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Autore: Lella Duke    30/01/2020    3 recensioni
Prima di andare avanti bisogna fare i conti con il passato.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dana Katherine Scully, Fox William Mulder
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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MAI PIU’

 

“Possiamo chiudere con il passato,

ma il passato non chiude con noi.”

William Shakespeare

 

E’ inverno. E’ notte. Fa freddo. La casa è vecchia e piena di spifferi, i riscaldamenti funzionano ma sembrano sempre insufficienti in nottate come questa. Anche il letto è freddo. Freddo e vuoto. Una volta c’era la sua Scully a riempirlo e riscaldarlo, ora non più. Manca da casa da due anni, cinque mesi e diciassette giorni. E’ andata via quando ne ha avuto abbastanza, lo ha lasciato per dargli la possibilità di risalire dal fondo, così aveva detto. Ed è proprio quello che Mulder ha cercato di fare fin da subito. Ha accettato di seguire una terapia che lo aiutasse ad uscire dalla pericolosa depressione nella quale era caduto iniziando un percorso psicologico e farmacologico. Pian piano ha ricominciato a prendersi cura di sé stesso, a nutrirsi correttamente, ad andare a dormire ad orari regolari. Tutto pur di riavere Scully a casa.

Ad un tratto, totalmente inaspettati, sono tornati gli X-Files che hanno dato a Mulder la spinta finale per alzarsi dal letto ogni mattina. Sono stati lo sprone decisivo per riappropriarsi totalmente della sua vita. Ha ripreso in mano faldoni vecchi e nuovi e ha riavuto Scully al suo fianco, ogni giorno, giù nel seminterrato. C’è voluto veramente poco per farsi assorbire da questa nuova e confortante quotidianità fatta di caffè sorseggiato leggendo email o discutendo articoli di giornale, di teorie snocciolate e demolite, di motel da quattro soldi, di telefonate a notte fonda per rivisitare i casi da tutte le angolazioni possibili ed immaginabili. Tutto come ai vecchi tempi.

Il loro ultimo caso li ha portati in Oregon nella città di Shawan per indagare sull’omicidio di un uomo rinvenuto nei boschi con la gola tagliata. Loro il compito di capire se l’omicida fosse stato un essere umano o un pericoloso animale. Un caso che, come al solito, li ha lasciati con più domande che risposte, ma che lo ha fatto tornare a casa con la consapevolezza che per loro non si trattasse soltanto di un riavvicinamento legato alla sfera lavorativa. Che fosse solo questione di tempo. La notte in cui il direttore dello sperduto motel nel quale stavano alloggiando gridava giurando di aver visto un mostro, Mulder era piombato nella camera di Scully illustrandole per filo e per segno la sua nuova teoria. E in quell’occasione l’aveva sorpresa ad indossare una delle sue magliette come pigiama. Sedeva sul letto, le gambe nude e distese. Sembrava così piccola e divertita, ascoltava il suo sproloquio e seguiva ogni suo gesto e ogni sua parola con sguardo attento. Il cuore aveva rischiato di scoppiargli nel petto al pensiero che lei era tornata a mostrarglisi così: assonnata, spettinata, vulnerabile.

Il lavoro era tornato a tempo pieno e li assorbiva completamente, il loro rapporto sembrava stesse riacquistando progressivamente la solidità di un tempo. Tutto andava bene e procedeva al meglio.

Era un anonimo martedì, un giorno come tanti altri. Mulder era seduto alla sua scrivania e visionava delle foto che ritraevano strani cerchi nel grano inviategli la sera prima via email da un allevatore del Tennessee. Scully nel frattempo era intenta a scrivere al pc il rapporto sul loro ultimo coinvolgimento in Oregon. Erano rientrati da poco dal pranzo quando il telefono aveva squillato:

“Mulder.”

“Agente Mulder sono Thompson. C’è un signore qui all’ingresso che chiede di parlare con lei e con l’Agente Scully. Dice di chiamarsi Edward.”

“Edward? Non ti ha detto per quale motivo vuole vederci?” Domandò Mulder.

“No, ha detto solo che si tratta di una questione personale, sembra davvero impaziente di parlare con voi due.”

“Oh beh non facciamolo attendere allora. Spiegagli come raggiungerci, grazie Thompson. Lo aspettiamo.”

“Chi stiamo aspettando?” Chiese Scully alzando gli occhi dal suo pc. Non aveva potuto fare a meno di ascoltare il breve scambio di battute al telefono.

“Sta scendendo un certo Edward, sembra ansioso di parlare con noi.”

Scully salvò la bozza del rapporto che stava scrivendo e si mise ad attendere il visitatore di fronte alla scrivania, mentre Mulder si alzò dalla sua sedia e andò verso la porta.

“Non ti ha detto per quale motivo è qui?” Domandò ancora Scully.

Mulder si voltò a guardarla con il sorriso sulle labbra e la mano poggiata sulla maniglia: “non ne ho idea, ma mi aspetto di tutto da chi dice che vuole parlare con noi due: rapimenti alieni, apparizioni divine sui muri di casa, ectoplasmi…”

Mulder fu interrotto da un timido bussare. Aprì la porta e si fece da parte per far entrare l’ospite. L’uomo rimase fermo sull’uscio, immobile, lo sguardo basso.

“Si accomodi pure sig. Edward…” L’uomo alzò lo sguardo. “Jerse. Ed Jerse…” Mulder aveva allungato la mano per salutare e presentarsi, ma la ritirò subito appena ebbe riconosciuto l’uomo.

I due rimasero qualche secondo a fissarsi. C’era imbarazzo nello sguardo di Ed, stupore in quello di Mulder.

“Oh mio Dio Ed… sei tu?” Intervenne Scully avvicinandosi di qualche passo.

“Buongiorno… immagino che la mia presenza non sia gradita, non vi ruberò più di qualche minuto, lo prometto. Ho solo bisogno di parlare con voi… ho bisogno di parlare con te Dana.”

Scully rimase interdetta qualche istante, ma si riscosse quasi subito e lo invitò a sedersi: “accomodati, ti prego.” Disse indicandogli la sedia più vicina a lei.

Mulder seguì Ed con lo sguardo, lo vide prendere posto di fronte alla sua scrivania. Non avrebbe mai immaginato di trovarsi faccia a faccia con l’uomo che tanti anni addietro aveva tentato di uccidere Scully. L’uomo che gliel’aveva quasi portata via. Lo conosceva solo attraverso le foto segnaletiche, non lo aveva mai visto di persona eppure non poté fare a meno di notare come fosse cambiato. Aveva ancora una figura slanciata e longilinea, ma i capelli erano completamente ingrigiti. Era un bene che li tagliasse corti. Aveva il viso scavato, gli occhi spenti. Erano coetanei, ma Ed dimostrava almeno dieci anni di più rispetto a Mulder.

I suoi pensieri furono interrotti dalla voce di Scully: “non sapevo fossi uscito di prigione.”

Ed si schiarì la voce e la guardò solo per qualche secondo. Poi riabbassò lo sguardo. Sembrava non riuscisse a trovare la spinta giusta per iniziare a parlare: “si… si, sono un uomo libero da qualche mese. Per la società ho pagato per il mio crimine.” Non poté evitare un sorriso triste. “E’ la mia coscienza che non mi da pace. Ho evitato l’ergastolo soltanto perché mi hanno riconosciuto parzialmente incapace di intendere e di volere considerata la quantità di ergot che avevo nel sangue, ma questo non mi giustifica. Ho chiesto scusa alla madre e alla sorella di quella povera ragazza. Ho chiesto scusa alla mia famiglia, ai miei figli che sono stati costretti a crescere con la vergogna di un padre in galera.” Prese a tormentarsi le dita e respirò profondamente per qualche secondo. Gli occhi bassi e lucidi. Poi riprese: “adesso sono qui per chiedere scusa anche a te. Ti ho scritto diverse lettere quando ero in cella, ma non ho mai avuto il coraggio di inviartene neanche una. Non so che parole usare per invocare il tuo perdono. So solo che devo affrontarti se voglio sperare di andare avanti...” La voce gli si ruppe definitivamente.

Scully si affrettò a sedersi sulla sedia affianco a lui e gli prese le mani: “Ed guardami per favore. Alza gli occhi.”

Ed tentennò qualche istante e poi fece come gli era stato chiesto. Dapprima guardò dritto davanti a sé, poi riuscì a posare gli occhi sul volto di Scully: “smettila di tormentarti così, per favore. Ti ho già perdonato tanto tempo fa. Hai pagato il tuo debito. Non mi devi chiedere scusa. Non mi devi niente.”

Un lacrima scese furtiva e gli rigò le gote, le mani presero a tremargli. Inspirò profondamente per qualche istante cercando di ricomporsi: “grazie.” Sussurrò piano. Azzardò un impercettibile sorriso: "grazie davvero." Sembrava finalmente sollevato, era come se qualcuno gli avesse appena tolto un grosso peso dalle spalle. Si alzò lentamente dalla sedia e si diresse verso la porta.

“Ed aspetta…” Anche Scully si alzò.

Ed si avvicinò a Mulder e gli tese la mano. Fu solo in quel momento che Mulder notò le profonde ustioni che aveva sulla mano destra. Ricordò che si era deturpato da solo tutto il braccio, così aveva letto nel rapporto. “Chiedo perdono anche a te. E’ solo una fortuna che Dana non sia diventata la mia seconda vittima.”

Mulder afferrò la mano che Ed gli stava porgendo e la strinse con vigore: “anche se eri sotto l’effetto di quella sostanza, sapevi che stavi per compiere un’azione terribile e ti sei ribellato. La tua volontà è stata più forte. Non c’entra niente la fortuna.” Ed si asciugò gli occhi con la manica della felpa e si lasciò sfuggire un debole sorriso.

“Vivi ancora a Philadelphia?” Chiese Scully avvicinandosi di qualche passo. Ed la guardò: “si, resterò qui a Washington solo un paio di giorni. Il tempo di sbrigare qualche faccenda burocratica. Poi torneò a casa.” Si discostò da Mulder e si avvicinò alla porta: “grazie di avermi ascoltato. Grazie di avermi perdonato” Fece un ultimo cenno di saluto con il capo, oltrepassò la porta e se la richiuse alle spalle.

Mulder e Scully rimasero a fissare la porta chiusa. Erano appena stati travolti dalla visita inaspettata di una persona che risiedeva in ricordi lontani nel tempo. Scambiarono solo poche parole per riguadagnare poi ognuno la propria postazione con la pretesa di riprendere da dove si erano interrotti.

Tra scartoffie e telefonate il pomeriggio terminò in fretta. Scully spense il pc e iniziò a prepararsi per andare via, Mulder ripose un paio di cartelline nello schedario e raggiunse l’appendiabiti. Indossò il suo cappotto: “sei pensierosa, la visita di Jerse deve averti colpito molto.” Osservò Mulder mentre aiutava Scully con la sua giacca.

 “Si è vero, ma sai cosa? Mi ha colpito soprattutto la motivazione che lo ha spinto a venirci a cercare.” Scully si prese un attimo per raccogliere i suoi pensieri “parafrasando quello che ha detto, non si può guardare al futuro se prima non si risolve il passato.”

Mulder rimase con lo sguardo fisso su di lei in attesa, sapeva che c’era dell’altro.

“Noi due non abbiamo mai affrontato quello che successe all’epoca. Non ne abbiamo mai più parlato.”

Mulder provò un disagio immediato, si discostò leggermente e si mise le mani in tasca: “con tutto quello che è successo subito dopo, non ci abbiamo più pensato.” Tagliò corto poco convinto. “E poi mi avevi fatto capire chiaramente che la tua vita fuori dall’ufficio non mi riguardava.”

“E quando mai ti sei preoccupato di non invadere i miei spazi personali? No… non è questo. Sono passati quasi vent’anni e solo ora mi rendo conto che non hai mai avuto il coraggio di chiedermi cosa è successo quella notte a Philadelphia, a casa di Ed Jerse.”

Indietreggiò come fosse stato raggiunto da un colpo in pieno volto. Non si aspettava uno sviluppo del genere. Rimase a fissarla, lei sostenne il suo sguardo.

Senza aggiungere altro Mulder aprì la porta: “ci vediamo domani.” Disse mentre si avviava verso l’ascensore.

 

 

Continua…

   
 
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