Storie originali > Noir
Ricorda la storia  |      
Autore: alessandroago_94    10/03/2020    22 recensioni
Un medico sta subendo un interrogatorio molto particolare, poiché riguarda la morte di sua moglie. Le sue unghie sono ancora imbrattate del sangue della coniuge, la sua mente è confusa. Ma fino a un certo punto.
Storia scritta a quattro mani con Cara93.
Quarto classificato al Contest “Feat. Masters” indetto da Soul_Shine sul Forum di Efp.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Innocente

INNOCENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aspetto. Non mi resta altro da fare, chiuso tra le quattro spoglie pareti di una sala interrogatori.

Sono solo. Probabilmente, perché sono interessati a vedere come mi comporto quando sono sotto pressione; è così che fanno, almeno secondo tutti i film e le serie televisive che ho visto.

Non credo che troveranno niente fuori dall’ordinario: tamburello le dita sul tavolo dalle gambe inchiodate al pavimento, mi gratto la testa, passo la lingua sulle labbra. Mostro il naturale nervosismo di un bravo cittadino di fronte alle autorità.

Mi sforzo di non lasciar trasparire l’impazienza, la rabbia e lo sconforto. È necessario che mi credano.

 

Mi alzo e percorro tutta la stanza: dieci passi per dodici di un uomo di corporatura media, scarpe numero quarantuno.

Mi risiedo, mi passo distrattamente una mano tra i capelli, chiedendomi in preda alla disperazione cosa questa gente abbia intenzione di fare. Forse hanno capito che la situazione è grave e hanno deciso di intervenire.

Lascio trasparire un sorrisetto beffardo, una sorta di ghigno. Non credo che questi individui siano così svegli da sapere con chi, o meglio, con cosa, hanno a che fare.

Riprendo a tamburellare le dita sul tavolino d’acciaio. Sono ancora sporche di sangue mezzo rappreso, alcune goccioline sono persino arrivate a macchiare i polsini della mia camicia rimboccata sulle braccia, perché non mi è stato permesso di lavarmi le mani. Chissà se qualche traccia di sangue è rimasta appiccicata ai capelli.

 

Finalmente, due investigatori entrano nella stanza.

Uno, il più anziano, si siede per primo, finge di non vedermi e sfoglia distrattamente un fascicolo. È un bell’uomo, grande e grosso, dai tratti del viso marcati. Non ha l’aria particolarmente intelligente e appare svogliato e annoiato.

L’altro, un giovane magrissimo con l’aria da tossichello di quartiere, è più gentile. Mi chiede come sto e se desidero qualcosa da bere. Al contrario del collega, cerca il mio sguardo. Ha occhi piccoli e scuri, che non mi piacciono.

“Non si preoccupi, per il momento si tratta solo di una chiacchiera informale”, cerca di rassicurarmi Tossichello.

L’Anziano si china per premere un pulsante, probabilmente quello che accenderà il registratore e le telecamere nascoste presenti nella stanza. So per certo che ci sono.

“Registrate tutte le chiacchiere informali?”

La mia voce suona tesa, sgarbata. Non c’è tempo da perdere, anche se so che è inevitabile.

Tossichello sorride, Anziano fa una smorfia indispettita nella mia direzione, ma ancora tace.

“Pratica AM456-89, sezione Omicidi. Registrazione della deposizione di persona informata dei fatti: Michael Sullivan, medico, alla stazione di polizia di Gloston, Virginia. Data: domenica quattro ottobre, inizio dell’interrogatorio ore tre e quarantacinque. Persone presenti nella stanza: dottor Michael Sullivan, il detective Clive Turner, numero di matricola 56329 e il sergente Paris Parrish, numero di matricola 84200.”

“Paris?” domando, incredulo all’Anziano. Chi diavolo accetterebbe di portare un nome ridicolo come quello per tutta la vita?

“Lo so, mia madre era una donna strana”, risponde Tossichello e sorride soddisfatto. Resto interdetto per un attimo, visibilmente confuso.

 

“Allora, per prima cosa: nome completo” ricomincia Tossichello, o meglio, il sergente Parrish.

“Michael Sullivan”

“Indirizzo?”

“Compton Road, 9B”

“Casa a schiera?”

“Sì”

“È sposato?”

“Sì” comincio a mostrare segni di impazienza, queste sono tutte informazioni che hanno già.

“Sua moglie è la vittima del caso in esame, Libby Davis?”

“Sì”

“Come ha conosciuto sua moglie?” Non mi sono preparato per una domanda del genere. Mi aspettavo che mi venisse chiesto dove mi trovavo al momento della sua morte e cose di questo tipo, non di come avessi incontrato Libby.

“Nel mio studio”

“Era una sua paziente?”

“No”

“Accompagnava qualcuno?”

“No”   

 

La vedo sbirciare tra gli scaffali della libreria del mio studio, giovane e bellissima.

Mi balzano subito agli occhi i lunghi capelli biondi, folti e lucidi, a stento trattenuti in una coda. La camicia è chiaramente da uomo, troppo grande per lei, tanto che le arriva a mezza coscia; la tiene aperta, sopra un vestito che sembra quasi una tenda, sia per la stampa floreale di dubbio gusto, sia da quanto è sformato.

Penso immediatamente che sia un peccato nascondere un corpo così florido e sensuale. Indossa una quantità industriale di braccialetti, nastrini, collane, anelli e altri ninnoli.

Mi schiarsco la voce, non voglio spaventarla. Si volta: per prima cosa, noto il sorriso, aperto. Poi mi colpiscono i suoi occhi grigi, sognanti, ingenui.

Ne resto immancabilmente ammaliato.

 

Il sergente Parrish resta in silenzio, attende una risposta. Deglutisco, chiedo un bicchiere d’acqua. Nonostante sappia che non c’è tempo da perdere, non posso affrontare questa conversazione senza un aiuto.

Passano i minuti e nessuno dice niente.

“Era una paziente di mia moglie. La mia prima moglie, intendo”

“Ah. Anche lei è una psichiatra?”

“Psicologa. Era... È morta”

“Ah”

Comincio a trovare irritanti i modi di Parrish. La sua gentilezza costruita mi irrita, le sue esclamazioni mi fanno uscire dai gangheri, tanto che devo aspettare qualche secondo prima di rispondere. Tutto il suo aspetto mi infastidisce. Temo che questo mio pregiudizio possa inficiare la riuscita della mia missione, perciò tento di tranquillizzarmi.

“Quindi ha conosciuto la signorina Davis mentre era una paziente della sua ex moglie. Poi?”

“Sì, aveva sbagliato ufficio. Il mio studio e quello di mia moglie erano molto vicini e Libby non è mai stata una persona attenta”

“Ah” ripete.

“Come si chiamava?”

“Come, scusi?”

“La sua prima moglie, la donna che ha sposato prima della signorina Davis.” Dalla formulazione della frase penso che sospetti che nel mio passato ci siano altre mogli morte. Non riesco a trattenere una risatina.

“Bonnie Laing”

 

Negli ultimi tempi con Bonnie le cose non andavano. Era sempre stressata e di cattivo umore e in più avevamo perso la passione che ci univa. Non riuscivo più a toccarla, anche solo dormire nello stesso letto era una tortura insopportabile.

Da quando Libby è entrata nella mia vita, non faccio altro che paragonarle.

Bonnie è vecchia, i suoi capelli cominciano ad ingrigirsi, le rughe le segnano il viso.

Libby è giovane e fresca, ha appena compiuto ventidue anni.

Bonnie è attenta, metodica e precisa.

Libby è imprevedibile, disorganizzata e fragile.

Il corpo di Bonnie è grasso e flaccido, quello di Libby tonico e magro.

Tutto ciò che dice Bonnie è impregnato della sua gravità e serietà, tutto quello che dice Libby è delicato e passeggero quanto il cinguettio di un passerotto.

Anche se non faccio altro che pensare ad un’altra, sono preoccupato per mia moglie: è convinta che qualcuno la segua, dice che continua a ricevere lettere minatorie. Probabilmente, uno dei suoi pazienti l’ha presa di mira.

 

“Quand’è morta sua moglie?” Devo sembrargli confuso, perché aggiunge: “Bonnie”

“Due anni e sei mesi fa”

"Per quanto tempo lei e Libby siete stati sposati?” Esito.

“Due anni e sei mesi”

“Ah”

 

I nostri litigi si fanno più violenti, non riconosco più la donna razionale che ho sposato. Mi accusa di tradirla.

Dice che ne ha le prove: una delle lettere del suo paziente psicotico.

Piange e urla, è convinta che stia cercando di avvelenarla, dice che l’acqua ha un cattivo sapore e che sta perdendo i capelli.

In effetti, ha delle chiazze sulla pelle, il cuoio capelluto chiaro e arrossato perfettamente visibile. Fatico a tenerla tranquilla.

 

“Perché ha ucciso Libby, dottor Sullivan?”

“Non ho ucciso Libby!”

Il detective Turner prende la parola per la prima volta. Percepisco sulla pelle tutto il suo disgusto e il suo livore.

“E come ha fatto ad accoltellarsi? Ci è ‘distrattamente’ inciampata sopra, per caso?”

 

Rivedo la mia giovane moglie e il suo fare garbato, eppure così sciocco.

Se Bonnie è stata un mattone, lei è un peso piuma, ma solo mentalmente.

Libby durante i primi sei mesi di matrimonio si è rivelata una boccata d’aria fresca, quella persona che permette di evadere da una quotidianità che aveva iniziato starmi molto stretta. Poi ha iniziato a mangiare, immergendosi in tutti gli agi che le potevo permettere e che prima della nostra relazione le erano preclusi.

L’ho sempre accompagnata dappertutto e le ho pagato viaggi e addirittura le ho finanziato la ripresa degli studi universitari.

Cos’è andato storto? Ha preso peso, di figli nemmeno a parlarne.

A un certo punto mi sono accorto che non era lei il mio svago, ma viceversa.

 

“Libby amava i coltelli” rispondo allo scettico detective, ed egli sembra piuttosto divertito dalla mia affermazione. “Nel senso che… era depressa” concludo, accorgendomi di aver appena pronunciato una frase apparentemente senza senso.

“Depressione e coltelli quindi vanno di pari passo, secondo lei? È questo che la sua professione le concede di affermare con risolutezza?”

L’Anziano è tosto, non c’è che dire. Le sue domande sono accette che si abbattono ogni volta su di me, in modo spietato.

L’educato e impassibile Parrish resta in ascolto, si sono passati la palla a vicenda.

“No, nel senso che…” per la prima volta sospiro, come se stessi cercando le parole giuste per esprimermi, “…che… si tagliava, ecco. Capitava che si tagliasse, e purtroppo non abbiamo avuto il tempo per fare qualcosa di concreto per evitare che capitasse il peggio”

“Ah, sì?”

Il detective ora sogghigna sotto la folta barba grigia. Sembra un lupo che si avventa sulla preda, mentre indica il sangue che mi imbratta le mani e la camicia.

“Lei l’aiutava, nel tagliarsi? E non mi dica ora che le ha anche chiesto di piantarglielo nel petto, quel coltello! Non ci racconti che è lei la vittima, e non la povera Libby”

“E’ così” mugugno, “morire era diventato il suo unico sogno, ed io l’amavo troppo per non accontentarla. Io sono innocente”

Parrish spalanca le labbra, mostrando una smorfia di mezzo stupore, mentre il detective torna serio.

“E’ consapevole di aver appena ammesso la sua colpevolezza?” infierisce ancora.

Ma quale colpevolezza?

 

Libby a un certo punto ha imparato ad amare la vita. La sua mente semplice la rende spesso vittima degli istinti più primordiali.

Non le è mai importato della differenza d’età, dei miei capelli ormai bianchi e del fatto che non sia mai a casa. Oh, e che fossi anche sterile. Però alla fine le sue pulsioni hanno vinto su tutto.

La sera, quando rincaso, percepisco odori estranei. Il letto a volte è sfatto e la ragazza si mostra irritata al cospetto delle mie domande.

Infine ho scoperto quelle foto che si scatta e che mette in rete, ormai di dominio pubblico, e diversi messaggi hot che scambia con altri uomini. A questo punto mi sono detto; vecchio sì, ma cornuto no!

Ricordo come se fosse ora quando l’ho affrontata di petto.

“Mi ami ancora?”

Al cospetto della mia domanda, lei ha affermato di sì, i capelli biondi e folti legati a farle una sorta di aureola sopra al capo.

“Come spieghi questo, allora, mia amata?” sono tornato a domandarle con tono compassionevole. Le ho mostrato le prove che ho opportunamente scaricato.

Lei è sbiancata. Non si aspettava di certo che un vecchio babbione come me fosse in grado di affrontare la tecnologia attuale, ma mi ha evidentemente sottovalutato.

“Ti denuncio” ha affermato subito, sibilando come una vipera, “violazione di privacy”

Non sa che pesci pigliare. Il pesce più grosso però l’ho pescato subito io; un bel coltellaccio da cucina lasciato sul tavolo, al fine di affettare la carne.  Lei grida forte.

La mia rabbia e la mia frustrazione sono tali da non riuscire a frenarmi. Il tutto dura pochi minuti, giusto il tempo per trapassarla con forza da parte a parte. Poi infierisco sul suo corpo ormai morto. E infine faccio un bel casino per casa e chiamo il 911, simulando un incidente domestico.

 

Ma come si può pensare che io sia colpevole? Come? Colpevole che lei fosse solo una puttana? Io al massimo ho fatto giustizia.

 

Non mi sento in colpa per ciò che è accaduto. Semplicemente, sono innocente.

La stronza ha rovinato la mia vita e mi ha fatto vergognare in eterno, non dirò mai che io l’ho uccisa. O, per lo meno, potrei affermare che l’ho uccisa, ma per il suo bene. Così che non peccasse più sulla mia pelle.

“Non l’ho uccisa. L’ho solo aiutata a migliorare” borbotto.

I due uomini che ho di fronte si scambiano un rapido sguardo. È Tossichello però a tornare a parlare.

“Lei ha mai sofferto di disturbi della personalità? Oppure ha mai accusato fastidi che potessero essere riconducibili…”

Batto un pugno sul tavolo e lo interrompo; questa conversazione mi sta sfinendo.

“Non ho disturbi di alcun genere, né sono pazzo, glielo posso garantire”.

“Ci sta dicendo che ha ucciso sua moglie, e lo fa sostenendo di averla aiutata a migliorare. Le sembra un ragionamento normale?”

E’ di nuovo l’Anziano a infierire.

“Sono innocente” affermo con decisione.

“No, no, no” e Tossichello scuote l’indice come si fa quando si riprende un bambino, “temiamo proprio che lei non lo sia”

“Ma andiamo al punto” torna a riprendere le redini il detective, prima che io possa ribattere altro, “signor Michael Sullivan, è lei l’assassino di Libby Davis, sua moglie? Non ci menta, perché continuare a mentire a questo punto potrebbe solo complicare le cose, in vista di un processo. Dica la verità e l’affermi”

Scuoto la testa, leggermente. Sono innocente.

“Se lo ammette ora, è ancora in tempo per evitare la sedia elettrica. Omicidi così brutali, soprattutto collegati ad almeno un’altra morte sospetta, sono in genere giudicati in modo molto severo” interviene Parrish, più gentile.

 

Bonnie è stata una preda facile. All’epoca tentavo di creare sieri contro le malattie degenerative dovute all'età e proprio quegli esperimenti in laboratorio avevano dato vita a sostanze più tossiche che benefiche.

Darle da bere un po’ di quella porcheria è stato un gioco da ragazzi, gliene ho somministrata ogni giorno mettendola nella fiaschetta personale che si portava sempre dietro quando era fuori casa. E’ bastato un mesetto di terapia a piccole dosi per portarla alla morte.

Alla stessa maniera ho fatto fuori pazienti scomodi, che ho sottoposto a quei percorsi sperimentali che in realtà erano tutt’altro che un progresso scientifico.

Solo che due anni e mezzo fa ero ancora ricco sfondato; due milioni di dollari sono bastati per poter insabbiare tutte le eventuali prove più evidenti. Sono riuscito a uscirne pulito e immacolato, almeno all’apparenza.

 

Ma adesso ho speso tutto, tra i vizi di Libby e i problemi di quel passato non troppo remoto. Sono un uomo finito.

“Sono innocente” ribadisco con vigore dopo un altro attimo di raccoglimento.

Di fronte al silenzio dei miei due interlocutori, ne approfitto per cercare di chiudere la faccenda, almeno per il momento.

“E non chiedetemi altro, parlerò solo in presenza del mio avvocato” aggiungo.

Entrambi scuotono le spalle, sembrano comunque soddisfatti. Per loro sono già in gabbia, pensano di avermi incastrato, ma non è così.

Servono prove, tante prove!

Proprio mentre disattivano il registratore e stanno per alzarsi, ecco che qualcuno bussa alla porta ed entra dentro senza aspettare il permesso.

Un giovane agente rosso in viso dall’emozione porge un plico di fogli ai due rompiscatole.

“Ci sono grosse novità” dice, poi indica alcune parti scritte del primo foglio, opportunamente evidenziate.

È Tossichello il primo a fissarmi con aria di sfida, perdendo per la prima volta la sua aura gentile.

“Le servirà il miglior avvocato del mondo, dottore. Il test del DNA ha appena confermato che l’arma del delitto è stata impugnata solo da lei, mentre i vicini hanno denunciato la vostra lite e i successivi eventi, avvertiti quasi per intero nei loro appartamenti limitrofi al vostro”

Sbatte il plico sul tavolo, poi lo riafferra e lo porta con sé, uscendo dalla stanza dell’interrogatorio parlottando con l’Anziano.

Il giovane poliziotto, invece, resta ed estrae le manette.

“La dichiaro in arresto, dottor Michael Sullivan!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE E DELL’AUTRICE

 

 

 

 

Alessandroago_94 e Cara93 vi ringraziano tanto per aver letto questo racconto.

Entrambi precisiamo che ci siamo spartiti l’opera, a voi carpire quali parti curate da Ale e quali da Cara ^^

È stata una piacevole e stimolante collaborazione, che ha fatto bene alla nostra creatività.

Vi ringraziamo tanto, e tanto anche la giudice, che ci ha permesso di affrontare in serenità questa nuova prova ^^

(poiché non siamo stati capaci di inserire il link dei profili, vi sarà offerto nelle risposte alle recensioni, oppure tramite messaggio privato se sarà richiesto).

 

 

   
 
Leggi le 22 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Noir / Vai alla pagina dell'autore: alessandroago_94