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Autore: ale93    11/03/2020    1 recensioni
Per quanta merda possa mangiare ogni giorno, niente al mondo gli farà crescere due palle abbastanza grosse da andare fino in fondo e dire quello che si porta dietro da anni.
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Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni
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Note: questa coda!fic nasce da un prompt lasciatomi da AleDic nel gruppo facebook C'era una volta con un prompt... se come me avete bisogno della spintarella per mettervi a scrivere oppure se siete super produttivi e avete voglia di mettervi alla prova con prompt interessanti e stimolanti, iscrivetevi (così posso venire a stalkerare anche voi e promptarvi tutto l'angst di cui il mondo ha bisogno). Enjoy.


 


what’s left to say.

 

I still got a lot of shit to learn, I’ll admit it.

Feeling like a digit in a system, just another stupid number.
I don’t know, everything is twisted, I can feel it.

How imperfect a person am I? Go through your purse and put on your disguise.
You see the stars, but they just see the skies.

And you see my scars... what do they see?

(Lot to learn, Luke Christopher)

 

Non potevo, aveva detto Sam con la voce ridotta a un filo non appena avevano rimesso piede al bunker. La sua faccia era bianchissima e aveva gli stessi occhi spaventati di quando era un ragazzino. Ho visto come ti saresti ridotto dopo - dopo Cas e il marchio, ho visto tutto quello che sarebbe successo da quel momento in poi e non potevo. 

 

Dean non aveva detto niente: non ha nulla da offrire a suo fratello. Nessun appiglio, nessuna consolazione. Gli aveva dato un abbraccio come quando erano piccoli e Sam litigava con papà. Non c’era niente che potesse fare allora per liberarlo dal peso che si portava addosso e non c’è niente che possa fare in giorni come questi.

 

Una parte di lui avrebbe voluto ribattere che Castiel sarebbe stato capace di tenere a bada il marchio, al contrario suo, che avrebbero trovato insieme un’altra soluzione, perché c’è sempre un altro modo, niente è permanente nel mondo del Winchester, nel bene e nel male. Ma poi ha pensato bene alle parole di Sam - ho visto come ti saresti ridotto; ha pensato a Castiel manovrato dal marchio, alle sue pupille che sarebbero diventate nere come gli incubi, alla sua risata incattivita che avrebbe continuato a echeggiare anche dall’interno di una cassa di Ma’lak e ogni recriminazione, ogni risposta sarcastica gli è morta in petto.

 

La verità è lì, sotto gli occhi di tutti, e aleggia intorno a loro come una cappa d’aria irrespirabile: Castiel e Dean sono la debolezza l’uno dell’altro. Sam potrà anche essere l’uomo più pietoso dell’universo e non dirglielo chiaro e tondo, lasciando che Dean si tenga questo pensiero bruciante per cullarlo come un segreto, ma il risultato sarà sempre lo stesso. Questa sua stupida vulnerabilità è una certezza che cresce, cresce, cresce a dismisura come Alice che mangia il fungo e diventa un gigante difficile da contenere. Anche Sam — soprattutto lui — sa che potrebbe andare avanti così fino a quando ci sarà un’altra morte imminente, un altro momento catartico, fino a quando ogni cosa esploderà di nuovo e Dean tornerà in ginocchio con la coda tra le gambe e la vergogna in mezzo ai denti per pregare Castiel di non abbandonarlo, di non lasciarlo indietro. 

 

Eppure non è abbastanza per dargli una svegliata e Dean è stanco di arrivare a un passo dal cavarsi fuori dalla gola ogni parola che si agita come un animale in gabbia, è stanco di ricominciare da capo ogni volta. Per quanta merda possa mangiare ogni giorno, niente al mondo gli farà crescere due palle abbastanza grosse da andare fino in fondo e dire quello che si porta dietro da anni. Ma può comportarsi come il coglione che è e girarci intorno ancora un po'. 

 

Come una calamita, il suo sguardo vaga verso la cucina. E Castiel è lì, seduto al bancone, il trench sporco e le maniche sollevate sugli avambracci: nessun marchio, solo tagli e cicatrici e terra.

 

Sarà che Dean ha paura di andarsene a letto e alzarsi domani mattina solo per scoprire che è tutto uguale; sarà che guarda Sam allontanarsi con le spalle dritte e la convinzione di chi non deve più nascondere nulla per parlare con Eileen. Sarà che il purgatorio ha strappato a forza dal suo petto ogni cosa: la disperazione, il senso di colpa, il terrore, il suo cuore e ogni parte di lui, ogni emozione provata in quarant’anni ha cominciato a scorrere come sangue da una ferita imbrattando parole, gesti, preghiere - sarà colpa di tutte queste cose sommate insieme, ma si sente come un filo elettrico scoperto che vibra e ronza e si agita. Ha un fastidio addosso, come un prurito, che anche grattando non se ne va. 

 

Cammina fino al tavolo della cucina senza mai smettere di fissare le braccia di Cas, imprimendosi nel cervello il suo profilo - tangibile, solido, vivo. Quando si siede accanto a lui, Castiel solleva lo sguardo e il suo viso sembra ammorbidirsi. Dean vorrebbe dire qualcosa, vorrebbe chiedergli siamo veramente a posto, adesso? Le cose sono tornate come prima? Ma non sa che risposta vuole ricevere in cambio. Allora tamburella con le dita sul tavolo della cucina, sfiora il bicchiere di vetro che sta lì da giorni, avvicina la bottiglia di whiskey. Tutto, pur di tenere le mani lontane dai polsi di Castiel.

 

«Troveremo un altro modo,» mormora guardando dritto davanti a sé. «Come sempre.» 

 

Anche se si costringe a tenere gli occhi fissi sul fondo della stanza, sente che adesso Castiel si è girato verso di lui e, nel farlo, le sue mani si sono fatte più vicine. Castiel non risponde, forse perché non trova convinzione in quelle parole, forse perché non c'è niente da dire alla fine di questa storia e Dean si accontenta di restare ingobbito su quel tavolo a sbirciare i loro gesti che giocano a rincorrersi, le dita che si muovono come per afferrarsi, ma poi si allontanano un attimo prima di toccarsi. E spera, da bravo stupido, che sia Castiel a capire cosa fare. Sono anni che resta fermo in attesa che s'intrufoli nella sua testa e peschi da solo tutte le cose che lui non sa dire. 

 

«L'avresti fatto?» chiede all’improvviso Castiel con lo sguardo fisso sul lato del suo viso. «Se fossimo andati fino in fondo e io avessi il marchio, mi avresti costruito un'altra cassa?» 

 

In mezzo a quelle parole, Dean riesce a sentire dieci anni di domande, di mezzi discorsi, di parole in sospeso. Tra le righe di quella richiesta si agita un'altra cosa orrenda, una paura dura, scontrosa, di quelle che si portano dietro da quando si conoscono: ti arrenderesti e mi lasceresti andare come se niente fosse? Mi porterei via almeno qualcosa di te? 

 

«Tu l'avresti fatto con me?» ribatte alla fine, guardandolo di sbieco, senza avere il coraggio di fronteggiarlo. «Mi avresti rinchiuso e pace all'anima mia?» 

 

E di nuovo l’espressione tirata di Castiel si scioglie e sgocciola via piano piano, lasciando i suoi occhi morbidi e pieni di tristezza. «Ho risposto tante volte a questa domanda,» dice e finalmente, finalmente, le sue dita si stringono intorno al polso di Dean e premono sulle vene, come per sentire il suo battito. 

 

Dean alza lo sguardo nei suoi occhi e si sente cedere esattamente come qualche ora prima, come se stesse per cadere in ginocchio con il cuore in mano. «Avevo altre cose da dire,» ribadisce allora in un sussurro, entrambi i palmi rivolti verso l’alto in attesa che Castiel li riempia di qualcosa: del suo tocco, di un altro bicchiere di wiskey, di una buona scusa per tornare a nascondersi nel suo angolo di bugie. «Non avevo finito.»

 

«Lo so,» risponde Castiel, le dita che passano a tracciare i contorni dei suoi polsini e lo sguardo lontano anni luce. «Ho sentito anche quello che non volevi dire, in quella preghiera.»

 

E allora che si fa, vorrebbe domandargli Dean, che ne facciamo di tutte queste cose che ho distrutto, come posso riaverle indietro, come posso cambiarle, che devo fare adesso. Altre due parole giocano sulla punta della lingua e le sente quasi scivolare fuori dai denti, quando le mani di Castiel si chiudono intorno alle sue, come per proteggerle dall’esterno, come per raccoglierle dal tavolo e portarsele alla fronte. 

 

E anche se non aspettava altro, anche se c'è una parte di lui che ripete sì, cazzo, Dean sente la vergogna risalire lungo il collo e infiammargli la faccia. Un conto è cavarsi di bocca le parole giuste, alzare la testa e la voce per confessare le sue paure e i suoi bisogni. Un altro è lasciarsi toccare così, con le unghie ancora sporche del sangue marcio dei mostri che hanno combattuto, le ginocchia che urtano sotto il tavolo si ritraggono e poi tornano a premere le une contro le altre attraverso il jeans. È troppo intimo, troppo vicino a toccare quella parte vulnerabile dentro di lui che, una volta sfiorata, lo ridurrebbe a un bambino che piange e singhiozza perché ha bisogno di tante cose e non sa come chiederle.

 

Cas chiude gli occhi e «sono stanco,» dice con la bocca premuta sul suo pollice e ogni tensione nelle braccia di Dean evapora. La presa di ferro che teneva le sue spalle contratte e il collo rigido per lo sforzo di non appoggiarsi a Castiel sembra dissolversi così, come niente. Ed è in quel momento che trova coraggio, sotto le luci al neon della cucina che evidenziano le rughe sotto gli occhi di Castiel, gli stupidi nei che ha sul collo, i capelli grigi sulle sue tempie. 

 

«Hai ragione,» dice e le parole s’impastano sulla lingua e tra le labbra. 

 

Castiel lo guarda con un occhio solo, la guancia ancora appoggiata sulle loro mani strette insieme e un sorriso triste come una ferita sul viso, e «possiamo prenderci una pausa solo per stasera,» mormora.

 

Dean avverte qualcosa dentro di lui rompersi con uno schiocco, come un elastico che si spezza all’improvviso, e sente il bisogno di appoggiare anche lui la fronte sulle loro mani intrecciate. Chiude gli occhi e prende un respiro profondo. «Sono stanco anche io, Cas.» Riesce a sentire il modo in cui Castiel deglutisce, come se a entrambi costasse fatica trovarsi così vicini e allontanarsi fosse impossibile, in questo infinito gioco di rincorsa che fanno da una vita. «Sono così stanco,» continua, stringendo le palpebre per concentrarsi mentre la bocca di Castiel preme di nuovo sul suo pollice, «che non so neanche se sono sveglio o sto già dormendo.»

 

«No,» dice la voce di Castiel alleggerita da una nota di tenerezza e desiderio e affetto. «Sei sveglio. Siamo veramente qui.»

 

Dean apre gli occhi per guardarlo ancora, così da vicino che riesce a vedere quanto gli ultimi periodi abbiano lasciato un segno profondo sulle sue guance un po’ scavate, sulle palpebre gonfie. Questa, si dice, è la faccia che voglio vedere invecchiare con me

 

«Saresti stato tu,» dice alla fine Castiel, lo sguardo ancora fermo nel suo. «Il punto debole a cui avrebbe puntato il marchio per trasformarmi in un mostro.» Lascia che Dean esali il suo respiro forzato, stringe la presa sulle sue dita e, «il mio punto debole e la mia motivazione per combattere,» aggiunge in un sussurro.

 

E sono tutte lì le cose che non riescono a dirsi, che non riusciranno a pronunciare mai. Incastrate in quel momento di calma apparente, sparse sul tavolo della cucina, strette a doppio filo tra le loro dita. Sono tutte lì, cristalline come l'acqua, vivide, vere. Reali. «Troveremo un modo,» ripete con convinzione. Un modo per ribellarsi ancora, per vincere. Un modo per smetterla di aver bisogno dell'apocalisse per spogliarsi di tutte le loro cazzate. 

 

«Ci sono riuscito,» dice Castiel, parlando più a se stesso che a Dean, «a farti avere fede.»

 

Per un attimo, solo in quel breve lasso di tempo, Dean sente le sue inutili paure sollevarsi dalle sue spalle. Sì, possono prendersi una pausa. Per stasera non ha bisogno di fingersi forte e incrollabile. Così solleva appena la testa e guarda Castiel dritto negli occhi, pensa a cosa farebbe se Sam entrasse in quel momento e li trovasse così, a cosa direbbe. E si rende conto che la sua vergogna non ha nessuna importanza ormai. Per stasera può permettersi di metterla da parte.

 
   
 
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