Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: K_MiCeTTa_K    06/01/2020    3 recensioni
In un giardino a Otsuchi, proprio di fronte all’Oceano Pacifico, c’è una cabina telefonica molto speciale. Attraverso il vecchio telefono a disco, scollegato dalla linea, le persone affidano pensieri e parole destinate ai propri cari oramai estinti.
Anche a Lestrade farebbe piacere avere a disposizione un “telefono del vento” come quello.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lestrade
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Avviso: è presente linguaggio scurrile.


Una telefonata per l’aldilà




Buon compleanno, Sherlock.


«Pronto?» Greg pigia il tasto rosso sul telefono cordless. «Che stronzata!» ammette a denti stretti. Fa scorrere, per l’ennesima volta, le dita tra i capelli; oramai il gel non fa più presa. L’uomo afferra i ciuffi dietro la propria nuca e li strattona leggermente, socchiudendo gli occhi.
Il sole sta morendo dietro i palazzi tingendo d’arancio e violetto gli scorci di cielo alle spalle delle nuvole basse. L’ispettore è rientrato da poco in casa e le persiane sono ancora chiuse, ma i raggi riescono ugualmente a passare riscaldando l’interno dell’appartamento; si tratta di un principio di primavera. Ah, beffarda arriverà a ricoprire il paesaggio con i suoi mille colori e rilascerà profumi che solleticheranno i sensi. Darà il via a un nuovo ciclo risvegliando alla vita tutte le cose.
Greg riempie i polmoni d’aria e la rilascia in uno sbuffo spazientito. Ci riprova: pigia il verde e si riporta la cornetta all’orecchio. Sta per sussurrare un “ehi”, ma il tu-tu, tu-tu, tu-tu di fondo lo infastidisce. Aggancia. Getta il telefono sul divano.


Come tutte le mattine Gregory Lestrade si ferma all’edicola accanto alla sede di New Scotland Yard.
«Buongiorno ispettore» lo saluta cordialmente Alan, l’edicolante.
«’Giorno» ricambia mogio Greg. Ha riposato poco e male: non è in vena di chiacchiere. Sbircia i titoli sui quotidiani esposti.
«Vuole anche oggi il Metro?» gli offre Alan e fa già per passarlo all’altro.
«Mai più, per carità.» Agita la mano dal palmo aperto e si esibisce in una smorfia di disgusto. «Prendo il Sun.»
Il gestore dell’edicola si dimostra abbastanza discreto da non porgergli domande. Si limita a dargli il giornale richiesto e farsi scivolare in mano i pence equivalenti.

Lestrade negli ultimi mesi ne ha letti parecchi di articoli sgradevoli pubblicati da ogni sorta di testata giornalistica. Non ha nulla contro il Metro, semplicemente, sfogliandone le pagine, si è soffermato a leggere un articolo che lo ha decisamente scombussolato.
“Il telefono del vento”, questo è il titolo bizzarro che ha catturato l’attenzione di Greg. La notizia, in beve, riportava di un certo signor Itaru Sasaki che, dopo la morte del cugino, ha fatto installare una cabina telefonica nel proprio giardino per poter continuare a parlare con lui. No, non si tratta di una nuova scoperta tecnologica, né di magia o spiritismo. Il signor Sasaki ha solo trovato un modo per affrontare la perdita di una persona cara.
A un anno di distanza dal terremoto e dal maremoto che hanno colpito il Giappone l’11 marzo 2011, l’articolo informava delle centinaia di persone che si sono recate nel giardino di Itaru Sasaki. La gente ha chiesto di poter utilizzare la cabina per comunicare con le vittime della tragedia.
Gregory, di primo acchito, non ha dato troppo peso alla cosa, è stato distratto dal lavoro in ufficio. Nel corso della mattinata, però, ha potuto godere di numerose pause durante le quali la notizia de “il telefono del vento” è tornata a occupare i suoi pensieri.
In effetti c’è qualcuno con il quale l’ispettore avrebbe piacere di parlare. Ma non può. Non si tratta solo del fatto che quel dannato telefono è all’altro capo del mondo. I morti sono morti, non possono rispondere. Sì, esiste l’immaginazione, ma Greg non riuscirebbe a fingere. È il tipo d’uomo che sotto la doccia, se è sovrappensiero, canta, ma appena se ne rende conto si vergogna della sua stessa voce e s’ammutolisce. La recita non funzionerebbe.
Ha trascorso l’intero pomeriggio a convincersi di non aver bisogno di chiamare proprio nessuno. Non ha mai affrontato a quella maniera bizzarra i lutti e non avrebbe cominciato a farlo adesso. Se l’è ripetuto fino a quando, innervosito da quel pensiero fisso, non ha raccolto un po’ di coraggio e non ci ha provato. Con scarsissimi risultati.

Lestrade, tornato a casa, si concede una doccia rapida e poi, colto da un languorino, caccia dal frigo degli avanzi di pizza che non perde tempo a scaldare. Si accascia sul divano, afferra il telecomando e accende il televisore. Tiene in equilibrio sul grembo il piatto con la pizza e cerca un canale sul quale trasmettano un film che gli faccia compagnia – o che gli permetta di staccare il cervello. Il primo che becca è Al di là dei sogni, gira. Amabili resti, cambia ancora. Una sfilza di pubblicità e poi Il sesto senso. Pigia sul tasto più per procedere e gli parte avanti agli occhi la scena finale di Ghost.
«E che cazzo!» sbraita schizzando all’impiedi. La pizza rotola a terra con tutto il piatto. Impreca rendendosi conto della fine che ha fatto fare alla sua cena. Corre in cucina a recuperare un panno per pulire, ma non prima di aver spento la televisione.
Ogni dannatissima cosa gli fa pensare a quella telefonata. Greg sa che le sue parole rimarrebbero inascoltate e si sente troppo sciocco a parlare da solo. Che poi, si chiede, come diavolo funziona quella cabina in Giappone? Il telefono è collegato per davvero alla linea telefonica? Se così fosse, lui non comporrebbe mai il numero: quale imbarazzo a sentirsi rispondere da un parente del defunto. Sorride pensando a qualche insensata giustificazione che si potrebbe fornire.
Per curiosità Lestrade va a prendere di nuovo il Metro: controlla se per caso gli sia sfuggito qualche particolare sui meccanismi di quel telefono. Non trova nulla. In effetti però, se lo chiamano “del vento”, potrebbe voler dire che la conversazione è affidata letteralmente all’aria. Un telefono senza fili. Sì, può funzionare!
L’uomo va svelto verso il mobiletto nell’angolo, lo scosta dalla parete e tira via dalla presa il cavo della linea telefonica. Tutto soddisfatto apre la finestra adiacente e lascia penzolare il filo fuori. Ecco fatto, ora può usare l’apparecchio fisso che è sul mobiletto senza problemi.

Non sa da quanto tempo è seduto sul pavimento. Parecchio a giudicare dalle vertebre doloranti premute contro la parete. Tanto che la luce dei lampioni ha fatto capolino dentro l’abitazione.
Solo ora si rende conto di aver meditato su quesiti piuttosto sciocchi: chiamo o non chiamo; se compongo il numero risulta inesistente, squilla a vuoto, oppure mi rispondono; come elimino quello snervante tu-tu che farebbe da base alle mie parole. Ma la domanda fondamentale è: «Cosa ti potrei mai dire?»
Gregory continua a mentire a sé stesso, perché lo sa, lo sa benissimo, cosa può dirgli. Si prende solo del tempo. Le dita intrecciate le une con le altre si stringono in maniera costante e spasmodica. Lestrade ha la testa reclinata all’indietro, la spinge contro il muro, sente la pelle sul pomo d’Adamo tendersi fino quasi a fare male.

Come quando si preme un interruttore e le lampadine si illuminano in un istante, Greg afferra il telefono da sopra al mobiletto e se lo porta tra le gambe, lì a terra, dove si ostina a restare seduto.
Alza la cornetta con la sinistra e, prima di portarsela all’orecchio, con l’altra mano digita il numero di cellulare. Lo conosce a memoria, e lo ricorda ancora dopo mesi che non lo faceva. Non ci fa veramente caso, gli viene naturale.
Prende un grosso respiro e poggia l’orecchio sulla superficie fredda del ricevitore. Trattiene il fiato come se da un momento all’altro potesse davvero sentire partire gli squilli, ma il cavo è ancora appeso fuori la finestra.
«C-ciao…» gracchia dopo tanto silenzio. Si schiarisce la voce e prova ancora. «Ciao, Sherlock.»
Essere riuscito finalmente a pronunciare quel nome fa sentire Greg un poco più tranquillo, come se il grosso sia oramai passato.
«Sono Greg. No, aspetta, se ti dico solo il mio nome potresti non riconoscermi.» L’uomo si concede un sorriso storto. «Sono Lestrade.»
Sbuffa e scuote il capo. Non perché si sta pentendo della farsa, piuttosto perché immagina le risposte sarcastiche che, se solo potesse, gli riserverebbe l’altro. «Non ti ho chiamato perché sono in difficoltà con un caso. Hai sempre la battuta… Avevi…» Si batte il pugno chiuso sulla fronte. «Merda!» sussurra, ma vorrebbe urlarlo. “Sei morto!” vorrebbe gridargli, ma non lo fa. “Sei morto!” gli rimbalza nella mente la propria voce soffocata.
«Cazzo Sherlock sei saltato da un tetto.» Greg spalanca gli occhi e si aggrappa al filo che tiene collegata la cornetta all’apparecchio fisso. Indice e medio vengono avvolti dalla spirale in gomma liscia e nera.
«Perché ti sei lasciato andare così? Perché?» chiede arrabbiato. «Sherlock, perché non hai chiesto il mio aiuto?» E finalmente è giunto al nocciolo della questione. «Credevo di essere tuo amico…»
Greg lascia scivolare il telefono fino alla clavicola. Sente il cuore battere rapido nel petto e le lacrime pizzicare dietro agli occhi. Non si permette di piangere, si concede solo qualche attimo per calmarsi.

Riporta su la cornetta. «Holmes, io e te abbiamo lavorato assieme per tanto. Mi sono fidato di te. Lo sai… Sapevi… Fanculo.» Si morde l’interno della guancia. «Ho rischiato il posto per dare credito alle tue supposizioni, e ti ho concesso diritti dentro Scotland Yard che nessun consulente può vantare di aver mai avuto» espone Lestrade.
«Ah, non lo so. Non capisco.» Un alito di vento entra dalla finestra. Con la notte la temperatura si è dimezzata. L’ispettore si stringe nelle spalle sussultando a causa di un brivido.
«La stampa è stata impietosa. Quei giornalisti da quattro soldi hanno rigirato i fatti a proprio piacimento solo per riuscire a vendere il maggior numero di copie. “Sherlock Holmes è un assassino.” Capisci cosa mi hanno costretto a leggere?!» racconta. «Giuro che avrei volentieri fatto un falò con quelle stramaledette pagine di giornale» inveisce e sbatacchia un braccio in modo da marcare il concetto.
«Io, Sherlock, ho visto ogni sorta di criminale. Mi vanto di avere una carriera lunga in polizia che mi ha permesso di guardare nelle palle degli occhi i veri assassini. E tu, amico mio, non sarai un santo, ma non sei un dannato omicida» conclude. Il petto un po’ gonfio: Greg si sente orgoglioso a non aver dato credito neppure per un secondo a quel fuoco di paglia che ha investito Sherlock Holmes con illazioni e calunnie.
«Ah, ma quel coglione dell’ispettore capo, Gregson, ha preso subito la palla al balzo e mi ha costretto ad occuparmi di borseggiatori e ladruncoli. Cioè, Gregson, con la scusa di non dover dare troppo nell’occhio poiché si diceva che la polizia aveva collaborato con un criminale, mi ha tagliato le gambe.»

Le sirene di una volante, seguite da quelle di un’autoambulanza, riempiono il silenzio del salotto di Gregory Lestrade. Quando sono più vicine, le luci emesse dalle sirene passano attraverso i vetri e sbattono intermittenti sulle superfici riflettenti del frigorifero e del televisore. Rosso, blu, ancora blu, poi rosso. L’ispettore aspetta che torni la quiete prima di continuare la propria telefonata.
«Questa ti piacerà» dice convinto, dimentico di sta conversando da solo. «Mi è arrivato all’orecchio che Anderson si sia battuto per la tua causa e che addirittura ti creda vivo.» Una risata amara lascia la sua gola.
«Sei un fottuto bastardo. Eri. Oh, Cristo!» impreca correndo a stringersi la radice nasale. «Sherlock, non so cosa avrei potuto fare per te, ma non avresti dovuto affrontarla da solo.» Greg tiene la mandibola contratta tanto da avvertire lo stridio dei propri denti.
«Non posso dare credito ad Anderson, te ne rendi conto? Non perché sia un deficiente. Beh sì, anche per quello. Ma, voglio dire, non posso sperare che tu sia ancora in vita. Non riuscirei ad andare avanti. Sono morti degli innocenti, il lavoro è diventato una merda e ho perso un amico.» Tira un bilancio.

Se prima aveva fame, ora Greg ha lo stomaco completamente chiuso.
«Non so se questa cosa del telefono è vera. Cioè, non so se dove ti trovi possano arrivarti le mie parole. Io però avevo bisogno di…» tentenna alla ricerca del termine più appropriato. «Dovevo salutarti, ecco. Quindi c-ciao» dice titubante. In maniera incerta abbassa la cornetta per attaccare.
«Ehi, ehi!» Greg riporta all’orecchio il ricevitore stringendolo con tutte e due le mani. Si è ricordato una cosa per la quale non può ancora interrompere la conversazione. «Io penso che tu voglia avere notizie di John.» dice d’un fiato, come se avesse bisogno di attirare l’attenzione del proprio interlocutore.
«Beh, lui si è rifugiato nel lavoro. Ha tagliato i ponti un po’ con tutti: ha lasciato l’appartamento che dividevate, la signora Hudson non lo sente da settimane; Molly – l’ho incontrata per lavoro – dice che non lo vede dal tuo funerale; a me risponde al telefono solo se insisto, ma è telegrafico.»
«Senti, mi dispiace. È una bella merda per tutti. Inaspettatamente Holmes “lo strambo” ha spezzato più cuori di Patrick Swayze in Ghost.» Soffia divertito Greg.
«È andata come è andata. Posso solo prometterti che mi impegnerò ad essere un amico migliore per John Watson.»

Lestrade riflette per un po’. Quando è sicuro di non avere altri pesi sul cuore ricorre all’ultimo pizzico di coraggio che gli è rimasto nelle vene. Perché anche per dire addio c’è bisogno di essere forti. «Ciao, Sherlock» pronuncia convinto. Con entrambe le mani accompagna la cornetta sulla base e termina la telefonata.







Disclaimer e Note

I personaggi di cui sopra non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
La notizia del “telefono del vento” è vera, ma non so se sia mai stata riportata sui giornali inglesi: ho citato il Sun e il Metro unicamente per creare un fondo di veridicità alla storia.
Da quello che so Greg è il nome che i Mofftiss hanno dato a Lestrade come rimando a Gregson, un altro poliziotto. Qui ho voluto scindere le figure dei due uomini, arrogandomi la licenza di mutare la provenienza del nome Greg in Gregory. Non era necessario, lo riconosco, spero non abbia turbato nessuno.

Ringrazio tutti e colgo l’occasione per augurarvi un buon 2020!
K.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: K_MiCeTTa_K