Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: K_MiCeTTa_K    14/02/2020    5 recensioni
Storia scritta per il contest "We ❤ 20s" indetto da @ClubInchiostro su Wattpad
È San Valentino e Rosie ha ottenuto il permesso di uscire con le sue amiche per andare al cinema. John troverà un biglietto di auguri indirizzato alla figlia, e questo lo farà dubitare delle reali intenzioni della ragazza riguardo ai piani per la serata. L’uomo metterà al corrente dei propri pensieri Sherlock Holmes.
[Parentlock | Johnlock | established relationship | postS4]
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Rosamund Mary Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Prompt: 5. Amore paterno | n. 20


two dads are all you need - On Valentine’s Day

 

 

 

 

«Hai visto Rosie?» John fece il suo ingresso nella stanza.

Sherlock non avrebbe avuto bisogno di alzare lo sguardo dall’esperimento che stava portando avanti per rendersi conto che qualcosa non andava, eppure lo fece: spense il becco Bunsen e prestò attenzione a John.

L’uomo era sceso dal piano superiore a passo di marcia e si era fermato, mani sui fianchi, dall’altra parte del tavolo della cucina. Sherlock si chiese se fosse preoccupazione quella che aveva disegnata tra le pieghe del viso, non se ne disse sicuro, non lo era mai quando si trattava di John Watson. Più di tutto però, era stato il tono di voce ad allarmarlo.

«Rosie è in bagno. Si sta preparando per uscire» spiegò Sherlock.

John si diresse in soggiorno e diede un’occhiata rapida, quasi a volersi accertare che la figlia fosse realmente altrove. «Se vuole davvero andare al cinema, dovrà sbrigarsi» commentò tornando in cucina. Si versò un bicchiere d’acqua fresca dando le spalle al compagno, il quale, in realtà, si aspettava una ramanzina circa l’uso improprio del gas: l’ultima volta che aveva scollegato la bombola dai fornelli per alimentare il becco Bunsen, avevano finito col discuterne per giorni. Eppure non ci fu nessun litigio, almeno non riguardo gli esperimenti che stava conducendo.

«È successo qualcosa?» domandò allora Sherlock. Era un genio, non un indovino, e odiava non capire.

«No, nulla» si affrettò a rispondere John che si accorse solo in quel momento di avere gli occhi del consulente investigativo puntati addosso. Fece spallucce, cambiando totalmente atteggiamento. Afferrò una mela dal cesto della frutta, non per mangiarla, solo per avere qualcosa tra le mani; prese a giocare col picciolo rigirandoselo tra le dita. Conosceva Sherlock Holmes da poco meno di vent’anni e probabilmente ne era innamorato da altrettanto tempo, non aveva intenzione di mentirgli o di tenere per sé quella cosa, ma non sapeva bene come esporla. «Secondo te, Rosamund potrebbe dirmi una bugia?» si decise a chiedere John.

«Certo che potrebbe, ma non credo che lo farebbe.» Sherlock era più confuso di prima, si chiese come mai John avesse sviluppato questi dubbi.

«E se, per fare un esempio, invece che al cinema volesse andare...» John pensò a un’alternativa. «In discoteca» propose infine.

«Poco probabile, ma è irrilevante. Piuttosto, cosa ti porta a formulare un’ipotesi del genere?» Sherlock diede voce ai propri pensieri.

John glissò sulla domanda e insistette: «Perché dici che è “poco probabile”?»

«Rosie non frequenta le discoteche.»

«Io alla sua età ci andavo. Era il posto migliore per rimorchiare, soprattutto a San Valentino!» John interruppe Sherlock che, dopo averlo ascoltato, inarcò un sopracciglio a dimostrazione di tutto il suo disappunto.

Sherlock Holmes si era sempre dimostrato geloso nei confronti delle persone che amava. C’era da specificare che John non gli aveva mai dato da dubitare, ma lo irritava sentirlo parlare con leggerezza delle prodezze che aveva compiuto prima di stare con lui. «Ha soltanto quattordici anni e li ha compiuti da appena venti giorni. Fino a prima che ti strappasse la promessa di avere più libertà una volta che fosse arrivato il suo compleanno, la accompagnavamo noi e la andavamo a prendere noi, ovunque fosse. E non è mai stata in discoteca. Inoltre, nonostante tu le abbia concesso di rientrare più tardi, voglio farti presente che le discoteche aprono alle dieci di sera – orario nel quale mi auguro di sentirla girare le chiavi nella toppa della porta di casa.»

Sebbene Sherlock avesse portato a termine un discorso logico che avrebbe dovuto rassicurare John, quest’ultimo aveva ancora un’espressione ansiosa. «Rosie non ci ha mai nascosto nulla. Se volesse andare in discoteca me lo direbbe» disse Sherlock con un tono appena più calmo per provare a tranquillizzare definitivamente il compagno.

«Certo che te lo direbbe» sbottò John. «Tu non sei-» non terminò la frase bloccandosi immediatamente; voleva evitare di dire qualcosa di sgradevole.

«Non sono suo padre» concluse Sherlock per l’altro. Aveva calcato quell’ultima parola sbattendo i palmi aperti sul tavolo.

John aveva sussultato e per poco non gli era scivolata via la mela. L’aveva messa da parte per andare dietro a Sherlock che, intanto, si era alzato e portato al centro del soggiorno. Probabilmente, si disse John, l’uomo valutava se dare sfogo alla propria frustrazione suonando il violino o chiudendosi in camera. Non avrebbe avuto il tempo per fare nessuna delle due cose, perché lui era intenzionato a chiarire quel malinteso prima di subito. «Sherlock» lo chiamò e gli fece scivolare una mano sul braccio per invitarlo a voltarsi. Attese di poterlo guardare negli occhi prima di proseguire. «Non intendevo affatto dire che non sei suo padre, ma che non sei me.» Si indicò.

«Mi sembra che la sostanza non cambi: tu sei suo padre, io solo uno zio, o un amico» espose rassegnato Sherlock.

«Oh, pensi sul serio questo? Io intendevo proprio l’opposto. Non mi interessa con che grado di parentela tu ti voglia identificare, sei semplicemente perfetto con lei.» John si passò le dita tra i capelli grigi tentando di mettere ordine tra i pensieri. «L’estate che è passata, quando Rosie ha avuto le avvisaglie del suo primo flusso mestruale ha chiamato te, Sherlock. Non ha una madre, né c’è una donna in famiglia con la quale avrebbe potuto confrontarsi, ma io sono un medico, le avrei potuto fornire tutte le informazioni necessarie. Eppure dal bagno ha chiamato il tuo nome, non ha detto “papà” così che semplicemente uno tra noi due sarebbe andato da lei.»

«John, ha chiamato me solo perché mi ha sentito attraversare il corridoio, ero quello più vicino a gestire il dramma» tentò di chiarire l’altro. Non immaginava che il compagno potesse essere convinto di una tale sciocchezza da mesi. Sherlock era certo che, tra i due, il padre perfetto fosse chiaramente John. «Se non fosse stato per te, Rosie sarebbe ancora chiusa in quel bagno in attesa di un pacco di assorbenti. Io non ho ancora idea di quale sia la tipologia più adatta. Certo, avremmo potuto chiedere alla signora Hudson, nonostante ai suoi tempi lei abbia usato dei ritagli di stoffa, come ci ha tenuto a farmi presente – dovrò eliminare quest’informazione raccapricciante dal mio palazzo mentale.»

«Che schifo! Io che dispongo di un cervello nella media come faccio a dimenticare questo fatto?» John sbuffò una risata dalle narici e anche Sherlock si concesse un sorriso a mezza bocca. Il medico fece un passo in avanti e prese le mani dell’altro tra le proprie. «E allora con il lucidalabbra?» John si preparò a confessare di come si fosse sentito inadeguato in quell’ulteriore situazione, anche se riguardava qualcosa di decisamente meno importante. «Io non ero affatto contento di quell’acquisto fino a quando non mi hai aiutato a comprendere che il gloss in questione fosse più appiccicoso di qualsiasi colla in commercio: nessuno rischierebbe di baciare un paio di labbra conciate a quella maniera, neppure un adolescente in preda agli ormoni. Almeno spero. Vedi, tu compi sempre la scelta migliore, sai sempre in che modo comportarti» disse serio John.

Le poche volte che avevano sfiorato l’argomento, John aveva sempre rassicurato Sherlock riguardo al fatto che Rosie lo considerasse a pieno titolo suo padre. Ora gli stava dicendo che era addirittura migliore di lui. Sherlock si sentì bruciare dal desiderio di avventarsi su quelle labbra che avevano appena parlato. Ma doveva trattenersi, e pensare a come far capire a John Watson quanto fosse un uomo meraviglioso e un padre di altrettanto valore. «Tu hai deciso di fidarti di Rosie. Hai posticipato l’orario del coprifuoco e le hai permesso di uscire questa sera senza essere accompagnata. È la decisione migliore, io sono solo preoccupato dei pazzi che girano per la città. Lei è abbastanza respo-» Sherlock venne interrotto.

«Ha un ragazzo» affermò John tutto d’un fiato. «Si devono vedere questa sera. Cioè non ne sono sicuro…»

Holmes ci impiegò qualche attimo a recepire quelle informazioni, dopodiché formulò una serie di interrogativi. «Chi è questo ragazzo? Non sei sicuro che si vedano questa sera o che stiano assieme?» Il pensiero che Rosamund potesse avere un fidanzato gli procurava fastidio. Non sarebbe stato un vero problema, ma non aveva mai avuto il sentore che la ragazza frequentasse qualcuno. Che fosse stato troppo distratto? «A me non ha detto nulla. Ne ha parlato con te?» Non terminò di pronunciare la frase che capì. «Non è stata lei a dirtelo. Come avrebbe potuto, è chiusa in bagno da una vita e tu sei strano da quando sei tornato dalla sua camera. Hai visto qualcosa che ti ha portato a supporre queste assurdità.» Sherlock sgranò gli occhi e si lasciò scivolare le braccia lungo il corpo. «Tu hai-» cominciò a dire alzando la voce.

Il compagno gli fece segno di fare silenzio. Volsero gli occhi al corridoio, in direzione del bagno. Entrambi colsero il suono dell’asciugacapelli e ne furono rassicurati.

«Tu hai letto il suo diario» realizzò Sherlock in un sussurro. «Rosie non ha un diario segreto, ma ho visto che al margine di libri e quaderni scarabocchia sempre qualcosa. Hai trovato una sua annotazione? L’hai cercata deliberatamente» lo accusò il consulente investigativo.

«No. Sì. Cioè, più o meno» balbettò John. «Non sarò il padre dell’anno, ma non sono andato a frugare tra le cose di mia figlia. Sono entrato in camera a posare i panni puliti e sulla scrivania c’era un biglietto. Mio Dio non guardarmi in questo modo, te ne prego» implorò. John aveva provato fino a quel momento a non sentirsi in difetto, ma non poteva riuscirci se il compagno lo giudicava male.

«Non ti sto guardando in nessun modo. Voglio solo capire. Che genere di biglietto è, cosa c’è scritto sopra?» lo incalzò Sherlock invitandolo a fornirgli tutti i dettagli.

«Un secondo fa ti assicuro che avevi lo sguardo di disgusto che riservi ai peggiori assassini che facciamo arrestare» protestò John afflitto.

«Non potrei mai provare disgusto nei tuoi confronti, non azzardarti a pensarlo» rispose Sherlock perentorio. Afferrò saldamente John per le spalle. «Rosamund sa che entriamo nella sua camera liberamente, se decide di lasciare dei biglietti in bella vista vuol dire che non si tratta di cose poi troppo segrete.» Fece schioccare la lingua sotto al palato. Si fermò a ragionare e si rese conto che, al posto di John, non si sarebbe limitato a una sbirciatina. E questo non aveva nulla a che vedere col ritenere Rosie una ragazza più, o meno, responsabile; il problema era non avere la più pallida idea di che persona potesse frequentare. Come per la questione dell’uscire da sola, la preoccupazione derivava dalla possibilità di incappare in malintenzionati anche solo prendendo un taxi. «Oramai l’hai letto, non costringermi ad andare di persona a vedere cosa recita.» Sherlock provò a incitare John a parlare.

«È un biglietto di auguri per la festa degli innamorati. Gatti e cuoricini sul davanti.» Il solo ricordo di quel pezzo di carta provocò a John un bruciore alla bocca dello stomaco. «Sul retro la scritta pre-stampata “Sii il mio San Valentino” e, sul fondo, la firma. Si chiama Joseph» spiegò sbuffando.

«Un vero poeta Joseph» commentò Sherlock storcendo appena le labbra.

«Che ci fate qui voi due al buio?» La voce di Rosie scosse i due uomini. Non si erano minimamente accorti che il rumore dell’asciugacapelli era cessato.

«N-noi…» provò ad articolare John.

Rosie non dedicò più di un sorriso e un’alzata di spalle allo strano comportamento dei suoi papà. Pigiò sull’interruttore e accese la luce.

«Come sto?» chiese Rosie esibendosi in una piroetta. Si portò avanti a Sherlock per farsi osservare.

Sherlock notò con piacere che, a parte le Jordan 1 Bloodline, delle scarpe che tanto aveva desiderato e finalmente ottenuto per il compleanno, non era vestita diversamente dal solito. Forse questo ragazzo misterioso non era poi troppo importante per Rosie.

«Sei splendida, tesoro» le disse sinceramente Holmes.

La ragazza allora lo abbracciò. Sherlock ricambiò la stretta. Sentì il nasino di lei rilasciare un respiro tiepido all’altezza dello sterno che gli inumidì appena la camicia. Si chinò per lasciarle un tenero bacio tra i capelli biondi che profumavano di lavanda.

John si unì all’abbraccio e, dopo averle riproposto le solite raccomandazioni di rito, la aiutò a infilare il giubbino. Le calò bene il cappello sulle orecchie affinché fosse protetta dal freddo e l’accompagnò sull’uscio. «Non fare tardi» ripetette l’uomo mentre si richiudeva la porta alle spalle.

«Non farlo. Non dirlo» pregò Sherlock all’altro.

John se la rideva sornione, conscio del fatto che il consulente investigativo avesse carpito i propri pensieri. «Si è rivolta a te un’altra volta: avevo ragione» specificò.

«È risaputo che, tra i due, sono io quello che ha stile nel vestirsi» sdrammatizzò Sherlock vagamente divertito. Afferrò la giacca appesa sull’attaccapanni e se la infilò aggiustandosi i polsini della camicia.

John non gli diede dello sbruffone o del vanesio, ma non perse l’occasione per stuzzicarlo. «È inutile che neghi: so che adori i miei maglioni» scherzò.

«Oh, non hai capito: io adoro sfilarteli da dosso questi maglioni.» Finalmente Sherlock si concesse di appropriarsi di quella bocca e azzerò le distanze tra sé e Watson.

Fu un bacio rapido, perché avevano altre priorità. Sherlock non ebbe bisogno di spiegare il motivo per il quale indossò cappotto e sciarpa, John lo seguì a ruota. Di comune accordo decisero di trascorrere la serata al cinema. O a seguire Rosie se la si fosse voluta vedere a quel modo.

 

 

«Sei sicuro che sia Rosamund quella seduta lì?» chiese John scettico.

Non erano riusciti a intravedere la ragazza per strada, né entrare nel cinema, ma sapevano che film sarebbe dovuta andare a vedere, per cui, alla fine, avevano acquistato i biglietti ed erano entrati in una sala. Secondo Sherlock le persone sedute due file di poltrone avanti a loro erano Rosie con le sue amiche, ma era talmente buio che John non avrebbe distino la punta delle proprie scarpe, figurarsi identificare qualcuno dalla sagoma del capo a tre metri di distanza.

Sherlock non riusciva a rilassarsi. Aveva acquistato dei pop-corn per giustificare la sua presenza lì col compagno qualora, nell’intervallo, a luci accese, Rosie li avesse scoperti. Le avrebbe detto che avevano approfittato della sua uscita per guardare quel film del quale gli aveva tanto parlato. Sapeva che quella cosa non era eticamente corretta, ma era più forte di lui, doveva sapere che Rosie non fosse in pericolo. Si raccontava questo il consulente investigativo, in realtà era cosciente di essere solo estremamente curioso e geloso.

Una battuta sullo schermo fece scoppiare a ridere tutti, e John riconobbe la risata chiara della figlia, uguale a quella di Mary, sua madre. Solo a quel punto riuscì a rilassarsi un poco. Trascorse del tempo anche a seguire la pellicola; l’attore protagonista gli ricordava vagamente Sherlock. John si voltò di lato per trovare l’oggetto dei suoi pensieri che – non poteva crederci – stava lanciando dei pop-corn. «Cosa diamine stai facendo?» domandò John strattonando Holmes per la manica della giacca. I chicchi di mais caddero in terra con un effetto cascata assieme al recipiente che li conteneva.

«Devo assolutamente capire chi è seduto lì» rispose Sherlock intervallando le parole con il lancio, verso le poltrone dinanzi, di qualche ultimo chicco che gli era rimasto in mano. «Ho riconosciuto le amiche di Rosie. Quelle sono Juliet e Susanne, ma sulla poltrona accanto potrebbe esserci Joseph. Se solo si girasse…»

«A me sembra una ragazza con i capelli legati, forse Alexia» propose John, che si vide schizzare avanti agli occhi un altro pop-corn che atterrò esattamente sulla testa della persona in questione. Prima che il ragazzo, o la ragazza, che era stato preso di mira potesse girarsi, gli uomini si abbassarono e si nascosero dietro gli alti schienali.

«Sì, era Alexia» decretò Sherlock.

«Be’, spero che lei invece non ci abbia riconosciuti.» Soprattutto John si augurò che la figlia non si fosse accorta della loro presenza.

Trascorsero acquattati un po’ di tempo prima che una voce grave attirasse la loro attenzione. «Signori» fece la voce sconosciuta. Sherlock sbirciò sopra la spalla del compagno e intercettò la presenza di un uomo in piedi nel corridoio sgombro dalle sedute. «Signori,» insistette l’uomo «vi prego di seguirmi fuori e lasciare la sala.»

John, incredulo, imprecò fra i denti e si alzò; mortificato si avviò all’uscita. Sherlock fece lo stesso. Si sollevò il bavero del cappotto per mascherarsi un minimo e seguì quello che, con tutta probabilità, era un addetto del cinema chiamato proprio dalla ragazza che aveva infastidito.

John provò a giustificare sé stesso e il compagno, disse che si era trattato di un malinteso, ma non ci mise troppo impegno. Volle soltanto assicurarsi che non affiggessero una foto segnaletica dei loro volti con la scritta “io qui non posso entrare”.

Quando uscirono dall’edificio presero a camminare verso casa. Quella notte di febbraio il cielo di Londra era scuro e senza stelle; eppure i lampioni rendevano l’atmosfera naturalmente romantica illuminando la strada con dei fasci di luce calda. Gli uomini procedevano l’uno accanto all’altro in silenzio, e nessuno si azzardò neppure a proporre di fermare un taxi, nonostante il freddo. Fu John a spezzare il silenzio.

«Come a scuola: mentre il professore era di spalle, sfrecciavano gli aeroplanini di carta» raccontò John con le lacrime agli angoli degli occhi faticando a trattenere le risate. «Ho visto schizzarmi questo pop-corn avanti al viso.» Mimò con le mani il passaggio del fiocco volante ed entrambi scoppiarono a ridere tanto forte da doversi mantenere la pancia. Watson non era davvero arrabbiato e questo fu un sollievo per Sherlock.

Quando l’eccesso di ilarità fu scemato, Sherlock disse: «Non ho l’istinto.» John gli riservò un’alzata di sopracciglia interrogativa, e allora aggiunse: «L’istinto genitoriale.»

«Certo, è chiaro» rispose sarcastico John. «Pensi che a me venga tutto naturale?» L’uomo aspettò per un po’ che Sherlock ribattesse qualcosa, ma questi si limitò a scuotere il capo in segno di negazione. «Ti assicuro di no. E lo dimostrano situazioni come questa: saremmo dovuti restare a casa. Bisognerebbe che i bambini venissero al mondo corredati di manuale d’istruzioni.»

«Dovresti parlarne con Rosie. Intendo del biglietto che hai trovato in camera sua, e delle tue preoccupazioni» espose Sherlock. Sarebbe stata la mossa migliore confrontarsi con la ragazza, anche in futuro. Per quanti errori potevano aver commesso, Rosamund era venuta su bene, chiunque l’avrebbe voluta come figlia, e Sherlock si sentiva onorato che quella fortuna fosse capitata proprio a lui.

«È quello che ho intenzione di fare» confermò John.

«La ami. La amiamo» si corresse Sherlock. «Lei lo sa, so che lo percepisce. E tanto basta, anche senza istinto genitoriale o manuale d’istruzioni.»

John si specchiò nelle iridi chiarissime del compagno e si strinse a lui. Procedettero a camminare senza fretta, si tennero per mano durante tutto il tragitto fino a casa.

 

 

Rosamund si era appropriata della stanza al piano superiore, quella che aveva ospitato a lungo John. Quest’ultimo si era trasferito da tempo in camera con Sherlock; certo, la condivisione degli spazi dell’armadio non erano equi a causa di tutti gli abiti di sartoria che possedeva il compagno, ma questa era un’altra questione.

John aveva dato una mano di vernice alle pareti della sua vecchia camera spoglia per trasformarla in una che potesse essere adatta a una bambina. Era stata proprio Rosie a scegliere come modificarla – non scegliendo davvero, giacché ogni parete aveva un colore differente: rosa e azzurro confetto, giallo paglierino e verde mela –, il risultato lo si poteva definire vivace.

Watson bussò piano prima di entrare e trovare sua figlia già sotto le coperte pronta a dormire. Rosie si spinse sul bordo del letto facendo cenno al padre di sedersi accanto a lei. John si sdraiò lasciando i piedi fuori dal materasso e reggendosi su di un braccio.

«Piccola, com’è andata?» domandò John spostandole qualche ciocca dalla fronte.

«Piccola?» gli fece eco quella. Ma non resistette al sorriso colpevole e amorevole del padre. «Okay…» Si arrese facendogli una linguaccia. «Tutto bene. Il film è stato molto carino.»

«Sono contento che tu abbia trascorso una bella serata» rispose sincero John.

«Sai, a un certo punto un vecchio ha lanciato dei pop-corn addosso a una delle mie amiche. Me l’ha raccontato lei, io non mi sono accorta di nulla. Per fortuna l’ha fatto allontanare» raccontò la ragazza.

Watson si sentì al contempo in colpa e divertito dall’appellativo che avevano riservato a Sherlock. «Te l’ho detto che in giro c’è gente strana. Stai sempre attenta, e per qualsiasi cosa tu chiamami; io arrivo in un baleno.»

John alzò lo sguardo sulla scrivania. Il biglietto era ancora lì. «Rosie, entrando ho notato un bigliettino tutto pieno di cuoricini. Hai un ammiratore segreto?» introdusse l’argomento John.

«Ah, quello. Nessun ammiratore, solo Joseph che si è preso una cotta per me» minimizzò Rosie.

«Dici nulla!» constatò John, eppure la figlia sembrava veramente disinteressata. «E a te piace questo ragazzo?»

«Macché, io sto con David del corso di lettere» ammise Rosie con nonchalance rischiando di provocare un infarto a John, e a Sherlock quando l’avrebbe scoperto.

 

 

 


Note:

3487 parole

Quando John ritiene che l’attore del film che danno al cinema gli ricorda Sherlock, mi riferivo a due opportunità. La somiglianza potrebbe essere di tipo fisico, con Benedict Cumberbatch che recita in “1917”, attualmente in programmazione nei cinema di Londra; oppure una somiglianza in senso lato con Robert Downwy Jr. in “Dolittle” (sempre in programmazione), poiché l’attore in passato ha vestito i panni di Sherlock Holmes.

Il numero 20 è stato inserito due volte. Nel primo caso indica la quantità di tempo trascorsa da quando si conosco Sherlock Holmes e John Watson; nel secondo, invece, indica quanto tempo è trascorso tra il compleanno di Rosie (fine gennaio, come si presume dalla serie tv) e San Valentino. Insomma, si cerca di celebrare l’anno cominciato da poco con questo 20 - 20, e in realtà, se non ho fatto male i conti, la storia è ambientata nel 2029.

Presente o futuro, sono doverosi dei ringraziamenti. È la primissima volta che espongo un mio scritto al giudizio di qualcuno (partecipare a un contest, per me, è diverso dal pubblicare) e se l’ho fatto è anche merito dei consigli, delle critiche costruttive, dei commenti costanti e della vicinanza in generale di alcuni di voi. Probabilmente potreste riconoscervi in una citazione o nei nomi dei personaggi non protagonisti.

Riprendo le parole del bigliettino di sopra: voi siete il mio San Valentino!

Grazie a chi ha letto fino a qui e a chi vorrà lasciare un segno del proprio passaggio,
K.

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: K_MiCeTTa_K