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Autore: Greynax    10/01/2020    3 recensioni
Nato sfortunato, vissuto male e morto peggio. Aveva solo senso che il suo limbo fosse la versione a basso costo di quello di Potter.
Tra l'altro, quando riapre gli occhi, è quasi sicuro di aver sbagliato fermata.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Severus Piton
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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treno
«Tu - io? Cosa...»
«Perché, pensavi di meritarti qualcuno di meglio?»
Severus avrebbe voluto rispondere di sì. Invece, quando aprì bocca, disse solo «Sei sporco di sangue.»
«Disse il bue all'asino. Siediti, rischia di essere una cosa lunga.»
Severus non si mosse. Non sentiva una particolare fretta di fare niente, in realtà, neanche di capire.
Era più che altro affascinato dalla dualità della situazione, nonostante lo sguardo vagasse più lontano, per quanto lo spazio angusto lo permettesse. I neon illuminavano la situazione con la tipica crudeltà che solo le luci di un treno Babbano avevano - anche se uno era rotto, notò. A volte sfarfallava. Era sgradevole. E la luce era comunque troppa. Abbastanza da rendere i finestrini inutili, riflettevano solo l'interno del treno contro il buio perfetto dell'esterno, c'era il suo riflesso e davanti c'era l'altro, composto, le mani intrecciate sulle gambe chiuse.
Decise di chiamarlo Piton, per semplicità. Lui sarebbe rimasto Severus.

Si perse un attimo nella contemplazione dei sedili - fantasia azzurra su sfondo blu, scolorita sempre nei soliti punti dai corpi sudati di chissà quanti pendolari e ragazzetti rumorosi. Treno locale, treno Babbano.
Piton continuava a fissarlo, immobile, il sangue scorreva più lento di prima dal suo collo ai vestiti. Il nero della stoffa diventava semplicemente sempre più nero, Severus si complimentò con se stesso per la scelta cromatica, ma non ad alta voce. Non ora che c'era davvero un "se stesso", lì, davanti a lui. Molto reale e definito, la sua nuca si rifletteva contro il vetro, insieme al proprio viso. Il proprio di lui, il suo di Severus, come da convenzione - era complicato ragionarci troppo. Rimaneva il fatto che il suo volto si rifletteva nel vetro e contemporaneamente lo stava guardando dal sedile, attaccato al resto di quell'inutile corpo.
Pensare al corpo, in effetti, lo fece tornare a un problema che sarebbe dovuto essere più pressante. Si portò una mano al collo, senza dolore. Quando la ritirò sembrava che l'avesse infilata nel secchio di vernice più brutto del mondo, sapeva per esperienza che entro qualche istante le dita insanguinate avrebbero iniziato ad essere appiccicaticce e, dopo un po', secche di sangue che si sgretolava ad ogni movimento. Tornò ad esplorare la ferita, mappandola attentamente con la punta delle dita, con solo una traccia vaga di disgusto.

Sono morto, pensò, senza nessuna emozione in particolare. È giusto così.
«Idiota» disse l'altro. Doveva essere l'inferno - avere un se stesso che lo insultava per l'eternità. Fosse dipeso da lui avrebbe trovato una punizione migliore (ne aveva una lista), ma comunque supponeva che anche questa andasse bene. Ovviamente, Piton parlò di nuovo.
«Piantala. Ci stai facendo perdere tempo, lo sai?»
«Scusa?»
«Ti piacerebbe, se ti scusassi. Non saremmo in questa situazione se tu fossi stato più furbo.»
Severo ma giusto. Severus ma giusto, pensò, e quasi rise. Piton non sembrava impressionato.
«Avrebbe ucciso Draco, se avessi detto la verità» disse Severus, alla fine, giusto per rompere il silenzio.
«Avrebbe cercato Draco per ucciderlo» lo corresse Piton, con il disprezzo sul viso. «La cosa ci avrebbe fatto guadagnare del tempo, saremmo potuti tornare in prima linea. Avremmo potuto...»
«Cercare il ragazzo.»
«Sì.»
Sentì l'eco di una vecchia scossa di adrenalina - doveva raggiungere Potter, Potter non sapeva ancora - ma non si mosse nè parlò. Aveva preso i ricordi. Forse li aveva visti, forse no. In ogni caso, era troppo tardi per qualsiasi cosa.
«Non proprio.»
«Mh?»
«Non è tardi per qualsiasi cosa. Capisci dove sei, o ti sei riempito gli occhi solo con il sinceramente tuo?» chiese, irritante, allargando le braccia. Il sangue continuava a scorrere, Severus non se ne preoccupava più di tanto, anche se sentiva lo stesso sangue scivolargli addosso, inzuppargli le vesti. Irritante.
«Sono su un treno.»
«Siamo su un treno. E?»
«E fa abbastanza schifo.»
«Non perdere tempo a sottolineare l'ovvio. Tu fai schifo, la tua vita ha fatto schifo, il treno fa schifo. Non so con quale coraggio ti stai fingendo sorpreso. Ora, dimmi, ci stiamo muovendo?»
«Sì.»
E faceva schifo, tanto per ripetersi. La vibrazione stupida e ripetitiva del pavimento era esattamente quello che ci si poteva aspettare, era familiare, se non fosse che per un qualche motivo si sentiva all'interno di qualcosa di vivo. Qualcosa che stava tremando, il che era disgustoso, ma il dettaglio più disturbante era la distinta impressione che potesse smettere di farlo da un momento all'altro.
«Quindi?»
«Stiamo andando da qualche parte.»
«Ah, che proprietà di linguaggio. Che acume!»
«Ci sono delle fermate.»
Solo nel dirlo si rese conto che doveva essere vero. Piton annuì, gravemente, senza traccia di soddisfazione. Al movimento i margini slabbrati della ferita si aprirono di più, lasciando uscire un altro fiotto di sangue, pigro ma consistente. Avrebbe preferito non vederlo.
«Solo due, in realtà. C'è la prossima fermata...»
«Dove ci porta?»
«...e c'è il capolinea» concluse l'altro, senza rispondere. Severus supponeva che non avrebbe risposto neanche all'altra domanda - dov'era il capolinea?
E, comunque, temeva di saperlo.
«Cosa ti aspetti da me?» chiese, stanco. Il treno correva veloce, il sangue scorreva lento.
«Una scelta. Puoi scendere alla prossima fermata. Oppure puoi sederti - come in effetti ti ho già chiesto di fare - e aspettare il capolinea.»
«Cosa succede se scendo alla prossima?»
«Quello che ti aspetti. Ritorni indietro. Non proprio alla stazione di partenza, ma lì dove avevi mollato.»
«Non ho mollato. Il Signore Oscuro mi ha ucciso.»
«Il cucciolo del Signore Oscuro ti ha ucciso» lo canzonò l'altro, scoprendo i denti in un ghigno. Erano macchiati di sangue. Severus decise di ignorarlo.
«Quasi ucciso. Tu non pensi che io sia davvero morto.»
«Ti sembra la morte, questa?»
«Mi sembra un treno.»
Nessuno dei due rise, nè tantomeno sorrise. Senza pensarci troppo, Severus premette un mano contro il collo sanguinante. Parlò di nuovo, pur senza avere molta voglia di farlo.
«E se aspetto il capolinea?»
Piton non aprì bocca. Si era voltato a guardare il nulla fuori dal finestrino. Severus sperò non fosse quella, la risposta. Sospirò, piano, con cautela, come per proteggersi da una fitta di dolore. Ma in realtà non sentiva nulla, e toccarsi era come toccare un corpo morto. Spiacevole.

«Ricapitoliamo. Se scendo alla prossima, sopravvivo.»
«Probabilmente. Se niente te lo impedisce.»
«Se rimango, vado oltre.»
«Suppongo che sia così, sì.»
Severus fece per scuotere la testa, smettendo subito nel sentire la ferita muoversi sotto al palmo della sua mano.
«Nessuna delle due scelte ha senso.»
«Credi che abbia più senso la seconda: per te non c'è niente, dopo la guerra.»
«Pensi che sia finita?»
«Lo spero. Lo speriamo. Lo sai.»
«E, anche se non lo fosse, sono stanco di combattere.»
«Sì. Lo siamo. Ti sconsiglio, comunque, di lasciare che sia il treno a decidere per te. Sarebbe più... terapeutico prendere una decisione attiva, non credi?»
«Non ci riesco. Sembra una cosa troppo importante per...»
«Preferiresti che fosse qualcun altro a scegliere per te.»
«Sì.»
Severus avrebbe dovuto saperla più lunga, ma per un attimo si aspettò davvero una parola o due di rassicurazione. Qualcosa del tipo "Albus ti darebbe il permesso di continuare a vivere". Ma Piton scoppiò in una risata di scherno, e Severus notò con disgusto le goccioline di sangue che schizzarono sul sedile davanti.
«Ci stai pensando troppo. Scegli una delle due. In realtà non ha nessuna importanza, lo sai.»
«No. Non lo so.»
«Davvero? Anche se funzionasse, anche se sopravvivessi al morso di Nagini, credi davvero che si tratti di una scelta così importante? Così definitiva? Ci verrà un infarto entro i quaranta.»
«Cos'è, una profezia?»
«Credo che il nostro cervello si stia degradando per mancanza di ossigeno. Che razza di domanda è? No, non è una profezia. Ma...»
«Ma è una probabilità tutto sommato logica, pensi.»
«Lo pensiamo entrambi, lo sai. Lo capisci. Parlarci è l'esercizio più futile che potessimo fare in questo lasso di tempo, eppure continui ad insistere. Visto che ti fa così piacere... te lo ripeto, a voce bella alta: non siamo fatti per vivere a lungo.»
«Vero.»
«Quindi, capisci bene che la tua scelta ha un'importanza relativa.»
«Potremmo sbagliarci. Potrei avere ancora tutta la vita, davanti.»
«Una vita inutile.»
«O una morte inutile. In effetti non cambia molto.»
«Già. Scegli un po' quello che vuoi, ma fai in fretta: dopo questa fermata è tutta una tirata fino al capolinea.»
Sentì nella voce dell'altro - nella sua voce, ma così diversa, come una voce registrata - il vecchio accento che faceva capolino. Sapeva di tute da lavoro, birra rancida e ignoranza. Lo odiava. Però lo conosceva (si conosceva) abbastanza da sapere che significava paura - e perché no?
Messa di Natale a parte non aveva mai avuto tutti questi gran contatti con la religione, e il mondo magico non aveva risposte, ma i dieci comandamenti avevano un loro senso... e lui non ne aveva rispettato neanche uno. Mettiamo poi che esistesse un qualcosa dopo la morte, e un qualcuno a tirare le somme, ma che non avesse davvero uno schema per giudicare. Che andasse così, un po' a naso. Cos'avrebbe detto? Buono o cattivo? Ricompensa o punizione?
Le probabilità non erano a suo favore. Esitò ancora.
«Mi sembra di sopravvivere per inerzia, così» disse, alla fine, mentre l'odore di gomma bruciata iniziava a farsi sentire. Su quel treno, anche i freni facevano schifo. Ma il loro fischio non era così forte da non permettergli di sentire la voce di Piton.
«Meglio l'inerzia del nulla. O della...»
«Punizione.»
«Ce la meriteremmo.»
«Già.»
«Tu cosa faresti?» chiese, alla fine. Il sangue aveva smesso di scorrere, iniziava a seccarsi, ma Piton non sembrava farci caso. Aggrottò la fronte, mostrando meglio quel paio di rughe che Severus non si era accorto di avere.
«Vorrei lavarmi da solo questo sangue di dosso. Farmi un bel bagno.»
«Ci farebbero forse un Tergeo veloce, prima di seppellirci. Forse. Dipende da quanti cadaveri ci sono. E se il Signore Oscuro ha vinto...»
«...ci avrebbero soltanto i vermi.»
«Disturbante.»
«Già. E poi sai fin troppo bene cosa succede ai cadaveri. Quando muori...»
«Sei sporco.»
«Mettiamola così, sì.»
«Un bagno, dici?»
«Cambierei l'acqua, se diventasse troppo sudicia. E poi me ne starei ancora un bel po' a mollo, finchè non somiglio a un Grinzafico.»
«E un po' più a lungo ancora, anche dopo questo. Non suona male.»
Il treno si fermò. Severus non stava esitando, non esattamente. Pensava al bagno. Focalizzò di nuovo lo sguardo su Piton, quasi a fatica.
«Tu resti qui?»
«Io non sono niente. Solo un'ultima scoreggia mentale del tuo cervello che si trasforma in merda, se non scendi subito da questo treno fottuto.»
E la voce era più che altro simile a quella di suo padre. Fu quindi solo logico che mentre scendeva, fuori dal treno e dentro la notte, Severus avesse un ben poco elegante e molto Babbano "vaffanculo" impresso nella mente.

*******

«È - è - respira! Harry! Harry ha - ha funzionato! Ha funzionato!»
Smettetela di farlo funzionare, allora, perché fa dannatamente male.
Lo pensò molto chiaramente, mosse anche le labbra per dirlo. Non venne fuori niente. La bacchetta puntata contro il suo collo non era quella di Potter, ma la mano sì. I capelli che gli oscuravano parte della visuale erano della Granger - e la chiazza di capelli rossi non era ovviamente Lily, bensì quella testa vuota di Weasley (alla prima occasione si sarebbe Obliviato da solo, per eliminare quell'attimo francamente imbarazzante e disturbante di confusione).
Aprì di nuovo le labbra. Non sapeva cosa ne sarebbe uscito.
«..'eno...»
«Cosa? Sta cercando di - Ron, manda un Patronus, abbiamo bisogno di aiuto!»
«...punti. 'fondo...»
«Come?»
«'fondoro.»
Incredibile come gli occhi di Lily potessero comunicare così tanta stupidità quand'erano sul viso di Potter. Eppure, fu il primo ad arrivarci.
«Credo, ehm, credo che ci abbia appena levato dei punti.»
Severus chiuse gli occhi.

******

Sarebbe potuto già uscire dal San Mungo, se non fosse che il latino dei Medimaghi arrivava solo fino all'Accio e non al "in medio stat virtus": l'avevano riempito di una quantità tale di Pozione RimpolpaSangue da far venire un'emorragia interna a un Erumpent. Quindi eccolo lì, in un altro limbo, quello del "è meglio se resta in osservazione per un paio di giorni".
In realtà la cosa non gli dispiaceva più di tanto, gli dava una piccola proroga al dover pensare al futuro. Gli bastava starsene lì e lasciar passare il tempo. Semiseduto tra le lenzuola molto bianche e un po' rigide, più che altro impegnato a cercare di non grattarsi l'enorme cicatrice sul collo. E a subire le visite.
Potter aveva deciso di vivere nell'illusione che a lui interessasse sapere tutto, a botte di tre ore di spiegazioni e flussi di coscienza al giorno. Non sapeva davvero cosa potesse avergli dato quell'impressione. Aveva anche provato a fingere di essersi addormentato, una volta, ma con suo grande sgomento Potter aveva semplicemente continuato a parlargli.

«In realtà è stato un caso. Cioè, ehm, nel senso... pensavo che lei fosse morto. Signore. Aveva uno sguardo - glassato? Cioè, proprio opaco. Sembrava assolutamente morto. Però, finito - finito quello che dovevo fare, ecco - ho pensato che... fosse giusto tornare da lei.»
Ovviamente. Molto Grifondoro, da parte sua. Anzi - molto Tassorosso, da parte sua.
«Per... comporre la salma, credo che si dica? Solo che sembrava essersi mosso, nel frattempo, e io l'avevo notato, e soprattutto Hermione l'aveva notato, quindi sapevo di non essere improvvisamente impazzito. Avevo ancora la bacchetta di - cioè, ehm, avevo ancora la bacchetta in mano, e ho pensato "non so, proviamoci".»
"Non so, proviamoci". Una frase che riassumeva interamente la carriera scolastica di Potter, se ci si pensava.
«E ha funzionato. Cioè, evidentemente. Giuro che non l'avrei lasciata lì a morire - a quasi morire - se avessi pensato che era ancora vivo. Neanche prima di vedere i ricordi che mi aveva...»
«Questo argomento non verrà mai discusso, Potter.»
«Ehm, giusto. Insomma, ero in uno stato d'animo un po' particolare - forse a modo mio stavo già capendo delle cose, ecco - e non l'avrei lasciata a morire, credo che l'importante sia questo.»
«Abbastanza» concesse, sperando inutilmente che Potter avesse esaurito le batterie. E invece no.
«Però mi... mi stavo chiedendo una cosa.»
Severus non aprì bocca. L'ultima cosa di cui aveva bisogno il ragazzo era un incoraggiamento a parlare ancora.
«Le ho detto quello che ho visto... cioè, quello che credo di aver visto quando Voldemort - scusi - insomma, quando lui mi ha ucciso. E mi stavo chiedendo... lei, mentre - mentre era più di là che di qua, ha... ha visto qualcosa?»
«No.»
«Oh. Speravo... non lo so. In una risposta diversa. Sembrava così reale e così - così... ovvio? Normale. Quasi. Non che ci fosse qualcosa di così normale, va bene, ma mi avrebbe fatto piacere sapere che in qualche maniera - per magia, per qualcosa - era normale. E poi, non so. Lo augurerei un po' a tutti? È stato... ehm...»
«Catartico.»
«Mh?»
Severus inspirò profondamente. La cicatrice prudeva, Potter era un fastidio anche maggiore.
Tutto andava bene.


  
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