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Autore: Stella Dark Star    03/02/2020    1 recensioni
"A volte l'unica soluzione è fuggire."
Quando Chuuya viene trascinato da Dazai in un magazzino abbandonato e sudicio, il suo istinto omicida è giustamente alle stelle! E ancor più nello scoprire che lo ha portato lì solo per vedere una vecchia tela ingiallita. In realtà si tratta di una tela magica in cui le persone possono entrare per scoprire l'ambiente che vi è all'interno. Però si tratta di un oggetto pericoloso in cui si rischia di restare intrappolati per sempre. Perché Dazai gliel'ha mostrata? Quali sono le sue vere intenzioni?
Nota:nella storia ho inserito anche una scena con due innamoratissimi Akutagawa x Atsushi!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsushi Nakajima, Chuuya Nakahara, Osamu Dazai, Ryuunosuke Akutagawa
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Bungou Stray Dogs
 
Dazai x Chuuya:

Gli amanti nella stanza giapponese
 
 
A volte l’unica soluzione è fuggire.
Quelle poche parole che erano uscite dalla bocca di Dazai quasi per scherzo, non facevano che vagargli per la mente, come un motivetto sentito per caso alla radio mentre sei alla guida in mezzo al traffico e senti la pressione del sangue salire a tal punto che vorresti solo sfoderare la pistola e sparare all’impazzata per far sì che quelle dannate auto si spostino e ti lascino finalmente libero il passaggio, e dopo, anche quando hai ritrovato la calma, ecco che torna il ricordo di quella fastidiosa canzone cantata da un vecchio gruppo che ai tempi della gloria di sicuro si ammazzava di spinelli e alcol scadente. E da quel momento sai che quelle stupide parole accompagnate da uno stupido motivo musicale continueranno a tornarti in mente nelle situazioni più snervanti della tua vita, senza modo di evitarlo. Soprattutto in un momento incredibilmente snervante come quello che stava vivendo adesso! Ebbene, una volta pronunciate quelle parole che lo stavano tormentando, Dazai dopo alcuni giorni lo aveva chiamato al cellulare insistendo affinché si vedessero in un preciso luogo del porto, un’area costellata di magazzini quasi tutti in disuso, e a nulla era servito rifiutare, lo aveva pregato fino allo sfinimento dicendo che si trattava di una cosa importante e che doveva assolutamente raggiungerlo. E allora va bene, accidenti! Aveva guidato fin lì controvoglia, parcheggiato l’auto alla mala peggio reprimendo il desiderio di tirarlo sotto quando lo aveva visto agitare il braccio in aria come un deficiente e col suo solito sorriso da ebete stampato in faccia, ma poi era successo…be’, era successo che nel giro di un secondo Dazai lo aveva afferrato per un polso, per poi darsi alla corsa trascinandolo dietro di sé, come delle lattine legate al paraurti dell’auto degli sposi. In effetti ancora non capiva se a farlo incazzare era più quel paragone con le lattine o il fatto di avere un contatto fisico con quell’uomo. Maledizione, forse era davvero quella seconda cosa. E di certo non si sentiva il viso avvampare a causa della corsa o della rabbia. Ma cos’era, una ragazzina innamorata? Proprio no! E poi cosa significava tutto questo? Era una fuga d’amore?
“Dazai! Brutto idiota, dove diavolo mi stai portando?” Gridò alle sue spalle, fissando la sua chioma castana che si agitava frenetica durante la corsa.
Dazai rispose senza nemmeno prendersi la briga di rallentare o voltare il capo un istante: “Il prossimo magazzino. E’ già aperto, dobbiamo solo entrare.”
Un magazzino abbandonato. Loro due soli. Cominciava ad avere un sospetto.
“Se mi hai portato qui solo per fare una scopata come ai vecchi tempi, giuro che ti ammazzo.”
Più che dirlo lo aveva ringhiato, ma forse Dazai non aveva udito dato che non reagì in alcun modo.
Finalmente svoltarono ed imboccarono l’entrata di quello che di fatto era un vecchio magazzino abitato solo da ragni e topi che, a giudicare dalle schifezze che lo ricoprivano dal soffitto al pavimento, dovevano darsi alla pazza gioia. Dazai si fermò di colpo, di conseguenza lui finì dritto con la faccia contro la sua schiena. Gli parve di sentire uno schiocco al naso.
“Deficiente! Vuoi rompermi il naso?” Gridò infuriato, posandovi una mano sopra.
Dazai si voltò di scatto e gli spostò la mano per vedere la situazione. Giusto un’occhiata ed ecco che il suo sguardo si fece divertito tanto quanto il sorriso che gli si formò sulle labbra.
“Co-cosa c’è da ridere?”
“Hai il naso tutto rosso. Sei adorabile.”
Era pur vero che sentiva il sangue battere proprio lì più che sul resto del viso, ma la cosa non fece che irritarlo ancora di più. Inoltre si rese conto che, dopo avergli lasciato il polso, ora lo stava tenendo per mano. Ancora più imbarazzante.
“Invece di dire cazzate spiegami perché mi hai portato qui!” E con uno strattone si liberò la mano.
“Oh. Sì.” Dazai fece un passo di lato, liberando la visuale su qualcosa che davvero non si sarebbe mai aspettato. Non c’erano dubbi, quella che stava guardando era una comunissima tela da pittore posizionata su un cavalletto. Un cavalletto dall’aspetto malandato che dava l’impressione di crollare da un momento all’altro e una tela dalla tinta giallognola fissata al telaio con punti il cui ferro stava già arrugginendo. Sentì il sopracciglio muoversi da solo, il nervo era in preda ad un tic.
“Dazai…è uno scherzo?”
“Ah ah! Certo che no!”
“Mi hai portato qui per dipingere?” Sospirò spazientito, quindi estrasse il coltello da sotto la giacca: “Lo chiamerò ‘sangue di un idiota su tela’. Avrà un enorme successo.”
Dazai prese ad agitare le mani come un matto: “No no no non hai capito! Non è una comune tela! Ho impiegato anni per trovarla, è uno dei pochi esemplari attivi rimasti.”
Esemplari? Attivi? Un momento…
Spalancò gli occhi, la mano che reggeva il coltello si abbassò senza che se ne rendesse conto: “Non dirmi che…”
Dazai fece un cenno di assenso: “Esatto.”
“Hai idea di quanto sia pericoloso questo oggetto? La leggenda della tela magica la conosce chiunque sia dotato di poteri.”
“Dunque sai bene che non c’è pericolo. Possiamo entrare all’interno della tela per vedere cosa c’è e uscirne quando vogliamo.”
“So anche che si rischia di restare intrappolati al suo interno per sempre.  E’ risaputo che alcuni dei possessori di questi oggetti siano scomparsi e che di loro sia rimasto solo il ritratto sulla tela.”
“Però sarebbe interessante dare un’occhiata, no?” Insistette Dazai, strizzando l’occhio.
Aveva voglia di prenderlo a pugni. Cosa gli diceva il cervello? Darsi tanto da fare per un oggetto così pericoloso, poi!
“So per certo che tu non puoi entrare, perché toccando la tela ne annulleresti la magia col tuo potere.  Ma ti avverto che non ho nessuna intenzione di entrare lì dentro per te.”
Fece per andarsene, ma Dazai lo fermò.
“E’ qui che ti sbagli. So esattamente cosa fare.” Gli si avvicinò con fare sospettoso e lo guardò dritto negli occhi: “Mi ami?”
Sarà stato per quel suo sguardo stranamente sicuro o forse per il tono di voce sdolcinato, fatto sta che gli ci volle qualche istante per riprendersi.
“Ma neanche un po’!” Gli gridò in piena faccia.
Dazai sorrise: “Bugiardo!”
Accadde tutto in fretta. Dazai gli fece cadere il coltello dandogli un improvviso colpo di taglio con la mano, lo avvolse in uno stretto abbraccio e balzò verso la tela portandolo con sé. L’unica cosa che Chuuya riuscì a pensare fu: “In questo modo non toccherà la tela con le mani e la magia si manifesterà.”
Una luce potente, tanto quella del sole che ti acceca mentre stai guidando e non hai gli occhiali a portata di mano, immerse i loro corpi. E poi arrivò il buio.
Che sensazione incredibile… Si sentiva come se fosse senza peso e stesse fluttuando nell’aria pacificamente. E la cosa non gli dispiaceva. Certo che, se avesse saputo di morire in quel modo stupido, avrebbe fatto molto di più nella sua vita. Per esempio… Per esempio, ora che era morto poteva ammetterlo senza vergogna, avrebbe tanto desiderato andare a vivere con Dazai in una casetta di provincia, circondata dal verde, lontana da ogni pericolo. E lì avrebbero vissuto pienamente il loro amore, senza mai più ricordare la Port Mafia o l’Agenzia Investigativa Armata, passando le giornate all’aria aperta, a leggere all’ombra di un albero, a passeggiare tra i cespugli, a raccogliere frutta e ortaggi coltivati da loro, e poi cucinare insieme ogni pasto, bere un calice di vino dopo cena e fare l’amore fino a notte fonda in un morbido letto accogliente e vaporoso. Ma ormai era troppo tardi. Non aveva più la possibilità di far avverare quel sogno.
“Chuuya… Chuuya…”
Era la sua voce. No. Anche Dazai era morto e ora probabilmente si trovava  a fluttuare chissà dove, come lui.
“Chuuya… Se non apri gli occhi scatto una foto mentre ti bacio e la invio a tutti quelli che ci conoscono!”
NOOOOOOOO ERA FINITO ALL’INFERNO INSIEME A QUEL DEFICIENTE!!!
“Dammi il cellulare che lo distruggo!”
Solo dopo aver parlato si rese conto di essere ancora vivo. Il cuore gli batteva impazzito nel petto e sentiva di avere la fronte sudata, ma bastò l’espressione ebete di Dazai a risvegliargli l’istinto omicida. Almeno fino a quando non si accorse di ciò che c’era oltre alla sua faccia.
“Dove siamo?” Voltò il capo a destra e a sinistra, in preda al panico.
“Semplice. Siamo dentro alla tela.” Dazai, che era rimasto piegato su un ginocchio fino a quel momento, si rialzò in piedi e spalancò le braccia entusiasta: “E’ una stanza giapponese!”
“E cosa c’è da essere così felici?”
“Pensaci! Le altre tele, dopo essersi disattivate, sono diventate dei veri e propri dipinti. E dai racconti che ho udito, pare che ognuno di questi dipinti rappresentasse ambienti diversi. A noi è capitato questo!”
Tela. Leggenda. Abbraccio a tradimento. Balzo. Luce accecante. Buio. Stanza giapponese.
Sì, ora gli elementi cominciavano a mettersi in ordine nella sua mente. Il fatto che fossero sopravvissuti era una buona notizia, però…
“Bene, adesso che hai visto cosa c’è all’interno di questa, andiamocene. Non voglio stare qui un minuto di più.”
Si rimise in piedi con agilità. Tastandosi la chioma rossa e ribelle constatò che non aveva più il cappello. Provò a cercarlo a terra, ma niente, doveva essergli caduto nel magazzino durante il folle salto.
“Oh!” Il suo sguardo si posò accidentalmente su un quadro appeso ad una parete.
“Non è un caso che quel dipinto raffiguri il magazzino dov’eravamo prima, vero?”
Dazai seguì la direzione del suo sguardo e confermò: “Quella è l’uscita. Suppongo che per tornare dovremo attraversarlo allo stesso modo.”
“E sia.”  Senza indugi, si gettò su Dazai, lo abbracciò e poggiò la fronte contro la sua spalla. “Avanti. Fallo.” Per una volta l’imbarazzo non si fece sentire. D’altronde si trattava di vita o di morte, c’era poco da fare! Eppure il cuore gli mancò un battito nel sentire le sue braccia stringerlo dolcemente. Un piacevole calore si diffuse per tutto il corpo. Maledizione.
Dazai si chinò leggermente, le sue labbra gli sfiorarono l’orecchio: “Chuuya, ti amo. Fai l’amore con me.”
Tre, due, uno.
“Col cavolo, brutto idiota!”
Questa volta voleva essere lui a comandare, a decidere, a costringerlo. Facendo appello alle proprie forze cominciò a spingere il corpo di Dazai all’indietro, in direzione del quadro che li avrebbe riportati alla realtà e alla salvezza. Era determinato ad andarsene, ma…
“Chuuya aspetta!”
Accadde tutto in fretta, di nuovo. In un qualche modo, Dazai inciampò sui suoi stessi piedi e lo trascinò con sé nella caduta. Il problema è che, d’istinto, lasciò la presa con un braccio e, nella ricerca di un appiglio, la sua mano andò a toccare la tela del quadro. Il tutto finì con una rovinosa caduta a terra e un colpo di testa contro la parete da parte di Dazai.
“Ahi…ahi…” Si massaggiò il punto dolorante: “Credo che mi verrà un bernoccolo. Tu stai bene, Chuuya?”
Non era possibile. Non era assolutamente possibile. Spaventato più che mai, si liberò del braccio che ancora lo avvolgeva e scattò in piedi.
“Ti prego, no!” Premette i palmi delle mani contro l’immagine del magazzino, ma non sentì altro che la patina ruvida del colore a tempera.
Dazai si rimise in piedi a sua volta: “A quanto pare il mio potere ha disattivato la tela. Ci vorrà un po’ di tempo, tanto vale che ci calmiamo e riordiniamo le idee. Ah inoltre ho già constatato che i nostri cellulari non funzionano qui.”
Non lo stava ascoltando. Era talmente scosso da non riuscire nemmeno a battere le ciglia. Lo sguardo fisso sull’immagine del magazzino, sui colori e sui dettagli incredibilmente accurati. Perfino le ragnatele erano fatte con una precisione ammirevole. E sul pavimento sudicio notò che c’erano il suo coltello ed il suo cappello. Il suo adorato cappello. Il suo adorato cappello in mezzo alla sporcizia. Il suo adorato cappello in mezzo alla sporcizia per colpa di quel cretino di Dazai. Sentì il fuoco nelle vene.
“Io ti ammazzo, bastardo!!!”
Lasciò il quadro e con scatto felino saltò addosso a Dazai, facendolo finire  a terra ancora una volta. Era furibondo.
“Ma che-? Per fortuna il tatami ha attutito la caduta! Vuoi forse uccidermi?”
“E’ quello che ho appena detto, brutto deficiente!!! Per colpa tua siamo intrappolati qui dentro! E nessuno sa che siamo qui! Se la tela non dovesse più riattivarsi cosa ne sarà di noi?”
La calma che leggeva sul viso di quel cretino era snervante. Era consapevole della situazione in cui si trovavano? Si stava divertendo a sue spese? Non c’era da scherzare, quello era ossessionato col suicidio e di recente farneticava riguardo il suicidio di coppia!
“Io ti ammazzo, bastardo!!!”
Dazai fece una smorfia, portandosi un dito mignolo all’interno dell’orecchio: “Ho capito. Non c’è bisogno di urlare così!”
“Voglio uscire da qui, dannazione!!!”
A quel punto Dazai sollevò una mano e andò a tappargli la bocca, per evitare di diventare sordo.
“Calmati, per favore. Non c’è motivo di essere spaventati. Una volta che la tela si sarà riattivata usciremo.”
Il suo tono di voce così caldo e tranquillo bastò a rassicurarlo e, per quanto odiasse ammetterlo, gli piacque anche il modo in cui Dazai prese a sfiorargli le labbra col dito indice, proprio come faceva quando erano amanti. Quando la vita sembrava loro più facile, quando durante il giorno si occupavano di traffici illegali, quando facevano l’amore in auto durante gli appostamenti rischiando di perdere di vista l’obiettivo, quando erano talmente uniti che molti si chiedevano se non fossero attaccati con la supercolla.
“Chuuya… Utilizziamo al meglio questo tempo che abbiamo a disposizione. Facciamo l’amore.” Sussurrò Dazai.
Amore. Già, l’amore. Quel sentimento che per anni gli aveva riempito il cuore e che poi glielo aveva spezzato all’improvviso, riducendoglielo in frantumi.
“Tu mi hai abbandonato.” La voce gli tremò, le lacrime gli fecero luccicare gli occhi. Perché faceva ancora così male dopo tanto tempo?
Dazai fece per accarezzargli la guancia, ma lui schivò il suo tocco. Non voleva farsi vedere mentre piangeva, perciò lasciò la posizione in cui si trovava sopra di lui e andò a rannicchiarsi poco più in là, vicino all’elegante chabudai che era al centro della stanza. Certo, non che facesse molta differenza starsene lì con le ginocchia strette al petto e il viso premuto su di esse, ma vista la situazione non aveva molta scelta. Non riuscì nemmeno a ribellarsi quando sentì nuovamente il calore del corpo di Dazai avvolgerlo con affetto. Non poteva scappare, non aveva le forze per picchiarlo, non poteva fare nulla. Un singhiozzo gli salì alla gola, le lacrime presero a uscire silenziose dai suoi occhi.
“Tu. Mi. Hai. Abbandonato.”
La voce spezzata dal pianto non gli impedì di esprimersi. Era come se tutto ciò che aveva tenuto dentro per tanto tempo avesse deciso di esplodere proprio in quel momento.
“Non hai idea di quanto ho sofferto. Te ne sei andato senza dire niente. Sei sparito all’improvviso. Ho creduto che ti avessero rapito o ucciso. E invece poi ho scoperto che ti eri unito a quella banda di sfigati dell’Agenzia.”
Dazai impresse le labbra fra i suoi capelli fiammanti per stamparvi un bacio.
“Perdonami.” Sussurrò.
Perdonarlo? Solo questo? Come minimo avrebbe dovuto supplicarlo, strisciare a terra e baciargli le scarpe fino a consumarsi le labbra. Davvero credeva che una singola parola avrebbe sistemato tutto?
“Non hai…sniff! Non hai pensato a me e a cosa mi sarebbe successo? Te ne sei fregato completamente?”
“Chuuya… Mi sono tormentato per mesi, te lo assicuro. Ormai avevo capito che la Port Mafia non era il mio futuro, ma sapevo che se ti avessi detto che volevo andarmene tu mi avresti disprezzato. E forse mi avresti fatto arrestare come traditore.”
No, non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Come poteva dire una simile cattiveria? Tremò di rabbia nel ribattere: “Perché non mi hai chiesto di andare via con te? Io…”
“Non avresti accettato. Lo sai anche tu. La Port Mafia era tutto ciò che avevi, come potevo chiederti di lasciare? Io stesso mi sono lasciato trasportare dal vento senza avere idea di che cosa avrei fatto dopo. Se ti avessi portato con me che cosa ti avrei dato?”
“E così hai preferito lasciarmi. Temevi che la vita del cane randagio fosse troppo dura per me?”
Dazai non rispose, perché su questo aveva perfettamente ragione, anche se non nel modo che pensava lui. La debolezza che li accomunava era l’amore che provavano l’un per l’atro.
“Ti amavo troppo per trascinarti nel fango con me.” Dazai gli afferrò il mento fra le dita per indurlo a voltare il viso verso di lui, così lo guardò nei begli occhi azzurri gonfi di lacrime: “Non ho smesso un istante di amarti e di pensare a te.”
Il bacio che seguì suggellò quelle parole d’amore. Le labbra di Dazai erano morbide come le ricordava, lo stesso sapore zuccherino del bacio era qualcosa che la mente non aveva mai dimenticato, che anzi sembrava averlo riportato indietro nel tempo, ai giorni in cui il suo cuore batteva per quel cretino che lo aveva sempre ricoperto di attenzioni e di premure. Muovere le labbra sulle sue, sentirle inumidirsi pian piano, percepirne il calore, erano tutti dettagli che gli erano mancati da morire. Però… Interruppe il bacio, aprì gli occhi giusto di uno spiraglio quanto bastava per incontrare il suo sguardo.
“Quando usciremo da qui tra noi sarà finita. Io tornerò ad odiarti con tutto me stesso e mi impegnerò per ucciderti.”
Nonostante il tono minaccioso e le parole tutt’altro che amorevoli, Dazai capì quali erano le sue intenzioni, il significato che si celava fra di esse. Accennò un sorriso e rispose solo: “Mh.”
Ora che non aveva più le invisibili catene dell’orgoglio a trattenerlo, Chuuya lasciò che fosse la passione ad afferrarlo, a travolgerlo come la marea, a spingerlo fra le braccia di quell’idiota che amava disperatamente nonostante tutto il dolore che gli aveva inferto. Normalmente si sarebbe paragonato ad un burattino, per il modo in cui Dazai lo maneggiava, lo spogliava, lo muoveva, ma la sua mente aveva deciso di arrendersi esattamente come il corpo, e così facendo riuscì a comprendere la delicatezza delle sue mani che lo liberavano da ogni indumento e ogni accessorio, la dolcezza dei suoi gesti nell’accarezzarlo come se stesse sfiorando una delicata bambola di porcellana. Dunque era così che Dazai lo vedeva? D’accordo, finché si trovavano lì glielo concedeva.
“Fai di me ciò che vuoi.”
Specchiandosi nei suoi occhi riuscì a vedere se stesso per come appariva in quel momento. La camicia sbottonata da cui s’intravedeva il petto nudo, il collo sottile e aggraziato sul cui incavo sporgeva la ciocca di capelli, il rossore che gli imporporava le gote ed il naso, gli occhi umidi e pieni di desiderio. Era sempre stato così? O si trattava di un’impressione? O più semplicemente stava vedendo ciò che gli occhi di Dazai credevano di vedere? Ormai non aveva importanza. Gli intrecciò le braccia attorno al collo, obbligandolo così ad abbassarsi su di lui e a baciarlo. Gli sembrava di sognare. Poterlo stringere a sé, giocare con la sua lingua durante il bacio… Pregò che il tempo si fermasse. Durante quel giocoso duello nella bocca, ne approfittò per sbottonargli il gilet e la camicia. Con le dita sfiorò il pendente che portava al collo. Niente da fare, la tentazione di stringere il laccio di cuoio e strozzarlo si faceva sentire anche in un momento come quello! Lo placò subito, il desiderio di fare l’amore con lui era più forte di ogni altro. Certo che, ovunque lo toccasse, sentiva sempre e solo il tessuto delle bende con cui quell’idiota amava fasciarsi! Era fra le braccia di una mummia risorta? Pff, che pensiero sciocco.
Questa volta fu Dazai ad interrompere il bacio, per quanto fosse un peccato scivolare via dalla sua lingua, aveva bisogno di riprendere fiato. Ma bastò che i loro sguardi s’incontrassero per spingerlo ad usare quei momenti per sfilarsi di dosso gilet e camicia e aprire la patta dei pantaloni, in modo da essere completamente a contatto col corpo di lui. Chuuya lo afferrò per il pendente e ancora una volta lo trascinò giù per rubargli le labbra con un intenso bacio. Percepì il tocco della sua mano su una coscia, d’istinto gli cinse il bacino intrecciandovi attorno le gambe, in un gesto tanto possessivo quanto civettuolo. Dazai era suo, lo era sempre stato e non voleva più lasciarlo andare.
“Prendimi.”
Voleva essere un ordine, ma la voce addolcita dal piacere fece risuonare quella parola come una preghiera.
Quando Dazai entrò lentamente in lui, il suo corpo lo accolse con naturalezza, quasi gli stesse dando il bentornato a casa, e quell’idiota non si faceva certo dei riguardi nel comportarsi di conseguenza! Movimenti sicuri ma delicati, decisi ma gentili, in quell’esplorazione dentro di lui che Dazai faceva minuziosamente, donandogli numerose sfumature di piacere. Lo stesso piacere che gli aveva donato fin dalla prima volta che avevano fatto l’amore da adolescenti. Era come se i loro corpi avessero una predisposizione naturale ad unirsi.
Forse a causa della lunga astinenza, Chuuya raggiunse in breve l’apice del piacere. Si aggrappò a lui, il suo sguardo si sollevò al soffitto, notando per la prima volta l’azzurro chiaro con cui era dipinto, simile a quello del cielo in una giornata di sole. Il suo gemito di piacere riempì la stanza, ed ecco che si lasciò ricadere soddisfatto sul tatami. Dazai gli stampò dei baci sul viso, con tenerezza, mentre lui riprendeva fiato. Ad un certo punto lo sentì ridacchiare.
“Perché ridi?” Gli chiese, lanciandogli un’occhiata sorpresa.
“Ma come? Avevo ragione io! Mi hai davvero portato in un magazzino abbandonato per fare una scopata!”
Dazai non riuscì a nascondere il disappunto per tale affermazione: “Non la chiamerei così.”
Detto questo si sollevò e si mise in ginocchio, quindi cominciò a manovrare il corpo di Chuuya per fargli cambiare posizione, precisamente per metterlo a quattro zampe. Gli sollevò un po’ il bacino affinché fosse alla stessa altezza col suo, poi lo prese per i fianchi ed entrò nuovamente in lui.
Era solo un’impressione o qualcosa era cambiato? Dazai si era fatto un po’ più…rude? Non che fosse un problema, un rapporto tutto zucchero sarebbe stato nauseante, e poi il suo corpo reagiva bene ad ogni movimento, come stesse eseguendo una danza studiata per anni. Era tutto così bello. La stanza dove si trovavano emanava una serenità quasi tangibile grazie agli elementi di cui era composta. Il morbido tatami verde prato, il soffitto azzurro cielo, le pareti bianche decorate qua e là da quadretti raffiguranti composizioni floreali o alberi da frutto, un mobile a cassettoni di legno chiaro appostato contro una parete, il chabudai al centro della stanza raggentilito da un vasetto giallo a collo lungo. Pochi elementi, l’essenziale tipico dello stile giapponese, in grado di creare l’ambiente perfetto. E lui si trovava lì insieme all’uomo che amava e che lo stava facendo gemere di piacere. Immerso in tutto questo, gli capitò quasi per caso di posare lo sguardo sul quadro raffigurante il magazzino. Ciò che attirò la sua attenzione fu una piccola figura in movimento al suo interno. Un topolino. Che zampettava indisturbato. Guardando meglio, i colori si erano fatti più vividi come in una fotografia o…un filmato. Questo significava che…
“Dazai! Mh… La tela si è…ah! Si è attivata!”
Dazai interruppe il movimento dei fianchi per un momento, ma poi riprese.
“Hai sentito cosa ho detto? Ah-AH!
Dovevano uscire fin che ne avevano la possibilità. Perché quel cretino non si fermava? Davvero per lui era più importante raggiungere l’orgasmo piuttosto che fuggire da quella prigione magica?
“Dazai, fermati!” Usò un tono di comando, per quanto gli fu possibile, ma non servì a nulla. Il piacere gli offuscava la mente e lo privava della forza di ribellarsi. Il quadro era ad appena un tatami di distanza da loro.
“Se non usciamo subito resteremo intrappolati!” Era sull’orlo della disperazione.
“Davvero vuoi tornare là fuori?”
Dazai parlò con voce ferma e seria nonostante il fiato corto per le fatiche amorose.
“Co-MH! Cosa stai dicendo?”
“E’ quella la vita che desideri? Rischiare la pelle per il denaro e il controllo del territorio, occuparti di traffici illegali, uccidere nemici e persone innocenti senza distinzione?”
Chuuya era incredulo. Ma che discorsi erano?
“Quando non hai il sangue nella testa diventi un completo imbecille. Fermati!”
Dazai disse ancora: “Una vita in cui siamo separati e tu sei costretto ad odiarmi?”
Era impazzito, non c’era altra spiegazione. Fra quelle parole assurde e i movimenti che si facevano sempre più violenti, quel rapporto stava diventando una tortura.
“Io… Io…” Allungò un braccio in direzione del quadro, neanche potesse raggiungere la tela con la sola forza di volontà. Più si allungava in avanti, spinto dalla disperazione, più Dazai lo trascinava nel senso opposto tenendolo saldamente per i fianchi e spingendo sempre più a fondo dentro di lui. E questo lo spaventava.
“No…” Le lacrime fecero capolino dai suoi occhi sbarrati e andarono a rigargli le guance.
“Chuuya, ti amo.” Gli disse Dazai, sul punto di venire.
“A-anche io. Anche io ti amo. Ma…”
Troppo tardi. Attraverso le lacrime riuscì a vedere l’ultima possibilità di salvezza spegnersi come un fiammifero al vento. La tela che fino ad un attimo prima era attiva, ora era diventata un comune quadro dipinto con colori a tempera. Il braccio gli ricadde come privo di forze, abbassò il capo fino a sfiorare il tatami con la frangetta, quindi lasciò che il suo corpo venisse travolto da una nuova ondata di piacere. Poi il vuoto lasciato da Dazai. Anche se lui si stese al suo fianco, Chuuya rimase immobile dov’era. Era tutto finito. Tutto.
“Avevi in mente questo fin dall’inizio, vero?” La voce gli tremò.
“Non c’è bisogno che ti risponda.”
Come facesse ad essere così tranquillo, era un mistero. Be’, era anche vero che ormai non c’era modo di andarsene e a nulla sarebbe servito gridare o dar di matto. Tanto valeva prendere le cose come andavano e basta. Seppur con aria rassegnata, Chuuya si sistemò sedendosi sui talloni e posò lo sguardo su quello di Dazai.
“Sei un gran deficiente! Alla fine sei riuscito a trovare il modo di suicidarti! Anche se il tuo desiderio era quello di farlo con una bella ragazza…”
Dazai abbozzò un sorriso: “Sei tu la mia bella ragazza, Chuuya.”
“Ah davvero? Almeno potevi prenderti la briga di chiedermi se avevo voglia di crepare con te!”
Non ebbe bisogno di fingersi sarcastico, ora che la speranza lo aveva abbandonato, quelle battute gli uscivano naturali. In fondo, quanto ci avrebbero messo a morire? Non c’era bisogno di aspettare che lo facessero la sete o la fame, in una stanza chiusa senza areazione avrebbero perso i sensi in fretta e la morte sarebbe stata più serena di quanto potesse sperare. Era così, no? Piuttosto che morire per un colpo di proiettile o per un’esplosione o per affogamento o… Ma chi voleva prendere in giro? Aveva una paura fottuta. L’istinto di sopravvivenza gli suggeriva di setacciare la stanza da cima a fondo nell’illusione di trovare un punto debole da spaccare o una via di fuga nascosta, ma la parte razionale del suo cervello continuava a gridare che era intrappolato in una tela magica e quindi niente lì aveva una logica. Sarebbe morto e basta. Poteva anche andare bene, più che altro era l’attesa a farlo impazzire. Magari era una cosa positiva? Impazzendo non si sarebbe reso conto della fine che arrivava!
“Chuuya…”
Quella voce lo riportò al presente. Si rese conto di tremare solo quando sentì la mano di Dazai poggiarsi sulla sua spalla.
“Chuuya, va tutto bene. Là fuori non c’è niente per noi. Io preferisco di gran lunga restare qui con te per sempre.”
“Pff! Per sempre? Il tuo per sempre durerà al massimo un paio di ore  e poi saremo entrambi morti!”
Dazai scosse appena il capo e riprese a parlare con tono tranquillo: “Tu insisti a parlare di morte, ma ti sbagli. E’ adesso che comincia la nostra vita. Non lo capisci? Non abbiamo bisogno di nulla. Abbiamo fatto l’amore due volte e non sentiamo la stanchezza. O la sete. O la fame. I nostri corpi si sono già asciugati dal sudore. Probabilmente non ci renderemo conto nemmeno del tempo che passa.”
“Mh? Di cosa parli?” Quelle parole lo avevano incuriosito.
“Mentre facevo ricerche  per capire come funzionassero queste tele magiche, c’è stato un dettaglio che mi ha colpito più di tutti. I dipinti hanno una caratteristica in comune. Ritraggono volti felici.”
Chuuya sgranò gli occhi, improvvisamente in lui si riaccese una luce di speranza.
“Volti felici, hai detto?”
“Mh! Sono convinto che le persone vittime di queste tele, in realtà abbiano scelto di restare intrappolate di propria volontà. E ora posso confermarlo. Evidentemente, era ciò che desideravamo anche noi.”
Sollevò la mano dalla spalla e risalì sfiorandogli i capelli, per poi giungere alla guancia rosea di Chuuya.
“A lungo mi sono chiesto se al mondo ci fosse un posto per noi. Finalmente l’ho trovato.”
Era una visione dannatamente ottimistica da parte di uno che aveva trascorso gran parte della propria vita a cercare di suicidarsi! Però poteva aver ragione su tutto.
Chuuya mosse leggermente il viso per stampargli un bacio sul palmo della mano.
“Non è esattamente il posto che sognavo per noi, ma…credo possa andar bene.”
Si guardarono con complicità, sorridendo. Che si trovassero davvero all’interno di un luogo magico al di fuori del tempo e dello spazio o che fossero semplicemente due uomini in preda alla follia, mezzi nudi, che sarebbero morti di lì a poco, ciò che contava davvero era che fossero insieme.
*
L’aria che respirava gli stava ferendo la gola come se fosse fatta di chiodi. I polmoni sembravano sul punto di scoppiare. I muscoli delle gambe bruciavano. Stava correndo talmente forte che avrebbe dovuto far appello al potere della rigenerazione per non restarci secco! Ma non gli importava, ogni volta che posava la punta delle scarpe a terra si avvicinava all’obbiettivo e tanto gli bastava. Esattamente come nella sua testa si faceva più intensa la preghiera di trovare davvero ciò che stava cercando, altrimenti sarebbe servito un miracolo per impedirgli di uccidere chi gli aveva dato un’informazione fasulla. Contò i magazzini per non sbagliare, ma in ogni caso il margine d’errore era nullo, visto che quello che cercava ere l’unico ad avere il portellone semiaperto.
“Un ultimo sforzo.” Pensò, attraversando quel piccolo spazio aperto con la velocità di un fulmine.
Nonostante i vetri in alto fossero ricoperti di polvere, la luce del giorno riusciva ad illuminare quanto bastava per vedere l’interno del magazzino. Quando finalmente i muscoli delle gambe si fermarono, toccò agli occhi darsi da fare per scrutare velocemente l’ambiente. Ragnatele. Sporcizia. Ragnatele. Sporcizia. Un topo morto. Sporcizia. Ragnatele.
“Dove siete? Dove siete?”
La sua voce si perse nel respiro affannato. Il timore cominciò a stringergli lo stomaco. Ma poi…
“Ah!” Ecco.
Percorse un altro tratto correndo fino a raggiungere qualcosa gettato a terra. S’inginocchiò, spostò prontamente il vecchio cavalletto che aveva una delle gambe spezzate, e s’impossessò della tela che vi era al di sotto. Il retro era ricoperto di polvere, essendo a faccia in giù, ma fortunatamente la parte frontale era in ottime condizioni. Avendo le mani tremanti, posò la tela contro i resti del cavalletto.
“Akutagawaaaaa!!” Gridò, avendo incredibilmente ritrovato il fiato.
Pochi istanti e udì dei passi affrettati rimbombare all’interno del magazzino.
“L’hai trovata?”
Akutagawa arrivò al suo fianco prima di ottenere una risposta. Il suo sguardo si posò sull’immagine dipinta sulla tela.
“Come facciamo a tirarli fuori da lì?”
Cosa? Akutagawa volse lo sguardo su Atsushi e vide i suoi occhi spalancati e il suo sguardo tremante.
“Lo sai che non è possibile.”
Atsushi sentì una scossa attraversargli la testa. Scattò in piedi all’istante e gli gridò contro: “Non è vero! Deve esserci un modo! Adesso che li abbiamo trovati dobbiamo aiutarli! Non possiamo lasciali lì! Non-” Un singhiozzo gli spezzò la voce, le lacrime presero a scorrere dai suoi occhi.
“Non…Non…”
Sentendosi improvvisamente privo di forze, ricercò il sostegno di Akutagawa, si appoggiò a lui, posò il capo sulla sua spalla.
“Non possiamo lasciarli lì…” La voce camuffata dal pianto.
Akutagawa, preso alla sprovvista per quella reazione inaspettata, sulle prime non seppe cosa fare. Dopo la scomparsa di Dazai e Chuuya, avevano smosso mari e monti per sapere che fine avessero fatto. Avevano perso il conto delle settimane e delle notti insonni che avevano trascorso alla disperata ricerca di notizie. Mettendo assieme tutti gli elementi di cui erano in possesso, avevano chiesto l’aiuto di Ranpo e ne era risultato che Dazai e Chuuya, secondo lui, erano rimasti intrappolati dentro una tela magica per loro volontà. Atsushi aveva gridato che era un’idea assurda, ma c’erano le prove che Dazai aveva fatto ricerche a riguardo per un lungo periodo, esattamente come era risaputo che lui e Chuuya erano legati sentimentalmente. Nonostante ogni tassello fosse al posto giusto, e sapendo che per loro non c’era più niente da fare, avevano continuato a cercarli. Alla fine, dopo interminabili interrogatori, avevano trovato qualcosa. O meglio, qualcuno. Un ragazzo adolescente che saltava la scuola per divertirsi con gli amici in posti dove nessuno potesse disturbarli. E un magazzino abbandonato era meglio di un hotel di lusso, per simili scemi! E così Atsushi si era dato alla corsa, ovviamente seguito da Akutagawa, infischiandosene dei richiami degli altri colleghi all’Agenzia. Ma adesso cosa significava questa reazione? Non era contento di aver trovato la tela?
Non sapendo bene come comportarsi, Akutagawa pensò di dargli conforto avvolgendolo in un abbraccio, mentre Atsushi piangeva a dirotto sulla sua spalla.
Cos’altro poteva fare?
“Tu…ehm…sapevi che una volta trovata la tela non avremmo potuto fare niente.”
Atsushi sollevò il capo, il viso arrossato dal pianto incessante: “Deve esserci un modo! Adesso che abbiamo trovato questa maledetta tela, non possiamo lasciarli lì a morire!”
Non capiva. Davvero non capiva. Chi aveva parlato di morte? Era al suo fianco mentre leggevano insieme le ricerche effettuate da Dazai sul suo computer. E allora perché era così disperato? Forse era il caso di spiegarglielo…in modo gentile?
“Atsushi. Guarda il dipinto.”
Lui gli lanciò uno sguardo interrogativo, ma subito dopo si passò il dorso della mano sugli occhi e si voltò a guardare.
“Il loro amore traspare chiaramente. Riesci a vederlo? I loro sguardi innamorati, i loro sorrisi, il modo in cui la mano di Dazai accarezza il volto di Chuuya. L’ambiente stesso rispecchia la serenità tramite i colori chiari che rispecchiano quelli della natura. E poi…” Ridacchiò: “Dazai indossa solo i pantaloni con la patta aperta e Chuuya solo la camicia sbottonata. Il resto dei loro abiti è gettato a terra alla rinfusa!”
Sì, queste cose le vedeva anche lui. Erano dipinte con cura nel minimo dettaglio. Il problema era un altro.
“Ma se restano rinchiusi lì, non potremo più parlare con loro. Di fatto è come se fossero morti. Non voglio che finisca così.” I suoi occhi si gonfiarono nuovamente di lacrime.
Akutagawa accennò un sorriso: “Non sono morti. Hanno trovato la felicità.” Avvicinò il viso al suo fino ad essere fronte contro fronte, quindi sussurrò: “Anche noi dobbiamo trovare la nostra.”
Atsushi finalmente era in grado di capire. Fino a quel momento aveva lasciato che fosse la disperazione a guidarlo e non aveva permesso al cuore di intervenire. Adesso invece lo sentiva. Lo sentiva battere, esattamente come quello di Akutagawa. E poi sentiva le sue braccia avvolgerlo, dandogli un senso di protezione. E poi sentiva il calore del suo respiro contro viso. E poi vedeva i suoi occhi neri guardarlo intensamente. Era questo ciò a cui anelava Dazai, tanto da spingerlo a fuggire dal mondo assieme alla persona amata? Era disperato a tal punto?
La voce gli uscì in un sussurro nel confessare: “Io non voglio ricorrere alla fuga per trovare la felicità con te.”
Akutagawa accennò un altro sorriso. “No. Noi non ne abbiamo bisogno!”
Chiusero gli occhi ed unirono le labbra in un dolce bacio, suggellando la promessa che era nascosta nelle parole che avevano pronunciato. Era quella la verità. Non avrebbero permesso a niente e nessuno di separarli o di interferire nel loro amore. Non avrebbero permesso che accadesse a loro ciò che era accaduto a Dazai e Chuuya.
Quando le labbra si separarono, i loro volti rimasero vicini, i loro corpi abbracciati, come a timore di separarsi.
“Che cosa ne faremo del quadro?” Chiese Atsushi.
Akutagawa volse lo sguardo sul bel dipinto e disse semplicemente: “Lo portiamo con noi. Sarà d’aiuto a ravvivare il nostro misero appartamento!”
“E se qualcuno ci chiede informazioni? Per esempio su chi sia l’artista?”
“In quel caso… Diremo che l’autore è sconosciuto. Per il titolo invece ho un’idea.”
Atsushi chiese con un pizzico di curiosità: “Mh? E come vuoi chiamarlo?”
 
 
- Gli amanti nella stanza giapponese -
  
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