiti. Si stava decisamente innamorando di lui.
 
«Andiamo, ti divertirai. Si tratta solo di una serata fra amici. Andrà benissimo, vedrai.» gli aveva detto.
 
Due giorni dopo, Poe si sentiva nervoso ed emozionato come la prima volta che aveva tenuto in mano una cloche. Il bar che lui e i suoi amici avevano scelto per la serata era poco più di una bettola, con un parquet scuro, poster ingialliti di vecchie celebrità locali e panche rivestite di una pelle verdastra di cui Poe non volle indagare la provenienza. Non era esattamente quello che si era immaginato per il suo primo appuntamento con Finn, ma sapeva che con il tempo avrebbe avuto modo di creare con lui molte altre prime volte.
 
Si lisciò le pieghe della camicia che aveva indossato – azzurro chiaro, casual ma elegante – e si guardò intorno alla ricerca di Finn. Possibile che non fosse ancora arrivato? Finn non era mai in ritardo, ed era una cosa su cui gli altri piloti scherzavano spesso. Alcuni sostenevano che si trattasse di un retaggio dell’addestramento da Sturmtruppen, ma Poe sapeva che per Finn era solo una questione di educazione e di rispetto degli accordi presi. Per questo però era particolarmente strano che ancora non si fosse fatto vedere, anche perché Poe gli aveva preannunciato che voleva parlargli di una cosa importante.
 
D’improvviso lo vide entrare nel pub, il collo rintanato nel collo di quella che ormai era la sua giacca per proteggersi dal vento gelido. Poe si alzò per andare ad accoglierlo, ma uno dei suoi compagni fu più veloce di lui, perché intercettò Finn e gli mise una mano sulla spalla in modo amichevole.
«Come te la passi, amico?»
 
«Bene, direi… grazie di avermi invitato» mormorò lui, imbarazzato.
 
«Scherzi? Gli amici di Poe sono amici nostri! Posso offrirti qualcosa, cosa prendi?»
 
«Cosa prendo?» ripeté Finn senza capire.
 
«Cosa prendi da bere.» specificò Jordan, a metà fra il confuso e il divertito, prima di indicargli la lavagna dietro al bancone, sulla quale erano state scarabocchiate le possibili alternative «Non sarà un bar della Capitale, ma hanno birre, succhi di Blenq, liquore..?»
 
Per quello che sembrò un tempo infinito, Finn rimase a fissare la lavagna, con una strana espressione sul viso.
«Ehm-»
 
Non era la prima volta che si comportava così: anche una settimana prima, ad una cena di festeggiamento per il compleanno di Leia, a Finn era stato offerto un vassoio di tartine fantasia, e nei suoi occhi Poe aveva letto lo stesso smarrimento che vi leggeva ora. Chissà, forse si sentiva a disagio ad accettare qualcosa di offerto.
 
In ogni caso, Finn era evidentemente in difficoltà, e Poe si fiondò in suo soccorso.
«Del succo di Blenq per me e una birra scura per il mio amico. Senza ghiaccio, grazie» ordinò alla barista, una donna con dei serpenti verde acqua al posto dei capelli e la pelle di una tenue sfumatura lilla.
I drink furono pronti pochi minuti dopo, e Finn e Poe andarono a sedersi ad un tavolino sul fondo del locale.
 
«Grazie, per prima…» mormorò Finn.
 
«Figurati. Troppa scelta?»
 
«Non ci sono abituato» disse Finn, stringendosi nelle spalle. Assaggiò un sorso del proprio succo, e dalla sua espressione non gli piacque un granchè. Poi abbassò lo sguardo e aggiunse: «Non ci lasciavano scegliere molto, prima.»
 
Allora era di questo che si trattava. Finn non era in imbarazzo di fronte alla gentilezza, ma di fronte all’enorme ventaglio di possibilità che fino a quel momento gli erano state precluse. Poe iniziava a capire perché indossasse sempre gli stessi indumenti e portasse sempre lo stesso taglio di capelli, facesse la doccia sempre nei soliti giorni e spegnesse la luce alla solita ora.
In vita sua non aveva mai scelto nulla, ed era come se si fosse abituato a trovare rassicurante la routine che si era costruito.
 
«Non devi finirla, se non vuoi»
 
«Cosa?»
 
«La birra. L’ho ordinata perché pensavo potesse piacerti, ma se non è così non sei costretto a berla» spiegò Poe, con un tono dolce e rassicurante come quello che molti anni prima aveva usato sua madre con lui quando si era rifiutato di finire gli spinaci. Ripeté: «Non sei costretto a fare nulla che tu non voglia, qui»
 
«D’accordo»
Con evidente sforzo – perché probabilmente non aveva mai rifiutato nulla in vita sua – Finn allontanò da sé la birra. Si trattava già di una piccola vittoria.
 
«Andiamo dagli altri? Avranno un sacco di domande sulla tua amica Rey e la sua apparente fortuna da Jedi principiante»
 
«Aspetta… Non dovevi dirmi qualcosa?»
 
Era una serata meravigliosa. Le stelle di quella galassia erano le più luminose che Poe avesse mai visto e sarebbe stato facile prendere il viso di Finn fra le mani e baciarlo piano, prima di rivelargli finalmente la verità sui loro Anagràfi.
«Niente di importante. » disse però Poe «Pensiamo a goderci la serata.»
 
---
 
Poe si trovava nello stesso bar anche la sera dopo, anche perché alla fine annegare i propri sentimenti nel liquore di bigiabacca gli sembrava l’unica cosa minimamente sensata che potesse fare.
«Un’altra, Syrio» chiese, gli occhi ancora fissi su fondo del bicchiere. Con le dita sfiorò, come di abitudine, il proprio maledetto Anagràfo nella silenziosa speranza che tutto quell’alcool potesse lavarlo via.
 
«Le anime gemelle sono sopravvalutate.» commentò una voce alla sua sinistra.
 
Rey era seduta al bancone. Davanti a sé aveva svariati faldoni dall’aria molto seria.
 
«Come- come sai che stavo pensando a questo?» chiese lui, con la mente un po’ annebbiata dall’alcol «Hai usato la Forza?»
 
Lei ridacchiò. «No no, non so ancora leggere nella mente, non bene almeno… è solo che riconosco lo sguardo. E il mio Anagràfo si trova nello stesso punto. Sulle costole giusto?»
 
«Oh… sì, sì, appena sotto al cuore.»
 
«Anche io… almeno piuttosto comodo da coprire, no? Un problema in meno a cui pensare.» rispose Rey. Poe pensò che gli piaceva la sua schietta praticità. Gli ricordava quella di sua madre.
 
«Prova a crescere su un pianeta dal clima tropicale e insistere per fare il bagno con la maglietta.» ribattè lui «I miei amici mi prendevano in giro continuamente.»
 
«Simpatici»
 
«Nah, erano solo dei ragazzini, non ce l’ho con loro… e comunque è tutta la faccenda delle anime gemelle a succedere troppo presto. Voglio dire, chi vuoi che ci capisca qualcosa ad otto anni?»
 
«D’accordo, ma i tuoi compagni non ti avrebbero comunque dovuto prendere di mira.»
 
Poe le rivolse un sorriso riconoscente e bevve un altro sorso del proprio liquore.
«Non ti capita mai di chiederti se saresti più felice, se fossi una T.R.?»
 
«T.R.?»
 
«Scusami… una Tabula Rasa, una senza Anagràfo.» spiegò Poe, realizzando che forse Rey non aveva mai sentito quell’espressione.
 
Lo sguardo di lei si accigliò.
«Esistono persone senza Anagràfo?»
 
«Sono piuttosto rare in questa parte della galassia, però sì. Luke Skywalker ad esempio. E anche il maestro del suo maestro, Qui-Gon Jinn. La maggior parte dei T.R. sono Jedi. Ha piuttosto senso, se ci pensi… un Jedi non dovrebbe essere sposato che alla propria causa»
 
«No, certo…  ma perché pensi che per quelli senza Anagràfo sia più facile?»
 
«Innanzitutto non sono costretti a fare il bagno vestiti» rispose Poe apposta per vederla sorridere. Rey era particolarmente bella quando sorrideva, Finn lo diceva sempre. «No, seriamente… prima stavo pensando che senza questi stupidi nomi sulla pelle uno vivrebbe le relazioni in modo più sereno.»
 
«Non saprei, non conosco nessun… Tabula Rasa»
 
«Io sí e credimi, stanno meglio di noi. Ok, facciamo un esempio. Facciamo finta che tu sia una T.R. Un giorno incontri un ragazzo e ti prendi una cotta per lui.»
 
«Ok», rispose cautamente Rey, che sembrava trovarsi stranamente a disagio a parlare di relazioni e sentimenti, come se si trattassero di un’usanza straniera mai diffusasi su Jakku.
 
«A te piace moltissimo, ma tu non piaci a lui. Oppure vi mettete insieme per un po’, ma poi succede qualcosa, uno dei due cambia idea e la storia finisce. A quel punto cercheresti di fartela passare, no? Ti ripeteresti che tanto ci sono altri miliardi e miliardi di altre persone nella galassia…»
 
«Sí, credo di sì.»
 
«Mentre se hai la prova, nero su bianco, che quella persona è la tua unica, vera anima gemella… come puoi lasciar perdere? Come puoi lasciar andare l’idea che saresti perfetti insieme, che c’è un disegno più grande, dietro?»
 
Rey non disse nulla, ma sulle sue labbra sottili si disegnò un sorriso divertito.
 
«Lo so, è tutto molto sdolcinato, non è vero?»
 
Rey scrollò le spalle.
«Forse sono io ad essere troppo cinica… sai, non credo molto a questa storia dell’anima gemella»
 
«Come mai? Sei rimasta delusa dalla tua?»
 
«Non puoi restare delusa se non ti aspetti niente.» rispose Rey «Me la sono cavata per tredici anni nel deserto con uno stupido nome sulla pelle e nessuna anima gemella mi venisse a salvare. Voglio dire, anche se adesso so chi è non significa che abbia bisogno di lui.»
 
Poe si chiese a chi si riferisse.
 
«Anzi, forse proprio ora che so chi è, non voglio avere bisogno di lui.» concluse Rey, scuotendo la testa.
 
«Da quanto mi ha raccontato Finn riesci a cavartela benissimo da sola.» disse  con un sorriso.
 
«Sì, infatti»
 
Poe sospirò «E per la cronaca, lasciami dire che chiunque abbia il tuo nome come Anagràfo e mandi comunque tutto a puttane non ti merita. Non dovresti stare male per lui.»
 
«Neanche tu per la tua, di anima gemella»
 
«Che dici, dovremmo uscire io e te?»
 
Per un attimo, i loro sguardi si incontrarono.
Poi scoppiarono a ridere fragorosamente.
 
«Stavo scherzando» ammise lui «Le ragazze non rientrano nella mia area di competenza, senza offesa. Ma ti giuro che se mai cambiassi idea, tu saresti la mia prima scelta. Voglio dire… “L’ultima Jedi della galassia”? Se non è un buon partito!»
 
Il volto di Rey si illuminò di un sorriso.
«Sei una brava persona, Poe. Finn è un ragazzo fortunato»
 
«Aspetta, come fai a sapere che-»
 
«Oh, andiamo. Sono cresciuta nel deserto, non sotto una roccia!» esclamò Rey «Ho visto il modo in cui lo guardi. È dolce.»
 
«Grazie..?»
 
«E poi me lo ha detto BB-8…» ammise la ragazza. «Ho le mie fonti.»
 
«Quel traditore.»
Poe scosse la testa, ridendo. Il cielo, con un bicchiere in mano e un’amica a fianco, sembrava infinitamente più leggero.
 
---
 
Non accadde nulla di particolarmente rilevante nelle due settimane successive: nessuna delle loro spie riferì notizie relative ai piani del Primo Ordine e nessuna base alleata subì alcun raid aereospaziale. Andava tutto bene, per quanto potessero andare bene le cose.
 
Poe era appena tornato da un volo di ricognizione e come al solito aveva deciso di sciacquare via la stanchezza della giornata con una lunga doccia calda – il che non era esattamente altruista da parte sua, dal momento che le scorte idriche erano limitate, tuttavia riteneva che in qualità di miglior pilota della Resistenza si potesse togliere qualche piccolo sfizio, di tanto in tanto.
Era appena entrato nello spogliatoio comune per recuperare i propri vestiti quando si accorse di Finn.
«Anche tu qui per una bella doccia?». Era una domanda del tutto idiota, ma in quel momento a Poe non ne venne in mente nessuna migliore. Conosceva Finn da un paio d’anni, eppure non si erano mai trovati in una situazione simile – a torso nudo, l’uno di fronte all’altro in uno spazio tanto ristretto.
 
«Già…»  replicò Finn, un po’ a disagio. Poe notò che continuava a tenere gli occhi fissi nei suoi, come se si ostinasse a non riconoscere il fatto che erano entrambi senza vestiti. «Com’è l’acqua?»
 
«L’acqua è…. perfetta. Della temperatura giusta, intendo» aggiunse l’altro in fretta «Ti lascio alla tua doccia, allora»
 
«Sì, ci vediamo dopo» replicò Finn, abbassando lo sguardo.
 
Poe si voltò verso il proprio armadietto ed inserì nel lucchetto la combinazione, maledicendosi per essersi comportato da perfetto idiota nell’unica occasione che aveva per provarci con Finn. In uno spogliatoio vuoto, poi. Non li avrebbe visti nessuno. Non che ci fosse niente di male ovviamente – si disse in fretta – sua madre gli aveva sempre ripetuto che poteva amare chiunque volesse, uomo o donna o Wook-
 
«Poe»
 
Si voltò di scatto, sorpreso. Pensava che Finn fosse già uscito e invece era lì, accigliato, con lo sguardo fisso su di lui. O meglio sul suo petto.
Anni e anni di esercizi per allenare gli addominali in palestra finalmente acquisivano un senso.
 
«Cosa significa?»  chiese Finn, in un tono di voce indecifrabile.
 
«Cosa significa cosa?» replicò Poe ridendo, senza capire. E poi abbassò gli occhi: Finn non stava ammirando la sua perfetta forma fisica, ma il suo Anagràfo.
 
«Oh, Forza… Non è come credi. Posso spiegarti, lo giuro»
 
«FN-2187» lesse lui con un filo di voce, scandendo bene ogni cifra e lettera della sequenza. Sembrava… disgustato. C’era così tanto odio, nei suoi occhi, che a Poe per un attimo sembrò di non riconoscerlo.
                                               
«Finn…»
 
«Smettila di chiamarmi così! Non è il mio nome!» gli urlò lui contro «Ma questo lo sai già, dato che me lo hai dato tu.»
 
Poe si era sempre fatto il vanto di avere la battuta pronta, ma per una volta non seppe cosa dire.
Quando, su quella navicella del Primo Ordine, aveva scelto un nome per Finn non si era reso conto fino in fondo delle implicazioni, e delle conseguenze, del suo gesto. Forse riusciva a comprenderle solo ora. Si chiese quanto potere avesse un nome sulla percezione che uno ha di sé, e si chiese se un nome era qualcosa che esistava solo sulle labbra o anche più in profondità – se si trattava solo un'etichetta fatta di lettere o se invece fosse capace di definirti come persona. Dopotutto, quando aveva guardato nell’abisso nero negli occhi di quello che un tempo era stato Ben Solo, aveva compreso che sì, si poteva diventare una persona diversa con un nome diverso.
E lo stesso valeva per Finn.
Non era più uno strumento dell’impero. Era una persona, e meritava un nome vero.
«No. il tuo nome è Finn. Hai lottato per avere un nome da uomo libero. Sei molto di più di una stupida sigla inserita in un database»
 
Finn si lasciò cadere su una delle panche dello spogliatoio, tenendosi la testa fra le mani.
 
«Come hai potuto… come hai potuto non dirmelo?» mormorò, la voce increspata dal pianto «Tu sapevi che non avevo nessun Anagràfo, che me lo avevano tolto e hai scelto- Hai scelto comunque di non dirmi nulla»
 
«Posso spiegarti» rispose Poe, sedendosi accanto a lui.
 
«Non ce n’è bisogno. Non è così difficile capire perché ha scelto di non dirmelo. Insomma, guardati! Tu hai la tua bella divisa da pilota della Resistenza e io non sono altro che uno Stormtrooper troppo codardo per restare al proprio posto. Un traditore dei miei, e un nemico dei vostri.»
 
Poe ripensò alle lacrime di rabbia di suo padre quando aveva visto l'Anagràfo e alla sua voce che urlava “un disonore per la nostra famiglia”, ma scacciò quel ricordo dalla propria memoria.
«Finn. Ascoltami bene. Il fatto che tu sia-» si fermò e si corresse «Il fatto che tu fossi uno Stormtrooper non ha mai significato niente per me, se non che avevi avuto abbastanza coraggio da ribellarti, e fuggire, e unirti alla nostra causa-»
 
«E allora perché non me lo hai detto?» domandò Finn, genuinamente confuso.
 
Poe inspirò profondamente e visualizzò il volto di sua madre e il modo in cui giocherellava sempre con la fede nuziale che portava al collo.
«Perché meritavi una scelta.»
 
«E questo cosa cazzo vorrebbe dire?»
 
«Per tutta la tua vita, per tutta la tua dannata vita hai dovuto seguire degli ordini. Sei appartenuto a qualcuno. Ma non qui. Qui sei libero di decidere cosa mangiare e come vestirti e di chi innamorarti e io-»  si strinse nelle spalle «Non lo so, immagino che avrei voluto che tu mi scegliessi comunque. Non perché te lo diceva uno stupido Anagràfo, ma perché volevi scegliere me.»
 
«Allora lasciamelo fare.» rispose piano Finn «Lascia che ti scelga ora.»
 
«E cosa mi dici di Rose?»
 
«Non stiamo più insieme. Da settimane ormai. Quando stavo con lei non sentivo… niente, in realtà. Non ho visto il senso di continuare una relazione in cui nessuno dei due credeva sul serio.»
 
«E Rey? Ho sempre pensato che ci fosse qualcosa fra di voi…, parli sempre di lei.»
 
Finn sgranò gli occhi.
«Parlo sempre di lei perché è mia amica e le voglio bene. E perché, in caso non te ne fossi accorto, lei è l’ultima Jedi rimasta nell’intera galassia! Ma siamo soltanto amici… è come una sorella per me.»
Lentamente, Finn protese la mano verso di lui e sfiorò il proprio nome, impresso sulla pelle di Poe.
«Sei sempre stato tu... » mormorò «Lo sapevo. Ho... sempre sentito che eri tu»
 
«Come una perturbazione nella Forza?» ridacchiò Poe, ma si trattava solo di un misero tentativo di sdrammatizzare.
 
«Qualcosa del genere, sì.» sorrise Finn «Te l’ho detto che Rey mi sta insegnando qualcosina sul mondo Jedi.  Ma, seriamente… tu mi piaci, Poe. E io piaccio a te. E dal momento che anche l’universo ci vuole insieme-»
 
«Magari non sei neanche tu» scherzò Poe «Non è detto che sia il tuo nome... »
 
«Oh sì, perché in effetti c'è un sacco di gente che si chiama FN-2187!»
 
«Non lo so... forse non delle persone… dei- non lo so, dei droidi, probabilmente.»
 
«Vuoi dire che preferiresti un droide a me?»
 
Poe non rispose. Lo sentì avvicinarsi e cazzo se non gli piaceva questo lato deciso e sicuro di Finn.
 
«Con un droide non puoi fare questo.» sussurrò Finn, a pochi centimetri dalle sue labbra. «O questo» aggiunse, infilando una mano nella massa scura e riccioluta della sua testa. «E decisamente non puoi fare questo» concluse con un sorriso crudele, infilando l’altra mano fra le sue gambe.
 
Poe si sentì mancare il respiro.
«Allora è così? Lo facciamo davvero?»
 
«Beh, io non ho altri programmi al momento. A parte sacrificarmi per la causa della Resistenza e distruggere il Primo Ordine, certo.»
 
«È dura essere un eroe, eh?»
 
«Non ti immagini quanto.» replicò Finn, annullando la distanza che ancora li separava. E in quel momento Poe decise che un bacio, cosi come un nome, non è qualcosa che hai sulle labbra, ma si trova molto più giù.
Sulle costole, più o meno all' altezza del cuore.
 
«Sai, prima, quando hai detto che qui ero libero di decidere cosa mangiare, e come vestirmi e di chi innamorarmi? Ecco, su quest’ultima parte ho i miei dubbi» gli mormorò all’orecchio «Io non ho scelto di innamorarmi di te, Poe… è successo e basta. Quindi credimi se ti dico che è la verità, che ti voglio e che… ti amo.»
 
Poe sorrise. Stava aspettando quel momento da quando aveva otto anni.
«Lo so.» mormorò nella sua voce da Han Solo «Ti amo anche io.»






 
A chiunque sia arrivato fin qui dico solo grazie, perchè 9.000 parole sono parecchie.
Mi scuso per ogni errore di continuità, logica e battitura - l'universo di star wars è troppo vasto e complicato per una novellina come me. Spero di non aver commesso troppe inesattezze. Se vi interessasse, c'è una storia companion ambientata in questo stesso universo narrativo ma dedicata ad un diverso pairing (Rey e Kylo)
La trovate qui.
Un abbraccio

 
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Star Wars / Vai alla pagina dell'autore: Itsamess