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Autore: robyn jane watson    04/08/2009    2 recensioni
"Diamine, diamine, diamine. Avrei dovuto saperlo che si sarebbe arrampicato su per la scala antincendio fuori dalla mia finestra prima di cercarmi in questo posto dimenticato da Dio. Quello stupido abito d’un bianco quasi accecante, avrei dovuto toglierlo di mezzo, invece di fare la nostalgica a tutti i costi, e voler ricordare cosa ho perso, e cosa ho guadagnato."
Genere: Triste, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seduta qui, con la schiena contro un vecchio cartello stradale trivellato di pallottole, penso a lui. Ti ricordi la prima volta che hai amato qualcuno? Mi aveva chiesto una volta e io, come una bambina obbediente, di fronte al padre che adora, gli avevo risposto che sì, lo ricordavo, perché si trattava di lui.
Incredibile come non riesca a levarmelo dalla mente nonostante io mi trovi qui, in questo piccolo pezzo di paradiso suburbano, che esula completamente dalla sua persona, dove lui non è mai stato, non insieme a me, almeno.
Quel colore torna a colpirmi, improvvisamente. Chiudo gli occhi, la testa tra le mani, sperando che la sigaretta che tengo tra le dita non mi dia fuoco ai capelli, mentre quel chiarore, quel bianco accecante che mi tormenta dall’adolescenza, mi annebbia la vista ancora una volta.
E pensare che sono stata così sciocca da credere che qui lui non sarebbe riuscito a raggiungermi; tutto dovrebbe riportarmi alla mente altre ere, altre realtà, il grigio del cemento che mi scorre sotto i piedi, a ricordo di tutte le ginocchia sbucciate che hanno caratterizzato la mia infanzia, quando nulla poteva turbarmi, il campo di grano, davanti a me, con la sua distesa d’oro più preziosa di qualunque gioiello, che una volta, per gioco, attraversai correndo, quando le prime delusioni già iniziavano a macchiarmi l’anima. Eppure, tutto ciò che riesco a vedere intorno a me, tutti i colori sbiaditi dal tempo, quel pallido ricordo della mia infanzia, quando ancora quel bianco accecante, tanto consistente da poter essere toccato, strappato, contorto non era entrato nella mia vita, non valgono il cielo, benevolo, oggi, sopra di me.
Quel cielo vivo solo per attraversare il tramonto, ricco come la tavolozza di un pittore, che ha in sé tutti i colori del mondo, dall’arancio, nostalgico, romantico, che bagna la terra con le sue tinte, al viola, ferreo, distaccato, che dilaga nel blu della notte, dove le stelle già brillano, senza curarsi di me.
Finalmente sto per perdermi nella bellezza della natura e dei colori che mi offre, quando quel maledetto colore torna ad infettarmi gli miei occhi, lo sento sulla mia pelle, nel mio corpo e in ciò che sono, senza che io possa farci nulla.
Non sarei dovuta tornare, non qui, non di nuovo.
«ciao».
Sono così concentrata sui miei pensieri da escludere ogni altro rumore, da non sentire lui che si avvicina e si siede al mio fianco, sul bordo dell’aiuola ancora rovente. Avrei dovuto immaginarlo, in effetti, la notizia del mio ritorno a casa doveva aver già fatto il giro di tutto il quartiere, forse sapeva anche che quel vestito, di quel bianco che mi stava facendo tremare le mani, era ancora sul mio letto, dove l’avevo lasciato un miliardo di anni fa.
«sapevo che prima o poi saresti venuto a cercarmi, era solo questione di tempo»
«devo dunque dedurne che mi stavi aspettando? In effetti è stato piuttosto semplice trovarti, mi parlavi sempre di questo posto»
Lo stavo davvero aspettando? Non avrei saputo dirlo. Conoscevo posti, nel quartiere, in cui non sarebbe mai stato in grado di trovarmi, eppure avevo deciso di andare a sedermi lì, in quel luogo, che aveva significato tanto per me, e per ciò che ero diventata.
Per un attimo penso che sarebbe il caso di voltarmi per guardarlo in volto, sento la sua presenza al mio fianco, cambiata, ormai dovrà avere le fattezze di un vero uomo, ma so che i suoi occhi saranno rimasti sempre gli stessi, due pozzi verdi in cui potrei solo perdermi, ancora una volta.
«forse, nonostante tutto, in questi anni mi sei mancato, terribilmente mancato, anche se non posso dire che oggi mi andasse di essere trovata».
D’un tratto mi sembrava di non riuscire più a comunicare con lui, provavo a capirlo, e a capire me stessa, invece, mi ritrovavo davanti quel colore, quel bianco che non sapeva di nulla.
«sai, sono passato da casa tua prima di venire qui, non credevo di vedere ancora quel vestito sul letto, lo pensavo in un cassonetto della spazzatura già da qualche anno»
Diamine, diamine, diamine. Avrei dovuto saperlo che si sarebbe arrampicato su per la scala antincendio fuori dalla mia finestra prima di cercarmi in questo posto dimenticato da Dio. Quello stupido abito d’un bianco quasi accecante, avrei dovuto toglierlo di mezzo, invece di fare la nostalgica a tutti i costi, e voler ricordare cosa ho perso, e cosa ho guadagnato.
«non me la sentivo di buttarlo via, sai com’è, in fondo rimane sempre un pezzo di noi, di quello che siamo stati»
«il bianco è sempre stato un colore perfetto su di te, ricordo che eclissavi tutte le altre quando…»
«Henry, ti prego, non farlo»
«fare che cosa? Che cosa starei facendo secondo te? Ricordo semplicemente i vecchi tempi, pensavo ti avrebbe fatto piacere».
Quasi scoppio a ridere pensando che, dopotutto, Henry è per me lo stesso di sempre, non mi serve voltarmi a guardarlo per capire cosa gli passa per la testa, posso benissimo immaginarlo gesticolare come è da sempre suo solito, agitando le mani per aria e scrollando le spalle tanto da apparire una gigantesca scimmia arrabbiata.
Il bianco era ancora lì, così dovetti ridestarmi.
«beh invece ti sbagliavi, è inutile riportare a galla un qualcosa che non può essere riparato, ci facciamo del male e basta così, possibile che tu non riesca a capirlo? »
Lui scatta improvvisamente in piedi e io abbasso il capo con tanta violenza da farmi quasi del male, così, per la prima volta dopo anni, posso osservare la sua ombra, ormai sbiadita, muoversi avanti e indietro, furibonda.
«e allora vuoi spiegarmi come mai sei tornata? Andiamo, so che sei sempre la stessa di una volta, solo…solo il tuo involucro è cambiato, i vestiti sono diversi, le scarpe sono diverse, il tuo lavoro è diverso, ma so che dentro sei sempre la stessa, so che sei ancora quella con cui dividevo i biscotti, quella a cui ho dato il mio primo bacio, quella a cui ho fatto una proposta, sin troppo tempo fa, capisco che tu adesso ti sia abituata ad un altro tipo di vita, ma con me non staresti male, affatto, e lo sai anche tu»
Eccome se li ricordo quei tempi, anche se, più di tutto, ricordo il vestito, tanto simile ad una meringa, che ancora mi tormentava, con quel bianco, candido, puro, che mi sbatte in faccia tutti i miei sbagli, tutto il male che gli ho fatto quando gli ho spezzato il cuore, scelsi la via della paura e scappai via, verso quella che è adesso la mia vita
«forse dovremmo mettere ben in chiaro il fatto che non sono tornata per te, mi dispiace se è questa l’idea che ti sei fatto ma è completamente errata, mi mancava la mia famiglia, tutto qui»
«una volta ero io la tua famiglia».
Che dirgli? Sì, ero tornata per lui, ero tornata per vedermi di nuovo quell’abito bianco addosso, per sentirlo sulla pelle, eppure non ce la faccio a dirglielo, e sconvolgere il mio mondo ancora una volta. È stato tutto un errore, solo uno stupido errore, magari non lo amo neanche più.
«lasciami sola, Henry» gli dico, pensando alla felicità assoluta che provavo con quell’abito addosso «non voglio distruggere né me né te questo pomeriggio, non ce la farei»
Vedo la sua ombra allontanarsi, quel suo passo pesante, da sportivo, sempre più debole sino quasi a spegnersi del tutto
«sai» grida, ormai in fondo alla strada «pensavo fossimo inevitabili, tu ed io»
Faccio l’errore di voltarmi a guardarlo, non me ne pento. Vedo tutto bianco intorno a me, e poi i suoi occhi. Diamine, lo guardo negli occhi.
  
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