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Autore: Nivees    11/02/2020    1 recensioni
[ Fire Emblem: Three Houses | Hubert/Ferdinand ]
Ferdinand è colui che tiene tutti loro uniti.
Ma Edelgard desidera la sua testa.
E sa già che la sua testa avrà.
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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The waltz of the sun
(and the venom of his shadow)

 

Hubert von Vestra può vantarsi di saper fare molte cose. Lui lavora nell'ombra – è lui stesso un'ombra che agisce senza essere visto e, nella maggior parte dei casi, non nel modo più limpido e pulito. Hubert, dall'inizio della guerra, ha lasciato dietro di sé una via fatta di corpi dei nemici di Lady Edelgard – una via che Lady Edelgard sta attraversando senza paura, seguendo i suoi ideali e la sua ambizione, sguainando la sua ascia contro chiunque le metta i bastoni fra le ruote.
     E prima di allora, Hubert è sempre stato fiero di potersi definire una sua arma, alla pari della sua stessa ascia: freddo, calcolatore e letale.
     
Nella sala del trono, il sole entra dalle enormi vetrate in violenti raggi. Illuminano l'ambiente intorno a lui riflettendo sul delicato marmo del pavimento e fanno brillare il viso di Lady Edelgard, tanto da farla sembrare più bambina di quanto già non sia. Sono da soli nella sala, come spesso accade. Non tutti possono assistere alle loro discussioni, troppo importanti per rischiare che trapelino al di fuori di questa sala, quindi oltre alle due guardie ai lati dell'imponente porta d'ingresso, troppo lontane però per origliare, sono – come sono sempre stati e come, probabilmente, lo saranno per sempre – da soli.
     «Hubert,» Lady Edelgard è crucciata, e tutto ciò che Hubert ha il dovere di fare è eliminare qualsiasi cosa che le dia pensiero e le causi problemi, «mi preme parlarti di una questione importante.»
     Hubert si inchina di fronte alla sua imperatrice – la futura imperatrice dell'intero Fòdlan – e accenna un sorriso, «Sono qui per servirti.»
     «E spero che tu lo faccia anche dopo averti detto cosa mi turba.» Edelgard si alza dal trono e si avvicina, gli fa segno di alzarsi e Hubert esegue subito. La guarda, la controlla, così piccola eppure così austera, la cosa più brillante dell'intera sala. «Temo che dovrai uccidere Ferdinand.»
     Hubert sbatte le palpebre. Ha paura di aver sentito male – spera di aver sentito male – quindi chiede: «Come, prego?»
     Edelgard sospira e guarda il pavimento. La sua espressione è sofferente, come se non sapesse neanche lei se fa bene o no, come se non avesse altra scelta. È la stessa espressione che ha quando si ritrova davanti qualcuno che conosce che sa, però, che deve uccidere. È un'espressione irremovibile, però. Non sa se la sua decisione sia quella giusta, ma sa che non cambierà idea, perché è quella giusta per lei. «Immagino tu abbia visto come si comporta ultimamente. È sempre più confuso, dopo ogni conflitto ha troppi sensi di colpa. Temo ci tradirà presto, e non posso permettere che uno scandalo del genere cada sul nostro percorso, non quando siamo così vicini alla vittoria. Non Ferdinand, non... il Primo Ministro non può permettersi di disertare, quel che dovrebbe essere il mio braccio destro non può permettersi di tradirmi. Bisogna farlo fuori prima che lo faccia, e porti con sé la maggior parte dei nostri alleati.»
     Ferdinand. Ferdinand è uno sciocco ottimista che non sa stare al suo posto, che non sa cosa vuol dire essere inferiore a qualcuno, troppo vanitoso nella sua posizione di nobile tra i nobili. Ma Ferdinand è anche colui che rialza gli animi di tutti loro dopo una battaglia, soprattutto se lo scontro ha portato più vittime di quelle previste. Ferdinand è colui che porta Dorothea all'opera e la distrae – perché Dorothea vorrebbe essere ovunque, tranne che in guerra –, Ferdinand è colui che mangia insieme a Bernadetta senza premerla nel restare più tempo del dovuto fuori dalle mura della sua stanza, e invece passa del tempo con Linhardt per non farlo oziare troppo. Ferdinand è colui che calma Caspar prima che quest'ultimo faccia qualcosa di pericoloso senza pensare alle conseguenze, ed è colui che parla per ore e ore solo per fare conversazione con Petra e, così, farla allenare nella lingua.
     Ferdinand è colui che, tutte le sere, si prepara una tazza di tè e non dimentica mai di prepararne anche una di caffè. Gliela lascia sulla scrivania mentre Hubert è troppo assorto dal suo lavoro, e si siede di fronte a lui, sorseggiando il suo tè senza staccare gli occhi da lui fino a che non è troppo stanco per stare sveglio. Riprende la tazza di caffè ormai vuota, e se ne va dopo avergli donato un sorriso – quel sorriso che lo accompagnerà per tutta la notte insonne.
     Ferdinand è colui che tiene tutti loro uniti.
     Ma Edelgard desidera la sua testa.
     E sa già che la sua testa avrà.
     «Vostra Maestà... Von Aegir non vi tradirebbe mai.» dice Hubert. Perché è vero, nonostante tutto, Ferdinand non è in grado di tradire nessuno. Nè tantomeno Lady Edelgard, dal momento che ha giurato fedeltà a lei invece di seguire le orme di quel coniglio di suo padre.
     «Lo sai per certo, Hubert? Non possiamo sapere cosa si celi nei cuori della gente, soprattutto in periodo di guerra. Non hai visto come mi risponde durante i consigli? Di come mi giudica, di come consideri il mio operato senza scrupoli? L'ha sempre fatto, è vero, e nonostante questo continua a seguirmi. Ma coloro che hanno giurato fedeltà a me... iniziano ad annuire alle sue parole, a dargli ragione e... Hubert, non posso perdere questi alleati. Non posso basare tutte le mie vittorie sulle serpi delle ombre, ho bisogno di alleati contro cui non dovrò combattere una volta unificato il Fòdlan.»
     Hubert annuisce, perché capisce il punto di vista di Lady Edelgard. E fosse stata qualsiasi altra persona, Hubert sarebbe stato felice di uccidere chiunque abbia cercato di minare l'operato di Lady Edelgard, anche solo per paranoia. Ma Ferdinand...
     «So che è molto ciò che ti sto chiedendo, e so che tutti noi risentiremo molto della sua perdita. È un amico, per tutti noi, lo so. Ma è per il bene superiore. Quindi ti chiedo di essere discreto, di non far capire che è stato assassinato. È troppo vicino a me, farebbe dubitare della nostra protezione, e non è questo quel che voglio. Lascio a te il resto, che sia un incidente o... anche del veleno può andar bene, considerando che non tutti verrebbero a scoprire la causa della morte. Confido in te, amico mio.»
     Hubert annuisce ancora, senza rispondere, senza dire niente. Si inchina e sparisce nelle ombre – ma dentro di sé si sente pesante, e ogni passo sembra un passo sempre più vicino alla loro rovina.

I suoi migliori veleni non vengono comprati, e nemmeno gli vengono dati dalle serpi delle ombre. È lui stesso che li crea, andando di persona a cercare i vari ingredienti nelle serre o nei loschi mercati che, in tempo di guerra, non avevano paura neanche di vendere alla luce del sole. Ha un laboratorio nelle segrete del palazzo imperiale, costruito proprio per quelle missioni che solo lui può portare a compimento costruendo armi nocive come veleni o facendo esperimenti sulla sua stessa pelle per aumentare la forza della sua magia nera.
     È un luogo buio e scuro, come il suo cuore d'altronde. Non è mai stato un tipo melodrammatico – lascia quel compito a persone come Bernadetta – ma in questo momento si sente sempre più viscido, sempre più sporco, mentre crea il veleno perfetto per Ferdinand. Deve essere un veleno inodore e incolore, preferibilmente anche insapore. Punta a versarglielo nel suo tè, magari quella stessa sera quando verrà nella sua stanza, con la sua tazza preferita e con quella straripante di caffè che ha preparato per Hubert. Le sue mani, prive di guanti, schiacciano foglie e radici di belladonna – e con un tocco di magia oscura ne intensifica gli effetti e ne nasconde le tracce.
     Quando il veleno è pronto, versa il liquido argenteo in una piccola ampolla – piccola, così piccola da poter entrare nel suo taschino, sotto lo strato del mantello. La osserva, e il suo istinto lo porta quasi a lanciarla contro il muro più vicino, cosicché non sia costretto ad usarlo – così può avere ancora più tempo prima di dover porre fine alla vita di Ferdinand.
     Ma non ha tempo, perché Lady Edelgard deve vincere questa guerra e se lui tentenna, rischia di mettere in pericolo anche lei. Quindi stringe con le dita inscurite dalla magia la piccola ampolla, trattenendosi nel stringere così tanto da renderla un insieme inutile di schegge, poi la nasconde nel taschino.

Questa sera, Hubert non è rimasto nella sua stanza, affogando la sua nottata nei suoi oscuri lavori. Ferdinand non ha mai chiesto cosa facesse tutta la notte, nonostante Hubert abbia sentito la curiosità brillare nei suoi occhi ogni volta che si sono posati su di lui, ma forse Ferdinand non è così sciocco come Hubert ha sempre pensato: Ferdinand non chiede, forse perché sa benissimo cosa Hubert sta facendo, e perché non gli dice nemmeno una parola a riguardo.
     Bussa alla sua porta poco dopo l'ora di cena, sicuro di trovarlo ancora lì. Con l'altra mano sostiene il vassoio con la teiera e due tazzine – non ha trovato le due tazze che di solito usa Ferdinand – mentre nel suo taschino, proprio all'altezza del suo cuore, l'ampolla con il veleno è come un enorme peso sul petto.
     Ferdinand gli apre. Indossa solo una leggera camiciola bianca, lunga fin quasi alle ginocchia, un pantalone di seta delicato a coprirgli le gambe, i piedi sono nudi. I lunghi capelli color del fuoco sono sciolti e gli cadono lungo le spalle in seducenti onde e Hubert sente la bocca farglisi secca, deglutisce, ma il peso che sente sul cuore è troppo ingombrante per fargli dimenticare cosa sta facendo lì, di fronte a lui, e non gli rende facile il godersi la sua così splendente presenza.
     «Hubert!» Ferdinand pare confuso, seppur i suoi occhi sembrino così contenti di vederlo. Si passa una mano tra i capelli e sui suoi semplici vestiti – è sì così strano vederlo in questo modo candido, lui che è sempre stato pronto di tutto punto, vanesio dalla radice dei capelli alla punta dei piedi – e gli sorride, imbarazzato, una punta di colore sulle guance piene. «Ah, non ti aspettavo!»
     «Lo so.» Hubert cerca di ricambiare il sorriso, ma non ci riesce. «Ho deciso che questa sera avrei potuto ricambiare il favore. Non ho molto lavoro da fare, d'altronde.»
     «Bene! Voglio dire... è meglio così, no? Non hai un attimo di tregua, hai sempre qualcosa da fare. Da quanto tempo non ti fai una bella dormita? Dovresti seriamente pensare di recuperare il sonno perduto, le tue occhiaie non spariranno da sole, dopotutto.»
     Ora Hubert non deve faticare troppo per sorridere. «Lo so.» dice solo, poi lancia uno sguardo alle spalle di Ferdinand. «Posso entrare, o ho interrotto qualcosa?»
     Non sa dire bene perché, ma il solo pensiero di un'altra persona nelle stanze di Ferdinand – nel letto di Ferdinand – gli fa salire la bile in gola, e il desiderio di poter trucidare chiunque osi fare una cosa del genere si fa improvvisamente molto insistente. Sono giorni – sono mesi, sono anni – ormai che Hubert sente questa gelosia morbosa nei suoi confronti, e invidia verso chi può toccare la sua mano alla luce del sole senza sentirsi troppo inadeguato, senza aver paura di sporcarlo troppo. Passa ore intere ad osservarlo, seminascosto dalle tende della sua finestra, mentre Ferdinand passeggia nel giardino del palazzo imperiale in compagnia di qualche nobile che non desidera altro che entrare nelle sue grazie, riempiendolo di stupidi e vuoti complimenti. Ferdinand ride, si tocca i capelli e se li porta dietro un orecchio o li raccoglie in un lato, e il pretendente non può fare altro che guardarlo con bramosia e desiderio. A volte, spera che quei bastardi sentano i suoi occhi perforare il loro cranio dall'alto, e che per questo tengano le mani al loro posto, o Hubert avrebbe solo aspettato che cali la notte per entrare nelle loro case e tagliare le loro mani.
     «Ah!» Ferdinand guarda alle sue spalle, poi sospira, «C–certo. Ma certo, Hubert, che puoi entrare. Non c'è nulla da interrompere, e non c'è motivo per cui io debba lasciarti qui sull'uscio della porta dopo che sei stato così gentile da portarmi il tè.»
     Dopo interminabili secondi dove Ferdinand si limita a guardarsi i piedi e a martoriarsi quelle labbra carnose, Hubert sorride, immaginando quale potrebbe essere il problema: «Dunque?» richiede, piegando il viso da un lato. Dentro di sé, però, pensa: No, Ferdie. Dolce Ferdie, non farmi entrare o sarò costretto ad ucciderti.
     
Ferdinand sospira e gli lancia uno sguardo da sotto le lunghe ciglia, e Hubert si chiede se sa di risultare così peccaminoso anche con un gesto così semplice. «Non fare commenti però, va bene? A mia discolpa, non mi sarei mai aspettato qualcuno alla mia porta a quest'ora della sera.»
     Lo spero, avrebbe voluto rispondere, ma Hubert sa di non essere in nessuna posizione per dire una cosa del genere. Quindi ingoia la bile che continua a salirgli – per gelosia, per paura, per il dolore che la sua morte gli provocherà – e lo segue dentro la sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
     Come ha immaginato, la stanza di Ferdinand è in disordine. Non è da lui, lui di solito è un uomo molto pragmatico e puntiglioso, ma deve essere arrivato in un momento meno opportuno, o in magari un cambio di vestiti in stagione ormai inoltrata. Non l'ha promesso, ma lo stesso non commenta i vari capi vestiari abbandonati sulla sedia della sua scrivania e sul pavimento accanto all'armadio, e si limita ad abbandonare il vassoio – che comincia a diventare un peso – sulla linda scrivania.
     Ferdinand si siede sul letto dopo aver buttato per terra i vestiti dalla sedia, donandola poi a lui. «So cosa stai pensando. No, non sto complottando una fuga amorosa con qualcuno, sto solo cercando un oggetto che temo di aver lasciato al monastero ormai. Non lo trovo da nessuna parte, nonostante sia piuttosto convinto di averlo portato con me.»
     «Di che oggetto si tratta?» chiede Hubert, più per distrarlo che per altro. Deve togliere quegli occhi curiosi da lui, in qualche modo, per mettere il veleno nella sua tazza, ma il suo sguardo sembra non abbandonarlo mai – come tutte le sere, vuole accompagnarlo fino alla fine.
     Ma quando Ferdinand arrossisce – e come brucia sapere che quelle guance non sono colorate a causa sua – e scrolla semplicemente le spalle, la curiosità inizia a divorarlo come un bruco fa con una foglia, vorace ma tremendamente lenta. Un pegno d'amore, forse? Un regalo dalla persona amata? Chi, al monastero, ha fatto breccia nel suo cuore? Hubert è sempre stato troppo occupato a bistrattarlo, vedendolo solo nella sua facciata pomposa che così tanto ha detestato ai tempi – ed è per questo che non ricorda assolutamente chi possa aver attirato la sua attenzione? Come ha potuto essere così cieco e non vedere chi è entrato nella sua stanza – nelle sue grazie, nel suo letto – quando a dividerli non c'è stato altro che un corridoio?
     «Piuttosto, dato che sei qui, volevo farti vedere questo.» Ferdinand si alza e si avvicina al muro di fronte al suo letto, e Hubert pensa distrattamente che questo è il momento giusto per versare metà boccetta nella sua tazza e mascherare il veleno con il tè caldo appena preparato, ma i suoi pensieri lo stanno rallentando, e la voce e la presenza di Ferdinand lo portano ad distrarsi – ecco perché Ferdinand è sempre stato sbagliato, perché è sempre stato una distrazione dai suoi doveri. «Edelgard,» dice Ferdinand, e il nome di Lady Edelgard pronunciato con voce tanto leggera proprio da colui che Lady Edelgard vuole morto lo fa sobbalzare, e il cuore pesante inizia a battergli forte contro il petto, «non l'ha voluto nelle sue stanze, e ho pensato che forse è un po' troppo privato per essere abbandonato in qualche corridoio del palazzo... quindi l'ho preso io. Ricordi quando abbiamo posato? Mi parlavi solo per offendermi ai tempi. Buffo come le cose siano cambiate, non trovi?»
     Hubert alza la testa, e vede Ferdinand di fronte ad un quadro. Hubert ricorda come se fosse ieri quel momento in cui lui, Ferdinand ed Edelgard, da bambini, hanno posato per quel quadro. Lady Edelgard è seduta in modo impeccabile su una sedia d'oro, mentre Ferdinand è alla sua sinistra e Hubert alla sua destra, entrambi corrucciati, entrambi con un falso sorriso stizzito sulle labbra. Sono tutti e tre dei bambini, in quel quadro, ma Lady Edelgard ha già i capelli candidi e gli occhi perseguitati, e Hubert ha già giurato a quella bambina malata la sua fedeltà fino alla morte. Ferdinand sembra fissare il suo ritratto da piccolo, ed è così piccolo e quasi irriconoscibile messo a paragone al meraviglioso uomo che è diventato, e assottiglia gli occhi con malinconia, come se dentro di lui ci sia qualcosa che lo faccia desiderare di tornare di nuovo spensierato come un tempo.
     Hubert si gira verso le tazze, prende l'ampolla dal suo taschino e, in silenzio assoluto, ne toglie il tappo e versa dieci gocce in una delle tazze. Dieci gocce sono molto più che abbastanza per ucciderlo, non lentamente e senza neanche troppo dolore. Il veleno diventerà come spine dritte nel suo cuore, lo perforeranno e il sangue sembrerà abbandonargli il viso, facendolo diventare così pallido che le lentiggini, di solito difficili da vedere, spiccheranno come mille stelle sul suo naso e sulle sue guance. Cadrà a terra con un tonfo, sicuramente si porterà una mano al petto, ma non farà in tempo a capire o a guardarlo con quegli occhi d'ambra chiedendogli perchè perchè, che morrà con le palpebre ancora spalancate.
     
Si rende conto che le sue dita tremano, quando si decide ad avvicinarsi a Ferdinand, ancora troppo occupato a guardare il quadro, per porgli la tazzina colma quasi fino all'orlo del suo tè preferito e del suo veleno personale. Ferdinand gira la testa e i suoi occhi si puntano nei suoi, gli sorride, prende la tazza tra le mani e lo ringrazia.
     Soffia sul vapore che sale e si infrange sul suo viso, poi sospira e porta il suo sguardo di nuovo verso il quadro e il thump thump thump nelle sue orecchie inizia ad essere assordante, le sue mani coperte dai guanti sono gelide eppure umide di sudore per la paura, il terrore, non voglio che muoia–
     
«Sai, Hubert, provavo invidia nei tuoi confronti, oltre al risentimento che non perdevo occasione di mostrarti. Ero molto invidioso di te, per il tuo rapporto con Edelgard, perché... perché avrei voluto essere io così legato a lei, avrei voluto così tanto essere io il... no, non il suo servo, sia chiaro, ma... un suo amico, ecco. Avrei voluto tanto essere un suo amico, qualcuno su cui lei potesse contare. Ah, ero così immaturo! Non vedevo che ero già suo amico, ma la mia immensa competizione nei suoi confronti non me l'ha fatto notare.»
     Hubert non commenta, resta a fissare le sue labbra rosee che si muovono. Si avvicinano alla tazza, e le dita di Hubert si contraggono, hanno uno, due spasmi, ma la morsa che sente nella sua gola si allenta, giusto un po', quando Ferdinand sembra considerare il tè ancora troppo bollente e ritorna a contemplare il quadro.
     «Ora sono invidioso di lei, invece. Non perché sia imperatrice, o per qualche motivo legato alla forza o allo status sociale, o da come tutti i nobili sembrano pendere dalle sue labbra... Va bene, lo ammetto, forse un po' anche per questo. Ma non poi molto. Credimi. Il motivo è un altro, ma temo che questo non sia il momento o il luogo adatto per dirtelo.»
     La curiosità lo divora, ma l'ansia sembra mangiarlo in un solo morso. Ferdinand sospira e si allontana, si avvicina a lui ma non si siede sulle coltri del letto. «Non hai detto neanche una parola, Hubert. Va tutto bene? Avrei scommesso che avresti iniziato a prendermi in giro e a darmi del romanticone al solo vedere che il quadro l'ho preso io, ma sembri sovrappensiero.»
     Hubert muove la bocca, la sente impastata, la gola è secca, ma nessuna parola esce dalle sue labbra. Ferdinand lo fissa, sembra preoccupato, forse vorrebbe toccarlo ma si trattiene, si è sempre trattenuto. Ferdinand è sempre stato molto fisico, abbraccia Dorothea come se si conoscessero fin da bambini, e ogni volta che si allena con qualcuno non manca mai di dare qualche pacca sulla spalla in segno di incoraggiamento. Ma ha sempre evitato qualsiasi tocco verso Hubert, sempre stato riservato e forse timido. Come ora, una mano intorno alla tazza – no, adesso non è troppo fumante, non rischia di bruciarsi adesso – e l'altra tendente verso di lui, ma così lontana ancora.
     Ed il momento arriva, Hubert lo vede, Hubert lo sente. Vede Ferdinand che sospira, porta le labbra sulla tazzina. Si appoggiano sulla ceramica, il liquido caldo le bagna e Ferdinand emette un gemito compiaciuto. Chiude gli occhi, piega verso di lui la tazzina, e–
     –e Hubert allunga una mano verso le sue labbra, lo spinge. Ferdinand perde l'equilibrio e la presa che ha sulla tazzina, cade tra le coltri del letto, i capelli si aprono a ventaglio sotto di lui e paiono un'aura color dell'ambra intorno al suo viso. Il tè è ormai una macchia sulle lenzuola di seta, ma a nessuno dei due sembra importare. Hubert è sopra di lui, si regge sui gomiti ai lati del suo volto e si abbassa lento, molto lento, dandogli il tempo di scansarsi, dandogli il tempo di girare la testa di lato se Hubert rischia di fare qualcosa che a lui – lui che ha sempre evitato il suo tocco, il suo contatto – possa dare fastidio. Ma Ferdinand non si sposta, Ferdinand allunga il collo andandogli incontro e Hubert non pensa ad altro che: è qui, è vivo, respira e mi sta baciando.

Ferdinand sospira, e fa girare lentamente il tè candido nella sua tazzina. Hubert lo osserva, avido, vuole baciare ancora quelle labbra ma non può perché lo ha quasi dimenticato, ma ucciderlo è un ordine di Lady Edelgard e Hubert ha giurato fedeltà a lei, non a qualche stupido sentimento che, ormai, da anni preme per entrare nel suo cuore e nella sua mente. Lo guarda, trepidante, come stranamente in silenzio tiene lo sguardo basso, e non lo guarda, non lo guarda, eppure ricorda come quegli occhi sono stati puntati nei suoi per tutta la notte. Ricorda come non hanno vacillato neanche una volta, mentre gli ha sfilato i leggeri pantaloni di seta. Ricorda le sue mani, le stesse che adesso stringono l'elegante ceramica decorata, intorno al suo volto, che carezzano, graffiano via l'ansia e il terrore dalle sue rughe, mentre Hubert non riesce a fare altro che continuare a baciarlo ancora e ancora e ancora, beandosi delle sue nudità – perché sa che sarebbe stata la prima e anche l'ultima volta.
     Infine, Ferdinand porta lo sguardo su di lui ed è uno sguardo triste e giudicante, gli stanno dicendo: guardami, guardami mentre mi spengo. Ferdinand lo sa, forse lo sente, ed è così triste che lui abbia capito di star per morire proprio dopo essersi amati fino all'alba.
     «Hubert...» mormora. Lo fa con poca voce, come se disturbarlo fosse l'ultima cosa che desideri al momento. È l'unica cosa che dice, però, prima di bere quell'ambrosia che lo porterà alla morte.
     E questa volta Hubert non lo ferma, non porta la sua mano guantata – oh, ricorda di come gli ha sfilato i guanti con i denti appena poche ore prima, e di come si sia sentito l'uomo più fortunato di tutto il Fòdlan mentre Ferdinand ha poggiato la sua lingua sulla pelle scurita delle dita, venerandolo come non merita di essere venerato – sulla sua bocca per impedirgli di bere perché pensa a Edelgard, che conta su di lui, che vuole Ferdinand morto per il bene superiore, perché è quello che deve fare e non può farsi fermare – non può farsi distrarre – da quel raggio di sole che con prepotenza continua ancora ad irrompere nella sua ombra.
     Ferdinand beve fino all'ultima goccia il suo veleno. Poi accade proprio come lo ha sempre immaginato: Ferdinand fa cadere la tazzina, che diventa mille, infinite schegge contro il pavimento della sua stanza, e lui la segue subito dopo. Ma non muore subito – doveva morire subito, perché non sta morendo subito? Non deve soffrire, Ferdie non merita di soffrire – e Ferdinand resta a guardarlo lì, steso sul pavimento, circondato dai cocci dell'arma che ha causato la sua morte, e lo guarda, lo guarda, lo fissa e mormora il suo nome, Hubert, Hubert, Hubert–
     
E Hubert resta a guardarlo a sua volta, e gli dice, muori muori, perché non muori, smettila di soffrire e muori! Mentre le sue mani tremano, e i suoi occhi si inumidiscono, e il suo cuore fa tanto male come se il veleno lo avesse bevuto lui stesso. Gli cade ai piedi, prende il suo viso tra le oscure dita, e inizia a pregare – lui, che non ha mai pregato – e a pregare ancora, torna da me, non morire, oh Dea riportalo da me, ti prego ti prego ti prego–

«Hubert, svegliati.»
     Hubert ansima, ma non emette alcun suono. Apre gli occhi, li spalanca, con ancora il cuore che batte forte, forse più forte di quanto abbia mai fatto prima, contro il petto. È steso nel letto di Ferdinand, i raggi del sole mattutino filtrano dalle tende e illuminano il viso di Ferdinand, che è appoggiato sul suo petto e lo guarda dall'alto, con una mano sul suo viso e, oh, così vicino...
     Ferdinand gli accarezza una guancia e gli sorride, sereno, vivo. «Va tutto bene, Hubert. Era solo un incubo.» gli sussurra piano, come gli sussurrerebbe un segreto in un orecchio. Hubert non può fare a meno di guardare i suoi occhi così vitali, allegri, un po' nervosi forse. Si scosta le coperte, fa per alzarsi, perché si sente come chiuso in gabbia, claustrofobico quasi, e Ferdinand subito si allontana per lasciargli il suo spazio – e già manca sentire la sua bella pelle appiccicata alla sua, morbida e tiepida, ma adesso deve fare mente locale, adesso deve darsi una regolata perché sta andando tutto a rotoli.
     Hubert non avrebbe mai ucciso Ferdinand. Non avrebbe mai portato a termine l'ordine che Lady Edelgard gli ha dato. Che usi un veleno o un arma, Hubert sa che le sue mani non sarebbero mai riuscite a chiudersi intorno al collo di Ferdinand – lo avrebbero fatto solo per accarezzarlo e venerarlo e per tracciare con le sue dita ignobili i segni che la sua bocca gli ha lasciato. Si mette seduto sul letto, ignorando la sua nudità, e si porta le mani – sono senza guanti, quella notte davvero Ferdinand ha baciato le sue dita una per una, mentre Hubert si è perso ancora e ancora e ancora dentro di lui – sul viso, fa sparire gli ultimi spiragli di quell'incubo che è stato così vicino a diventare realtà.
     «Vuoi... parlarne?» chiede Ferdinand, e la sua voce è così sottile, come un filo pronto a spezzarsi. Ha un così tanto potere, su di lui?
     «No.» grugnisce, «Non voglio. È un'inutile perdita di tempo. È tutto un'inutile perdita di tempo.» Per la prima volta da quando è ai servigi di Lady Edelgard, Hubert non sa cosa fare. Non può uccidere Ferdinand, non può, ma deve. È la soluzione è così lontana, «Ferdinand, credo che tu debba andartene.»
     L'unica cosa che può fare per non tradire Edelgard e non uccidere Ferdinand allo stesso tempo, è che Ferdinand faccia quello che Hubert deve prevenire con l'ucciderlo. Ferdinand deve andare via – nel Regno o nell'Alleanza, forse ancora meglio se fuori dal Fòdlan. Hubert può già immaginare Ferdinand nell'Almyra, lontano da qualsiasi scontro, vestito di seta e broccado, circondato da cuscini e vasi d'incenso. Lo immagina nelle Brigid, in riva al mare, la pelle scottata dal sole, con i granelli di sabbia appiccicati sulla schiena bagnata. Ferdinand deve andare via, fare quello che Edelgard teme che faccia, perché a quel punto sarà troppo tardi, per Hubert, versare il veleno tra le sue labbra.
     «Oh.» è tutto quel che dice Ferdinand per un interminabile minuto. Poi si ritrae, come se avesse appena ricevuto una frustata. È scosso, lo nota nel momento in cui si gira per vedere la sua reazione. E gli tremano le mani quando stringono le coperte e le scostano, «Ah, sì. Certo, io... aspetta un attimo.» Ferdinand alza il viso, che è rimasto basso – così strano, lui che ha sempre camminato a testa alta, anche quando all'inizio della guerra non gli era rimasto niente – per quasi tutto il tempo, lo guarda infine negli occhi, e Ferdinand è arrabbiato, e deluso, e ferito. «Questa è la mia stanza! Se non desideri più stare in mia presenza, temo che dovrai essere tu ad andartene!»
     Hubert lo guarda, poi scuote la testa. Tipico di Ferdinand. Non che Hubert gli abbia dato modo di pensarla diversamente: dopo essere stati insieme per tutta la notte – e, oh, la voglia di ristenderlo sul letto e ricominciare ancora, continuare anche per tutto il giorno – lo ha trattato in modo così freddo non appena ha aperto gli occhi. Ferdinand merita molto di più. Merita di vivere, di restare a camminare su questa terra per tutta l'esistenza se possibile, merita di avere un amante che lo veneri come un dio, e che lo tratti allo stesso modo anche il mattino dopo e per il resto della loro vita. Hubert non merita Ferdinand, e Ferdinand non merita uno come Hubert.
     «Non hai capito.» Hubert non riesce a fare a meno di sorridere leggermente, guardando i suoi occhi ambrati scuriti dalla rabbia e forse anche da un po' di vergogna – vergogna di essere stato scacciato dopo il sesso, e, oh, quanto odia Hubert farlo sentire così quando tutto quello che vorrebbe fare è farlo urlare ancora di piacere. «Io intendevo che tu dovresti andare via dall'Impero. Il tuo posto non è qui, in questa guerra. Dovresti andare... via, ovunque. Non sei amico dell'erede dei Gloucester? Va' da lui, resta nell'Alleanza, porta anche Dorothea con te che credo sia tutto ciò che vuole. Non è la tua guerra, questa.»
     «Ma cosa stai dicendo?» Ferdinand ha gli occhi spalancati, la bocca rosea socchiusa. «L'Impero è casa mia. Io amo l'Impero! Perché dovrei andarmene? Sono arrivato fin qui, combattendo per Edelgard perché è quello che ho voluto fare e che ancora voglio fare. Io non... non tradirei mai Edelgard. È vero, a volte non comprendo pienamente le sue intenzioni e le sue motivazioni, ma... non le volterei mai le spalle. Non lascerei mai lei... né te.»
     Questo è quello che Hubert sa già, e che ha temuto per tutto il tempo: ovvero, che la precauzione di Lady Edelgard sia del tutto inutile. Lady Edelgard vuole che uccida Ferdinand per qualcosa che Ferdinand non ha alcuna intenzione di fare – e questo, questo spezza in due Hubert più di qualsiasi altra cosa. Infine, Hubert allunga le sue mani e le dita scure e ruvide si chiudono intorno al viso di Ferdinand, e Ferdinand socchiude gli occhi e sospira, forse sollevato e contento, mentre si sporge piano per baciarlo, questa volta dandogli lui il tempo di spostarsi se non è quel che vuole.
     Prima di perdersi nella sua bocca, Hubert mormora sulle sue labbra: «Bevi e mangia solo quello che ti preparo io, da oggi in poi.»
     Perché chissà se Lady Edelgard, vedendo il suo fallimento, non si affidi a qualcun altro di forse persino più pericoloso di lui. Chissà se la sua non diverrà ossessione, e a pagarne le conseguenze non sarà nessun altro tranne che Ferdinand. Hubert, agendo nell'ombra, cercherà di far qualsiasi cosa, a quel punto, pur di continuare a vedere il suo sorriso.
     Pure non ubbidire a Lady Edelgard.
     Ferdinand non ha il tempo di fare altro che annuire, piano, senza chiedergli perché né fare alcun commento – perché immediatamente si perde nel suo respiro, e il né te, né te, non ti lascerei mai è come un dolce eco nelle sue orecchie.

Non ha ancora confessato a Lady Edelgard di non avere alcuna intenzione di portare a termine la missione che gli ha affidato. I giorni sono passati lenti, quasi in modo ozioso. La guerra continua ad esplodere al di fuori del palazzo, ma all'interno Ferdinand ha creato come una bolla intorno a Hubert, tenendolo lontano dai suoi doveri, tenendolo lontano da Edelgard. E Hubert cede, sa che non dovrebbe perdere tempo nel suo letto e ai suoi piedi, ma non riesce a farne a meno – in realtà ha tempo, ha tutto il tempo necessario perché secondo Edelgard lui sta ancora cercando un modo per uccidere Ferdinand, ma Hubert sente che più il tempo passa, e più Lady Edelgard si spazientisce.
     Ma Lady Edelgard si fida di lui, si fida solo di lui ormai, e dunque a parte qualche occhiata intensa nei corridoi e nei momenti più opportuni, l'argomento non è stato più trattato. E va bene così.
     Camminando tra i corridoi, Hubert si ferma ad una finestra – perché sa e lo sente che Ferdinand è lì. Scosta le tende, di poco, e la luce del sole batte per terra, sul marmo bianco del pavimento, ma non riesce a colpirlo. Ferdinand è in giardino, i suoi capelli sono come una calamita per i suoi occhi. È steso su una panchina, un braccio appoggiato sulla fronte, inerme e indifeso. Ha gli occhi chiusi e sembra stia dormendo, ma Hubert sa che non è così – Ferdinand è stanco, indebolito, la forza nelle sue gambe allenate viene sempre meno se si sforza un po' di più, il respiro diventa affannoso senza neanche bisogno che inizi a correre e forse i raggi del sole iniziando a fargli dolere gli occhi e causargli atroci mal di testa. È normale, Hubert detesta vederlo così, ma non può fare a meno di ciò.
     Dorothea e Petra passano accanto a lui, così vicine tra loro da sembrare abbracciate. È Dorothea che nota Ferdinand disteso sulla panchina, e decide di avvicinarsi a lui, lasciando momentaneamente la presa su Petra, e si piega su di lui, coprendo la luce del sole che gli batte sul pallido viso. Hubert non sa cosa si stanno dicendo, perché senza aprire gli occhi, Ferdinand sorride e muove le labbra, sorride ancora e poi ride, muove una mano con noncuranza e poi la appoggia sul braccio scoperto di Dorothea, come a rassicurarla su qualcosa.
     Sa che è stupido, lo sa che la gelosia sempre più crescente nei confronti di Ferdinand non ha senso – sa che Ferdinand non ha occhi che per lui, per quanto ingiusto questo possa essere – ma non riesce a non farsi dilaniare dal fatto che odia il suo tocco su un'altra persona, e a non desiderare la morte istantanea di chiunque osi anche solo poggiare il suo sguardo su Ferdinand. E non importa se in questo momento c'è Dorothea accanto a lui, Dorothea che è ormai come una sorella per Ferdinand, Dorothea che gli vuole bene ma non potrebbe mai amarlo come ama Petra, non importa se adesso è solo Dorothea accanto a Ferdinand, nessuno deve stargli vicino, o toccarlo, o guardarlo, o bearsi della sua presenza.
     
«Hubert?» All'improvviso, qualcuno gli tocca leggermente una spalla e sobbalza. Non è da lui essere così distratto, lo sa bene, ma quei sentimenti, per lui, sono così nuovi che non sa ancora come metterli da parte – o come sopravviverli. Hubert gira la testa e c'è Lady Edelgard al suo fianco, con una mano ancora sospesa a mezz'aria. Ha un cipiglio confuso, una ruga profonda tra le sopracciglia candide che è lì ormai da troppo tempo. Porta anche lei lo sguardo oltre il vetro della finestra, e vede Ferdinand che ancora non riesce a mettersi in una posizione più consona, mentre Dorothea e Petra torreggiano su di lui e gli offrono le mani e il loro sostegno, e annuisce. «Capisco cosa stai facendo, davvero. Vorrei solo che fosse più veloce.»
     «Cosa sto facendo?» chiede Hubert. Non sa cosa intende, ma per un occhio attento non è difficile capire cosa stia succedendo a Ferdinand e Lady Edelgard ha un occhio particolarmente attento. Per la prima volta, il suo pregio viene usato contro di lui.
     «Non fare il finto tonto con me, Hubert. Tutti pensano che Ferdinand sia semplicemente malato, ma nonostante tu non mi abbia detto come intendi... beh, tu sai cosa, è piuttosto evidente. Nessuno sospetterà di nulla, così. Certo, non è una soluzione imminente, ma come al solito mi hai preso fin troppo alla lettera, quando ti ho chiesto di essere discreto. Ma suppongo sia il metodo più giusto, questo.»
     Non ha capito. Edelgard non ha capito. «Sapete bene che il mio modo di fare è questo. Sono cauto di natura, non amo... agire troppo alla luce del sole.»
     Edelgard annuisce, «Lo so bene. È questo quello che apprezzo di te.» Gli stringe di nuovo la spalla, lancia un ultimo sguardo colpevole verso Ferdinand, e con un cenno lento della testa si allontana, con l'eco dei suoi tacchi che sono l'unico suono riecheggiante nel corridoio solitario.
     Guardando come la sua figura rossa sparisce dietro un angolo, Hubert si porta una mano sulla fronte, preme le dita guantate negli occhi fino a vedere nient'altro che mille stelle dietro le palpebre e infine impreca, perché ormai non sa neanche lui più cosa fare. Ma se Lady Edelgard pensa che ciò che sta facendo a Ferdinand sia a favore di quel che vuole lei, Hubert non avrebbe fatto niente per farle cambiare idea. Avrebbe tenuto Ferdinand al sicuro, in questo modo.
     Si porta una mano sul petto, e sotto alle dita l'ampolla con il veleno è ancora lì. Con un sospiro, ignorando la tentazione di continuare ad osservare Ferdinand nascosto dalla tenda, inizia la sua marcia verso le sue stanze personali, dove tiene lontano da chiunque altro il tè preferito di Ferdinand.

Ferdinand ha mantenuto la sua promessa fin da subito. Non ha più mangiato o bevuto nient'altro che il cibo o il tè preparato personalmente da Hubert – e forse Hubert ha usato troppo la carta della distrazione, con lui, ma Ferdinand non ha mai avuto modo di chiedergli perché. Nonostante questo, Ferdinand l'ha fatto... e le conseguenze si sono mostrate non molto tempo dopo.
     Ha iniziato con della leggera nausea. Si sveglia al suo fianco, nelle sue stanze, reggendosi lo stomaco e piegandosi in due. Hubert rimane accanto a lui per tutta la mattinata finché il dolore non si attenua, e subito dopo Ferdinand torna allegro e pimpante come sempre.
     Le vertigini sono arrivate poco dopo. Spesso è successo che Hubert ha dovuto mantenerlo in piedi perché gli è sembrato barcollasse troppo. Ferdinand fa finta di nulla, semplicemente scrolla le spalle ed va avanti con le sue giornate come se nulla fosse.
     Ha sicuramente altri sintomi, Hubert lo sa per certo. Ma Ferdinand è molto bravo a nascondere le sue esigenze, nonostante non ne sembri il tipo, quindi non gli ha mai detto niente e non gli ha mai fatto pesare nulla quando si ritrovano insieme la sera, avvolti nelle coperte e tra loro. Hubert si sente in colpa, sa che è colpa sua e non può fare niente per alleviargli il dolore e i fastidi: all'inizio è normale, ma il suo organismo non ci metterà molto per abituarsi al veleno – goccia, dopo goccia, dopo goccia, il suo corpo infine svilupperà un'immunità a quel veleno, ed irrimediabilmente a qualsiasi altro, considerando che quello creato da Hubert ne supera di gran lunga l'efficacia.
     Hubert entra nella sua stanza – una delle loro, ormai, perché non passa notte che non venga vissuta insieme – e Ferdinand è lì. La sua armatura è abbandonata ai piedi del letto, le tende coprono le finestre completamente per non far filtrare neanche la debole luce della luna e lui è avvolto nelle pesanti coperte, il viso affondato nel cuscino. È sveglio, Hubert lo sa. Sa anche che è nel suo letto perché è stanco, e perché mentre lo aspetta gli piace essere avvolto nel suo odore – adesso che può, adesso che non deve più nascondere quel che prova per timore di essere abbandonato. Ferdinand sembra sempre camminare in punta di piedi quando sta con lui, sempre con la paura che Hubert potesse voltargli le spalle da un momento all'altro, perché sa che Edelgard è e rimarrà sempre al primo posto, per lui, sa che Ferdinand non sarà mai il tassello più importante della sua vita.
     Hubert ha sempre creduto che ciò fosse vero. Adesso non ne è più sicuro.
     Lo saluta sempre con un bacio, Ferdinand. Allontana il viso dal cuscino e scopre completamente la sua faccia, completamente inerme, completamente suo. Allunga una mano verso di lui e Hubert si piega fino ad arrivare di fronte alle sue labbra, che bacia e bacia e bacia fino a che Ferdinand non riesce più a trattenere il fiato.
     «Grazie.» gli dice, quando Hubert gli passa la tazza fumante. Ha messo una goccia, piccola quanto una lacrima, del suo veleno ma adesso non prova ansia o terrore, mentre lo guarda soffiare via il vapore e sorseggiare piano il tè. Adesso lo guarda con un sereno sorriso sulle labbra, perché sa che quel veleno è una precauzione per salvargli un giorno la vita, non per terminarla. «Ah, è il mio preferito. Non so come tu faccia, è praticamente introvabile! Lo apprezzo molto.»
     «Ti porterei anche il sole, se potessi. Ma, ahimè, dovrai accontentarti solo del tè.» gli risponde Hubert, e Ferdinand ride, con dolcezza, e beve il suo veleno fino all'ultima goccia. Posa la tazza con delicatezza sul comodino, poi si allunga ancora verso di lui e ancora lo bacia, come se non ne avesse mai abbastanza. E ancora, ancora, ancora, Hubert ne vuole ancora.
     
Lo ristende di nuovo tra le coperte e ancora, ancora, ancora lo fa suo.
     
Fino a che il veleno non farà effetto.




 


niv's blabla: manco da questo sito saranno più di tre anni. un po' mi mancava scrivere, ma avevo completamente perso la voglia di farlo per... varie cose successe, appunto, tre anni fa, più o meno gravi, che non mi hanno lasciata molto serena. da allora non sono più riuscita a scrivere niente, e se l'ho fatto è sempre perché c'era qualcun altro insieme a me. ho abbandonato molti progetti che non ho affatto intenzione di riprendere, e in realtà non avevo neanche intenzione di ricominciare a scrivere e a postare qui (non sono più in grado di scrivere in italiano lol, ormai leggo solo fyccine su ao3) ma poi... three houses è arrivato nella mia vita, e io mi sono sentita spacciata. non riesco a togliermi dalla testa tutti questi belli patatini, e ormai shippo tutti con tutti, specialmente sti due che, quando ho fatto la route crimson flower mi hanno fatto andare in brodo di giuggiole e quando ho fatto, invece, la silver snow mi hanno fatta m o r i r e (perché, giustamente, ho fatto quella cosa lì a hubert proprio con ferdinand. lo so, in certi versi sono masochista). in sostanza, alla fine di questo lunghissimo sproloquio, ringraziamo tutti three houses che mi ha salvata dalla dannazione del blocco dello scrittore (se scrittrice mi si può definire, tant'è). non ho molto altro da dire, solo che probabilmente sono un po' ammaccata e non ho neanche più lo stile di anni fa, ma non mi importa. sono piuttosto fiera di questo parto, è stata la prima cosa che ho scritto dopo anni e mi sento fiera di me, come se fossi un po' rinata. ci saranno errori, lo so, di ortografia e di sintassi, lo so. ma non mi importa. bimbi, chissà quando ricapiterà lol, forse tra altri tre anni?? vbb vedremo (magari con una specie di sequel di questa? le cose sono volutamente vaghe e senza un vero contesto e senza neanche un vero finale, ma boh un giorno chissà). grazie a chiunque si fermerà a leggere questa cosetta qui! niv.

  
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