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Autore: Shireith    08/01/2020    1 recensioni
Questa storia, essendo stata ideata mesi fa, non tiene conto del finale della terza stagione, né MangiamoreMiracle Queen.
[Capitolo 1] Ebbe appena finito di pronunciare quelle parole, che Chloé si era già voltata nella sua direzione. «Ladybug!» esclamò nel riconoscerla. Gaia in volto, gettò lo specchio sul sontuoso letto di camera sua e affondò ambe le mani nella chioma bionda, sistemandosi i capelli scompigliati e umidi. Aveva tutto l’aspetto di una che era da poco uscita dalla doccia, pensò Marinette. «Be’, che cosa ci fai qui?» la incalzò a parlare, per nulla infastidita della visita inattesa. Parve inasprirsi solo quando Plagg tornò nel suo campo visivo, e indicandolo con l’indice curvato all’insù aggiunse: «E perché quel coso è con te?»
[Capitolo 2] Ladybug aggrottò le sopracciglia scure con evidente scetticismo. Stette ad ascoltare per un po’ Queen Bee e Rena Rouge che si contendevano la sua amicizia, mentre Viperion, Carapace e Ryuko assistevano come spaesati, senza intervenire, insicuri se ridere o astenersi per solidarietà.
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Chloè, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I — Un improbabile trio


  Marinette si abbandonò di schiena sulla chaise longue di camera sua, le braccia gettate al cielo in un gesto di teatrale drammaticità. «Il mio armadio fa pena», lamentò.
  Tikki scoccò un’occhiata scettica agli indumenti disseminati per tutta la stanza: ben più numerosi dei tanti formaggi che Plagg custodiva con gelosia, non ve n’era forse nemmeno uno che fosse passato di moda – e, anzi, molti erano stati ideati e confezionati da Marinette in persona. «Perché non chiedi aiuto ad Alya?» propose il kwami, sicuro che un suo intervento sarebbe riuscito a placare la fervida immaginazione dell’amica – la quale, nell’ultima mezz’ora, non aveva fatto che vagare per la stanza bofonchiando tra sé parole come disastro e tragedia. Marinette era cresciuta, non aveva più quattordici anni, ma forse certe abitudini e modi di fare non se li sarebbe mai lasciati alle spalle.
  «Ci ho già provato», ribatté quella, «e non mi risponde. Ora che ci penso, mi pare avesse un impegno importante; avrà spento il cellulare. No, questo è orribile!» E così dicendo, gettò a terra un vestito azzurrino, che si mischiò all’arcobaleno di colori e tessuti sparsi sul pavimento. Spazientita, gettò un’occhiata all’orologio e lesse l’ora con crescente rammarico. «E di questo passo arriverò pure in ritardo.»
  «Marinette», iniziò cautamente Tikki, la voce delicata che parlava con tono quasi parentale, «ricordati chi sei.»
  «Un disastro?»
  Accennò un sorriso e scosse l’esile capo con infinita pazienza. «No», la smentì. «Sei Ladybug. Solo stamattina, tu e Chat Noir avete sventato un’akuma di Papillon, e fino a meno di un’ora fa hai badato a Manon senza uscire di testa. Sarà anche due anni più grande, ora, ma quella bambina rimane sempre un terremoto.» Marinette sorrise, conscia di non poter contestare quelle parole nemmeno volendo. Ma poi Tikki disse qualcosa che le riusciva difficile da credere. «Non farai nessuna brutta figura, stasera», asserì, infatti, il kwami, senza tuttavia sortire l’effetto desiderato.
  «È di Gabriel Agreste che stiamo parlando – quell’uomo è un perfezionista. Se ci sarà anche solo una cosa fuori posto…»
  «Sbaglio, o in passato si è più volte complimentato con te per il tuo talento?»
  Le guance le si colorarono di un rosso appena visibile. «Be’, sì», ammise, «ma…»  Nessun ma venne in suo aiuto, e la ragazza si limitò a sospirare rumorosamente. Si catturò il labbro inferiore tra i denti e lo mordicchiò lievemente, incerta. «Voglio solo che sia tutto perfetto, che niente vada storto. Adrien ci tiene tanto a far buona figura con suo padre, e io credo di tenerci ancora più di lui. Ti ricordi tutte le pressioni che ci ha fatto, quando ci siamo messi insieme? Per un po’ ho creduto che ci facesse addirittura rompere.» Ed era quasi successo, soggiunse una voce nella sua mente. Marinette scosse il capo, decisa a non pensare all’incredibile ostacolo che Gabriel Agreste aveva rappresentato – e rappresentava tuttora – nella sua relazione con Adrien.
  Tikki comprendeva le ansie dell’amica. Avrebbe dato qualsiasi cosa per aiutarla, ma sapevano bene entrambe che, quanto a moda, non era la consigliera adatta cui rivolgersi. Se solo, pensò, ci fosse stato qualcuno in grado di…
  «Perché non chiedi a Chloé?»
  Marinette impallidì come un lenzuolo. Le scoccò un’occhiata quasi inorridita, come se Tikki avesse d’improvviso perso la memoria e non fosse a conoscenza dei loro trascorsi. Per un attimo pensò che stesse facendo della semplice ironia, ma nello sguardo del kwami non si leggeva che serietà. «Mai», replicò. «Se lo facessi, Chloé mi riderebbe in faccia a vita. ‘Oh, Chloé, saresti così gentile da aiutarmi a scegliere un abito per la cena a casa del signor Agreste? Sì, esatto, la stessa cena a cui tu non sei nemmeno invitata, e sì, la stessa cena a cui andrò col mio ragazzo, Adrien, relazione che tu hai più volte disapprovato’», disse in tono di scherno. «Figurarsi.»
  «Chloé non è una ragazza così meschina come dà a credere», osservò Tikki, portando pazienza, «e tu questo lo sai bene, viste tutte le volte che le hai affidato un miraculous
  «È diverso. Quando è Queen Bee, Chloé è molto più sopportabile. E poi lei stravede per Ladybug.»
  «Se solo sapesse che ci sei tu sotto la maschera, radunerebbe tutta la merce di Ladybug che ha accumulato in questi ultimi anni e le darebbe fuoco.»
  Così parlando, Plagg aveva abbandonato il suo posto a sedere sul ripiano della scrivania e galleggiava ora a mezz’aria, gli occhi verdi fissi sulla fetta di formaggio ben stagionato stretta tra le zampe. Vi affondò i denti aguzzi, senza dar peso allo sguardo disapprovatore che Tikki gli rivolse in quello stesso istante.
  Marinette fu meno dura: sapeva che Plagg aveva ragione e non c’era modo di dargli torto. Lo osservò distrattamente mentre mangiucchiava una porzione del suo bottino e cercò di non ridere quando lui e Tikki cominciarono a battibeccare.
  «Ricordami ancora perché sei qui, tu?» chiese Tikki, le zampe corte incrociate con evidente disappunto – per quanto, dal suo aspetto, potesse sembrare innocua, chiunque avrebbe capito che in quel momento non lo era affatto, meno che mai nei riguardi di Plagg.
  «Adrien è stato costretto a sfilarsi il miraculous per un servizio fotografico e ha preferito scaricarmi qui da voi per non correre rischi», spiegò, benché sapesse quanto lei che la sua era stata solo una domanda retorica. «Ricordate tutt’e due cos’è successa l’ultima volta, dico bene? Se però vuoi rifarlo, Marinette, quando vuoi. Il formaggio che mi procura Adrien è dei migliori, ma anche questo…» Senza aggiungere altro, ne trangugiò la parte rimasta e dichiarò la sua sazietà – che, visto il soggetto, non sarebbe durata più di un’ora.
  «Grazie, Plagg, ma preferisco non ricorrere ai poteri dei miraculous per questioni personali.»
  «Quando vuoi tu, almeno.»
  Marinette rammentò le visite serali in camera di Adrien, quando il desiderio di vederlo era stato più forte della ragione stessa, e arrossì. «Sono stata molto cauta», ci tenne a precisare. «E comunque non tiene testa alle decine di volte che Adrien si presenta qui senza preavviso.»
  «Finché non vi vede nessuno, a me sta bene.»
  Seguì un breve silenzio. Poi Marinette disse: «Forse non è un’idea tanto brutta.»
  «Che cosa?» chiese Tikki, che intanto aveva preso a riordinare la stanza e sollecitato più volte Plagg a fare lo stesso, invano («Sono un kwami, Tikki, non un cameriere»).
  «Ricorrere ai poteri in caso di necessità. Immagino che Chloé, se non sapesse che sono io a chiederle il favore…»
  Tikki non parve del tutto convinta, ma non la reputò neanche l’idea peggiore che la sua portatrice avesse mai avuto. Si domandò se non avesse dato un giudizio troppo affrettato solamente quando Plagg, inseritosi nella conversazione, si rivelò deliziato.
  «Se ti presentassi a casa sua come Ladybug, Chloé srotolerebbe il tappeto rosso», commentò infatti il kwami nero con palese divertimento.
  Senza preoccuparsi di nascondere una lieve risata, Marinette si rivolse a Tikki, che tra le zampette stringeva ora una camicetta color rosa pallido. «Tu che ne dici, Tikki? E non ti preoccupare della stanza, ci penserò io più tardi.»
  «Mi fa preoccupare che Plagg la reputi una buona idea», confessò, e Plagg, che lo colse come un complimento, le rivolse un’espressione quasi lusingata, «ma anch’io sono dello stesso parere.»
  Il sorriso che la sua portatrice le rivolse dissipò l’ultima traccia di dubbio rimasta.
   Meno di cinque minuti dopo, una figura scarlatta correva tra i tetti della capitale francese. Lungo il cammino, diverse furono le persone che la riconobbero e acclamarono il suo nome sotto un cielo che andava tingendosi di sfumature arancio e rosse. Il sole era ormai prossimo all’orizzonte, quando Ladybug raggiunse i pressi dell’albergo Le Grand Paris.
  Si acquattò su un edificio che affacciava sulla finestra della camera di Chloé e sbirciò al suo interno. Stette a osservare, immobile e silenziosa, per cinque o sei minuti, senza scorgere il minimo movimento.
  «Forse non c’è», suggerì a se stessa, una vaga nota di sollievo tradita dalla voce. Strada facendo, aveva avuto dei ripensamenti, e la sua mente si era arrovellata attorno agli scenari più improbabili.
  Che cosa stava facendo? Lei e Chloé non erano amiche. Avendola conosciuta come Queen Bee, non le sarebbe dispiaciuto poterla definire tale, ma Chloé non sembrava essere dello stesso avviso. Non sapeva bene perché, era con lei, Marinette, che la ragazza tirava fuori il peggio di sé. Erano come due nemiche giurate, loro due, e poco importava che Marinette ne ignorasse i motivi. Sapeva che alcune delle colpe erano anche sue, eppure credeva che sarebbe riuscita a compiere il primo passo, se solo Chloé non avesse dimostrato tanto astio nei suoi confronti. Era sempre sul piede di guerra, anche prima che Marinette potesse aprire bocca – e lei, che pure rispondeva a tono, non credeva vi fosse modo di cambiare le cose.
  «È stata una pessima idea», mormorò tra sé, sicura che nessuno sarebbe stato in grado di sentirla. Girò sui tacchi e fece per tornare da dove era venuta, quando una voce giunse alle sue orecchie.
  «No, eh», la redarguì quella. «Sei arrivata fin qui e ora vai fino in fondo.»
  Era Plagg. A venti centimetri dal suo naso, il kwami galleggiava nel vuoto e le rivolgeva due occhi vagamente annoiati.
  «Plagg!» esclamò con voce di sorpresa. «Mi hai seguita?»
  «Certo che sì. Mi sarei annoiato da morire, se fossi rimasto da te. Cosa ti aspettavi, che mi mettessi a pulire la stanza in attesa che tu e Tikki tornaste?»
  Marinette allacciò un braccio al fianco opposto e con la mano libera prese a massaggiarsi una tempia. «No, certo che no», replicò, considerando subito che non sarebbe stato nel suo carattere. «Ma non mi aspettavo nemmeno che tu mi seguissi.» Era stata così assorta nei suoi pensieri che non se n’era accorta neanche per errore.
  «Be’, ora sono qui», tagliò corto il kwami, gettando un’occhiata al di là delle spalle di Ladybug e soffermandosi con lo sguardo sulla finestra chiusa, «e non vado da nessuna parte finché non entri.»
  «Non so nemmeno se è in camera.»
  «Non lo saprai mai, se non vai a dare un’occhiata.»
  Ladybug lo osservò per alcuni, lunghi attimi, senza che quello distogliesse mai lo sguardo né desse il minimo accenno di tentennamento. «Oh, e va bene», si arrese, una leggera punta di esasperazione tradita dalla voce.
  In un unico balzo, superò il divario tra i due edifici e atterrò silenziosa nei pressi della finestra di Chloé. Catturò una boccata d’aria, gonfiando i polmoni, e racimolato tutto il coraggio che le era mancato prima picchiettò due volte contro il vetro. Passarono alcuni secondi e nessuno rispose. Si accinse a bussare una seconda volta, ma s’interruppe quando si rese conto che un’anta della finestra era lievemente socchiusa.
  «Entra.»
  «È violazione della privacy.»
  «Non ti fai tanti problemi con Adrien.»
  La maschera celò solo in parte il rossore comparso sulle sue guance. «Odio quando hai ragione», borbottò, e Plagg sorrise crogiolato. Ignorandolo, dischiuse l’anta ed entrò silenziosa. «Chloé?» chiamò a voce incerta una volta che fu dentro, senza ottenere risposta.
  «Fuori di qui
  Presa alla sprovvista da quell’urlo, Ladybug fu scossa da un sussulto. Si volse appena in tempo per vedere Chloé che tentava di atterrare Plagg con quello che dava la parvenza di essere uno specchio a mano. Il kwami, scostatosi appena in tempo, esclamò: «Piano, Rapunzel! Volevi forse ammazzarmi?»
  Prima che Chloé potesse ribattere, e intimorita da quello che poteva venirne fuori, Marinette decise di stroncare sul nascere qualsiasi diatriba domandando: «Disturbo?»
  Ebbe appena finito di pronunciare quelle parole, che Chloé si era già voltata nella sua direzione. «Ladybug!» esclamò nel riconoscerla. Gaia in volto, gettò lo specchio sul sontuoso letto di camera sua e affondò ambe le mani nella chioma bionda, sistemandosi i capelli scompigliati e umidi. Aveva tutto l’aspetto di una che era da poco uscita dalla doccia, pensò Marinette. «Be’, che cosa ci fai qui?» la incalzò a parlare, per nulla infastidita della visita inattesa. Parve inasprirsi solo quando Plagg tornò nel suo campo visivo, e indicandolo con l’indice curvato all’insù aggiunse: «E perché quel coso è con te?»
  «Mi chiamo Plagg», la rimbeccò il coso, stizzito, «e sai benissimo che sono un kwami, dato che conosci già Pollen.»
  Chloé allacciò le braccia al seno, osservando il suo colorito nero come l’inchiostro. «Sei il kwami di Chat Noir?» dedusse.
  «Esatto.»
  «Oh, be’, ok.» Marinette la conosceva troppo bene per sorprendersi della sua reazione svogliata, come se avesse appena fatto la conoscenza di un comune essere umano e non del kwami di uno dei due eroi più amati dell’intera Francia. «Puoi restare, se proprio ci tieni», proseguì Chloé, «ma non toccare nulla.» Tornò raggiante in volto, e aprendo le mani a mo’ di invito esclamò: «Tu, Ladybug, puoi rimanere quanto vuoi! Allora, cosa ti serve? Sei venuta a portarmi Pollen perché senza di me non ce la fate?»
  «Ehm, no, mi spiace. In realtà, è una questione… privata, diciamo.»
  Negli occhi azzurri di Chloé guizzò una scintilla d’interesse. «Riguardo cosa?»
  «Moda.»
  Si pentì di quelle parole prima ancora ch’ebbe finito di pronunciarle.
  I lineamenti di Chloé mutarono in un’espressione di stupore e felicità. Mai Ladybug l’aveva vista tanto contenta. Pensò, tra sé, che avrebbe fatto di nuovo quella faccia solo se qualcuno le avesse detto che il suo alter ego, Marinette, era morta schiacciata sotto un treno.
  «Ma è fantastico!» dichiarò Chloé con estrema enfasi. «Certo non mi sorprende che, tra tutti, tu abbia deciso di rivolgerti proprio a me», commentò poi, dandosi arie di grande importanza.
  Mentre, rivolta più a se stessa che alla sua ospite, ancora millantava tutto il suo buon gusto, Chloé la invitò a sedersi sul letto, e quella obbedì. Ladybug aggrottò le sopracciglia nel vederla dirigersi verso l’armadio con aria di trionfo, come stesse camminando lungo un tappeto rosso che una persona importante aveva srotolato appositamente per lei. Quando Chloé dischiuse le ante e quelle si aprirono in un colpo secco, l’altra sbiancò.
  Innanzitutto, constatò, non era corretto parlare di armadio, perché quello era in realtà una stanza a sé stante grande quanto il bagno di casa sua. C’erano abiti da sera, magliette a maniche lunghe e corte, maglioni, dolcevita, pantaloni, gonne, cappotti, scarpe, sandali, stivali, tacchi, calze, guanti, sciarpe, borse, cappelli e persino manichini, ed era tutto così… oro.
  «Potrei lavorare decisamente meglio se sapessi che faccia hai, ma dubito che tu voglia trasformarti di fronte a me», disse Chloé, girando sui tacchi solo per scoccarle un’occhiata eloquente.
  «Sai che non posso farlo.»
  «Sì, sì, lo so», ribatté in tono di delusione, come se si fosse sinceramente aspettata che Ladybug le rivelasse la sua identità. «È un peccato, però», continuò, passando svogliatamente in rassegna alcuni abiti. «Saremmo amiche per la pelle, io e te, se solo potessimo conoscerci meglio.»
  «Non ne hai idea, guarda», commentò Plagg, sardonico, e in cambio ricevette un’occhiata di ammonimento da parte di Ladybug. Per loro fortuna, Chloé non sembrò neppure sentirlo – un po’ perché di lui non le interessava granché, un po’ perché si era già addentrata nella sua cabina armadio.
  «Chi è il fortunato, Ladybug?» domandò, modulando il tono di voce affinché l’altra potesse udirla.
  «Oh, penso che tu lo conosca.»
  Seconda occhiata di ammonimento.
  «Mmh?»
  «Un vecchio amico, ho detto», mentì Ladybug a voce alta, scoccando una terza occhiata a Plagg in un tacito rimprovero a non dire altro. «Non lo puoi conoscere.»
  I due non poterono vederla, ma Chloé sorrise tra sé. «Che tipo di appuntamento è?» proseguì, decisa a lasciar cadere la questione. «Galante, casual…?»
  Esitò. Non poteva rivelarle che si trattava di una cena intima con il padre del suo ragazzo, o Chloé non ci avrebbe messo molto a collegare i tasselli. Escogitò la bugia più credibile che le venne in mente, e soppesate le parole giuste rispose: «È una cena romantica, noi due soli. Il posto sarà piuttosto elegante.»
  «Afferrato», ribatté semplicemente Chloé, e poco dopo riemerse da quella palude di vestiti ghermendo tra le mani un abito da sera e un paio di calzature eleganti. Si avvicinò, sistemò l’abito davanti a sé a due passi da Ladybug e disse: «Questo si abbina alla tua carnagione e ai tuoi occhi. Non ti conosco bene quanto vorrei, ma mi sembra il tuo stile.»
  Gli occhi esperti di Ladybug ne studiarono il colore e le rifiniture: era un abito certamente elegante, ma di un’eleganza che cedeva allo sfarzo in favore della raffinatezza. Aveva temuto, dati il carattere e lo stile di Chloé, che le avrebbe proposto qualcosa di eccessivamente pomposo, e fu dunque contenta di potersi sincerare del contrario. Quindi, in un commento breve ma nel contempo sincero, disse: «È stupendo.»
  «Non avevo dubbi!» esclamò Chloé, battendo i palmi delle mani in uno schiocco celere e carico d’orgoglio.
  Marinette, che intanto aveva accolto l’abito tra le sue mani per osservarlo meglio, sorrise prim’ancora di rendersene conto. Chloé non era mai stata tanto amichevole con lei, né era mai successo che loro due riuscissero a trascorrere insieme momenti di pura serenità senza che una sbraitasse contro l’altra. Era ormai abituata a pensare a Chloé come a una persona detestabile, così profondamente diversa da lei, che la semplice idea di essere in realtà simili la destabilizzava. Si rese conto solo ora che Tikki aveva avuto ragione, prima – e non c’era nemmeno da stupirsene, data la sconfinata saggezza del kwami.
  «Queste», la ridestò Chloé, dondolando a pochi centimetri dal suo naso un oggetto a lei ancora indefinito, «sono le tue scarpe.»
  Ladybug le osservò e per poco non svenne. «Quei trampoli
  «È solo un tacco dodici.»
  «», fece Marinette, cercando dentro di sé il modo più cauto per porre la questione, «ma io non so camminarci, su quelli.»
  «Salti qua e là come una molla e non sai camminare su un tacco dodici?»
  Decise di non controbattere che non tutte erano come lei, perché l’ultimo suo desiderio era che la loro conversazione degenerasse in un litigio – sebbene dubitasse che Chloé si sarebbe arrabbiata per così poco, finché non avesse saputo che sotto la maschera c’era Marinette. «Non hai qualcosa di più basso?»
  «Undici?»
  Non replicò, e in quel momento comprese che avrebbe dovuto portare infinita pazienza.   
  Ci vollero venti minuti affinché le due riuscissero a raggiungere un compromesso, non senza che entrambe rischiassero di perdere le staffe nove o dieci volte («Tacco cinque? Ma sei pazza!», o «Io su quei cosi cado anche da ferma!», seguito da «Ma se ti ho vista un’infinità di volte buttarti giù a capofitto dalla torre Eiffel e uscirne incolume!»). Marinette si trovava ora nel bagno personale di Chloé, ritornata, per breve tempo, alle sue sembianze civili affinché potesse indossare l’abito e giudicare con i suoi stessi occhi.
  «Ladyb… Oh, ma la pianti! No, che non ho del formaggio! Vattelo a prendere tu, se proprio lo vuoi tanto: non sono mica la tua domestica! Dicevo, Ladybug… come ti sembra?»
  Marinette e Tikki si scambiarono un’occhiata divertita: erano dieci minuti buoni che Plagg si lamentava con Chloé, ed erano dieci minuti buoni che Chloé si lamentava con Plagg. Mentre soffocava una risata, la ragazza tirò su la cerniera dell’abito e poté finalmente specchiarsi. Osservò il suo riflesso con genuino stupore, piroettò due volte sul posto – rischiando così una rovinosa caduta su quel maledetto tacco sette –, e infine decretò con voce soffice: «È bellissimo.»
  «Tutto merito mio, modestamente», la sentì rispondere dall’altro capo della porta mentre annuiva tra sé con aria compiaciuta, benché Marinette non potesse vederla.
  Torse il busto, osservò una seconda volta il modo in cui il vestito le ricadeva lungo la schiena e sorrise al suo riflesso nello specchio. «Non pensavo che l’avrei mai detto, ma Chloé ci sa proprio fare, quando vuole», bisbigliò piano, affinché solo Tikki potesse udire le sue parole.
  Il kwami annuì. «Non dovresti dirlo a me, però…» puntualizzò, e non vi fu bisogno di terminare la frase perché Marinette colse l’antifona.
  Sospirò, e alzando la voce disse: «Grazie, Chloé. Sei stata magnifica.» Tikki le sorrise con orgoglio, e Marinette dovette ammettere a se stessa che liberare quelle parole le era costato molto meno di quanto non si fosse aspettata. Fu quasi come ringraziare Alya, o un’altra delle sue più care amiche.
  D’improvviso, si ricordò della cena che l’attendeva. Agguantò il cellulare che aveva poggiato su un mobile e premette il tasto d’accensione; il display s’illuminò e lei vi lesse l’ora. «Ti ringrazio di tutto, Chloé, ma ora devo proprio andare. Anche tu, Plagg. Plagg? Sei ancora lì?»
  «Penso sia da qualche parte nelle cucine dell’albergo», la informò Chloé con voce annoiata, suggerendo per l’ennesima volta che delle sorti di Plagg non gliene poteva importare di meno.
  Marinette sbuffò. «Gli dici di raggiungermi, non appena torna? Lui sa dove.» Chloé acconsentì, e lei ebbe l’impressione che l’avesse fatto solo perché era stata Ladybug in persona a chiederglielo.
  Ringraziando Chloé un’ultima volta, chiamò a sé i poteri di Tikki, sicura che la trasformazione avrebbe mantenuto immacolato l’abito, e agguantati i suoi precedenti vestiti si dispose a uscire. «Ah», disse d’un tratto, fermandosi con un piede sul battente della finestra del bagno quando si ricordò di una cosa, «l’abito te lo restituisco domani stesso, Chloé.»
  «Oh, non serve mica: ne ho così tanti che tra una settimana mi sarò già dimenticata di averlo mai comprato», replicò quella. «Chat Noir può anche strappartelo di dosso, per quanto mi interessa.»
  Come se qualcosa l’avesse colpita alla nuca tanto da intontirla, Ladybug non colse subito il significato delle sue parole. Ribatté con un «Va bene» tranquillo, e uscì. Fu solo quando, con un balzo, si stava apprestando a raggiungere l’edificio più vicino, che l’ultima affermazione di Chloé risuonò vivida nella sua mente e la investì come un treno in corsa. Le guance si tinsero dello stesso colore del vestito, e per poco non cadde all’indietro.
   
 
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