Prologo– L’inizio di ciò che non si sa
Era lì, inconfondibile,
si agitava ripetutamente
davanti ai suoi occhi
ma lei proprio non riusciva a vederlo.
Quella mattina, come la precedente, mi ero
svegliata presto, avevo fatto colazione bevendo il solito latte al cioccolato, mio
padre mi aveva accompagnata in stazione, avevo preso il treno per Napoli ed ero
finalmente giunta all’università. Era solo da una settimana che ero diventata
ufficialmente una studentessa universitaria ma mi sembrava di essere già
entrata appieno nella solita routine. Ero molto entusiasta della scelta fatta
di intraprendere lo studio della lingua giapponese nonostante la disapprovazione
dei miei genitori. Loro avrebbero voluto che scegliessi qualcosa di più sicuro
dal punto di vista lavorativo ma io, da testarda quale sono, non avevo voluto
sentire ragioni e mi ero iscritta alla facoltà di Lingue Orientali. Una scelta decisamente
eccentrica se paragonata a quella di mia sorella che si era iscritta a Medicina. Ma provenivo da cinque anni
drammatici di Liceo Scientifico e avevo deciso di tagliare nettamente i ponti
con tutto ciò che facesse parte della sfera scientifica. Ero stata indecisa
molto a lungo su quale università scegliere ed avevo oscillato più volte tra l’Accademia
di belle arti e Lingue ma alla fine aveva prevalso il mio amore per il
Giappone. In effetti, anche se fino ad allora non lo avevo mai manifestato così
esplicitamente, il Giappone mi aveva sempre affascinato con la sua cultura, la
sua lingua con i simboli così carini, le canzoni e soprattutto i manga e gli
anime. Pensai che forse avrei potuto diventare una traduttrice di manga o di
libri e addirittura di diventare una fumettista giapponese professionista e
pertanto seguii la mia strada. Durante l’estate avevo imparato gli hiragana e i katakana, gli
alfabeti base, tramite qualche sito internet e così alla prima lezione di
giapponese mi sentivo un po’ avvantaggiata. Riuscii a seguire tranquillamente
le prime lezione e ciò che mi rendeva perplessa era solo la struttura universitaria
e la disorganizzazione generale alla quale poi mi sono abituata.
Ricordo perfettamente di essere entrata in
crisi il primo giorno poiché non capivo quale corsi seguire e in quali aule, quali
fossero i miei professori, in cosa consistesse il mio corso di laurea, ma anche
a questo mi sono abituata.
Tornando a quella fatidica mattina, ero un po’
disperata dal punto di vista sociale. L’unica ragazza che conoscevo era la mia
amica Chiara, la quale si era iscritta assieme a me, e temevo seriamente di non
riuscire a fare amicizia con nessuno poiché ero sempre attaccata a lei. Nella
prima settimana infatti non avevo rivolto parola a nessuno se non a lei
nonostante l’aula fosse gremita di gente, soprattutto donne. Ma quel giorno
invece riuscii finalmente a parlare con una ragazza, Camilla detta poi Milly,
ed entrammo subito tutte e tre in sintonia. Ma fu allora che, senza saperlo,
conobbi il ragazzo che sarebbe poi entrato in modo devastante a far parte della
mia vita. È strano pensare adesso che la persona che ebbi davanti a me quel
giorno per qualche minuto e di cui ignoravo tutto sarebbe poi diventato la
persona con cui ho passato più tempo in assoluto e con cui ho condiviso molto. Mai
e poi mai avrei pensato di poter entrare in sintonia con uno come lui.
Credevo seriamente che la cosa finisse lì,
che non andasse oltre le presentazioni e che non lo avrei più visto se non a
qualche sessione di esame rivolgendogli il solito saluto freddo che si rivolge
ai conoscenti.
Io, Milly e Chiara stavamo parlando
tranquillamente durante la pausa della lezione quando vidi all’improvviso
avvicinarsi a noi un essere vivente di sesso maschile, uno dei pochi in mezzo
ad una miriade di donne.
- Ciao – salutò Milly tutto felice dandole
poi un bacio a destra e a sinistra sulle guance.
- Ciao – lo salutò anche lei mostrando un’espressione
non proprio contenta.
Lo scrutai dalla testa ai piedi e pensai che
era il primo ragazzo che vedevo all’università. Non avevo mai avuto fortuna con
i ragazzi e tutte le cotte che avevo avuto si erano sempre risolte nel peggiore
dei modi. Per molti anni non ero neanche più uscita il sabato sera e le
occasioni di incontrare qualcuno erano pertanto diminuite se non diventate
addirittura nulle. Iscrivendomi all’università avevo perciò pensato che
finalmente avrei potuto avere più occasioni di incontrare qualcuno e magari
fidanzarmi anche. Forse avevo scambiato l’università per una sorta di
supermercato dove puoi sceglierti il ragazzo e la cosa un po’ mi divertiva.
Mentre lo guardavo pensai se non avesse potuto diventare proprio lui il mio
ragazzo nonostante non spiccasse di alcun tipo di bellezza. Anzi, non era per
niente bello ma lui sembrava crederselo parecchio.
- Piacere, Gianluca – si presentò poi
guardandomi.
- Jessica – gli dissi io guardandolo poi
meglio e giungendo alla conclusione che era decisamente il tipo di ragazzo che
non sarebbe mai potuto piacermi.
La mia prima impressione su di lui non fu
quindi delle migliori: capelli corti normali, maglia normale, pantalone
normale, scarpe normali… insomma un nerd!
Doveva essere un tipo sfigato e forse anche
lui, come me, credeva che l’università fosse una sorta di supermercato dove
potersi scegliere la ragazza.
Dopo quella breve presentazione si allontanò
e sparì nella moltitudine di studenti.
- Ma chi è? – chiesi poi a Milly.
- Ah è una delle prime persone che ho
conosciuto venendo qui – disse mostrando la stessa espressione non molto
contenta di prima.
Capii che non doveva esserle chissà quanto
simpatico.
Mi voltai per cercare di scovarlo in mezzo a
tutta quella gente per dargli un’ultima occhiata per poi tornare a concentrarmi sul
giapponese.
Nei giorni seguenti ebbi modo di rivederlo e
di capire che era decisamente sicuro di essere bello e affascinante poiché non
faceva altro che appiccicarsi a molte ragazze, ma con scarsi risultati. I suoi tentativi di approccio erano
decisamente pesanti e ben presto fu soprannominato “la piattola”. Molte ragazze
quando lo vedevano arrivare facevano di tutto per evitarlo e anche Milly
rientrava tra queste. Inizialmente tutto ciò provocava in me ilarità ma poi mi
resi conto che con me non ci provava mai e questo mi turbò un po’ perché mi faceva
un rabbia che uno così non fosse attratto da me. Non mi sono mai considerata
una gran bellezza, anzi la mia autostima è al di sotto dello zero. Ma ero
comunque consapevole di essere almeno carina e il fatto che lui non mi
guardasse neanche mi faceva restare un po’ male. Questa sensazione si
accentuava soprattutto quando ci provava ripetutamente con Milly con me a
fianco, ma poi mi riprendevo pensando che era un sollievo non piacere a uno
come lui. Forse è proprio perché ero tra quelle con cui non ci provava che tra noi iniziò a nascere una sorta di
amicizia favorita dal fatto che lo incontravo spesso in fumetteria dove non
perdevo occasione di prenderlo in giro.
Lui per me era ormai diventato “Giangi” e non ricordo se lo avessi già sconvolto con i miei
pensieri perversi e miei racconti gay. Nonostante il suo modo di parlare e
pensare fosse anni luce distante dal mio, ci ritrovavamo spesso insieme a
discutere del più e del meno.
Il suo senso dell’umorismo non era tra i
migliori anche se io ridevo sempre, ma in realtà ridevo per non piangere. Dopo
un po’ di tempo entrammo così in confidenza che io iniziai a “sfruttarlo”. Dato
che mi sembrava ricco iniziai a farmi offrire più volte da bere, qualche pranzo
forse e lo convinsi anche a comprarmi il numero di un manga. Tutto ciò era
divertente e mi sembrava ormai di poter farmi dare qualunque cosa. Così, un
giorno in fumetteria, lo condussi davanti a una vetrina e premetti il dito
contro il vetro per indicargli ciò che volevo.
- Ecco! Lo vedi quell’anello?
- Si… – rispose già
immaginando dove volevo andare a parare.
- Tu me lo compri! Lo voglio!
- Tu stai male! Non spenderò mai i miei soldi
per una cosa così orrenda!
Fu così che ogni giorno che entravamo in
fumetteria lo tormentavo con la storia dell’anello ma la sua risposta era
sempre negativa. E a nulla valsero anche i tentativi della commessa che, intenerita nel vedere con quando ardore
desideravo quell’oggetto, lo spingeva a comprarlo. Lui era ormai fermo nella
sua posizione ed io mi ero rassegnata.
Venne dicembre. Oramai ci conoscevamo da due
mesi e io iniziavo a sentire di volergli bene anche se ancora non si era
radicato in maniera decisiva nella mia vita. Rimaneva comunque ancora un amico pressoché
relativo. Non avevamo mai parlato seriamente e io non conoscevo praticamente
nulla di concreto su di lui. Non sapevo veramente nulla della sua vita e
neanche avevo desiderio di saperlo. Tutto ciò che avevo capito su di lui era
che, al contrario di me, aveva una forte autostima, sapeva quali erano i suoi
obiettivi e voleva raggiungerli a tutti i costi, che amava viaggiare e che era
un arbitro di Magic. Quest’ultima cosa la scoprii
quando lo ritrovai alla fiera del Gamecon in una
domenica di dicembre e, superato lo stupore iniziale nel vederlo vestito da
omino della Foot Locker, lì
tentai di farmi spiegare in cosa consistesse il suo ruolo. Dato che lo vedevo a
perdere tempo mi feci un’idea che il suo lavoro fosse solo una perdita di tempo
e forse lo penso tutt’ora. Nonostante ciò quel giorno mi fece davvero piacere
vederlo e avrei preferito che stesse un po’ più di tempo con me e le mie amiche
ma non c’era da disperarsi perché lo avrei rivisto presto ai corsi. La sua
presenza iniziò a diventare una cosa scontata e ormai era entrato a far parte
della mia cerchia di amici. Sedevamo sempre tutti vicini io, lui, Chiara e Milly
ed ero davvero contenta di aver trovato dei buoni amici.
Quando ormai eravamo agli ultimi giorni di
corso Gianluca fu in grado di stupirmi.
Stavo per uscire dall’aula quando mi si
avvicinò e infilò una mano nella borsa.
- Tieni – mi disse porgendomi un pacchetto.
Lo afferrai e lo scartai incredula per poi
vedere che era il fatidico anello che avevo tanto voluto che mi comprasse.
- Grazie – lo ringraziai mostrando un
percettibile sorriso.
Quel gesto mi aveva resa felice anche se
forse lui non se ne rendeva conto.
- Vabbè ci vediamo –
mi salutò poi scappando via.
Rimasi lì a contemplare l’anello con un’espressione
decisamente inebetita.
- Ti ha fatto il regalo di Natale e lo ha
fatto solo a te – mi disse una mia compagna di corso che aveva osservato la
scena – Credo che tu gli piaccia, altrimenti come lo spieghi?
La guardai accigliata come se avesse detto la
cosa più stupida del mondo e me ne andai via continuando a guardare l’anello,
anche se qualcosa aveva iniziato ad instillarsi
in me per depositarsi sul fondo del mio cuore. Tempo qualche mese e quel
qualcosa sarebbe poi uscito.