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Autore: Tide    07/01/2020    0 recensioni
[Non è un paese per vecchi]
Anton Chigur, dopo l'incidente alla fine del film, viene accolto da una donna singolare.
Potrebbe essere una storia d'amore, se non si trattasse di Anton e Crystal.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Ok, questo è un po' un esperimento: ho provato a mettere un personaggio chiaramente estraneo ai rapporti umani in relazione con qualcuno. Questo qualcuno non poteva essere una persona qualunque, o non ci sarebbe stato molto da dire. Non siate troppo severi.




Capitolo 1
 
C’era una stazione per la benzina sulla strada. Era una piccola stazione di servizio con le pompe per i rifornimenti davanti a un piccolo negozio e una piccola casa dall’aria vagamente provvisoria dietro quest’ultimo.
La proprietaria stava sulla soglia del negozio a braccia conserte, appoggiata allo stipite. Osservava l’immenso paesaggio secco del Texas. I tratti affilati del volto perfettamente immoti, gli occhi chiari scrutavano la terra rossa con la torva pazienza di un avvoltoio.
La fronte della donna si corrugò appena, in maniera quasi impercettibile, quando notò un cane che vagava oltre la strada. Pensò che dovesse essere scappato da un ranch non troppo lontano. Se le cose stavano così, non doveva trattarsi di un cane troppo intelligente.
La donna distolse lo sguardo, tornando a seguire il brullo profilo delle colline in lontananza.
Per quasi tutto il pomeriggio nessuna macchina era passata lungo la strada che si stendeva ritta da orizzonte a orizzonte, passando davanti alla stazione di rifornimento.
Sembrò quasi fuori luogo il rumore di una vettura in lontananza. La donna voltò bruscamente il capo e osservò l’automobile che si stava avvicinando.
Era un fuoristrada come se ne vedevano tanti. Procedeva più cautamente del normale e sbandava di continuo, come se il conducente fosse ubriaco o sul punto di addormentarsi.
La benzinaia continuò a fissarla senza muoversi di un millimetro e senza mutare espressione, in attesa che l’auto finisse fuori strada. Allora lei sarebbe rientrata e avrebbe chiamato la polizia stradale. Se le fosse parso il caso avrebbe richiesto un’ambulanza e sarebbe andata a prestare un primo soccorso.
Ma l’automobile riuscì a raggiungere la stazione senza incidenti e molto piano entrò nello spiazzo antistante, come intendesse fare rifornimento. Solo allora la donna aggrottò la fronte, si scostò dallo stipite e mosse qualche passo per vedere meglio.
Il conducente era un uomo dai capelli scuri e con l’aria d’essere appena uscito da un pestaggio. Aveva il volto coperto di sangue e guidava  con la sola mano destra, il braccio sinistro era legato al collo con una camicia. Come ebbe frenato completamente, l’uomo si accasciò sul volante, tentando comunque di aprire la portiera.
La proprietaria raggiunse il fuoristrada, aprì al suo posto e lo aiutò a uscire, sorreggendolo. Anche così, lui poteva a malapena stare in piedi.
Più che notarlo, la donna intuì che l’altro aveva una brutta ferita alla gamba: sentiva il sangue di lui bagnarle i jeans, tiepido e viscoso.
Nonostante tutto, l’uomo si sforzava di procedere e lei lo aiutava senza dire nulla. Lo portò alla casetta dietro il negozio.
Quando aprì, una bambina fece per venirle incontro, bloccandosi immediatamente appena ebbe visto la situazione. La donna le gridò di andare a mettere il cartello di chiusura e poi restare in camera. La bambina obbedì con straordinaria prontezza, mentre lei sistemava l’uomo nella propria stanza. Lo fece sedere sul letto nell’angolo della camera, poi lo aiutò a stendersi.
“Ecco, ora puoi svenire.” Gli disse senza alcun intento ironico.
L’uomo annuì piano, chiuse gli occhi e diede un sospiro, poi non si mosse più. Doveva aver resistito fino a quel momento per pura forza di volontà.
La donna si diede un secondo per osservarlo meglio.
Era un uomo alto, dal fisico forte, aveva tratti decisi, un poco mascherati dal sangue, e dei capelli neri dal taglio decisamente bizzarro.
A qualcun altro quella situazione avrebbe fatto una certa impressione, ma per lei che l’uomo fosse in perfetta salute o fosse moribondo, che avesse un aspetto totalmente anonimo o avesse una capigliatura improbabile non faceva molta differenza.
Gli controllò il battito cardiaco, gli tolse la camicia che gli faceva da tutore per il braccio, osservò e tastò la frattura, con molta attenzione. Poteva dire con una certa sicurezza che non v’erano danni alle arterie e che non vi sarebbero stati inconvenienti se l’avesse ricomposta con un po’d’attenzione. Sarebbe stato meglio farlo fare a un dottore, certo, ma sicuramente  il paziente in questione non si sarebbe fatto dei chilometri in quelle condizioni, se fosse stato nella posizione di andare in ospedale.   
Lanciò uno sguardo all’uomo, per assicurarsi che fosse ancora privo di sensi, poi si sistemò di modo da poter gestire agevolmente il braccio rotto. Si concentrò, considerando con precisione come agire. Infine, con un gesto repentino e netto, forzò l’osso nella sua posizione naturale.
Si alzò e svestì con cautela l’uomo per avere sott’occhio tutti i danni. Le ferite alla testa sanguinavano, ma non sembravano gravi; tra quelle alle gambe, almeno una era da arma da fuoco e pareva essere già stata medicata, salvo riaprirsi in seguito a un secondo trauma.
La donna tastò le costole e le parve che alcune fossero danneggiate.
Si mise all’opera, raccogliendo tutto ciò che poteva tornare utile, disinfettandolo e sterilizzandolo.
Sarebbero serviti degli antibiotici.
Sarebbe servito pulire il sangue e togliere l’auto dalle pompe della benzina.
   
 
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