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Autore: Tappina_5_S    05/08/2009    5 recensioni
Questa è una storia che è scaturita da un sogno e l'ho scritta di getto con tutti i commenti in prima persona...quidi siate buoni! "Ecoo perchè il quarto giorno della mia permanenza lì avevo un obbiettivo che consisteva nel evitare lo sguardo incantatore di Nicholas Jerry Jonas. Lo odiavo. Ecco a voi signori e signore vi presento il ragazzo di 16 anni più timido, sexy e womanizer che esista!!"
Genere: Romantico, Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Kevin Jonas, Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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jonas Lo guardavo.
Come al solito.
Era così…
…cavoli, anche se non faceva niente, se semplicemente stava fermo era così dannatamente bello, sexy, perfetto…
Per esempio: ora era lì in piedi accanto al muro della casa, ascoltava i suoi fratelli che parlavano, lui non diceva niente, annuiva o rideva, ma niente di più.
Accidenti.
Si passa una mano tra i riccioli, ravvivandoli, facendoli ondeggiare, una semplice azione, ma cavoli giuro che non ho mai visto nessuno farlo come lo fa lui…
Il suo sguardo scuro si sposta su di una ragazza che sta passando accanto a lui e che lo guarda intimorita…naturalmente…lui con noncuranza, quasi facendolo involontariamente, ammicca con lo sguardo e la reazione della ragazza è immediata: arrossisce improvvisamente e si sente costretta ad abbassare lo sguardo proprio mentre lui le sorride con un sorriso sghembo e sicuro…Dio come fa!...la ragazza,lo so per esperienza, si sente sparire tutta l’aria dai polmoni e perde la facoltà di guidare il suo corpo inciampando e riuscendo, con un enorme sforzo, a riprendere il controllo delle sue gambe in tempo per non sfracellarsi al suolo.
A quel punto si allontana il più velocemente possibile da lui cercando di evitare quegli occhi color nocciola che la manderebbero nei pazzi.

Quante ragazze avevo visto reagire così…me compresa…e proprio per questo mi ero costretta a stare lontano da lui, a distanza di sicurezza, l’osservavo di nascosto, lo ammiravo, lo squadravo, potrei dire che lo spiavo, fate come vi pare, ma almeno riuscivo ad avere il pieno possesso del mio corpo e almeno a ricordarmi come si respira, cosa che mi aveva procurato un’altra infallibile figuraccia.
Cosa però che, a essere sincere, non ero certo l’unica che dimenticavo; tutte le ragazze in questo ritiro di gruppo disperso tra le montagne facevano.
Già.
Ma mio padre doveva avere proprio un’idea così brillante?!
Adoravo la montagna e l’avevo sempre fatto.
Un collega di mio padre aveva detto che suo figlio c’era stato l’anno prima e avrebbe voluto non essere mai andato via, così mio padre aveva avuto la grande idea di informarsi su questa casa nel bosco, quasi un rifugio che due mesi l’anno veniva affittato da questa associazione che svolgeva attività nel bosco e non ,per ragazzi e, ovviamente, mio padre colse l’occasione al volo.
“Che ne dici di andare in questo posto?” quelle erano state le parole della mia disfatta…all’inizio fui contenta, anzi di più, ero euforica, poi mio padre disse che ci sarebbe stato anche il figlio del suo collega, Mirco…e già lì capii l’insistenza di mio padre, si lamentava tanto che non facevo amicizia con i figli dei suoi colleghi e mi chiamava eremita…ma mica è colpa mia se i diretti interessati sono casi clinici o disadattati, anche se in questo caso lo ero io visto che erano tutti uguali…fatto sta che scoprii che mio babbo aveva già fatto la mia iscrizione…intrappolata!
Ecco come mai adesso mi ritrovo qui, in questo posto, contro il mio volere.
Il primo giorno che arrivai avevo una faccia rassegnata che addirittura il disadattato Mirco se ne accorse.
La casa era di un colore grigio topo scolorito, le persiane verdi,le finestre pulite.
La villa, direi che sia più appropriato questo nome, aveva due piani, più la soffitta.
Al primo piano si trovava la cucina, il refettorio, la sala in cui potevamo giocare, leggere, fare i compiti, insomma ciò che ci pareva, un bagno e un’altra stanza con la TV, due computer, il telefono, radio e lettore DVD, non così male in effetti.
Al secondo piano, dopo essere saliti dalle scale in granito, di quelle che se ci cadi sopra ti squarci mezza gamba, si trovavano due ali: quella sinistra e quella destra.
A sinistra vi era il corridoio con le varie stanze e i bagni delle ragazze.
A destra si trovavano le camere e i bagni dei ragazzi.
Fuori dalla casa c’era uno spiazzato dove c’erano sedie e tronchi per mettersi a sedere, poi c’era un campo da calcio affiancato a uno da pallavolo e in fondo, coperto da un piccolo gazebo in legno c’erano il tavolo da ping-pong.
Tutt’intorno c’era il bosco.
Il primo giorno a mezzogiorno, puntuali, figli con i rispettivi genitori e le rispettive valigie si ritrovarono tutti davanti alla casa.
La folla di persone e cose era immensa, anche se i ragazzi erano 25, 30, non di più.
Con mio grande stupore, mentre cercavo di scappare dallo sguardo indagatore di mia madre e le attenzioni appiccicose di mia sorella minore, sentì parlare in tedesco alle mie spalle.
Mi girai e per poco non inciampai nella mia stessa borsa nera.
“Are you all right?!”
“Yes” risposi istintivamente.
Poi mi resi conto improvvisamente che non avevo parlato nella mia lingua e mi alzai per squadrare chi mi stava davanti.
Un ragazzo intorno ai diciassette anni con i capelli castani e gli occhi verdognoli mi stava guardando con uno strano interesse.
“Where are you from?”
Lo guardai, capendo.
“I’m sorry I come from Italy, I’m not English” lui scosse il capo sconsolato.
“Well you have a good pronunciation”
“Thanks!”
“Hi, I’m Christopher”
“Hi Chris. I’m Emma”
Tornai di corsa dai miei e mio padre, che stava dialogando con un robusto e brizzolato signore Americano, mi spiegò che era una campo internazionale e venivano ragazzi da tutto il mondo.
Ne rimasi sbalordita.
Venivano ragazzi da tutto il mondo e chissà quanto costava! La mia famiglia non era certo ricca, avevamo una villetta, ma finiva lì la cosa.
Poi mi venne un dubbio e mio padre con aria colpevole confessò che il suo collega aveva contatti tra le persone che facevano parte di questa associazione e così ecco spiegato il perché.
Beh in quel momento mi resi conto che probabilmente c’erano anche pochi ragazzi che venivano dall’Italia.
Allora ero stata fortunata ad avere la “Casa”, così come la chiamavano, a solo un’ora di macchina distante da casa mia.
Nel primo giorno dove rimasero anche i miei genitori conobbi i primi ragazzi.
Vi erano due fratelli biondi con gli occhi color nocciola di 14 e 17 anni che venivano dall’Austria, una ragazzina di 15 anni con i capelli neri lisci e lunghi, assolutamente fantastici, che veniva dalla Spagna, due gemelle di 12 anni con i capelli ricci e pelle bianca latte, un ragazzo inglese riservato e con i capelli neri di 18 anni, una ragazzina con i capelli rossicci che veniva da Roma e aveva più o meno la mia età, 16 anni e suo fratello di 19 anni e infine una ragazza dai capelli color cenere mossi e gli occhi color acquamarina di 17 anni che veniva da Milano, questi furono i primi ragazzi che conobbi.
Tanto prima che imparassi tutti i nomi ce ne voleva di tempo.
Con Asia, la ragazza di Milano avevo appena poggiato le valigie nella nostra camera ed eravamo appena uscite fuori dall’ingresso della Casa che notai 4 ragazzi: tre erano più alti, uno avrà avuto si e no 10 anni.
I ragazzi che avevano attirato la mia attenzione erano girati di spalle, per cui non li potevo vedere in faccia, a complicare la situazione c’era anche il fatto che due di loro portavano attaccate alla schiena due involucri che contenevano sicuramente una chitarra.
Scossi la testa pensando a cosa se ne sarebbero mai fatti di due chitarre quando stavano in una casa nel bosco, quando mi accorsi della folla di ragazzi che si stavano avvicinando a loro, per lo più ragazze.
“Oddio!” sentì dire accanto a me e girandomi vidi Asia che correva verso i ragazzi tirandomi per un braccio.
La ragazza, che era alta quanto me, riusciva a sgattaiolare tra i ragazzi, appunto.
Persi immediatamente il senso dell’orientamento e mi ritrovai ad essere sballottata da una parte all’altra dalla mia presunta amica che mi stava facendo sudare davvero sette camicie!
Qualcuno mi diede una gomitata, barcollai in avanti pestando i piedi a qualcuno e mi sentì dire scusa in un paio di lingue, stavo veramente per cadere, mi voltai indietro cercando di raccapezzarmi e misi male un piede forse su un sasso e caddi all’indietro, anzi, questo è quello che avrei dovuto fare, ma mi sentii afferrare le spalle da un braccio forte e pallido.
“Oddio scusa, sorry, excuse …tut mir laid…” poi mi girai sperando almeno di aver azzeccato la lingua del mio salvatore…mi ritrovai davanti due occhi color nocciola e un sorriso che ruppe definitivamente il mio tentativo di cercare di mettere un po di aria nei polmoni.
…Asia mi guardava proprio accanto a me e aveva un sorriso furbo dipinto sul volto.
Quelli che si trovavano davanti a me e a cui dovevo essere grata per aver creato quella folla che quasi mi soffocava non erano altro che i Jonas Brothers…!!!...
Quello era stato il mio primo incontro con Joe Nick e Kevin…e più precisamente con Nick.
Ecco spiegato il perché il quinto giorno della mia permanenza nella Casa avevo un obbiettivo che consisteva nell’evitare lo sguardo incantatore di Nicholas Jerry Jonas.
  
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