Stan e Jimmy Lisbon
non conoscevano bene Patrick Jane; tuttavia, era comunque chiaro
– soprattutto dopo
anni e anni di racconti da parte della sorella maggiore – che
se c’era qualcosa
che per il tizio era davvero difficile fare era chiedere aiuto. Per
qualsiasi
cosa.
Eppure, meno di 24
ore dalle fatidiche parole che lo avevano legato per sempre alla loro
famiglia (Teresa
non gli avrebbe mai permesso di sgarrare, dopo tutte le tribolazioni
che le
aveva dato negli anni), avevano la netta sensazione che aiuto fosse
esattamente
ciò di cui il biondino aveva bisogno. Per lo meno, questo
suggeriva il suo
sguardo perso in direzione della catapecchia e la sua totale
incapacità di
formulare un pensiero coerente nonostante la sua bocca sembrasse
aprirsi.
“Siamo qui per fare
qualcosa o no?” Jimmy
chiese, petulante
come un bambinetto, mentre si abbracciava per riscaldarsi un
po’. Era
primavera, ed Austin era pur sempre in Texas, ma un temporale la sera
prima aveva
fatto calare drasticamente le temperature, trovando gli invitati al
matrimonio impreparati.
“No,
perché detesto passare per un
bimbetto rompiballe quando tra un po’ mi sposo pure io.
Però, ecco, secondo me
ci sono cose decisamente migliori da fare a questa stramaledetta ora
della
domenica. Che ore
sono, a proposito?
Quando ci hai buttato giù dal letto non ho neanche guardato
l’orologio!”
Jane alzò gli occhi
al cielo. Non era una “stramaledetta ora”, come
aveva detto Jimmy. Erano quasi
le nove. Anche se aveva la netta impressione che in vacanza i fratelli
Lisbon (i
maschi, almeno) fossero uomini di poche pretese: sesso, alcool, cibo e
nanna.
“Siamo qui, miei
cari signori, perché ho recentemente scoperto di avere un
assoluto bisogno dei
vostri servigi.” Sorrise,
di quel
sorrisetto arrogante di chi sa di essere irresistibile e che,
nonostante tutto,
la farà sempre franca, un po’ come il tenero
gattino che si è pappato in un
solo boccone il canarino della nonnina, ma che viene sempre perdonato
perché non sono forse adorabile? Aveva
la
schiena rivolta verso la catapecchia,
e
guardava in faccia i neo-cognati. Era davvero divertente. Jimmy era
terrorizzato che se ne uscisse con qualcuna delle sue idee strampalate,
mentre
invece Stan, che era quello con cui Teresa parlava di più,
faceva segno di no
con la testa e lo guardava quasi deluso, quasi fosse preparato a
gestire le sue
idee folli. Cavolo- lui e Teresa erano proprio uguali, anche nel modo
in cui
teneva le mani sui fianchi onde evitare di mettergliele intorno al
collo e
strozzarlo!
“Jane…” Stan prese
un profondo respiro, si schiarì la gola e si corresse.
“Patrick. Ascoltami bene.
Non abbiamo la benché minima intenzione di partecipare ad
uno dei tuoi folli
piani. Non faremo nulla di illegale solo per farti contenti, va bene?
Soprattutto lui.” Senza guardare Jimmy, si
limitò ad indicarlo,
neanche fosse un appestato.
“Come potete
pensare una cosa simile di me? Che io possa volervi sfruttare per
qualcosa di
moralmente riprovevole?” Si pose una mano sul cuore,
enunciando le parole con falso
stupore.
Jimmy, appena un po’
terrorizzato, non sapeva più dove guardare. Stan, invece,
dimostrava ancora una
volta di essere il fratello di Teresa. Aveva pure la sua stessa
espressione di
quando lui le raccontava idiozie e palpabili bugie, pretendendo che lei
pendesse
dalle sue labbra senza battere ciglio.
“Va bene, potreste
avere ragione e io potrei avere la tendenza a manipolare le persone a
fare
quello che voglio, giusto un po’. Ma stavolta, giuro su Dio
che non è nulla di
illegale.” Jane fece una pausa ad effetto, e si
voltò verso la catapecchia,
guardando con tenerezza e orgoglio la sua nuova proprietà.
Nessuno disse nulla,
perché Jane credeva davvero che i cognati ci sarebbero
arrivati da soli, alle
loro conclusioni. Erano parenti di Teresa dopotutto, no?
“Allora?” Stan
gesticolò nell’aria, scandendo la parola quasi
sillabe per sillaba, neanche
Jane fosse uno dei suoi pargoletti. Jane spalancò gli occhi,
fissando i cognati
neanche avessero avuto due teste ciascuno. Davvero erano
così tonti da non capire
di cosa avesse bisogno? Eppure era così lampante!
Prese un profondo
respiro, leggermente seccato dal dovere sempre spiegare ai Lisbon cosa
volesse
fare e di cosa avesse bisogno (anche se, a sua discolpa, Teresa non lo
faceva
per stupidità. Tutt’altro. Era semplicemente
sempre sorpresa dai livelli di
bassezza e manipolazione a cui Jane sapeva scendere per far trionfare
la
giustizia.)e si girò a fissare la sua proprietà.
Sua. Da quanto non aveva
qualcosa che fosse solamente suo e non la gentile concessione di un
ente
governativo?
“Dimmi Stan, hai
presente tutti quei bei soldini che Teresa ed io ti abbiamo
prestato?” Stan
deglutì, passando dal seccato allo spaventato nel giro di un
millisecondo. Ricordava
ogni singola cosa che Teresa gli
avesse mai raccontato di Jane. L’unica bugia che la sorella
gli avesse mai
raccontato sul suo consulente era sul fatto di non esserne innamorata,
ma tutto
il resto, ogni aneddoto, tutte le idiozie, i piani pericolosi, era
tutto
sacrosantamente vero.
Avrebbe dovuto
ascoltare Teresa. Avrebbe dovuto sapere che accettare un prestito da
Patrick
Jane era la cosa più stupida che un essere umano potesse
anche solo
lontanamente concepire.
“Sul serio, Stan? Davvero?
Hai così poca considerazione di me?” Jane si morse
le labbra. Anche se era un
po’ seccato col cognato, doveva ammettere che lo stava a dir
poco divertendo. Leggere
i Lisbon era sempre uno spasso, per lui. “Rilassatevi,
ragazzi. Non vi farò
prendere parte a niente di illegale. Né vi
chiederò di aiutarmi con qualcuno
dei miei piani. E no, Stan- puoi rilassarti. Non sono uno strozzino.
Non voglio
un interesse del 100% né spaccarti le ginocchia.”
“Che è esattamente
quello che mi diceva il mio strozzino. Roba da non credere,
eh?” Jimmy sbottò, ridacchiando
ed inserendosi nella conversazione per la prima volta. Ma lo sguardo incredulo e da
maestrine deluse
del fratello e del cognato lo fecero ricredere. Forse, forse, non era
stato
divertente e spiritoso come sperava di essere. “Come non
detto. Ho capito.
Chiudo il becco prima di peggiorare la situazione. Va bene. Messaggio
ricevuto.”
“No, davvero, anche
se riguarda i soldi. Il fatto è che mi servono. Ma, e qui
viene il bello, non
voglio indietro il denaro. Il fatto, Stan, è che desidero
che tu mi ripaghi in
natura.” Jimmy non sapeva dove guardare, Stan invece era
terrorizzata e a
disagio pure lui.
“Jane… Teresa lo sa
che vuoi avere un’orgia con i suoi fratelli?
Perché… cioè, io non sono interessato,
ma io non giudico nessuno. Solo, ecco, hai mai detto a Teresa dei
tuoi… gusti?
Lo sa? Perché credo che, appena sposata… non lo
so. Non è un po’…
degradante?”
Stan gli mise una mano sulla spalla, stringendola. Un po’ a
disagio. Nemmeno
Jane gli avesse voluto mangiare il braccio a morsi.
“Cosa? Ma siete
scemi? Non voglio venire a letto con voi!” Jane si
scrollò la mano del fratello
di dosso, ferito nell’ego. “E con la casa che mi
serve aiuto! Ho detto a Teresa
che avrei fatto tutto da solo, ma c’è troppo da
fare e io sono un novellino, e
ho solo più sette mesi di tempo per finire i
lavori!”
“Perché? Cosa
succede tra sette mesi?” Jimmy chiese. Stan si
passò una mano sul volto, prima
di dare uno scappellotto al fratellino.
Jimmy era davvero troppo stupido e lento, per essere un
giocatore di
poker. O forse,
diversamente da Stan,
non aveva ancora avuto la “fortuna” di
essere stato intorno a donne incinte. Se lo sguardo
radioso di Teresa significava qualcosa- e Stan era certo che lo
significasse-
la sua sorellina aspettava un pargoletto da Jane. E se conosceva bene
Teresa –
e la conosceva – avrebbe scommesso che lei non gli aveva
detto nulla fino a
dopo la cerimonio, neanche fosse stato un regalo di nozze. Non che lui avrebbe aperto
bocca. Erano fatti
di Teresa.
Fissò la casupola,
e ridacchiò tutto contento. Le cose andavano meglio di
quanto sperato. Non avrebbe
dovuto ridare un centesimo a Jane. A dirla tutta, era quasi del tutto
certo che
mettere a posto quella… cosa… sarebbe costato a
Jane almeno il doppio, se non
il triplo, di quello che gli doveva.
“Ok, ci sto, ma a
due condizioni. Tu non ti avvicini al cantiere perché ho la
netta sensazione
che tu sia un disastro ambulante con degli attrezzi da carpentiere, e
non
voglio casini con certificati di rischio e assicurazione
perché in cantiere c’è
un tizio incapace che non fa parte della mia ciurma. Senza offesa,
eh.”
Jane mugolò. Gli dispiaceva,
ma non aveva scelta, non con un bambino in arrivo e la casa da finire.
“E la
seconda?” Non presagiva nulla di buono. Stan era davvero
troppo come Teresa.
… e difatti si
prese una bottarella in testa. “E questo per
cos’è?”
Stan ridacchiò. “Mi
dovrai pagare, Patty. E pure parecchio. Quello che ti devo non copre
minimamente quello che c’è da fare con quella
catapecchia!”
“Dici? Ma l’agente immobiliare
mi aveva detto che…”
Stan, tutto
contento e pomposo arrogante, indicò la struttura davanti a
loro. “Vedi come
pende sulla sinistra? Vuole dire che ci sono problemi di
stabilità… suolo, fondamenta,
entrambi. Quindi, dovremo buttare tutto giù e iniziare da
zero. E dato che
dovrò ingrassare un po’ di ingranaggi per
velocizzare il tutto e finire i
lavori per la nascita del tuo pargoletto, penso proprio che mi dovrei
pagare un
piccolo extra….”
“Ma l’agente immobiliare
aveva detto che era solo…. Storta. Che era tutta una cosa
ottica.”
Stan diede delle pacchette
sulle spalle di Jane. Un po’ gli faceva pena, ma giusto un
po’. Quasi per
nulla, a dirla tutta. Non è che gli mancassero i soldi per
una costruzione in tempi
record, eh.
“Sai, Jane, non
riesco a credere che tu sia così ingenuo. Regola numero uno
del mercato immobiliare:
mai ascoltare gli agenti immobiliari. Mentono sempre. Ti ho mai
raccontato
della volta che ho dovuto ricostruire una casa quasi da zero
perché il tizio
che l’aveva comprato aveva ascoltato il consiglio del suo
agente, e buttato giù
un muro per farsi un mega-salotto? Peccato che nessuno dei due sapesse
che
quello era un muro portante!”