Lasciami
l’ultima notte
I don't sleep
I do nothing but
think of you
You keep me
under your spell
(Under your
spell, Desire)
“Non
ti chiedo di amarmi sempre così ma ti chiedo di
ricordartelo. Da
qualche parte dentro di me ci sarà sempre la persona che
sono stasera.”
(Francis Scott
Fitzgerald, Tenera è la notte)
C’era
una volta Asgard con le sue
torri d’oro, con i suoi fiordi che d’inverno
diventavano di ghiaccio, col suo
palazzo imponente che celebrava le imprese audaci e coraggiose di un
popolo di
guerrieri fierissimi. Nella sala del trono, sopra
l’Hliðskjálf, spiccavano gli
affreschi che celebravano la famiglia reale di Odino, dio delle forche
e della
poesia. Thor ci pensa spesso, a com’era il mondo prima che il
Ragnarok si
abbattesse sulla sua terra. Quando visita le regioni poste
all’estremo nord di
Midgard, il suo petto si riempie d’orgoglio e di tristezza
perché lì, dove il
mare e le montagne si fondono in spettacoli tanto simili alla perduta
terra
degli Æsir che non esiste più, gli pare ancora di
sentire la voce stentorea e
profonda di suo padre, saggio e crudele, bugiardo e lontano, perso tra
le
stelle che lo hanno accolto.
Loki, col suo
sorriso affilato e lo
sguardo brillante, gli avrebbe ricordato, imitando sfacciatamente
Odino, che
casa è dove c’è la tua gente,
rimproverandolo con lo sguardo per aver ceduto ad
altri quello che per lui era sempre stato un immenso onore. Ma suo
fratello non
c’era più: il Titano gli aveva spezzato il collo,
gettando a terra il suo corpo
ormai inerme come fosse una bambola rotta dallo sguardo vuoto e
sorpreso. Una fine
onorevole – si era fatto soffocare a morte per proteggerlo,
sfidando Thanos
fino all’ultimo con le sue frasi crudeli, taglienti e
orgogliose – ma definitiva,
ineluttabile.
Non aveva alcuna
tomba: i suoi resti si
erano disfatti nell’immensità
dell’universo, alla deriva – aveva provato
trattenerli finché, tra le lacrime, non si era reso conto di
doverli lasciare,
ma la sua essenza divina non si era annullata né era
svanita. Si era
trasformata in altro, mutando aspetto e vivendo vite ora luminose ora
esecrabili. Sì, Loki non c’era più,
eppure esisteva ancora.
♥
C’era
una volta una notte nevosa,
illuminata da mille luci splendenti e colorate. Era una di quelle sere
d’ipocrisia
e d’amore dove la nostalgia si vela ancora più di
tristezza, il gelo delle
strade si mescola al profumo dei dolci, l’assenza pesa come
le ombre lunghe del
giorno più corto dell’anno. Le famiglie si
stringono attorno ad alberi
addobbati, scambiandosi doni ragionati a lungo o comprati in fretta
nelle vie
gremite di gente infastidita e nascosta da sciarpe e cappelli. Chi non
ha, non
può o non vuole trascorrere la serata come comanda la
tradizione, finge che sia
un’occasione come un’altra per festeggiare il
tappeto di luci e l’anno che
volge al termine con la sua dose di fortune e fallimenti da pesare
sulla
bilancia.
Uno di questi fa
lo scrittore: ha gli
occhi verdi mobili e inquieti, un bicchiere di whisky liscio in mano e
s’è
allentato la cravatta nera come il suo completo. Non sopporta
l’aria troppo
calda del salotto lussuoso in cui è stato invitato,
nonostante si muova con
sicura eleganza tra gli invitati; il merito della sua presenza
lì è da
imputarsi alla sua seconda sceneggiatura che pende, inesorabile, nel
limbo che
separa il successo dall’insuccesso. Andrà in scena
tra una settimana e troppe
cose possono ancora andare storte: rischia di non essere degno
della
fiducia che gli hanno accordato i critici esigenti e il pubblico
volubile dopo
un esordio brillante, della fama che ha catalizzato
l’interesse di troppi su di
lui e a cui si è abituato con eccessiva fretta. Non riesce
più ad abbandonarsi all’incertezza
del caso e del destino, del caos di cui era signore, pensa Thor
sorridendo
sotto la barba e fissandolo di sottecchi.
Lo scrittore
stringe il bicchiere e
osserva la neve cadere, rispondendo in maniera pungente e arguta ai
suoi
interlocutori e sfoggiando una maschera d’inscalfibile
sicurezza che nasconde
una natura volitiva e feroce. Quando la vede, la
battuta gli muore in
gola e un sorriso laterale e breve gli si disegna sul viso affilato. Lei
ha scelto d’indossare un abito verde che crea un contrasto
interessante col
candore della sua pelle, con la chioma bionda a stento trattenuta da
uno
chignon basso e sofisticato che tradisce il suo passato di ballerina.
Nervosa,
regge un flûte[1]
e lo guarda da sotto le
ciglia bistrate di nero, che s’accompagnano a un trucco
sfumato che vuole
essere semplice e ricercato assieme. I loro occhi
s’incatenano – accade sempre,
accadrà sempre e per sempre. Lei
tormenta, nervosa, l’anulare da cui ha
recentemente sfilato una fede nuziale, lui attraversa il salotto pieno
di
sconosciuti sfoggiando il suo portamento altero di principe e di
mancato re e,
per un istante, uno solo, è l’esatta copia di
ciò che era: un guerriero
sprezzante, che camminava come se avesse l’universo intero ai
suoi piedi, che
sfidò il Titano e perse. Non gli importa più
dello spettacolo imminente, né
conta l’ombra che vela gli occhi della danzatrice sfortunata
che non potrà mai più
ballare. Lei schiude le labbra e l’incantesimo si ripete un’altra
volta
ancora.
Ripeteranno gli
stessi errori,
vittime inconsapevoli delle loro nature eternamente scolpite dalle
Norne, senza
poter ricordare mai cosa sono stati l’una per
l’altra. Thor li osserva e
sorride – c’erano una volta il dio
dell’inganno e la dea della fedeltà. I loro corpi sono polvere
nel vento, sono
l’albero le cui fronde lambiscono le acque placide di un
lago, sono le lucciole
che scintillano nelle sere d’estate, sono la spuma del mare
che s’infrange
sugli scogli: sono ovunque e in nessun luogo, ma le loro essenze hanno
attraversato
infinite vite mortali, cercandosi, rincorrendosi. L’ultima
volta che li ha
visti, erano due gatti – lui dal pelo lucido e nero e gli
occhi di smeraldo,
lei sorniona e ammiccante, color miele.
♥
Anche ad Asgard
si festeggiava il
giorno in cui il sole moriva per poi rinascere ancora: era un rituale
antico e
selvaggio, dove l’idromele scorreva a fiumi e si cantava e si
ballava, ma
questo accadeva in un tempo lontano, che solo Thor può
ricordare. C’era una
volta una donna dallo sguardo dolce, i modi fieri e bracciali che le
tintinnavano ai polsi e alle caviglie. Un principe crudele dal sorriso
beffardo
le si avvicinò, una sera. Lasciami
l’ultima notte che passerai ad Asgard
prima di andare in battaglia, gli disse lei sfiorandogli le
labbra. Sfuggì
allo schiocco, ma non al suo cuore.
Quando il dio
del tuono le rivelò in
che modo Loki fosse morto, in Sigyn qualcosa
s’offuscò, si spense. Sperò in suo
ritorno; si disperò quando scoprì che si trattava
di un desiderio vano. Fu lui
a trovarla riversa a terra, a tastarle il polso freddo, a chiuderle gli
occhi
grigi spalancati e persi.
Buon Natale,
Shilyss
L’angolo
di Shilyss
Cari
Lettori,
Buon
Natale
un piffero, direte voi. Non volevo scrivere una shot
natalizia. Non era nei
progetti. Poi un pomeriggio ho aperto il file word e in
un’ora ho scritto questa
cosa qui – a me il Natale mette addosso tristezza e gioia. Ho
immaginato
potesse ricollegarsi sia all’universo di Era
solo un
gioiello/Come
un vizio assurdo che a Sapevano
di vino
le sue labbra. Consideratela come il loro naturale proseguo.
Ora, vi sembrerà
che sia solo straziante, ma per me non è totalmente
così. Loki e Sigyn in
questa dimensione sono morti, è vero, ma le loro anime, le
loro essenze, sono
immortali – si cercano. In un certo senso, avranno decine,
centinaia di altri
finali. Il titolo e le professioni dei protagonisti sono un omaggio a
Francis
Scott Fitzegarld e a Zelda Sayre Fitzgerald, che mi hanno accompagnata
con le
loro penne negli ultimi anni. Lo stile è una sperimentazione:
l’incalzante
presente della scena cui Thor assiste si mescola col fiabesco
c’era una volta.
Sperando
che
cotanto angst non vi faccia venire in mente di creare una bambolina
voodoo con
le mie fattezze, vi auguro di passare delle serene feste. Grazie in
anticipo a
chi leggerà, listerà e recensirà. Per voi un clic può
non essere nulla, ma per un’Autrice
significa tantissimo. Quando pubblichiamo vediamo le visualizzazioni,
ma non
sappiamo se la storia piace o no. Rimaniamo nel dubbio. Scrivere
è condividere
con voi un pezzo di anima e di cuore. Bastano undici parole o un clic
nelle
liste per rendere quest’attività esaltante, a
volte drammatica e solitaria,
sempre necessaria, perlomeno un po’ meno solitaria.
Parafrasando
l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che
“solo chi crea conosce la gioia
di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è
caduta ai nostri piedi,
ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante
foto di Loki, di
Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento…
c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.
[1]
Si dovrebbe dire una flûte
perché è un sostantivo femminile francese, ma
nell’uso comune è più accettato
il maschile.