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Autore: ArwenDurin    07/03/2020    1 recensioni
Dal capitolo:
"Calpestò i vetri sotto i suoi piedi, erano pezzi di se stesso? Si guardò la mano e nel sangue che scorreva fino al suo polso, scorse l’unico colore che riusciva a distinguere da dietro gli occhi appannati. Si chiese quale fosse il significato della sua stessa esistenza e il perché andare avanti in un mondo che se ne fregava, che senso aveva se era così solo. (...)
«Sherlock?»
Il suo pianto si bloccò e il suo respiro tornò regolare al suono del suo nome chiamato dal suo conduttore di luce.
«Sono qui, John.»"
Johnlock, Happy Ending
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I've felt this way before
So insecure 
Crawling in my skin

These wounds, they will not heal
Fear is how I fall
Confusing what is real”

-Crawling, Linkin Park

 
 
No, no, no!
Lanciò il suo computer portatile che rimbalzò qualche secondo prima di fermarsi immobile sul divano, tirando un sospiro frustrato e si stropicciò i ricci, niente di interessante né di utile, nulla che potesse distrarlo… c’era silenzio e ogni voce che vagava nella sua mente, era rumorosa come un urlo.
Sherlock vagò con lo sguardo in quell’appartamento solitario e si forzò di non guardare la poltrona vuota a pochi piedi da lui, si scosse e diresse in bagno dove si lavò il viso, cercando di “pulire” l’oscurità che dimorava in se stesso. Ma quando incontrò i suoi occhi allo specchio, capì che era perduto più che mai, fu proprio perché vi lesse soltanto i turbamenti, le paure e ogni pensiero cupo che scorreva in lui, che lo specchio finì in frantumi.
Orribile. Inutile. Debole.
Erano già capitati questi assurdi momenti di insicurezza dove dentro di sé ogni parola era pronto a buttarlo giù e graffiava, urlava sotto la sua pelle e il rifugio l’aveva spesso trovato in un ago, ma ora che cercava di resistere, il mondo era annebbiato da un pianto che non gli apparteneva.
Nulla aveva più un sapore, così distante e quasi superfluo, persino il suo solito tè non ne aveva, avrebbe potuto mangiare qualsiasi cosa e non riconoscerla, tutto era del grigio più spento che si potesse immaginare.
Calpestò i vetri sotto i suoi piedi, erano pezzi di se stesso? Si guardò la mano e nel sangue che scorreva fino al suo polso, scorse l’unico colore che riusciva a distinguere da dietro gli occhi appannati. Si chiese quale fosse il significato della sua stessa esistenza e il perché andare avanti in un mondo che se ne fregava, che senso aveva se era così solo.
È questo uno dei tuoi problemi, non è vero Sherlock? Senza John sei debole e inutile, e sbagli continui a sbagliare persino le cose più elementari.
Un nuovo pensiero accusatorio, un altro dei tanti che riempivano la sua mente, si depose nei frantumi di quello specchio che davanti a sé, gli mostrava un volto distorto e disperato; più in lontananza, gli occhi di suoi fratello che scuoteva il capo mentre in fondo alla stanza, vide John con uno sguardo di delusione scritto negli occhi.
Il taglio che si era procurato nella mano pulsò: John lo avrebbe guardato così? E il suo sguardo tornò sui cocci di vetro sotto le sue pantofole, allungò una mano quand’ecco che improvvisamente qualcuno lo chiamò.
«Sherlock?»
Il suo pianto si bloccò e il suo respiro tornò regolare al suono del suo nome chiamato dal suo conduttore di luce, John era lì dopo così tanto tempo.
Nascondi tutto.
Velocemente si sciacquò il sangue dalla mano e dal polso, la bendò alla bella e buona e si diede un contegno, gli occhi spenti più del solito assunsero l’aria di indifferenza e nel volto mise la maschera che tanto amava indossare e facendo un sospiro, uscì dal bagno.
«Sono qui, John.»
Il medico gli rivolse un sorriso flebile mentre Sherlock, ringraziando il se stesso di poco prima di averli appoggiati proprio lì, si avvicinò alla sua poltrona prendendo i guanti dalla suddetta e coprendo il taglio che pulsò nuovamente.
«C’è un nuovo caso, o stai semplicemente uscendo?»
«La seconda opzione e apprezzerei della compagnia.»
Ti prego, rimani con me.
Incontrò il suo sguardo e John annuì.
«Devo di nuovo sostituire il teschio?»
Chiese con il sorriso sghembo.
«Non questa volta.»
Watson lo guardò con il capo piegato di lato, una ruga in più in mezzo alla sua fronte a mostrare una domanda che però il medico non esternò.
 
Le stelle brillavano in cielo, eppure sembravano così lontane, fredde e irraggiungibili, Sherlock le guardò mentre camminava con il suo migliore amico in silenzio e ricordò l’atmosfera molto diversa quando anni fa le avevano viste assieme.
Bellissimo, non è vero?
Sospirò e scosse il capo, alzandosi il bavero del cappotto e incontrando gli occhi blu di John per un secondo e si sedettero poi su una panchina. L’aria era mite e fresca, poca gente passeggiava dando a quel parco il silenzio per cui la mente in subbuglio di Holmes pregava, gli unici momenti in cui forse lo preferiva al solito caos, era confortante, anche se non quanto la presenza del suo migliore amico di fianco a lui.
Sentì il medico sospirare e sistemarsi meglio sulla panchina, cosicché si prestò all’ascolto.
«Questo mese io…ho preferito stare per conto mio, non ero sicuro se potevo tornare, non dopo che Mary ti ha sparato e ha tentato di rifarlo.»
«John, non è stata colpa tua.»
Sherlock lo guardò di sott’occhi e lo vide sorridere di scherno verso se stesso, mentre scuoteva il capo.
«Avrei dovuto capirlo, ti ho messo in pericolo, ci ho messo in pericolo e forse è un bene che sia fuggita, lei e le sue bugie,» Deglutì e lo guardò, una supplica nel fondo dei suoi occhi oceano «Vorresti…io pensavo se vuoi che torni a Baker Street, con te?»
Il detective sentì il suo cuore sussultare dopo tutto quel mese di silenzio.
«Ma certo…mi piace la tua compagnia.»
E ne aveva dannatamente bisogno! Era perso, rannicchiato e persino ferito dai suoi stessi pensieri e il suo conduttore di luce era essenziale nella sua vita.
Lo guardò  e vide quell’espressione di dolcezza, quell’esatto sorriso che gli donava di tanto in tanto, che ogni volta gli faceva perdere un battito al suo cuore supplicante d’amore e fu talmente forte la sensazione, da costringerlo ad abbassare lo sguardo.
John era un uomo fantastico, meraviglioso e meritava tutta la felicità di questa terra oltre l’amore di qualcuno di più degno di lui, qualcuno che gli avrebbe dato l’equilibrio necessario e la stabilità che Sherlock non aveva; in effetti era traballante e stava andando a pezzi lentamente, come un castello di vetro che si crepa pian piano e non voleva che il suo migliore amico ne subisse gli effetti, mai.
«Sherlock…»
«Sarà meglio rientrare, o ci congeleremo qui.» Lo interruppe prima che gli facesse la fatidica domanda, sapeva che John aveva colto che qualcosa non andava anche se forse, non sapeva la ragione.
Si alzò dalla panchina e si incamminò, non aspettando altro certo che John l’avrebbe seguito.
 
Ma appena arrivati a Baker Street, la sua ferita pulsò fortemente e lui non si trattenne più, tutto crollò e quando John fu subito di fianco a lui, gli prese la mano in questione.
«Stai sanguinando!»
Ed eccole lì, delle piccole traditrici gocce rosse, che uscendo dal guanto stavano macchiavano la sua benda e il tappeto della signora Hudson…si sarebbe arrabbiata per questo.
«Non è null…»
Ma prima che potesse terminare la frase, John gli aveva già tolto il guanto.
«Oddio.»
Abbassò lo sguardo al tono preoccupato dell’amico e vide in effetti, sotto la benda che tolse con cura, il taglio era profondo, non tanto da metterci i punti, ma senz’altro da essere disinfettato e curato all’istante prima che diventasse una possibile infezione.
«Siediti! Vado a prendere il kit di primo soccorso.»
«John non...»
Ma il medico era già sparito in bagno, Sherlock si sedette sulla sedia della cucina, si tolse il guanto e con un sospiro attese la ramanzina che da lì a poco avrebbe ricevuto, mentre la luce della cucina per qualche momento fece i capricci lampeggiando.
Quando sentì John uscire dal bagno, capì dai suoi passi che era arrabbiato ma aspettò che fosse di fronte a lui prima di guardarlo, il dottore appoggiò il kit e una bacinella d’acqua sul tavolo e trascinò una sedia di fronte a lui. Quando i loro occhi si incontrarono, John si passò un mano sul viso e la rabbia che brillava nei suoi occhi accesa come un fuoco d’inverno, si celò dietro preoccupazione e domande ma non disse una parola.
Si sedette di fronte a lui e cominciò a lavargli la ferita in assoluto silenzio, con attenzione la disinfettò e bendò mentre Sherlock accolse quel tocco come fosse aria per i suoi polmoni; lo osservò con una devozione tale che ringraziò il medico fosse così attento nel suo lavoro per accorgersene*. Chiuse persino gli occhi un istante, cercando di perdersi in esso e dimenticare i pensieri che lo assillavano persino in quel momento.
Quando finì si sentì afferrare il polso, del che costrinsero il detective a posare gli occhi su di lui, navigò nell’oceano blu burrascoso di John Watson, che cercava di rimanere calmo e mite.
«Sherlock, parla con me.»
Le parole avevano un tono dolce e paziente, nonostante il tremolio leggero della sua mano appoggiata su di lui che tradì una certa ansia.
«Potrei aver involontariamente iniziato una rissa con lo specchio.» Sorrise tirato, ma John non apprezzò la sua risposta e inspirò chiudendo gli occhi per qualche istante.
«Fai come vuoi, ma preferisco il silenzio a questo…non sono uno stupido.»
Oh no, sei fin troppo intelligente e l’intelligenza è sia un dono che una maledizione in un epoca vuota come questa, amore mio.
Si guardarono per qualche secondo, dopodiché John tolse la mano dal suo polso ma con lentezza e Sherlock lesse senso di colpa e paura nel suo volto tirato, nella gamba che muoveva freneticamente e nelle labbra che si leccò più volte.
«Penso che tornerò a vivere qui da stanotte.» E dicendo questo, prese di nuovo il kit e la bacinella dirigendosi in bagno.
 
 
Sherlock aveva gli occhi chiusi ma seppe che John non si stupì di vederlo seduto per terra vicino al fuoco piuttosto che sulla sua poltrona, poiché seguì i suoi passi, il suo respiro e capì le sue reazioni. Lo sentì che poggiò una tazza di tè per lui nel tavolino accanto, per poi sedersi nel suo posto a sorseggiare la sua tazza e non disse una parola, ma il messaggio fu chiaro.
“Almeno bevi il tè, visto che di mangiare non se ne parla o la signora Hudson andrà fuori di testa!”
Così gli aveva detto in quei due giorni e in effetti, aveva mangiato poco o niente e avevano parlato ancora meno eppure la ferita nella sua mano stava guarendo e il bagno era sistemato, questo era l’effetto di avere John Watson di nuovo a vivere con lui.
Ma quei pensieri ancora lo dominavano, erano come stagnanti sotto la sua pelle e non volevano andarsene: forse stava sbagliando qualcosa, o forse era stanco di affrontare tutto da solo?
Sta di fatto che aprendo improvvisamente i suoi occhi chiari, si allungò verso il tavolino afferrando la tazza di tè fumante e ne bevve qualche sorso, decidendo di parlarne e cercando le parole adatte mentre le fiamme del fuoco che con calore scoppiettavano di fronte a lui.
Decise di mantenere lo sguardo su quel camino mentre parlò, con tono basso e sommesso.
«Sono stanco John, lo sono davvero. Tutte queste emozioni, queste reazioni illogiche io…non posso più gestirle, non voglio più farlo.» Si stoppò e lo guardò, studiando il suo viso e le sue reazioni, il medico aprì la bocca per dire qualcosa ma poi capì e la richiuse, accavallando le gambe e attendendo che l’altro continuasse. Un piccolo sorriso sfuggì sulle labbra di Sherlock.
Posò lo sguardo sul fuoco di nuovo, cercando di rallentare il cuore che batteva forte nel suo petto, bevve un altro sorso di tè.
«Sono esausto dalle persone, dall’odio che portano tra loro e in loro tanto da rovinare il mondo, dove mi giro vedo l’abisso dell’umanità ma nessuno sembra accorgersene e tutte queste emozioni illogiche… così stupide da portare al baratro le menti intelligenti. C’è così poco intelletto e poco buon senso solo tanti sbagli, degrado e ancora sbagli, non le sopporto più.»
Non mi sopporto più.
Si portò una mano alle tempie come se potesse sentire ogni cosa, ogni voce ed emozione persino quella del pianeta Terra, per poi riprendere con tono più profondo, più sofferto…qualcosa di umido pizzicò i suoi occhi, ma lui scacciò quel liquido prima che si rivelasse ad altri occhi che non erano i suoi.
«Cerco un senso ma nulla lo ha e cosa posso farci io? Se non sbagliare e finire in questo limbo di incomprensione e illogicità?»
Si zittì poggiando la tazza di tè a terra e soltanto il rumore del fuoco fu udibile per qualche istante, sentì John poggiarsi allo schienale della poltrona e poté avvertire la sua mente pensare.
Rivide suo fratello che gli ricordava di essere troppo emotivo e che quel “troppo” l’avrebbe rovinato se non avesse tenuto sotto controllo e aveva ragione, sospirò e guardò il medico. D’improvviso lo vide annuire a se stesso e alla sua riflessione, stava scegliendo con cura le parole, il suo conduttore di luce stava esitando per lui e Sherlock pensò nuovamente di non meritarlo.
«Quello che stai dicendo, o almeno una parte, deriva dal caso della signora Robbinson? Sì, ho chiamato Lestrade e so cos’è successo.»
Una donna anziana con un caso abbastanza interessante da intrigarlo, che viveva sola e aveva chiesto aiuto al famoso detective per risolverlo, lei era in pericolo e lui lo sapeva. Aveva già affrontato situazioni simili e l’aveva usata come esca, era già successo e non aveva mai sbagliato ma questa volta non aveva calcolato dei fattori. Rivide la signora sul letto di ospedale, post infarto e in coma, le emozioni l’avevano ridotta in quello stato poiché c’era un suo parente di mezzo, qualcuno a cui la signora Robbinson pensava di essere cara, ma non lo era.
Sherlock non era bravo con le emozioni, di solito c’era John ma non fu presente…e lui aveva sbagliato!
Un passo falso e le conseguenze furono disarmanti, tanto da ridurlo a pensare addirittura di fermare il suo lavoro poiché oramai, rotto, inutile e spezzato dall’interno. Il malessere che sentiva dentro aveva influenzato la buona riuscita di quel caso e non aveva fatto altro che aumentare da quel giorno…
Così, Sherlock si limitò ad annuire alla domanda del buon dottore.
John poggiò la sua tazza di tè oramai vuota e lo osservò, sentì i suoi occhi blu percuoterlo, avvolgerlo e toccare il suo animo.
«Lo vedi John? I supereroi non esistono.»
Lo disse con un sorriso tirato e sentì John sospirare.
«Tu non sei uno di loro, è vero…ma sei semplicemente umano Sherlock, forse lo sei più di tutti noi e questo ti ferisce. La maggioranza delle volte non so cosa ti passa in quel tuo assurdo e geniale cervello, non potrò mai sapere davvero i tuoi pensieri o i tuoi tormenti ma posso comprendere, e queste le conosco! Sono emozioni umane.»
«Sono ridicole! Anzi, io lo sono… un inutile ammasso di sentimenti ed emozioni e mi sento così immobile, stantio e confuso.»
John abbassò lo sguardo qualche secondo e puntò poi quegli occhi blu al fuoco, le mani strette a farsi coraggio.
«Io le accetto, io ti accetto Sherlock così come sei anche ora che a malapena vedi te stesso, io so chi sei e so che sei l’essere umano migliore che conosco. Non devi provare niente a nessuno e non devi essere infallibile per farti amare o ammirare dagli altri.»
I loro occhi si incontrarono e Sherlock avvertì le parole nascoste in quella frase, il suo cuore batté vivo, dopo tutto quel periodo in cui a malapena aveva potuto sentirlo. Lentamente, John si andò a inginocchiare di fianco a lui e quando si guardarono di nuovo, vide la dolcezza in fondo al blu oceano dei suoi occhi.
«Vieni qui.»
E piano, gli si fece ancora più vicino fin quando non lo prese tra le braccia, il detective espirò come se avesse tenuto il respiro per tutto quel tempo, annegando in se stesso… ma John, oh John, era il suo salvagente.
Era lì a tenerlo tra le braccia, a carezzare i suoi ricci ed a cullarlo persino mentre Sherlock poggiava il viso nell’incavo del suo collo, e qualche lacrima solcava le sue guance e dunque la pelle di John, eppure non lo lasciava lo teneva lì ed era presente come una luce costante: un faro nel bel mezzo delle acque scure dei suoi pensieri.
Watson poteva non capirlo totalmente, come lui sosteneva, ma la sua capacità di leggere l’animo umano lo faceva sentire, ed era proprio questo ciò di cui Holmes aveva davvero bisogno. Nessun’altra parola, nessuna frase banale e niente di vano, piuttosto un conforto fisico, reale, e tattile…un contatto umano e sapere che non era solo, non con John di nuovo al suo fianco.
E Sherlock pensò di amarlo immensamente contro ogni ragione e pensiero, fu sul punto di dirglielo se non fosse stato per il pianto silenzioso che non voleva mostrare e che se avesse aperto bocca avrebbe fatto, cancellando anche l’ultima briciola d’orgoglio che gli era rimasto in quel periodo.
Non seppe quanto durò quell’abbraccio ma fu lungo, sentito e reale e quando si staccarono i loro occhi entrambi lucidi si persero l’uno nell’altro, le mani di John erano ancora su di lui e Sherlock le prese entrambe tra le sue: così delicate ma forti, da riuscire a sorreggere persino un insopportabile detective in crisi.
Erano preziose quelle mani, belle e di John, prese a baciarle lentamente socchiudendo gli occhi, sentendole sotto le sue labbra per qualche istante e si stoppò soltanto per alzare lo sguardo su di lui, ma a parte lo stupore che prese la sua fronte, c’era un riflesso nel suo sguardo come se avesse sentito quella dichiarazione d’amore non detta.
Piacere.
Le loro mani non si lasciarono e John si allontanò dalla stretta, soltanto per avvolgere il suo volto con le mani e avvicinare il loro visi, in respiri in sincronia e gli sguardi a parlarsi al posto delle parole. Depose un bacio nelle sue labbra, delicato ma ricco dell’amore che Sherlock mai pensava di poter ricevere da lui.
Sono qui, non me ne vado e ti amo anche io.
Erano queste le parole che assorbì senza che l’altro le avesse dette e mentre le labbra di John toccavano la sua fronte, ne avvertì delle altre.
Io non ti lascio, non sei solo.
La tempesta non era ancora passata, ma le nubi grazie al suo conduttore di luce erano diminuite. Ci sarebbe voluta della pazienza sua qualità e dell’accettazione qualità di John per farlo… ed era proprio grazie a lui, lì presente, che sarebbe stato tutto più semplice, perché non era solo nel mare nero dei suoi pensieri e aveva qualcuno che lo accettava così com’era e che lo amava per chi era. Non doveva soffrire in solitudine, né nascondersi.
Lui aveva John e questo era più di quanto avesse mai sperato.


*Fanart della mano, questo è l’esatto sguardo che ha Sherlock per me



Angolo Autrice: Ciao a tutti, mi spiace per la pesantezza soprattutto iniziale di sto racconto ma finisce bene ^_^
Cmq, perché scrivere qualcosa del genere? Beh, questo è più uno sfogo che un racconto classico su di loro, l’ho già fatto con gli Hannigram su un altro tema tempo fa e ora ho sentito di farlo anche con i Johnlock. Ma non voglio dilungarmi troppo sul perché di questo racconto, soltanto due righette in più:
-Ci sono delle differenze però, ho cercato di rimanere più possibile fedele ai pg di Sherlock e John, però potrebbe essere OOC
-Lui ha John e John è un aiuto prezioso, lo dico senza invidia perché senz’altro Sherlock lo merita, si meritano a vicenda 💝💝
 
Il brano dei Linkin penso ci stia a pennello con il racconto e mi ha dato una spinta nella stesura quindi il titolo non poteva che essere peso dal brano.
(l’ho scritto prima del panico generale nel mondo, ma ho finito di correggerlo e perfezionarlo ora)
 
Scusate se è un po’ OOC ma appunto, voleva essere un racconto un po’ diverso dagli altri, più “personale” diciamo così e poi ho anche pensato che Sherlock potrebbe vivere delle crisi esistenziali di questo tipo, lo so, ci sarebbe stato meglio quello vittoriano ma io me li sono vista moderni oltretutto le fanart abbinate sono moderne.
La fanart della mano che ho messo su ad esempio, e la copertina del racconto
qui.
 
 
Grazie a chiunque leggerà e/o commenterà😊


 
   
 
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