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Autore: Naomy93    27/12/2019    1 recensioni
Il cielo era furibondo.
Si poteva morire in una notte del genere, eppure, in una notte come quella, Cesare ricordava di essere rinato.
(Fandom: Space Valley
Coppia: Celson)
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Pioveva a dirotto quella notte.

Le gocce di pioggia picchiettavano sui vetri da ore senza smettere.

Quei maledetti picchiettii arrivavano dritti alle orecchie alla stessa intensità di forti martellate.

Sembrava essere il finimondo là fuori, mentre i pazzi correvano nel buio, e le auto sfrecciavano a tutta velocità sull’asfalto alzando onde anomale di acqua mista a fango.

Qualcuno urlava, altri suonavano il clacson.

Il vento ululava come ad annunciare un cattivo presagio, c’era inquietudine, qualcosa non stava andando come avrebbe dovuto, e l’umore delle persone ne stava risentendo, era evidente.

L’aria era tremendamente pesante, il cielo, cupo da giorni, sembrava non voler smettere di riversare la sua frustrazione sulla terra.

Gocce di pioggia cadevano come le lacrime.

Qualcuno è stato ferito?

 

<< Cosa fai alla finestra, Cesare? >>

<< Nulla, va via! >>

 

Un lampo illuminò la stanza ed il tuono successivo fece vibrare i vetri, rendendoli più fragili di quanto fossero in realtà, anche se per pochi secondi.

Il cielo era furibondo.

Si poteva morire in una notte del genere, eppure, in una notte come quella, Cesare ricordava di essere rinato.

 

Aveva bevuto più di quanto avrebbe dovuto, c’era da ammetterlo, ma si trovava ad una stupida serata organizzata da Nelson, per non chissà quale motivo, forse perché voleva compagnia, e se per Cesare bere in famiglia era un tabù, fuori doveva essere la regola, sopratutto se c’era Nelson con lui a riempirgli i bicchieri fino all’orlo.

Quanto era stata bella quella sera?

Ricordava benissimo di aver iniziato a subire gli effetti dell’alcool dopo il terzo bicchiere, e di come Sofia gli intimasse di andarci piano.

Lui non era abituato a bere, gli avrebbe fatto male, diceva.

Quelle sembravano essere solo raccomandazioni e preoccupazioni a occhi esterni, ma Cesare sapeva benissimo di quanto a lei non importasse nulla della sua salute, non più da mesi, ormai.

Era solo preoccupata della loro “immagine pubblica”, e di come lui tentasse costantemente di rovinarla.

Stavano ancora insieme solo per quello, per l’immagine pubblica che dovevano dare di loro: Fidanzatini dal lontano liceo, poca esperienza da entrambe le parti, Ohh… ma che carini.

Balle, balle, e ancora balle.

All’ennesimo: << Cesare, piantala di bere! >>, le rispose con un grosso: Vaffanculo, ruttandole in faccia.

Quel gesto segnò la fine della loro relazione, anche se sul momento lui non se ne rese pienamente conto.

Di quei momenti ricorda soltanto come Sofia fosse uscita subito di casa, seguita da Tonno e da un’altrettanto indispettita Beatrice.

Anche lei, probabilmente, doveva avercela a morte con il fidanzato.

E Nelson rideva con le lacrime, ubriaco come una spugna, accompagnato da Nicolas che non aveva perso tempo a trascinare con lui un Dario, piacevolmente brillo, sul divano di casa Venceslai.

<< Era ora di darci un taglio, Cesi! >> rideva accomodandosi sulle ginocchia del più grande << Dario, versami del vino! Brindiamo al ritorno in piazza del Cantelli! >>

<< Qualcosa mi dice che anche Nelson, tra non molto, tornerà in piazza! >> rispose l’altro riempiendogli il bicchiere.

Scoppiarono a ridere come deficienti, e il tutto fu condito in modo esilarante dall’arrivo di un inconsapevole Frank, munito di pizze e birre, curioso di sapere come mai fuori ci fossero le ragazze ad inveire contro Tonno.

Cesare quella sera aveva deciso di rovinarsi, o meglio, di rovinare il suo fegato, cosa decisa anche da Nelson evidentemente, visti i bicchieri di vino, birra, e quant’altro, mandati giù assieme nel giro di poche ore.

<< Da bravi fratellini! >> dissero brindando per la chissà quale volta.

Nicolas e Dario erano spariti da una buona mezz’ora, chiudendosi nella stanza adibita a ripostiglio, dove Frank non ebbe il coraggio di bussare, ed anzi, vedendo come il clima si stesse “riscaldando”, decise saggiamente di togliere le tende e forse recuperare Tonno, rimasto fuori.

Cesare ricordava bene l’impazzare del temporale scatenatosi sulle strade quando, con Nelson, aprirono l’ultima bottiglia di... birra? Prosecco? Vino?

Qualcosa.

L’insistente picchiettio della pioggia sui vetri a contornare una serata iniziata al meglio e sicuramente terminata nel peggiore dei modi.

La loro serata.

<< Sono felice di essere circondato da amici sinceri! >> rideva Nelson poggiandosi a lui e allungandogli il bicchiere.

<< Quali amici, coglione?! Ci sono solo io qui! >>

La testa di Nelson quasi crollò sulla sua spalla.

<< Hai ragione, Cesi! >>

<< Scusa, è l’alcool a parlare! >> sospirò riempiendogli il bicchiere << Sono ubriaco da fare schifo, non dare peso alle mie parole! >>

Scese un silenzio inusuale, ma piacevole.

Per quanto la stessero vivendo con i sensi annebbiati, quella vicinanza li faceva stare bene.

<< Senti come piove? >> domandò Cesare al rimbombo di un tuono.

<< Mh… >>

<< Ti ricordi come te la facevi sotto quando c’erano i temporali? >>

Sul volto di Nelson comparve un leggero sorriso.

<< Certo! Che stupido... >>

<< Mi pregavi di dormire da te quelle notti! >> sghignazzava al ricordo, bevendo un sorso dalla bottiglia.

La madre di Nelson era arrivata al punto di non sopportarlo più, forse perché averlo in casa le ricordava la relazione finita disastrosamente con suo zio, però, Cesare cosa poteva farci?

Era Nelson a chiamarlo, e lui fin troppo bravo a mentire ai suoi, dicendo di non essersi reso conto dell’ora tarda.

<< E “casualmente” uscivi con un cambio per il giorno dopo! >>

Risero ancora.

Il temporale aveva smesso di impaurire Nelson già da anni, Cesare ne era sicuro, eppure non resistette all’impulso di passagli un braccio sulle spalle e stringerselo addosso, nel sentire lo scroscio della pioggia aumentare di intensità.

L’altro aveva posato il bicchiere sul tavolino davanti a loro, lasciandosi stringere il più possibile.

<< Non ho più paura dei temporali! >> sussurrò poggiandogli una mano sul torace.

Cesare respirava piano.

Forse, a distanza di anni, quello che aveva iniziato ad avere paura era lui, ma non lo avrebbe mai ammesso.

Poi successe l’inaspettato.

Un fulmine cadde fin troppo vicino all’abitazione, facendoli sobbalzare e stringere più forte. Tanto forte da portare Nelson con tutto il peso su Cesare, e costringere entrambi a guardarsi negli occhi.

Spaventati a morte.

Inconsapevoli.

<< Che… fai? >>

Non si risponde alle domande retoriche.

Fu Nelosn a poggiare le labbra su quelle di Cesare, portandogli il viso più vicino al suo, ma non avrebbero negato di volerlo da entrambe le parti.

Erano in preda all’alcool, all’adrenalina, e alla paura.

Non potevano evitarlo.

I movimenti lenti diventarono presto frenetici. Le labbra non facevano altro che cercarsi e incontrarsi a metà strada, ricercandosi ancora ed ancora, per assaggiare qualcosa di mai provato e bearsi di quanto fosse buono il gusto del proibito.

Ogni freno inibitorio ucciso dalle scosse di piacere provenienti dai loro bassoventri.

<< Lo stiamo facendo davvero? >> domandò Cesare, senza smettere di baciare l’altro, troppo preso dalla foga per rispondergli.

Ma il sentirsi accarezzare il viso e i capelli con tanta voglia e tenerezza gli bastò come risposta.

Era da troppo tempo che non si sentiva così.

Importante.

Desiderato.

Amato? No, non poteva chiederlo.

Non gli importava se fosse un uomo a farlo stare bene. Anche se non si trattava di un uomo qualunque, ma di Nelson, la prima persona con cui aveva legato in vita sua.

Il suo primo vero legame.

<< Vieni in camera con me? >>

<< Andiamo! >>

Cesare lo sollevò tanto da permettergli di aggrapparsi a lui, allacciandogli le gambe ai fianchi e portarlo via da quel divano scomodo.

<< Domani te ne pentirai, vero Cesi? >> gli domandò stringendolo con forza.

<< Potresti essere tu a pentirtene, domani! >>

Nelson nascose il viso sulla sua spalla, soffocando una risata.

La porta della camera si chiuse con un sonoro tonfo non appena i due entrarono, coprendo alle loro orecchie il tuono proveniente da fuori, e lo scroscio della pioggia che non aveva smesso di scendere nemmeno per un attimo.

E Cesare rinacque quella notte.

Successe.

Non era il momento giusto, né il momento sbagliato. Successe e basta.

Non ci sarebbe mai stato un momento giusto, perché, in fondo, tutto ciò era maledettamente sbagliato alla radice.

Ma mai cosa tanto sbagliata gli era sembrata così giusta.

 

<< Cesare, è tardi! Vieni via! >>

<< Come posso andare se continua a piovere in questa maniera? >>

 

<< Nelson, cosa cazzo hai fatto? >>

<< Niente! >> rispose cercando di coprirsi, inutilmente, i polsi sanguinanti.

Nelson era sdraiato sul pavimento del bagno, completamente macchiato di rosso, con la schiena poggiata alla vasca, privo di forze e pallido come il marmo.

Aveva allertato Cesare e Tonno, mandando ad entrambi un messaggio, però solo Cesare era corso da lui.

Dopo aver scoperto della loro relazione, Tonno confessò di provare da tempo qualcosa per Cesare, ma ormai era troppo tardi, disse, ed egoisticamente aveva deciso di allontanarsi fino al punto di non considerare più le loro chiamate o i loro messaggi.

Questo segnò tantissimo Nelson, aumentando la sua voglia di farsi del male, non riuscendo più a nasconderla agli occhi di chi gli stava attorno.

La sua famiglia non poteva saperlo, si era creata troppa distanza con gli anni di lontananza, e fu una grossa sorpresa quella di ripresentarsi a loro mano nella mano con uomo, per di più non uno qualunque, ma Cesare. L’ultima persona al mondo a cui avrebbero pensato.

A lui non sembrava fosse andata malissimo, però, era chiaro quanto tutto avesse peggiorato l’umore di Nelson.

La distanza dalla sua famiglia lo faceva soffrire, anche se non evidentemente, poi l’allontanamento di Tonno era stato il colpo di grazia.

Nicolas sapeva soltanto perché se ne accorse dai segnali che lui descrisse con la frase: “Solo chi ci è passato può capire.”

<< Nelson, perché? >> chiedeva Cesare, premendo degli asciugamani sui polsi lacerati dell’altro e ordinando a se stesso di non piangere. Anche se con scarsi risultati.

<< Sono una nullità, Cesi! >> singhiozzava << Ma non odiarmi! Almeno tu, ti prego! >>

<< Ehi, occhi fissi su di me! Guardami, guardami… >>

Cesare gli alzò le braccia facendosele passare attorno al collo, in modo da farsi stringere, poggiandoglisi fronte contro fronte, senza curarsi di macchiare entrambi di sangue.

<< Io sono una nullità se ti permetto di farti del male, ok? >>

<< Non è v… >>

<< Io sono una nullità se ti perdo, quindi stringimi e stai con me! >>

Anche se a fatica, le braccia di Nelson si strinsero al collo dell’altro.

<< Bravo, stringimi! >> trattenne le lacrime portandoselo in braccio.

Dovevano assolutamente correre in ospedale.

<< Stai con me, Nelson, stringi più forte che puoi! >>

 

<< Ha mollato la presa! >>

<< Non è stata colpa tua! >>

<< Certo che è stata colpa mia! Non avrei mai dovuto cedere agli impulsi, dovevo tenerlo lontano! L’ho amato, e amandolo, l’ho distrutto! >>

 

<< Ti amo, Cesi! >>

<< Dimmelo ancora! >>

<< Ti amo, Cesare! >>

<< Ti amo, Nelson! >>

 

Il vento ululava addolorato sulle strade bagnate di Bologna.

Il cielo piangeva, ferito, senza trovare consolazione.

Cesare ricorda la camera buia, le lenzuola disfatte, e la finestra aperta da cui le gocce di pioggia entravano, bagnando il pavimento.

Faceva freddo in quella camera buia e vuota.

Per sempre vuota.

Un urlo si elevò come un tuono a turbare la notte.

Il suo.

  
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