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Autore: Fuuma    04/08/2009    1 recensioni
[The 10th Kingdom]
Ha letto di tanti lupi nelle favole ed alla fine ha tratto le sue conclusioni: i Lupi non sono esseri cattivi, sono solo tremendamente stupidi!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Characters of the same fairytale

Serie: The 10th Kingdom

Rating: PG

Character: Virginia Lewis, Wolf

Pairing: //

Prompt: Indaco

Conteggio parole: 777

Note: In italia la mini-serie è stata trasmessa (una sola volta, maledetti >_>) con il titolo de Il magico regno delle favole, ma per il resto i personaggi non cambiano e la vicenda neppure v_v.

Disclaimers: I personaggi di 10th Kingdom appartengono agli aventi diritto.

Scritta per la Rainbow Challenge@FW.it


.Characters of the same fairytale.

La sua infanzia non era stata tra le più rosee, ma non se ne era mai lamentata.

Sua madre se ne era andata senza dire una parola che fosse pronunciata a voce o scritta per sbaglio su un qualche scontrino della spesa; non aveva provato neppure ad accampare una vaga ridicola scusa che lei avrebbe potuto, una volta divenuta adulta, distorcere e tramutare in un drammatico addio.

Era cresciuta da sola con suo padre, un uomo che, senza sua figlia, sarebbe stato sicuramente perso.

Alcuni week-end, quando i pianeti si allineavano o quando suo padre sentiva di poter sopportare l’idea che la propria bambina venisse corrotta da quell’insopportabile mummia, dormiva dalla nonna, una vecchietta bizzarra con un cagnolino fastidioso con la puzza sotto al naso. Un ottimo esempio di come i cani somiglino quasi sempre ai loro padroni.

Nei giorni passati insieme in un appartamento che profumava di tutte le possibili essenze floreali, sua nonna aveva la pessima abitudine di raccontargli la stessa fiaba tutte le sere.

Lo faceva perché era l’unica storia che conoscesse, non era mai stata un’ammiratrice dei fratelli Grimm, perfino i film di animazione della Disney, con i loro Bambi e i loro Dumbo, finivano tutti inevitabilmente nella sua lista nera, sotto il titolo “Cose che non ti portano da nessuna parte”.

Un poco alla volta, sera dopo sera, Virginia era arrivata a provare un astio forzato per quella fiaba in particolare: I tre porcellini.

Era solo una bambina, ma già allora aveva sviluppato un livello di testardaggine tale da permetterle di impuntarsi sull’idea che un lupo che soffia contro delle case per mangiarsi dei maiali era oltremodo stupido. La storia in sé era stupida, i protagonisti erano stupidi e, cosa più importante, il lupo cattivo era tra gli antagonisti più idioti che un autore avesse mai potuto sviluppare. A stento riusciva ad immaginarselo imbacuccato nella sua giacca color indaco, con la coda arruffata che spuntava dai pantaloni, tenuti su con un paio di bretelle, ed il suo ghigno scaltro stampato sul muso. Doveva chiudere gli occhi per sentirne la voce profonda, vagamente impudente, mentre si rivolgeva ai tre porcellini, prima di iniziare a soffiare e soffiare.

Con un sospiro profondo, Virginia scuoteva il capo e si rintanava nel suo lettino, sicura più che mai che non sarebbe esistito lupo alcuno -con o senza giacca color indaco- in grado di far crollare la sua di casa o, peggio, le sue convinzioni.

 

Suo padre era un lupo.

Nulla di strano dato che lui lo era per metà.

Era cresciuto scappando dagli esseri umani, da bravo reietto della società, terrorizzato dalla gente che, a sua volta, era terrorizzata dalla sua natura.

Con il passare del tempo, con il trascorrere degli anni, se n’era fatto una ragione. Aveva iniziato a nascondere la coda –quel ridicolo piumino peloso di cui lui, comunque, non riusciva a non andarne fiero- al di sotto dei vestiti e ad evitare di spiattellare al vicinato le sue origini. Certo, sua madre, per quanto fosse stata una santa donna, avrebbe anche potuto evitare di chiamare il proprio figlio col nome di Wolf, ma non era mai stata tra le donne più sveglie del Quarto Regno e la nonna materna era la prima a sostenerlo: “Rosemary, io ormai non so più dove tu lo abbia messo il cervello da quando ti sei invaghita di quello sfaticato di un lupo!”

Un po’ alla volta, senza neppure rendersene conto, aveva iniziato a somigliare a suo padre più di quanto fosse necessario. Così si ritrovò sbattuto nella Prigione in Memoria di Biancaneve, per aver rubato un paio di maledette pecore ed averle squartate-trattino-divorate senza alcuna pietà.

Lo privarono di tutto: libertà, conigli da cacciare a qualsiasi ora, un pasto decente sostituito da una brodaglia che sapeva di fango e fagioli. Gli portarono via perfino la sua giacca preferita, unica eredità lasciata dal nonno, di un colore che non era blu e neppure viola. Era indaco, come il cielo durante il tramonto, quando la luna piena si affacciava sull’immensità dei nove regni, per prendere il posto del sole. Huff-puff, che colore sublime!

Tra un borbottio e l’altro, Wolf camminava su e giù per i pochi metri della sua umida cella, architettando assurdi modi per sfuggire; un giorno avrebbe avuto abbastanza fiato da sbattere giù i muri di qualsiasi prigione con un sol soffio e rendere fiero il suo defunto nonno.

 

C’era una volta un lupo cattivo ed una giovane donna.

Ignoravano entrambi l’esistenza l’uno dell’altra, portando avanti le loro vite in mondi che si sfioravano appena, senza mai entrare in contatto.

Finché un giorno le loro storie si incrociarono e i loro volti si rifletterono nello stesso Specchio.


.THE END.

   
 
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