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Autore: Yuphie_96    04/02/2020    4 recensioni
~ Seguito di 'Non Senti la Mancanza?' ~
Tratto dalla Storia:
All’aeroporto – due giorni più tardi – si erano salutati con il sorriso, Genzo era ritornato in Germania tranquillo e credeva che anche Tsubasa stesse bene, almeno quella era stata la sua impressione dopo l’ultimo bacio di saluto che si erano scambiati, ma così evidentemente non era.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Koudai Ohzora/Michael Atton, Natsuko Ohzora/Maggie Atton, Roberto Hongo, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC | Avvertimenti: Mpreg
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Angolino della Robh: Buonasera a tutte dolci fanciulle amanti del calcio! O meglio, amanti dei giocatori che giocano a calcio xD.
Son tornata pure questo mese con questa shottina (che poi tanto -ina non è) che sarebbe il seguito della shot rossa omegaverse con cui ho fatto la mia comparsa su questo fandom, consiglio prima di leggere questa sennò non ci capireste nulla poi >.<.
Dunque, parliamo un attimo della storia... dal titolo credo che capiate subito cosa succede alla fine xD io comunque non ve lo dico per mantenere una parvenza di mistero (?), spero però che possa piacervi, è ambientata due anni dopo il mondiale under 19/under 20 (non ho ancora capito bene quale sia, mea culpa, nell'altra avevo scritto under 20 ma non sono più così sicura) quindi Tsubasa gioca già nella squadra A del Barcellona, Genzo è bello bellino all'Amburgo, stanno felicemente insieme e... e per 'scoprire' altro dovete leggere, io vi dico solo che in certi momenti non potevo fare a meno di ridere nonostante il contesto che scrivevo, se volete vi dirò il perchè nelle risposte ai commenti xD.
Spero di non essere caduta troppo nell'OOC, come sempre, e adesso vi lascio una piccola introduzione al mondo omegaverse, mi dispiace non averlo fatto nella shot precedente ma non credevo fosse così sconosciuto in questo fandom, colpa mia, mi dispiace >.<.
Nel mondo omegaverse gli umani hanno un secondo genere diverso da quello femminile e maschile, si dividono in tre classi:
Alpha: coloro che dominano e che sono un gradino sopra nella società, sono circa metà della popolazione e possono avere relazioni sia con gli omega che con i beta, hanno uno spiccato senso olfattivo, possono andare anche loro in calore come gli omega ma nel loro caso il calore si chiama 'rhut'.
Beta: coloro che stanno nel mezzo diciamo, non subiscono particolari cambiamenti e anche loro, come gli alpha, sono circa metà della popolazione, di solito non percepiscono l'odore degli omega ma io nella precedente shot ho fatto sì che l'odore di Tsubasa fosse così forte da farlo percepire anche ai beta tipo Taro e Ishizaki, di solito i beta disprezzano gli omega ma ho cambiato anche questo fattore perchè Taro che disprezza Tsubasa... sarebbe fuori dal normale o.o.
Omega: coloro che 'subiscono', sono quelli più vulnerabili e indifesi e ricoprono la minoranza nella popolazione, spesso non hanno gli stessi diritti civili che possono avere gli alpha e i beta e soprattutto vengono trattati male, io nella mia shot ho voluto cambiare leggermente questi due fattori, vanno in calore ogni circa tre mesi e durante di esso rilasciano un odore (di solito già dolce e più marcato di suo) molto forte e inebriante, che fa uscire di testa gli alpha nelle vicinanze. Per tentare di dissimulare questo odore, spesso gli omega prendono dei soppressori, specialmente durante il calore.
Legame: si forma quando un alpha morde un omega (di solito il morso avviene sul retro del collo), lo reclama come 'suo' e l'odore dell'alpha si mischia a quello dell'omega, in questo modo tutti capiscono che l'omega in questione ormai è 'occupato'.
Spero che questa piccola spiegazione vi abbia aiutato >.< detto questo, buona lettura <3.

Ps: come avete ormai capito, vi chiedo i soliti minuti di silenzio per la pazienza della mia migliore amica <3 in questi giorni l'ho stremata povera, se li merita tutti <3 ti voglio tanto bene Serè <3




“Ti ha dato dei giorni di riposo?” 
Chiese Genzo, sgranando gli occhi, smettendo immediatamente di fasciarsi le dita delle mani per poter prendere il telefono fino a quel momento tenuto in pericoloso bilico tra la spalla e l’orecchio.
Quello che aveva appena sentito era molto più importante dei tagli che si era procurato durante gli allenamenti.
“Già…”
Gli rispose la voce mogia e stanca di Tsubasa, dall’altro capo del telefono.
Si erano incontrati quasi un mese prima per passare insieme il calore – come sempre facevano ormai da due anni -, sotto il sole caldo di Barcellona, e ne avevano approfittato anche per festeggiare insieme il compleanno dell’omega.
Ricordava – Genzo – quella giornata, il calore era appena finito e aveva potuto portare Tsubasa in spiaggia senza alcun problema, la maggior parte del tempo l’avevano trascorsa in acqua a schizzarsi come se fossero ancora bambini ed erano rimasti lì fino a sera, anche dopo che tutti gli altri avevano iniziato ad andarsene, avevano cenato con i panini e la frutta avanzata dai tre giorni precedenti e alla fine Wakabayashi aveva sorpreso il compagno con il suo regalo: una fedina argentata dentro il bicchiere di champagne che aveva portato apposta in spiaggia per l’occasione.
Il centrocampista gli era saltato in braccio all’istante e, una volta tornati al suo appartamento, avevano fatto l’amore – mai stanchi di farlo, nonostante i tre giorni passati – non lasciandosi andare le mani dove le due fedine gemelle luccicavano.
All’aeroporto – due giorni più tardi – si erano salutati con il sorriso, Genzo era ritornato in Germania tranquillo e credeva che anche Tsubasa stesse bene, almeno quella era stata la sua impressione dopo l’ultimo bacio di saluto che si erano scambiati, ma così evidentemente non era.
Dopo una settimana circa che il compagno era partito, Ozora aveva iniziato a sentirsi strano, non ci aveva dato importanza al principio perché preso dagli allenamenti, ma più i giorni passavano più quella stranezza fu notata anche dagli altri all’esterno, e alla fine il mister – preoccupato per le condizioni del suo giocatore – era arrivato a decidere di lasciarlo a riposo per alcuni giorni.
“Questa cosa non mi piace, prenoto immediatamente il volo e tra due ore sono da te!”
Urlò il portiere, correndo ad accendere il computer, aveva cercato di non preoccuparsi troppo come lo aveva pregato Tsubasa, ma se il suo mister aveva addirittura deciso di dargli dei giorni di riposo allora la situazione era diventata grave.
“Non è necessario Genzo... a dire il vero pensavo di approfittarne per tornare a casa per un po’…”
“Vengo con te allora, e una volta a Nankatsu ti porto subito a fare degli esami”
“Veramente io vorrei solo stare tranquillo”
“Ma-!”
“Ti prego… non ho voglia di litigare, ho mal di testa…”
“… Va bene”
Sospirò Wakabayashi, passandosi la mano libera nei capelli frustrato dalla situazione.
Alla fine prenotarono i loro voli e si misero d’accordo per aspettarsi all’aeroporto, dandosi poi la buonanotte, anche se Genzo era sicuro che – quella notte – l’avrebbe passata in bianco.
Così, infatti, era stato, e neanche durante il lungo viaggio di 11 ore era riuscito a recuperare un po’ di sonno, troppa era la preoccupazione per il suo omega, finché non l’avrebbe avuto davanti agli occhi e avesse constatato che davvero la cosa non era grave - come insisteva a dire Tsubasa – l’ansia gli sarebbe rimasta appiccicata addosso.
I minuti peggiori furono quelli che compresero la scesa dall’aereo e il ritiro del bagaglio, il compagno era così vicino ma sembrava che tutti stessero facendo qualcosa per ritardare il loro incontro, così si mise a correre – Genzo – una volta recuperato il bagaglio e si bloccò solo quando individuò Ozora tra la folla che stava aspettando gli arrivi.
Sospirò di sollievo – il viso del centrocampista non sembrava troppo sciupato – e alzò il braccio per farsi individuare.
“Tsuba-!”
Il fiato gli si mozzò nel petto, quando notò la persona che si stava girando verso di lui insieme al compagno.
Perché non si era accorto prima della sua presenza?!
“… -sa…”
Bisbigliò, mentre gli occhi azzurri di Roberto Hongo lo fulminarono.

Genzo Wakabayashi non piaceva a Roberto Hongo, anzi, era meglio dire che l’ex campione brasiliano odiava il portiere giapponese, non tanto da augurargli qualcosa di male, ma abbastanza da non poter sopportare la sua presenza.
Quella potente antipatia durava, ormai, da due anni, ed era iniziata durante l’ultimo mondiale, precisamente dal giorno in cui Genzo e Tsubasa tornarono agli allenamenti, dopo il calore di quest’ultimo, tutti avevano visto il segno del morso dietro il collo del centrocampista, tutti avevano percepito il cambiamento nel suo odore – adesso mischiato in parte a quello dell’alpha – e tutti ne avevano iniziato a parlare, la notizia era passata di squadra in squadra e così era giunta anche a quella brasiliana che allenava proprio Roberto.
L’ex campione – anch’esso un alpha, proprio come il portiere – era andato su tutte le furie, un po’ perché teneva all’omega come se fosse suo figlio, un po’ perché quello era decisamente il tempo sbagliato e lo aveva fatto notare anche al suo allievo quando si erano incontrati, una settimana dopo, Tsubasa non aveva capito cosa intendesse dire e così Roberto lo aveva preso e trascinato direttamente via, portandolo non si sa dove.
A quell’azione Genzo si era arrabbiato a sua volta e aveva tentato di seguirli, ma fu immediatamente fermato dal mister che gli intimò di aspettare, così fece e per ben tre ore, stava per perdere la pazienza e andare a cercarli ma i due ricomparvero proprio in quel momento e il portiere rimase interdetto nel vedere del forte imbarazzo aleggiare sul volto del compagno.
Tsubasa aveva capito cosa volesse dire Roberto, e il brasiliano lo fece capire anche a Wakabayashi con una sola frase.
“Siete fortunati che non sia rimasto incinto!”

Genzo, ai tempi, rimase spiazzato da quell’uscita ma subito dopo fu costretto a dargli ragione, lui e Tsubasa erano stati insieme per tre giorni interi senza prendere nessuna precauzione – preso dall’euforia di avere finalmente Ozora, il portiere non ci aveva proprio pensato -, l’omega avrebbe potuto rimanere gravido e le conseguenze sarebbero state molte, prima tra tutte il suo ritiro dal mondiale.
Nel corso dei due anni seguenti si erano sempre premurati di avere abbastanza precauzioni, così che Tsubasa non avesse nessun problema, ma l’antipatia di Roberto – che si era visto portare via all’improvviso il suo pulcino – era rimasta, se non aumentata.
Il portiere cercò di non pensarci in quel momento, concentrandosi solo su Tsubasa, finalmente davanti ai suoi occhi.
“Come ti senti?”
Gli chiese, accarezzandogli una guancia.
“Stanco”
Gli mormorò il centrocampista, sorridendogli piano e godendosi il contatto.
Genzo avrebbe preferito stringerlo forte contro di sé e inspirare il suo dolce profumo di vaniglia, ma quegli occhi azzurri – taglienti – che analizzavano ogni sua mossa lo fecero desistere, anche se non troppo, un bacio sulla fronte glielo diede lo stesso, nonostante lo sbuffo innervosito di Roberto che ne seguì.
“Salve”
Disse poi Wakabayashi, salutando il brasiliano.
“Me lo sono ritrovato davanti alla porta dopo che gli ho detto dei giorni di riposo, ha insistito nell’accompagnarmi”
Spiegò Tsubasa, mentre il mentore salutava con un freddo cenno del capo.
“La ringrazio per l’accortezza allora, le sono davvero gra-“
“Non l’ho fatto per te, l’ho fatto per lui, non era in condizione di viaggiare da solo”
Spiegò seccamente Roberto, girandosi subito dopo e iniziando ad allontanarsi.
“… Mi dispiace…”
Gli bisbigliò Ozora.
Stavolta fu Genzo a sorridergli, aggiungendoci un occhiolino, lo baciò poi delicatamente, approfittando di non aver più gli occhi di nessuno puntati addosso, e dopo quel bacio anche Tsubasa tornò a sorridere.
“Il volo?”
Domandò Wakabayashi mentre iniziavano anche loro ad incamminarsi nella direzione presa dal brasiliano, tenne stretto a sé l’omega per il fianco e anche quello ne approfittò per poggiargli la testa sulla spalla.
“Mi è sembrato più lungo del solito”
“Davvero non preferisci prima andare all’ospedale?”
“Ho solo bisogno di riposarmi un po’, vedrai che tra qualche giorno starò meglio”
“Come vuoi”
Sospirò Genzo, dandogliela vinta anche se non convinto.
Raggiunsero Roberto – che fece una smorfia non propriamente contenta quando vide la loro posa – e camminarono tranquilli fino a quasi l’uscita, poco prima di questa Tsubasa si bloccò, notando un negozio alla sua destra.
“Cosa c’è?”
Domandò curioso il portiere, fermatosi insieme al compagno.
“Mi potreste aspettare qui qualche minuto? Vorrei prendere qualcosa da mangiare”
“Hai ancora fame?”
S’intromise Roberto – che era tornato indietro quando si era accorto di star avanzando da solo -, guardando l’allievo sorpreso.
“Hai già mangiato sull’aereo e ti sei preso anche la mia porzione”
Continuò il brasiliano accigliandosi e facendo sgranare gli occhi di sorpresa al portiere, Ozora non era mai stato uno che esagerava con il cibo, mangiava sempre il giusto, sia da piccolo quando abitava ancora con la madre, sia da grande quando aveva iniziato a seguire una dieta giusta per il suo sforzo fisico in campo, da cosa deriva – quindi – quella fame improvvisa?
Era per questo che voleva portarlo a fare degli esami.
Pensò Wakabayashi, mentre vedeva Tsubasa arrossire e alzare le spalle.
“Ho fame…”
Si giustificò semplicemente l’omega.
“Ti aspettiamo qui”
Gli disse Genzo, dandogli un bacio sulla tempia prima di lasciarlo andare, si girò poi per poter parlare con l’altro alpha – per chiedergli altre informazioni – ma quello aveva seguito senza esitazione l’allievo, ignorando del tutto la sua presenza.
“… Va bene”
Bisbigliò il portiere, calandosi meglio il cappellino in testa, decidendo che era meglio aspettarli lì.
Quel piccolo dispetto fu – però - presto messo nel dimenticatoio, davanti alla nuova stranezza che Tsubasa manifestò durante il viaggio in treno verso Nankatsu: pochi minuti dopo che il mezzo lasciò la stazione, il centrocampista cadde in un profondo sonno che durò per tutto il viaggio, e da cui i due alpha fecero fatica a tirarlo fuori, una volta arrivati a destinazione.
“Sicuro di aver riposato bene in questi giorni?”
Gli domandò Wakabayashi, analizzandogli per bene il volto – per notare segni di un’eventuale stanchezza o insonnia - mentre erano fuori dalla stazione ad aspettare Roberto che si era allontanato, dicendo loro che andava incontro a chi li avrebbe portati a casa Ozora.
“Uhm…”
Annuì Tsubasa, stropicciandosi un occhio, ancora assonnato.
“Ascolta, anche per niente, io credo davvero che tu debba farti ve-“
“Tsubasa!”
Urlò una voce nuova, interrompendolo.
I due si girarono verso il proprietario di essa e, una volta scoperto chi fosse, il calciatore dimenticò immediatamente il sonno per corrergli incontro.
“Papà!”
Urlò a sua volta, abbracciando l’uomo che lo strinse forte di rimando, accarezzandogli i capelli.
“Credevo fossi ancora per mare”
“Roberto mi ha avvisato della situazione e che tornavi a casa, ero troppo preoccupato per poter stare ancora via”
“Stupendo”
Bisbigliò Genzo, sistemandosi nuovamente il cappellino – come sempre faceva quando era nervoso –, di fronte al nuovo dispetto fattogli dal brasiliano.
Perché considerava un dispetto nei suoi confronti il fatto di aver avvertito il capitano Ozora?
Perché anche il capitano, esattamente come Roberto, mal sopportava Wakabayashi.

Erano andati a far visita ai genitori dell’omega non appena era finito il mondiale per poterli avvisare del legame, ma i due erano già stati avvertiti prima da Roberto – che si era sentito in dovere di farlo perché, nonostante allenasse il Brasile, aveva ancora Tsubasa sotto la sua responsabilità – e il capitano non era rimasto per niente contento, esattamente come il brasiliano.
Quando si erano seduti intorno al tavolo per poter parlare insieme, Kodai non aveva perso tempo e, guardando prima il figlio, gli ripeté la stessa frase che gli aveva rivolto il suo mentore.
“Sei fortunato a non essere rimasto incinto”
Si era poi rivolto al compagno e gli aveva posto una domanda dura e secca.
“Cosa ne sarebbe stato del sogno di Tsubasa, se fosse rimasto gravido?”
Genzo era rimasto senza parole, non era successo quindi non ci aveva pensato, ma non era una risposta che poteva dare in quel momento.
“Ci saremmo organizzati”
Rispose il centrocampista al posto suo, ma quella frase non piacque al padre, che indurì lo sguardo rivolto al portiere.
Senza altri giri di parole, Kodai Ozora gli confessò che non gli piaceva e che non aveva mai visto di buon occhio il suo comportamento nei confronti del figlio, da quando questi aveva scoperto il suo secondo genere, non approvava il loro legame e non lo vedeva all’altezza del figlio, queste parole fecero molto male a Wakabayashi e – soprattutto – accesero la rabbia di Tsubasa che prese immediatamente le difese del proprio alpha, iniziando a litigare con il padre che non voleva sentire ragione, non avrebbe cambiato le sue idee.
Tutto questo si svolgeva sotto lo sguardo di Natsuko – l’unica che non aveva aperto bocca – che si alzò, in tutta tranquillità, e invitò Genzo in cucina con lei dove iniziò a preparare il thè, Wakabayashi titubò nel seguirla – non voleva lasciare il compagno da solo proprio in quel momento – e una volta in cucina non riuscì a dirle molto se non che amava davvero Tsubasa con tutto se stesso, con sua sorpresa Natsuko rispose che lo sapeva bene e che sapeva bene che il figlio lo ricambiava con altrettanto amore, ridendo gli raccontò come Tsubasa lo cercasse e lo nominasse durante il suo primo calore, facendo impazzire di gelosia il padre che – poverino – gli era stato accanto in tutti e tre i giorni, poi lo guardò dritto negli occhi gli chiese di prometterle di portare pazienza, Kodai non era davvero contrario, era solo tremendamente geloso del figlio essendo stato spesso lontano da lui.

Genzo glielo aveva promesso, due anni dopo ancora non si pentiva di averlo fatto… però il capitano sapeva bene come metterlo alla prova, e lo testimoniava il fatto che si ritrovava a dormire sul divano.
Quando erano arrivati a casa Ozora, Wakabayashi aveva provato ad accennare al fatto che lui e il centrocampista potevano stare nella sua vecchia casa, siccome in quella non c’era molto spazio, ma era stato amaramente ripreso ( “Tsubasa starà con la sua famiglia!” ) e infine – la sera – ‘punito’ ovvero messo a dormire sul divano, non che ci fosse un’altra opzione possibile: Tsubasa nella sua stanza aveva ancora il suo vecchio materasso singolo di quando era bambino, e la camera degli ospiti era stata occupata da Roberto perché ormai era diventata la sua, visto che era praticamente uno di famiglia in quella casa.
“Dovrei esserlo anch’io”
Borbottò Genzo guardando i piedi che uscivano dal divano e mettendo il broncio, aveva promesso a Natsuko che avrebbe portato pazienza, non che non si sarebbe lamentato con se stesso, una volta rimasto solo.
Così, però, non era.
“Parli da solo adesso?”
Gli chiese Tsubasa ridacchiando, mentre lo raggiungeva con passi lenti.
“Che ci fai qui?”
Gli domandò il portiere mentre, con attenzione, il centrocampista si sdraiava sopra di lui e poggiava la testa sul suo petto.
“Sono venuto a vedere come stavi, papà e Roberto ti hanno tartassato per tutto il giorno”
“Non è stato tutto il giorno, tua madre li ha trascinati fuori per fare la spesa e ho potuto sistemare i vestiti in tutta tranquillità”
Scherzò Wakabayashi, accarezzandogli la schiena con una mano e spostandogli i capelli dalla fronte con l’altra.
“Spero che abbia fatto loro una bella ramanzina”
Bisbigliò il calciatore, chiudendo gli occhi per godersi quelle carezze calde e gentili.
“Ammetto che mi sarebbe piaciuto assistere”
Ridacchiò l’alpha, non ricevendo però più nessuna risposta.
Abbassò lo sguardo e trovò il fidanzato addormentato, accoccolato su di lui con le gote leggermente arrossate, Genzo sospirò alzandosi un poco per lasciargli un bacio sulla fronte, quella storia gli piaceva sempre meno, dopo aver finito di sistemare i bagagli Tsubasa si era sdraiato sul letto mormorando che si sentiva stanco e si addormentato poco dopo, svegliandosi a fatica solo all’ora di cena dove mangiò più del solito, facendo accigliare nuovamente Roberto e in aggiunta Natsuko, adesso si era ancora addormentato all’improvviso.
Doveva andare a fare dei controlli.
Wakabayashi aveva provato a tirare fuori l’argomento anche durante il viaggio in macchina, Kodai gli aveva risposto freddamente che sarebbe stato solo Tsubasa a decidere cosa fare, ma sapeva che aveva detto così solo per rispondergli male e che anche lui era parecchio preoccupato per il figlio, lo aveva visto – Genzo – lanciargli parecchie occhiate ansiose, solo il diretto interessato – da gran testone qual era - sembrava non voler prendere sul serio tutte quelle stranezze che gli stavano capitando, continuando ad affermare che nei giorni seguenti sarebbe stato meglio.
Una piccola parte di lui pregò che avesse ragione, pensò mentre lo prendeva in braccio per riportarlo in camera sua.

Preghiera che si rivelò, giorno dopo giorno, sempre più vana: Tsubasa si addormentava ad ogni occasione e posto possibili, facendo poi fatica a svegliarsi, mangiava più spesso del solito, lamentava una stanchezza anormale visto tutto il tempo che passava a riposarsi e che lo portava a non concentrarsi e a rifiutare gli allenamenti che gli proponeva ogni giorno Roberto, nonostante questi insisteva ogni giorno proponendogli nuovi tiri da provare insieme, facendo rimanere a bocca aperta – dalla sorpresa e dalla preoccupazione - il brasiliano che non aveva mai visto il proprio allievo rifiutare un allenamento con lui, per quanto duro fosse, il centrocampista amava il calcio alla follia, se smetteva di praticarlo così all’improvviso allora la cosa era diventata parecchio grave.
Genzo stava cercando di farglielo notare in ogni modo possibile, ma ogni volta che parlava con l’omega, il padre di questi interveniva prendendo al volo l’occasione per poter andare contro il portiere e difendere il diritto di scegliere del figlio, nonostante Kodai stesso stesse morendo dalla preoccupazione insieme a Roberto, Wakabayashi iniziava a mal sopportare quella situazione – dove non poteva neanche aprire bocca che veniva immediatamente zittito dagli altri due alpha in casa -, ma aveva fatto una promessa alla signora Natsuko e aveva tutta l’intenzione di mantenerla fino a quando finalmente non sarebbe stato accettato.
Stranamente, però, mentre i tre alpha si stavano immaginando il peggio, la donna di casa invece era tranquilla e assecondava il centrocampista in tutte quelle stranezze senza darci peso, come se fosse tutto normale, il portiere pensava lo facesse solo per tranquillizzare Tsubasa ma di certo così non lo aiutava, il calciatore doveva capire che non poteva più rimandare e fare finalmente quei benedetti esami per scoprire cosa gli stava succedendo.

Ebbe – il portiere – finalmente modo di parlare con il suo compagno in tutta tranquillità un pomeriggio nel quale Tsubasa accettò di andare con lui al loro vecchio campo da calcio, dove riuscì anche a farlo allenare un po’, certo non fece nessuna delle sue meravigliose e atletiche rovesciate ma quel poco che fece fu comunque meglio di niente.
“Allora, non ti mancava questa sensazione?”
Chiese Genzo osservando il compagno piegarsi sulle ginocchia per riprendere fiato.
“Sì… in effetti, sì”
Rispose Tsubasa rimettendosi dritto e inspirando profondamente, guardando il cielo.
Era da una settimana che se ne stava chiuso in casa – non contando le poche uscite fatte per andare a salutare i loro amici -, quell’allenamento era quello che gli serviva per risvegliare un po’ i muscoli, doveva approfittarne quel pomeriggio che non percepiva la – ormai – solita stanchezza, iniziò a correre per il perimetro del campo, seguito ovviamente da Wakabayashi che prese la cosiddetta palla al balzo per potergli parlare.
“Ascolta Tsubasa, ormai è passata una settimana e- TSUBASA!”
Urlò il portiere vedendo il compagno – che era qualche passo davanti a lui – cadere all’improvviso sulle ginocchia e iniziare prima a tossire e poi a rimettere il pranzo di quel giorno.
Genzo gli andò subito accanto per tenergli la testa e accarezzargli la schiena scossa da tremiti, passandogli infine un fazzoletto per pulirsi quando finì di liberarsi lo stomaco.
“Adesso basta, ti porto in ospedale!”
“N-no!”
“Sei al limite, non posso ignorarlo, devo portarti a farti vedere!”
“Ti prego, no!... Ti prego…”
“Non chiedermi di ignorarlo Tsu, non posso farlo…”
Gli mormorò poggiando la fronte contro la sua.
“Voglio solo andare a casa”
Bisbigliò Tsubasa con le lacrime agli occhi.
Genzo represse un urlo frustrato e lo prese in braccio, portandolo velocemente a casa come desiderava e una volta varcato l’ingresso attirarono all’istante l’attenzione del capitano – stava tenendo d’occhio la porta per vedere quando sarebbero tornati -, che sgranò gli occhi vedendo il figlio bianco come un lenzuolo e con le lacrime che stavano per iniziare a solcargli il volto.
“Cos’è successo?! Cosa gli hai fatto?!”
Urlò Kodai, avvicinandosi mentre Genzo metteva Tsubasa a terra, il centrocampista barcollò qualche istante e il padre corse in suo soccorso prima che potesse rischiare di cadere.
“Non gli ho fatto niente!”
Urlò a sua volta il portiere, andando a reggere anche lui il fidanzato.
“Mi sono sentito male durante l’allenamento, tutto qui”
“Che cosa?”
Domandò Roberto, accorso insieme a Natsuko dopo aver sentito le urla del capitano.
“Che allenamento avete fatto? Non gli era mai successo prima!”
Chiese il brasiliano.
“Niente di esagerato, abbiamo fatto il riscaldamento, qualche tiro in porta e poi è crollato poco dopo che ha iniziato la corsa”
Spiegò Wakabayashi.
L’ex campione guardò preoccupato il capitano, quello era niente in confronto ai soliti allenamenti a cui si sottoponeva l’omega, Kodai capì quello che silenziosamente gli disse Roberto e gli annuì, rivolgendosi poi al figlio ancora tra le sue braccia.
“Figliolo ascolta, forse dovresti andare davvero in osp-“
“Ha già una visita prenotata per domani”
I quattro sgranarono gli occhi all’unisono davanti all’uscita della signora Ozora, la quale non si curò delle loro facce sorprese – soprattutto quella del marito, che non si capacitava che la moglie gli avesse tenuto nascosto una cosa del genere – ma andò dritta vicino al figlio.
“Vieni tesoro, ti accompagno in camera tua”
Gli disse sorridendogli dolcemente.
Tsubasa le annuì, staccandosi pian piano dal padre e dal compagno per appoggiarsi a lei, insieme s’incamminarono lentamente al piano di sopra, lasciando i tre alpha da soli all’ingresso.
Genzo prese un profondo respiro e fermò gli altri due prima che tornassero in salotto.
“Ascolti, so che quanto sto per chiederle non le piacerà, ma non posso fare a meno di chiederglielo, la prego, stanotte mi conceda il permesso di dormire con Tsubasa, credo… anzi sono certo che abbia bisogno di me“
“Tsubasa starà bene insieme a sua madre, sarà lei a prendersi cura di lui”
“La prego, solo per stanotte!”
“No!”
“Sono il suo alpha!”
Urlò Genzo, a quel punto, mandando la pazienza a farsi benedire.
Aveva sopportato il suo compagno star male, il venir zittito in malo modo e tutte le altre cose in silenzio per una lunga settimana, ma tutti hanno un limite e lui lo aveva appena raggiunto, si rifiutava categoricamente di stare ancora lontano dal suo omega, anche se questo voleva dire andare contro il padre e rompere la promessa fatta alla madre di quest’ultimo.
“Sono il suo compagno e lui ha bisogno di me! Non sarà lei a fermarmi dal stargli vicino!”
Urlò ancora prima di superargli per raggiungere il centrocampista nella sua stanza.
Kodai si girò per fermarlo ma fu bloccato dalla voce del brasiliano che diede, per la prima volta, ragione al portiere.
“Ma-!”
“Lo ha notato anche lei come Tsubasa gli stringeva la maglia, quando gli era ancora in braccio… ha davvero bisogno di lui”
Ammise amaramente il brasiliano, il suo pulcino aveva lasciato definitivamente la sua ala protettiva e aveva spiccato il volo, trovando qualcuno che lo avrebbe amato per tutta la vita e che si sarebbe preso cura di lui – era sicuro che Genzo lo avrebbe fatto, lo aveva osservato per bene durante quella settimana -, era tempo di sotterrare l’ascia di guerra, soprattutto davanti a una situazione del genere.
Kodai sospirò, facendo un pensiero simile, guardando le scale… era davvero difficile da mandare giù.

“Se avete bisogno di qualcosa, venite pure a chiamarmi”
Disse sorridendo Natsuko.
“Va bene”
Rispose Genzo per entrambi e la donna lasciò la stanza – socchiudendo la porta dietro di sé – per scendere in cucina.
“Sicuro di non voler mangiare nulla?”
Domandò Wakabayashi – seduto sul bordo del letto – al calciatore, accarezzandogli i capelli.
“Mi si è chiuso lo stomaco”
Mormorò Ozora, rannicchiato su se stesso.
“E’ una novità in questi giorni”
Cercò di scherzare il portiere, non sortendo nessun effetto sull’altro che continuò a guardare nel vuoto.
Il portiere si chinò su di lui per baciargli la fronte e sussurrargli di fargli un po’ di spazio, Tsubasa si spostò il più possibile verso il muro e, non appena Genzo si sdraiò vicino a lui, gli si strinse forte contro, nascondendo il viso nel suo grande e accogliente petto mentre Wakabayashi riprendeva ad accarezzarlo con dolcezza, stringendolo a sua volta e lasciandogli piccoli e leggeri baci sulla testa.
“Genzo?”
Lo chiamò Tsubasa, dopo qualche minuto.
“Uhm?”
“Mi ameresti anche se non dovessi più riuscire a giocare a calcio?”
“Ti amerei qualunque cosa dovesse succedere”
Calò nuovamente il silenzio tra i due ma Genzo sentì il compagno iniziare a tremare e, poco dopo, la maglia che gli si inumidiva man mano che le lacrime scendevano, finalmente libere, sul viso nascosto di Tsubasa.
“Ho paura Genzo”
Confessò, infine, il calciatore.
Era sempre stata quella – una paura oscura, forte, che gli circondava il cuore tanto da fargli male – a spingerlo a rifiutare gli esami, che cosa avrebbe scoperto poi? Che cosa nascondeva il suo corpo? Era grave? L’avrebbe costretto a lasciare il calcio? Queste domande continuavano a rimbombargli nella mente da giorni e non era ancora pronto a sapere la loro risposta, la paura lo bloccava e lo avvolgeva facendolo perdere in pensieri solamente negativi, che portavano a una conclusione terribile.
“Lo so, lo so… sono qui, sfogati pure amore mio, sono qui con te”
Mormorò Genzo, rafforzando la presa sul compagno mentre il suo pianto aumentava.
Tutto questo fu visto da Roberto – salito per andare a prendere le cena dell’allievo – che decise di lasciarli soli, tornando al piano inferiore dove gli si presentò la stessa scena che aveva lasciato cinque minuti addietro: il capitano Ozora stava implorando la moglie di dirgli, se sapeva, cosa avesse il figlio ma quella continuava a pulire i piatti in tutta tranquillità.
“Natsuko!”
“Ti fidi di me, Kodai?”
Il brasiliano pensò sospirando che sì, lui si fidava della signora Natsuko, ma era difficile farlo quando la paura era così forte dentro i loro cuori.

“Che occhiaie, Tsubasa”
Disse Natsuko al figlio con un sorriso comprensivo, mentre camminavano uno di fianco all’altra verso il dottore dov’era stata prenotata la visita per il centrocampista.
Il calciatore cercò di ricambiare il sorriso ma gli uscì solo una leggera smorfia che mal ci assomigliava, la notte l’aveva passata completamente in bianco stretto nelle braccia protettive di Genzo, che non lo aveva lasciato nemmeno un secondo, rimanendo sveglio insieme a lui per mitigare la paura e l’ansia che attanagliavano l’animo di Tsubasa.
Le parole e i baci – uniti alla sua presenza – del portiere erano riusciti a farlo calmare abbastanza da farlo uscire di casa tranquillo, una volta arrivata l’ora, ma adesso che era nuovamente solo – sua madre aveva insistito che Genzo stesse ad aspettarlo a casa insieme a Kodai e Roberto – i pensieri negativi stavano tornando ad attanagliargli il cuore, rendendoglielo sempre più pesante ad ogni passo che compiva.
“Tsubasa? Tsubasa, tesoro”
Lo richiamò Natsuko, toccandogli il braccio e facendolo sussultare, perso nella sua negatività non aveva fatto caso che sua madre gli stesse ancora parlando.
“Sì?”
“Siamo arrivati”
Annunciò Natsuko con un sorriso che le riempieva tutto il volto, gli occhi leggermente lucidi e le gote arrossate.
Tsubasa si stupì di trovarla in quel modo, non capiva da dove provenisse tutta quella sua emozione… ma poi guardò il nome della struttura dove l’aveva accompagnato, sgranò gli occhi – rileggendo per essere sicuro di non aver sbagliato qualche carattere – e si rigirò all’istante verso di lei.
“Mamma…”
Mormorò mentre l’ansia gli scomparì dal corpo come un soffio nel vento.
“Ti fidi di me, Tsubasa?”
Gli domandò la madre, facendogli la stessa domanda che aveva fatto al marito la sera prima, mentre una lacrima di felicità le rigava la gota.

Genzo sospirò per l’ennesima volta, guardando nuovamente l’orologio appeso all’ingresso per controllare che ore fossero ma erano passati a malapena due miseri minuti dall’ultima volta che aveva controllato, quindi sospirò di nuovo, scompigliandosi leggermente i capelli sulla nuca per tentare di non pensare negativo, doveva mostrarsi forte e non cedere, doveva restare calmo… ma era dannatamente difficile, molto più del resistere all’odore di Tsubasa quando era in calore, molto più di parare un tiro di Schneider o di Hyuga, molto più di sopportare la lontananza che lo separava per la maggior parte del tempo dal suo compagno, quello – aspettare il ritorno di Tsubasa, seduto all’ingresso, con il risultato degli esami – superava tutte le altre cose e lo stava facendo uscire fuori di testa.
Una mano gli si poggiò delicatamente sulla spalla all’improvviso, Wakabayashi si girò sorpreso e trovò il capitano Ozora che gli fece un cenno del capo.
“Restare qui così non serve a nulla, forza, vieni in cucina con noi”
Gli disse piano l’uomo, battendogli una leggera pacca sulla spalla.
“…Va bene”
Sussurrò il portiere, piacevolmente sorpreso da quell’improvvisa novità.
Si alzò e seguì Kodai in cucina, dove trovò Roberto che gli allungò una tazza di thè caldo e che tentò di fargli un sorriso incoraggiante, nonostante fosse preoccupato quanto lui per il suo pulcino.
“Natsuko sa quello che fa, vedrete che andrà tutto bene”
Disse il capitano con falsa sicurezza, sedendosi al tavolo, gli altri due capirono all’istante che stava cercando di autoconvincersi dicendo quelle parole ad alta voce e decisero di dargli corda, magari così si sarebbero rassicurati un poco anche loro.
“Già”
Disse il brasiliano prima di bere un sorso di thè, mentre Wakabayashi si limitò ad annuire.
Dopo quel piccolo scambio di battute, calò un logorante silenzio durante il quale ognuno dei tre alpha si perse nei propri pensieri, e che durò esattamente dieci minuti, allo scoccare dell’undicesimo la porta d’ingresso si spalancò.
“Genzo!”
Urlò la voce del centrocampista.
“Tsubasa!”
Urlò di rimando il portiere, alzandosi di fretta per raggiungerlo ma non fece in tempo ad uscire dalla cucina perché Tsubasa lo bloccò – abbracciandolo – sulla porta.
Rideva contento il calciatore eppure Wakabayashi sentiva le lacrime bagnargli il collo, non capiva cosa gli stesse succedendo, cosa aveva scoperto? Cercò di allontanarlo leggermente per guardarlo in volto e chiedergli spiegazioni ma la stretta dell’omega si fece più forte, intenzionato a non lasciarlo andare.
“Tsubasa… Tsu, che succede?! Perché piangi?!”
Ozora alzò il volto rigato – ma sorridente – dal collo per poggiare la fronte contro la sua.
“Aspetto un bambino”
Gli rivelò in un sussurro, guardandolo dritto negli occhi verdi.
“Un… bambino?”
Chiese Genzo, non troppo sicuro di aver capito le parole del compagno.
“Un bambino!”
Esclamò Tsubasa, più forte di prima.
“Un bambino”
Ripeté il portiere, iniziando ad assimilare.
“Un bambino!”
Urlò il calciatore.
“Un bambino!”
Urlò a sua volta Wakabayashi, sollevando il compagno per la vita e iniziando a farlo volteggiare, scatenando così altre risa da parte di quest’ultimo e ridendo insieme a lui mentre lacrime di felicità iniziavano a scendere anche sul suo volto.
“Un… bambino?”
Mormorò stupito Kodai osservandoli poco lontano.
“Non ti ricordi che io avevo gli stessi sintomi, all’inizio della gravidanza?”
Gli domandò Natsuko, andandogli accanto e aggrappandosi al suo braccio.
“Quindi… l’avevi capito subito?”
Le chiese il marito, abbassando lo sguardo su di lei.
“Diciamo poco dopo la prima cena dove mi ha chiesto il bis… sei contrario?”
Domandò, facendosi seria.
Kodai la guardò per qualche secondo, poi riportò lo sguardo sui due ragazzi davanti a sé.
Genzo aveva smesso di far volteggiare Tsubasa, si era inginocchiato davanti a lui e in quel momento gli stava baciando il ventre coperto dalla maglia mentre il figlio gli accarezzava i capelli, un sorriso enorme aleggiava sui loro volti e non si sarebbe tolto tanto facilmente.
“No”
Rispose, infine, il capitano tornando a guardare la moglie.
“Andrà bene, si organizzeranno”
Finì alzando le spalle, ripetendo la frase dettagli dal figlio due anni addietro, facendo sorridere Natsuko.
“Ma… Roberto?”
Chiese poi, iniziando a guardarsi intorno insieme al marito.
Lo trovarono vicino al tavolo.
Per terra.
Mezzo svenuto.
“… Incinto… il mio pulcino… incinto…”
Bisbigliava come una nenia.
I due coniugi si guardarono sorpresi, scoppiando infine a ridere.

“Vi amo”
Mormorò Genzo, stringendo Tsubasa con un braccio e accarezzandogli il ventre con la mano libera.
“Ti amiamo anche noi”
Rispose Tsubasa, poggiando le mani sopra la sua.
Quel ventre sarebbe cresciuto di giorno in giorno e Wakabayashi non vedeva l’ora di notare tutte le differenze che sarebbero apparse insieme – sempre – a Ozora.
Si sarebbero organizzati.




 
   
 
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