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Autore: missdiamond4ever    12/01/2020    1 recensioni
Qualsiasi momento nella nostra vita, per quanto banale, può essere fondamentale. Io ho voluto raggrupparne alcuni e metterli insieme in questa piccola grande raccolta di sogni, momenti, sospiri, rimpianti, soddisfazioni ... in altre parole frammenti.
la storia varia in tempo e luogo e non segue un coerente filo logico e rappresentano un frammento di vita, una vita per capitolo, un idea per ogni storia.
un amore per ogni esistenza.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La giornata è iniziata nel peggiore dei modi: infatti non ho chiuso occhio per tutta la notte, troppi pensieri rumorosi per la testa, mi sono appisolato solo mezz’ora prima che la sveglia suonasse, che ovviamente non ho sentito, quindi sono arrivato in ritardo a scuola, beccandomi una segnalazione del ritardo, senza neanche aver fatto colazione, e a me, come la maggior parte delle persone sul pianeta, quando viene negato il cibo divento una iena, e come ciliegina sulla torta la macchinetta delle merendine mi ha fregato gli ultimi centesimi che mi erano rimasti per fare colazione.
Non poteva andare peggio di così, o forse sì, con la professoressa di matematica che aveva deciso di spiegare gli integrali in una lingua a me sconosciuta.
Per sfuggire al grigio abbraccio della noia disegno qualche schizzo sul quaderno vuoto di appunti, un teschio, una chiave, un fiore, una ruota, un occhio, una lacrima.
La seconda ora è iniziata da dieci minuti ma a me sembrano ore, forse giorni, e la Raina, così si chiama la mia affabile e non più giovane professoressa di matematica, non la smette di blaterare qualcosa sul riscaldamento globale.
Deve esserci una dote specifica per quelle persone che, siccome non hanno voglia di fare nulla, iniziano a vagare con la mente e iniziano a parlare di cose senza senso.
Sono le 9 e 33 minuti e io sto iniziando a calcolare quanto ci metterei a saltare fuori dalla finestra e raggiungere l’uscita della scuola.
Tengo lo sguardo fisso sul foglio pieno di ridicoli disegnetti senza senso e quasi non mi accorgo che qualcuno bussa alla porta.
“Avanti” la Raina con la sua gracchiante voce, degna di una fumatrice incallita da oltre trent’anni accorda allo sconosciuto della porta di accomodarsi. Non mi curo nemmeno di alzare lo sguardo per capire chi sia, magari può essere Tony il bidello che ci porta delle belle notizie, tipo che alla Sciatteri è morto uno dei tanti gatti e quindi domani si esce prima, saltando perciò la verifica di scienze.
Una voce acuta e tremante ma dai toni che rientrano comunque nei canoni maschili investe la stanza.
“Scusi il disturbo prof, avrei bisogno di due o tre volontari che ci aiutino in Aula Magna con l’impianto luci e audio, perché nessuno è in grado di sistemarlo” in effetti si sapeva che le tecnologie della nostra scuola, pur essendo una delle più rinomate della città, non godeva di fondi così abbienti da  potersi permettere attrezzature sofisticate.
“Quanto ci vuole?” continua quella vecchia strega.
“Non molto, forse dieci minuti, non lo so sinceramente …”
“Non ho la minima intenzione di perdere preziosi minuti della mia lezione per qualche cavo che non si attacca bene per la vostra stupida recita!” dice stizzita la strega.
“Ma …” il ragazzo si interrompe al sentire qualcuno avvicinarsi. Acuisco l’udito e quello che sembra alle mie orecchie è l’eco di un paio di tacchi.
Come per magia i miei compagni di classe sembrano essersi svegliati da quel letargo che la Raina gli aveva portato. Siamo nella parte del plesso in cui ci sono solo le sezioni di elettronica e informatica, non succede speso che un essere umano di genere femminile cammini in questi corridoi, almeno non appetibile.
Io continuo a definire i contorni di quell’occhio triste con la penna. Non sono abbastanza sveglio per poter sopportare una bidella in  crisi di mezza età che prova a fare colpo sui colleghi o gli studenti per sentirsi apprezzata ancora una volta.
Ma quei tacchi si fermano proprio davanti alla porta lasciata aperta dal ragazzo bisognoso, fino a entrare completamente in classe.
Un brusio cresce tra i miei compagni e sento anche un fischio. Roba che neanche le molestie il sabato sera fuori dalla discoteca.
Filippo, il mio compagno di banco da ben quasi cinque anni di scuola, mi da una gomitata per rendermi partecipe di quella scena.
Dopo troppo tempo passato a cazzeggiare alzo lo sguardo verso il mio amico che con un sorriso sghembo e occhi da predatore porta la mia attenzione alla figura intrusa in quella classe.
Ed eccoti lì, dopo quasi tre mesi senza più vederti, sei nella mia classe a chiedere tre volontari ad aiutarti. Tu, che non vuoi un aiuto nemmeno sotto tortura, orgogliosa come sei, vuoi sempre fare tutto da sola.
Rimango a fissarti imbambolato come se mi avessi fatto un incantesimo, perché una strega lo sei davvero, quella che nelle favole non viene sconfitta rovinando una stupenda storia per bambini, ma trionfando comunque sulla bella principessa che fai cadere in un sonno profondo per cent’anni.
Porti quelle decolleté nero vernice che tu detesti, ignara di come risaltino quelle gambe lunghe e snelle, lasciate nude, indifese ai miei occhi che le sfiorano accerchiano e divorano. Risalendo la tua figura noto una gonna stretta lunga poco sopra il ginocchio, anch’essa nera, che fascia i tuoi fianchi perfettamente. Dai le spalle al muro, sai benissimo che se ti giri è la fine, non vuoi dare mai soddisfazione a nessuno. Ma so benissimo cosa nascondi.
Indossi poi una camicia bianca con le maniche tirate su fino ai gomiti, simbolo di come tu ti stia dando da fare per quella stupida recita della scuola.
Tieni i capelli raccolti in uno chignon disordino, tenuto su solo da una matita. Pori perfino gli occhiali da vista, non te li avevo mai visti addosso, ma ti stanno benissimo. Ingrandiscono ancora di più quegli enormi occhi da cerbiatta che hai, ma che saprebbero tagliarmi in due con una sola occhiata. Tieni tra le mani un quaderno rigido e una penna che spesso mordicchi con fare innocuo, ma a me manda fuori di testa.
Non riesco a staccarti gli occhi di dosso. Per troppo tempo ti ho cercata, sognata, desiderata, agognata e non ti sei mai fatta vedere. Come darti torto. Dopo quella notte nemmeno io mi sarei voluto vedere.
È vero ti ho spezzato il cuore, ma tu con quelle parole hai frantumato il mio. Te ne sei andata via senza combattere, non hai voluto sentire ragioni, ti sei rinchiusa in una fortezza impenetrabile anche per me. Ti ho urlato che ti amavo e che volevo stare con te ogni secondo della mia vita, ma tu non mi hai creduto a causa della mia codardia.
Non sai quante volte ho immaginato di poter tornare indietro nel tempo e rifare tutto da capo quella sera, perché lo sai bene anche tu che se non fosse finita in questo modo non ci saremmo più lasciati andare.
E ora io sono rimasto intrappolato, vado avanti per inerzia, vivo alla giornata, sperando con tutto il cuore di vederti almeno per un secondo, altrimenti, in caso contrario, rimango fermo in me stesso. Il cuore batte solo perché deve, sennò se ne sarebbe già andato da molto tempo.
In quel momento tu fai una cosa che non mi sarei mai aspettato e dopo che sei riuscita a convincere la professoressa a concederti tre compagni per aiutarvi gira la testa verso di me e mi guardi dritto negli occhi, e io sprofondo in quelle pozze oscure. Non lo avevi più fatto da quella volta. Passano tre secondi, o forse ore, non lo so, il tempo non è più con me e tu fai per uscire dall’aula con i tuoi tre volontari, i quali si sono alzati più per vederti da più vicino e assaporare con gli occhi quel ben di Dio che hai, piuttosto che per una improvvisa vena di carità. Esce prima il ragazzino, poi fai per uscire anche tu, ma non te la lascio vinta anche questa volta, non lascerò che prendi e te ne vai via di nuovo senza lasciarmi controbattere, non lascerò decidere tutto a te ancora.
Quindi senza neanche chiedere il permesso mi alzo in piedi, facendo strisciare fastidiosamente la sedia sul pavimento. La professoressa si gira verso di me stupita della mia inattesa decisione.
“Prof, vado anche io”
Tu ti arresti proprio sull’uscio, sei bloccata lì. Hai sentito la mia voce dopo tanto tempo e mi sembra di scorgere un lieve tremolio alle gambe, ma forse è solo una mia impressione. Slitti verso destra per lasciare libero il passaggio agli altri. Mi dai le spalle e ti volti lentamente verso la professoressa al tuo fianco, aspettando il suo verdetto.
Sembra quasi che speri acconsenta a quella mia richiesta che sembra più un avvertimento, ma sicuramente sono solo io a pensarlo.
“Se proprio devi Lombardi, vedete di sbrigarvi però. Un aiuto in più non guasta mai” dice la prof tornando a scrivere alla lavagna con quei gessi polverosi a cui tra l’altro è anche allergica.
Un sorriso sghembo compare sul tuo viso, pare più un sorriso sadico, uno di quelli che ti sogni di notte durante un incubo, ma da cui non riesci a distogliere lo sguardo, poi socchiudi leggermente gli occhi e porti una mano, quella libera, alla matita che raccoglie i tuoi capelli, togliendola in seguito, lasciando ricadere sulla tua schiena una cascata di fili dorati. Ti giri di nuovo verso di me e per un solo secondo mi guardi di nuovo, fulminandomi come solo tu sai fare.
“Sì è vero, un aiuto in più non guasta mai, ma a volte il troppo storpia”
Detto questo esci ondeggiando leggermente i fianchi, dando anche volume ai capelli e io sono in paradiso, o forse all’inferno. Mi ci hai portato tu.
Come stregato ti seguo e capisco che questa è la mia ultima possibilità. Non posso, non devo … non voglio sprecarla.
   
 
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