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Autore: Mikirise    16/03/2020    1 recensioni
La verità è che per quanto possano dire, Asahi e Noya hanno vissuto esperienze simili.
Da piccoli, entrambi hanno avuto un cane. Solo che il cane di Asahi è morto, quello di Noya è vivo e vegeto e gli mangia i calzini un giorno sì e l'altro anche. Entrambi sono visti in un modo dalla famiglia e in un altro dai loro amici. Solo che se Noya è visto come silenzioso dalla sua famiglia e rumoroso fuori casa, Asahi è visto come rumoroso dentro casa e silenzioso coi suoi amici. Entrambi sanno che cosa vuol dire vivere in una casa solitaria, solo che Asahi il suo appartamento lo vuole abbandonare e Noya invece vuole custodire la sua casa paterna. Noya sembra una divinità protettrice. Asahi di divino ha davvero poco. E ha bruciato di nuovo l'omurice.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Asahi Azumane, Yuu Nishinoya
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NdA: Il mio cane ha nove anni ed è arrivata a casa mia l'estate prima della mia entrata al liceo. Non ho mai avuto un animale domestico prima, forse un criceto, ma ero così piccola e lui era così piccolo e non faceva che scappare per casa e nessuno sapeva che cosa fare, perché sembrava un topo, visto che rubava cibo. La cosa che mi è sempre piaciuta del mio cane è che è molto poco paziente, russa ed è un'attrice nata. Mi ha dato motivi per uscire di casa, prendersi cura di qualcuno ti aiuta a prenderti cura anche di te. Il mio cane mi ricorda gli orari per mangiare, gli orari per dormire e gli orari per andare a trovare altre persone. In questi tempi di quarantena, in cui non possiamo nemmeno uscire di casa, aiuta tantissimo averla accanto. Ci prendiamo cura l'una dell'altra a vicenda. 





Parte Due: Una nuova giornata

(7. “All I’ve ever known is how to hold my own. But now I wanna hold you, too”)


Asahi affonda il naso nel suo maglione e prova a sentire l’odore. Cioè. Il suo odore. Non è una cosa brutta, alla fine. Odorare di riso bianco è una buona cosa. E non capisce come Noya abbia fatto a sentire il suo odore tra tutti gli altri che impregnano il ristorante in cui lavora. A chiedere adesso, sicuramente, i primi odori che vengono in mente ad Asahi sono l’odore del pollo, probabilmente anche del curry, che sono degli odori molto più forti di quelli del riso. Anche adesso, portandosi davanti al naso i capelli, forse un po’ per colpa delle dita, ma Asahi non riesce a non sentire l’odore del soffritto. Non riesce a sentire davvero nient’altro.

“Che fai?” chiede Daichi, puntandogli contro la torcia del cellulare, prima di sbadigliare, facendo sbadigliare a sua volta Asahi, che cerca di coprirsi gli occhi, per non essere accecato. Daichi alza un lato delle labbra (o, almeno, ad Asahi sembra che lo stia facendo) e muove di qua e di là il cellulare, rendendo difficile capire da dove venga la luce. E deve aver fatto una faccia strana, perché, beh, Daichi scoppia a ridere, infila una mano nella tasca della tuta e continua a camminare nel buio. “Sembra che tu abbia nascosto qualcosa là sotto” finisce e Asahi sbatte le palpebre e si lascia andare la ciocca di capelli, così come smette di odorarsi il maglione.

“Un ragazzo, qualche giorno fa, mi ha detto che odoro di riso” gli dice, incrociando le braccia per non sentire troppo freddo.

Daichi gli lancia uno sguardo. Arriccia il naso, si passa una mano sulle labbra e schiaccia il viso contro la spalla di Asahi, prima di ispirare e poi tirarsi indietro. “Puzzi di fritto, Asahi” gli fa sapere, tirandosi indietro. “Fritto e curry, ché è un miglioramento da quando puzzavi di verdura bollita.”

Asahi alza la spalla e prova a odorarsi. Ormai sembra che quell’odore faccia così tanta parte di lui da non fargli sentire più nessun odore. Un po’ come quando non aveva un cane e sentiva la puzza del cibo per cani al supermercato e quando passava davanti al cibo per cani, ecco, non sentiva più niente. Odorare di riso è piacevole. È la prima volta che ha pensato di avere un odore piacevole e Noya ogni volta che passa per il ristorante gli sorride e sembra voler continuare a respirare a pieni polmoni. È strano. Che qualcuno riconosca così in fretta il suo odore, oppure che lo riesca sempre a trovare in luoghi in cui non c’è soltanto Asahi -è strano.

Daichi si muove per la campagna come se non se ne fosse mai andato. Il fatto che i lampioni non funzionino non gli ha fatto sbattere nemmeno una volta le palpebre, ha soltanto sospirato e detto ah, ecco, è così in effetti che succedono le cose quaggiù, ridendo. E poi ha aggiunto mi mancava. Asahi lo guarda camminargli accanto ed effettivamente anche a lui mancava Daichi. Sembra un altro posto, questo qui, senza di lui, e senza Suga. Senza Shimizu. Che Daichi però torni così spesso, non deve essere una cosa buona e che Asahi invece di distoglierlo da questa sua stupida abitudine se ne crogioli, dice quanto poco la loro amicizia possa fare bene a Daichi.

La maglietta di Asahi deve davvero puzzare a fritto. Lo devono fare anche i suoi capelli. Puzzare. Daichi è una di quelle poche persone che possono dirgli certe cose senza offenderlo. E ne è consapevole.

Asahi prende il cellulare dalla tasca e anche lui usa la torcia, per vedere dove mette i piedi. Certo, questa strada, di notte, è diversa da quando è sotto il sole. La mattina, ad attraversarla, si ,ha un senso di tranquillità. Ci sono le persone che lavorano sui campi, coi loro cappellini, o sui loro trattori. Oppure non c’è nessuno e la rugiada brilla sotto il sole. È piacevole, perché, adesso che è estate, e anche in primavera, ci sono così tanti uccellini che cantano da fargli credere di essere ancora a letto, come quando era piccolo, come quando aveva un pesce rosso che aveva lasciato stupidamente accanto alla finestra e per cui gli uccellini venivano a cantare, beccando sul vetro, nella speranza di poter arrivare fino a lui. La mattina, il pomeriggio, questa strada fa un altro effetto.

Ora che ci passa con Daichi, che rimane molto spesso in silenzio, anche se continua a dargli fastidio, puntandogli la torcia contro ogni tanto, questa strada coi lampioni rotti sembra essere sinistra. Come se stessero affrontando una prova di coraggio. Asahi sente che da un momento all’altro, per un motivo a lui completamente sconosciuto, uno spirito gli poserà una mano sulla spalla e lo ucciderà nei peggiori dei modi.

“Suga diceva sempre di non voltarsi, in momenti come questi” dice, trotterellando, Daichi. “Una volta che ti volti hai perso ogni possibilità di rimanere in vita. Ti ricordi? Per una cosa di energie e cose così. Il limite tra umano e divino, o chissà.”

“Perché lo dici adesso?” gli chiede Asahi, continuando a camminare. Conosce i sassolini sulle strade, conosce l’erba intorno a loro. Razionalmente sa che Daichi lo sta dicendo soltanto perché lo vuole prendere in giro. Ma è diverso saperlo con la testa dal saperlo col corpo, a quanto pare, motivo per cui chiude gli occhi e prende un respiro profondo. “Lo so che lo dici solo per farmi paura.”

Daichi ride, tirando un pochino la testa indietro. “No, no” gli dice. “Lo sai che non ti farei mai paura perché voglio farti paura. È solo che ho sentito dire che quando eravamo piccoli qui è morta una mamma che cercava i suoi figli e che...”

“La devi smettere.”

“Smettere di fare cosa?” chiede candidamente Daichi, facendo una smorfia molto simile a un sorriso, mentre si punta sotto il mento la torcia. Poi ride di nuovo. “Comunque, è stato quel ragazzino del ristorante a dirti che odori di riso?” gli chiede, cambiando repentinamente argomento. Asahi aggrotta le sopracciglia, Daichi gli lancia un’occhiata veloce, prima di tornare a guardare dritto di fronte a loro. “Quello basso.”

“Noya” risponde Asahi, come se Daichi potesse anche solo capire che cosa vuol dire. Asahi -beh. A lui Noya piace. Gli ha dato degli stuzzicadenti e ogni volta che si incontrano lo saluta con un sorriso. Sembra essere pieno di energie. Non lo ha mai visto triste. Sembra una persona forte. Trasporta da solo le casse di verdure e sembra a malapena sudare quando lo fa. E trova un momento per chiamare tutti per nome, per salutarli, per dar loro fastidio, forse, per fare in modo che tutti si sentano, in un certo senso, inclusi. Anche Asahi. Ricorda anche il nome di Asahi. Ed è una gran cosa per lui. “È stato lui.”

Daichi annuisce un paio di volte. Chissà a che cosa sta pensando. Continuano a camminare in silenzio e ci sono delle cicale, o dei grilli forse, che cantano, e nessuna lucciola, nemmeno una. Noya è davvero una brava persona. Ad Asahi piace. Quando passa per il ristorante, accompagnando Ryuu-kun, e si siede al bancone, di solito con il suo mezzo sorriso e gli occhi che sembrano riuscire a vedere tutto, a seguire ogni movimento di chiunque, quando fa domande, quando ride ad alta voce, quando è rumoroso, senza che nessuno gli dica di essere invece più silenzioso o composto, ad Asahi piace. E il fatto che abbia deciso di essere amico, in un certo senso, di Asahi, lo rende soltanto felice.

Questo posto, senza Daichi, Shimizu e Suga, è davvero un posto vuoto. Gli sembra che le giornate siano davvero tutte uguali, ma da quando Noya si è riproposto di parlargli, anche sporadicamente, anche se in modo strano, anche se ad alta voce, sta iniziando a riempire tantissimi spazi vuoti. E che gli abbia detto che potrebbe diventare la sua cavia principale per imparare a cucinare professionalmente, ha fatto diventare le orecchie di Asahi così calde da non aver più avuto il coraggio di parlargli, durante quella giornata.

Noya è -un bravo ragazzo. Un esuberante bravo ragazzo, con tantissime opinioni. E con un’amore per la vita che Asahi vorrebbe avere.

Daichi gli dà uno schiaffetto sulla nuca, nemmeno lo guarda, quando gli dice: “Fatteli crescere di nuovo, i capelli, eh.”

Daichi tornerà a Sendai domani mattina. Asahi scrolla le spalle. Tornerà di nuovo la settimana prossima, per passare più tempo possibile coi suoi fratellini e quindi anche con Asahi. Forse il suo amico non dovrebbe tornare così spesso qui. Forse lui dovrebbe dirgli che non dovrebbe tornare così spesso, dovrebbe fare in modo di lasciarlo andare, o fargli venire voglia di andare via. Ma, egoisticamente, non riesce a dire niente, al riguardo.


 



Tanaka-senpai gli sorride, mentre Asahi, aggiunge il porro al riso e gli dà un colpetto sulla fronte, chissà per quale motivo. Preparare l’ochazuke è semplice, gli ha detto, ed è il motivo per cui vuole che impari prima questa ricetta. Il riso bianco sembra essere l’anima di Asahi, gli ha detto, quindi forse in realtà, i piatti da insegnargli per primi sono quelli basilari del riso. Senza il riso, non c’è una buona alimentazione.

Gli hanno chiesto se è un fratello maggiore.

Asahi inclina la testa e versa il riso in una ciotola. La cucina è completamente vuota. La mattina e durante il primo pomeriggio, ci sono soltanto loro due, di solito. Questo perché, gli ha spiegato Tanaka-senpai, le preparazioni per un buon servizio vengono anche dal riposo del personale. E non vuole che nessun cuoco o aiuto-cuoco sputi nel piatto dei clienti. Oggi è un po’ un’occasione speciale, visto l’inizio delle vacanze estive, motivo per cui il fratello di Tanaka-senpai, Ryuu-kun, si muove per il ristorante con le mani in tasca e niente da fare se non commentare ogni tanto gli odori che sente e poi tornare nella sala principale, in cui Noya dovrebbe essere rimasto seduto in attesa, anche se né Tanaka-senpai, né Asahi, pensano che lo abbia davvero fatto.

Le giornate d’estate in una cucina sono l’inferno e Asahi sente come ha iniziato a sudare e si passa più spesso la mano o il gomito sul viso, cercando di asciugarsela. Il fatto che abbia tagliato i capelli ha davvero aiutato a non trovarseli in continuazione sugli occhi. Ed è ora di mettere il tè, motivo per cui fa una smorfia e si allunga sui fornelli per prendere il bollitore e infila il termometro nell’acqua, in attesa che arrivi alla temperatura giusta per poi preparare il tè verde. Apetta qualche secondo, posando le mani sui fianchi e passandosi la spalla sul mento, che gli pizzicava. Appena la temperatura è giusta... Tre minuti. È abbastanza sicuro che, dopo aver messo l’infuso ci vogliano solo tre minuti. Asahi sospira. Torna a concentrarsi sul riso. Tanaka-senpai gli passa una piccola ciotola bianca e Asahi si morde l’interno delle guance, guardando il riso che non ha capito se è pronto oppure no (perché lui ancora non è abituato a cucinare il riso nella pentola, di solito usa le risottiere), ma tanto vale buttarsi. Con un cucchiaio di legno prende una manciata di riso e...

“Mettine di meno” lo avvisa Tanaka-senpai con un sorriso. “Non è un piatto pesante, ma non vogliamo nemmeno che riempia troppo. Deve essere...” Fa un gesto con la mano, come se stesse seguendo l’andamento di un’onda. “...il giusto.”

Asahi annuisce. Non ha la più pallida idea di quello che lei voleva dirgli, ma annuisce lo stesso. Prende metà del riso che aveva preso prima, per poi posarlo e dargli una forma nella ciotola. Lo mostra a Tanaka-senpai, che annuisce e gli fa cenno di continuare a cucinare. Quindi, a questo punto. Sono passati tre minuti? Non ricorda se sono passati. Se passa un minuto in più o uno in meno, cambia qualcosa? Forse per il minuto in più sì. Dovrebbe diventare più amaro, il tè. Non può renderlo più amaro. Ugh. Si sente un pochino sotto pressione.

“Fa con calma” gli dice Tanaka-senpai. E questa cosa, invece che tranquillizzare Asahi, lo agita un pochino di più.

Prende il tè, per versarlo intorno al riso, poi prende in mano le bacchette, per posare sopra il riso il salmone (gli tremano le mani e non ha nemmeno capito il perché), un pizzico di sesamo, le alghe e... mostra la ciotola a Tanaka-senpai. Aspetta il sì o il no. Aspetta che dica qualcosa e lei non risponde subito perché... sembra un po’ presa contromano, per qualche motivo. Come se non si aspettasse che Asahi gli mostrasse il piatto pronto. (O come se ci fosse una vecchia storia da raccontare che l’ha colpita adesso, non lo sa). Si riprende in fretta e gli alza un pollice, prima di posare una mano sulla schiena di Asahi e spingerlo verso la sala del ristorante.

“Si mangia subito” gli dice, spingendolo con forza. “Vai vai.” E comunque lo segue anche lei fuori, in sala e Noya ha un piede dentro la sala e un piede fuori, per controllare quando sarebbero arrivati (nessuno davvero si sarebbe aspettato che lui rimanesse seduto immobile, alla fine, ma che abbia aspettato così Asahi è...)(Asahi è davvero ridicolo.)

Appena Noya li vede entrare grida: “Ryuu!” e poi, con due balzi, è davanti a loro, che si arrampica sulla sedia. Si siede con la schiena dritta, prende le bacchette e aspetta. Ryuu-kun arriva qualche secondo dopo, muovendo la tenda e abbassandosi un pochino, prima di fare un mezzo cenno di saluto con la testa. Ed è così strano vederlo in pantaloncini e una canottiera che Asahi quasi si dimentica che deve lasciare la ciotola davanti a Noya. Quasi. Perché è difficile concentrarsi su qualcuno che non sia Noya, quando lui ti guarda con quegli occhi che sembrano star aspettando qualcosa. Quando Asahi posa la ciotola davanti a lui, Tanaka-senpai si porta una mano sulle labbra, forse per... sta ridendo?

Asahi abbassa lo guardo e vorrebbe poter nascondere il viso dietro le mani senza sembrare troppo patetico. Invece rimane lì, con lo sguardo basso, mentre Noya mangia, riempendosi la bocca e non abbassando lo sguardo. E gli dice: “È buonissimo.” Cosa che fa sbuffare una risata a Tanaka-senpai, che poi cerca di far finta di niente, fingendo un colpo di tosse. Ryuu-kun fa una smorfia con la bocca, sedendosi accanto a Noya e prendendo delle altre bacchette per provare il riso, con un’espressione concentrata, che diventa dubbiosa nel momento in cui ingoia.

Ryuu-kun lancia un’occhiata a sua sorella maggiore e poi sbuffa una risata. “Asahi-san, sei un fratello maggiore?” gli chiede, prendendo un altro po’ di riso, per portarselo in bocca.

Non è la prima volta che glielo chiedono e Asahi scrolla le spalle, scuotendo la testa. Cosa che sembra confondere un pochino Ryuu-kun, che si porta in bocca un altro boccone, mentre Noya cerca di allontanarsi per continuare a mangiare da solo, allontanandosi da lui il più possibile e mettendosi in bocca più riso possibile. “Sono figlio unico” dice alla fine Asahi, inclinando un pochino la testa.

“È un buon ochazuke” mormora Ryuu-kun, incrociando le braccia e poi facendo un cenno a Tanaka-senpai per suggerirle di venire a provare anche lei, mentre Noya fa l’espressione di qualcuno che deve difendere se stesso e il suo cibo. Non che a Tanaka-senpai importi qualcosa, visto che riesce ad afferrare bacchette e un boccone di riso, allungandosi in punta di piedi e tenendosi in equilibrio, alzando un pochino la gamba. E Asahi non sa che cosa dovrebbe fare in questo momento, motivo per cui giocherella con le dita e si tira un pochino indietro. “Ricorda il tuo. Ti ricordi il tuo?”

Tanaka-senpai mastica e annuisce. “Buon lavoro, Asahi-kun” gli dice, alzando un pollice.

“Sì, però ero io che dovevo essere la cavia, non voi, quindi...” inizia Noya, alzandosi in piedi e portando via la ciotola di riso, dando le spalle a tutti e tre, per mangiare con così tanta velocità da strozzarsi e quindi iniziare a tossire e tossire e tossire. Tanaka-senpai scoppia a ridere e Ryuu-kun si alza in piedi, sempre ridendo, per poi dare qualche pacca sulla spalla a Noya, anche lui ridendo. Noya scrolla via ogni tocco, per poi posare entrambe le mani sui fianchi, girarsi verso Asahi e gridare: “Era buonissimo, Asahi-san. Ne voglio un altro piatto!” Poi deve deglutire e torna a tossire, portandosi una mano sul petto. E Ryuu-kun ha iniziato a ridere, di nuovo.

Dovrebbero portargli un bicchiere d’acqua. Asahi si gira su se stesso e pensa: un bicchiere. Dove può prendere un bicchiere? Non ricorda. I bicchieri sono... Asahi chiude gli occhi e prende un respiro profondo. Ha la testa vuota. Per colpa sua Noya potrebbe morire. Forse sono stati i semi oppure le alghe. Erano troppe alghe? Vero? Sì. Dovevano essere troppe. Che fare? Dov’è che stavano i bicchieri?

“Ti ha riempito?” chiede Tanaka-senpai a Noya, posando entrambi i gomiti sul bancone, per guardarlo negli occhi. “È uno di quei piatti che ti riempie, vero?”

Asahi deve trovare un bicchiere. Noya ha smesso di tossire, ma questo non vuol dire che non possa succedere. Che poi se morisse, morirebbe per colpa di Asahi. E, per quanto una voce che sembra essere molto simile a quella di Suga, per qualche motivo, gli dica che essere la causa della quasi morte di qualcuno è una cosa molto intima e al limite del romantico, è sicuro che vedere morire quel ragazzo. Quindi il bicchiere. Il bicchiere. Il bicchiere il bicchiere il bicchiere. Dov’è che li tenevano? Forse sotto il bancone? Deve cercare... Si inginocchia per cercare i bicchieri. Dovrebbero stare...

“Mi ha riempito, in effetti” risponde Noya, con le sopracciglia aggrottate, seguendo i movimenti di Asahi. “Si vede che era fatto con amore!” grida poi e Asahi, sotto il bancone, un po’ è felice che lui non si sia strozzato, e un po’ è felice di quello che ha detto ed è molto felice che non lo possano guardare in faccia, adesso, perché si porta le mani davanti alla bocca e sente come una vampata di calore, non è molto sicuro, però sente che fa davvero tanto caldo e non per colpa della cucina. È sicuro che non sia per colpa della cucina. Si passa entrambe le mani sul viso.

Tanaka-senpai gli passa una mano sulla testa, in una strana carezza. Gli scompiglia i capelli. “Il nostro Asahi-kun ha un istinto da fratello maggiore, non pensate?” dice con una risata.

Asahi la guarda, prima di abbassare lo sguardo e inumidirsi le labbra. Non capisce che cosa voglia dire Tanaka-senpai. Lui comunque deve cercare un bicchiere. (Anche se è un po’ inutile adesso.)


 




Prima di vedere Noya, ha sentito Noya, che si è aggrappato alla sua schiena, un po’ come un koala, facendogli perdere, per qualche frazione di secondo l’equilibrio. E poi ha sentito la sua risata accanto all’orecchio e come Noya sia scivolato verso il basso, per metterglisi accanto, mostrandogli una torcia, che ha acceso e spento e poi acceso di nuovo, per illuminare la strada intorno a loro.

Asahi -è davvero felice che Noya stia accanto a lui, perché questa strada fa veramente paura e già stava iniziando a pensare che non si doveva girare, che non doveva dire una parola, ripassando tutti i modi in cui gli spiriti arrabbiati avrebbero potuto ucciderlo, se lo avessero visto camminare da solo, al buio, con sola la luce del cellulare a fargli da luce. Asahi non è un codardo. Cioè, sì, lo è, ma sta provando a migliorare e non può certo chiedere a Tanaka-senpai di portarlo a casa, soprattutto perché anche stare in macchina con lei fa veramente molta paura e la probabilità di morte è davvero molto più alta. E non si sente abbastanza vicino a nessuno del ristorante per chiedere di essere accompagnato. E poi, è imbarazzante dire che gli fa paura fare questa strada da solo.

Quindi Noya lo sta un pochino salvando, con la sua torcia e il suo sorriso e l’averlo preso a braccetto, per camminare uno accanto all’altro. La torcia di Noya illumina molto bene. “La uso quando Pochi si nasconde per i campi della mia famiglia” gli dice, girandosi verso di lui, con un enorme sorriso. Non indossa una giacca e nemmeno un maglione. Deve aver freddo e deve essere questo il motivo per cui si è aggrappato ad Asahi. In mezzo alle piante fa anche più freddo e Noya non è per niente coperto. Asahi pensa che potrebbe anche dargli una delle giacche della sua tuta, per tenerlo al caldo. Ma non sa come prenderebbe questo suo gesto. E forse Noya non sente nemmeno troppo freddo e lui sta solo proiettando. “Pochi è il mio cane. Non fa che scappare. Dicono che è perché assomiglia a mio nonno. Per la cosa che i cani assomigliano ai loro padroni, però io penso che forse sono più io il padrone di Pochi, piuttosto che mio nonno, quindi questa cosa un po’ mi offende.”

“Quindi scappa perché assomiglia molto a te?” gli chiede, con mezzo sorriso.

Noya è molto più basso di lui. Devono essere almeno una ventina di centimetri, forse qualcosina di più. Sembra, però, per qualche motivo, molto più forte e molto più risoluto di Asahi. Sembra avere davvero molta meno paura. Sembra essere molto libero. Un vero liceale per come dicono che dovrebbero essere. “Non è che uno scappa di casa” gli dice. “Il problema è che ci sono così tante cose da fare e da vedere e... come fai a decidere di stare in un solo posto, alla fine?”

Asahi sorride. La strada è più che buia e c’è un rumore da qualche parte che lui ha deciso di ignorare, perché, niente spiriti vendicativi per lui, niente cose paurose. Sicuramente è solo un riccio. È solo un riccio. Solo un riccio. Nient’altro che un riccio. “Un mio amico la pensa come te” gli dice, cercando di concentrarsi sul loro camminare. “Dice che ci sono tantissime cose da fare, e che sente che c’è molto tempo, ma che se si fermasse anche soltanto per un pochino, poi sentirebbe di perdere l’occasione di fare tutto quanto. Una volta ha provato a fare una lista delle cose che voleva fare e si è distratto perché doveva già iniziare a fare altre cose.” Asahi ride piano, a pensare a Suga e tutto quello che voleva fare della sua vita. “Adesso infatti sta correndo per Tokyo.”

“Lo posso capire” mormora Noya. “La cosa del correre. Non so se invece per Tokyo lo posso capire.”

Asahi annuisce. “In effetti ho anche quest’altro amico che pensa che la vita in città sia troppo veloce. Non riesce a non pensare di voler tornare qua, in campagna ogni volta. Dice che la notte in città tutti gridano e suonano il clacson e non lasciano dormire le persone. E che sembra di essere dentro una macchina. Lui la vita la vuole prendere un po’ più con calma e gli piace la vita qui.” Asahi continua a camminare. Daichi è un po’ il pensiero opposto di Suga, in effetti. Forse per questo sono così bravi ad equilibrarsi. E forse per questo ultimamente è così strano vederli separatamente. Sembra che manchi loro qualcosa. Che loro stessi si sentano incompleti, per qualche motivo. “Ma penso che per avere delle opinioni ci si dovrebbe muovere in città, no?”

Noya non risponde. Continua a camminargli accanto. Si tiene stretto al braccio di Asahi. Forse perché non vuole che nessuno dei due inciampi su qualche sasso, o qualcosa così. Forse. Muove la torcia in cerchio, prima di girarsi di nuovo verso Asahi, anche se questa volta non sta sorridendo. “Hai intenzione di andarci?” gli chiede. “In città?”

Asahi aggrotta le sopracciglia. “Tu non ci vorresti andare?” gli chiede. “Non è un po’ il sogno di tutti i ragazzi di campagna andare in città?” Spera di starlo dicendo con un tono leggero. La verità è che Asahi non vuole rimanere indietro. Non sa nemmeno quale sia la velocità giusta per lui. Quella che Daichi dice essere troppa, o quella che Suga dice essere troppo poca. Non sa nemmeno che cosa vuole fare lui, di preciso. Sotto lo sguardo di Noya si sente un pochino messo alle strette. È come se non volesse fargli vedere che essere indeciso e fragile lui sia, come se avesse paura che lui lo scopra. Anche se, beh, Asahi non è nemmeno sicuro di essere mai riuscito a far finta di essere stabile, o forte o chissà che altro. Non ha la più pallida idea dell’idea che Noya abbia di lui. Sa che lo vede. Non sa come. E pensare che abbia anche una buon idea di lui, sarebbe davvero troppo. “Tu non lo hai mai pensato?”

Noya lo osserva, facendosi guidare dai suoi passi, prima di tornare a guardare dritto davanti a lui. “Sotto questa logica, prima di andare in città, ti converrebbe venire in campagna” gli dice, muovendo la mano e con questo anche la torcia. “Ad esempio, per me, questa intorno a noi, con questa strada e coi lampioni che non si accendono, per me è più città di quello che pensi tu. E per decidere quale ritmo sia il migliore, allora dovresti provarli tutti e due.”

Asahi alza un sopracciglio. “Quindi è un no” gli dice, muovendo la torta verso di lui. “Non hai mai pensato di voler andare in città.”

Noya non risponde. Continuano a camminare e Noya non lascia andare il suo braccio nemmeno quando, in lontananza, si iniziano a intravedere i primi lampioni funzionanti. Giocherella con la torcia. La accende e la spegne e poi la accende e la spegne. “Non vedo il mondo così” mormora. “Non ho mai veramente pensato di lasciare la casa paterna, ache se forse prima o poi dovrei proprio farlo. Il problema è che non ho mai avuto un vero e proprio motivo per andarmene. Niente di nuovo da provare o da rincorrere, per davvero. Ma chissà. Forse le cose potrebbero cambiare. Davvero non so.”

Sembra serio, mentre parla. Non lo guarda. Non cerca il contatto visivo. Ed è strano, perché, beh, Noya è un tipo di persona che guarda le persone in faccia. Di solito, beh, è lui che lo guarda, di solito è lui che mantiene lo sguardo. Noya spegne definitivamente la torcia quando passano sotto il lampione funzionante. “Casa tua non è da questa parte” gli dice Asahi, nascondendo una domanda. Se è vero che Noya vive in campagna, allora è vero che non vive da queste parti e che lo ha seguito soltanto per accompagnarlo in quel pezzo di strada, cosa che Asahi deve appuntare quest’atto di gentilezza per poter ricambiare. “Dovresti tornare indietro. Non voglio che stai fuori casa da solo con questo buio.”

Noya alza di nuovo lo sguardo verso di lui. Poi posa la testa sul suo braccio. “Sei così gentile, Asahi-san” gli dice a bassa voce. “Lascia che anche io sia gentile con te.”

Asahi non sa quello che vuol dire. Continuano a muoversi insieme. Camminano braccio a braccio. Asahi non riesce a capire che cosa voglia dire. Ma non ha avuto tanta paura quando ha attraversato quel pezzo scuro di strada. Non si è sentito in pericolo. Deve essere solo per Noya. Lui e la sua torcia e i discorsi che hanno deciso di fare. È strano non vederlo indossare il gakuran. Di solito lo tiene fino a tardi, perché dice che gli piace tantissimo la sua divisa.

“Ma io non ho mai fatto niente di veramente gentile, per te” ribatte dopo qualche secondo. Noya lo fa pensare con più lentezza. I suoi pensieri non sono mai lucidi, intorno a lui, davvero non capisce.

Noya affonda il naso nel braccio di Asahi. Non risponde subito. Non sembra essere nemmeno sicuro di dove dovrebbero star andando. Asahi non capisce. “È che tu sei sempre gentile con me, Asahi-san” gli risponde alla fine, a bassa voce.

E Asahi sente come un calore intorno al collo e poi su per le guance. Non fa freddo. Non fa freddo per niente.


 




“Shoyu ramen” inizia Daichi, puntando le mani sul bancone, per poi alzarle di nuovo e poi battere le mani di nuovo. “Shoyu ramen! Shoyu ramen! Shoyu ramen!” continua, come se fosse un coro da stadio. “Shoyu ramen! Shoyu ramen! Shoyu ramen!”

Asahi ruota gli occhi e lancia un’occhiata a Tanaka-senpai, che ride, portandosi le mani sulle labbra. E Noya, seduto accanto a uno dei fratellini di Daichi, non sembrava essere molto felice della situazione, per qualche motivo, all’inizio. Adesso invece sembra essere felice di battere le mani a tempo con loro. Haru e Masa sorridono, guardando come Daichi stia chiedendo il piatto, motivo per cui anche loro iniziano a battere sul bancone, gridando: “Shoyu ramen! Shoyu Ramen! Shoyu ramen!” E Asahi li guarda, ma non sa davvero come reagire a questa situazione. “Shoyu ramen! Shoyu ramen!” E ci sono troppi ragazzini urlanti, insieme anche ad alcuni clienti che si sono attardati a mangiare, con così tanta lentezza da essere quasi fastidiosi. “Shoyu ramen!”

“Io non lo preparo” dice loro Asahi, alzando le mani.

“Shoyu ramen! Shoyu ramen! Shoyu ramen!” gridano insieme i Sawamura, continuando a battere sul bancone. “È da ieri che non mangiamo perché ci avevano detto che ci avresti fatto tu da mangiare!” grida Masa, alzandosi in piedi sulla sedia, per avere l’illusione che la sua voce si alzi un pochino più in alto. E Asahi un po’ sorride, facendosi sfuggire una risata, perché lo sanno, Haru e Masa lo sanno che lui ha un debole per loro e che potrebbero fare qualsiasi cosa e lui non riuscirebbe nemmeno a essere lievemente irritato da loro. “Shoyu ramen! Shoyu ramen!” iniziano a gridare i Sawamura più Noya, che ha iniziato, per qualche motivo, a saltare, con le mani posate sulle sedie. Adesso sembra essere molto felice della situazione, per qualche motivo. Fa tenerezza, guardarlo. Per qualche motivo rende Asahi felice.

“Non l’ho fatto il shoyu ramen, non era quello che avevate chiesto” mormora però, inclinando la testa con mezzo sorriso.

“Io ho chiesto lo shoyu ramen” ribatte Daichi, come un ragazzino, alzando un sopracciglio.

“No, non lo hai chiesto. Sei entrato qui, hai iniziato a gridare e poi Masa e Haru hanno iniziato a gridare e non hai nemmeno ordinato niente” gli dice Asahi, ruotando gli occhi. “E poi, scusa, ma anche se fosse, chi te lo dice che lo devo preparare io il tuo piatto, se non sono nemmeno il cuoco?”

Daichi sbatte le palpebre. “Voglio anche lo sconto, perché cucini tu” gli dice.

“Non mi stai ascoltando, vero?”

“E poi anche noi siamo qui per lavoro, visto che vogliamo portarti a casa, vero scemotti?” chiede Daichi, girandosi prima verso Masa e poi verso Haru. “Non vorremmo che uno spirito venga a mangiarti proprio vicino casa nostra, poi si abbassa il valore dell’immobile.”

“Ti puoi sdebitare cucinando per noi!” esclama Haru, con anche troppa felicità.

Asahi fa una smorfia e Noya li guarda, prima di aprire le labbra in un sorriso divertito. “Non è una cosa che farò” fa comunque sapere, alzando le mani in aria.

“Perché no?” chiede Daichi, aggrottando le sopracciglia. “In che altro modo ci vuoi ripagare, scusa?”

“Se ti devo pagare, puoi anche tornare a casa. Da solo” gli risponde con mezzo sorriso, a cui Daichi risponde con un sorriso pieno e un dai no che fa soltanto sospirare Asahi.

“Lo accompagno io Asahi-san, di solito” si intromette Noya, puntando i gomiti sulla sedia. “Anche se non ho capito bene la storia del valore immobiliare.”

Daichi non si gira a guardarlo, in un primo momento. Rimane, invece, a fissare Asahi con il suo sorriso pieno e gentile (che è il peggior sorriso che Daichi potrebbe mai indossare, perché fa paura)(cavolo, Daichi fa paura quando è gentile) e poi, solo poi, si gira verso Noya, spostando Masa con un braccio. “Tu lo accompagni a casa?” gli chiede, per poi tornare a guardare Asahi, con gli occhi che sono due fessure piccolissime. “Ti fai accompagnare da un ragazzino delle medie?”

Asahi chiude gli occhi e non ce la può fare. Non ha le forze per questa conversazione. Alza le mani in aria, mentre sente Noya prendere fiato per iniziare a gridare. “Noya è all’ultimo anno di liceo” dice il più velocemente possibile, per non far irritare troppo Noya (anche se lo vede Ryuu-kun, in quel tavolo in fondo, con i suoi amici, a ridere)(lo vede e lo sente)(e non sa se a questo punto avrebbe dovuto dire qualcosa). “E poi anche tu ti sei fatto accompagnare da due ragazzini delle elementari.”

“Io sono matura per la mia età” ribatte Haru.

“Lei è matura per la sua età” ripete Daichi, indicandola. “E poi è una cosa diversa. Loro sono i miei fratellini che volevano vederti e mangiare shoyu ramen. Ma tu sei soltanto un ingrato.”

“Non vi preparerò del shoyu ramen” ripete per l’ennesima volta Asahi. “E io starei lavorando quindi forse...”

“E tu vivi vicino a Asahi?” chiede Daichi a Noya, ignorandolo per cominciare un’altra conversazione. Che è una cosa così da lui da far ruotare gli occhi. “Per questo lo accompagni?”

“Ah, no” risponde Noya, sedendosi sulla sedia e riprendendo in mano le bacchette, per rimettersi a mangiare il suo ochazuke. Sembra piacergli. Asahi non gli ha potuto chiedere se il suo ochazuke sta migliorando o peggiorando, ma sembra piacergli, ed è questo l’importante, vero? “Mi piace soltanto accompagnarlo” finisce Noya, con la bocca piena.

Daichi assottiglia di nuovo lo sguardo. Non dice niente per un po’. Rimane soltanto a guardare Noya, che, a sua volta, restituisce lo sguardo con un sorriso. “Okay” mormora, quindi poi, con un tono trascinato. “O-kay” ripete, alzandosi in piedi e prendendo da sotto le ascelle Haru, per tirarlo giù dalla sedia. Poi fa la stessa cosa con Masa. I gemelli non sembrano sapere che cosa stia succedendo, ma non fanno domande. “Allora oggi lo accompagniamo tutti?” finisce allegramente Daichi. “Sarà tipo come una piccola escursione. Ci divertiremo, vero Asahi?”

“Non ho intenzione di cucinarti dello shoyu ramen” ripete Asahi.

“Ho detto che ci divertiremo, Asahi” ripete Daichi. “Almeno. Io mi divertirò, poi voi non lo so.”

Noya continua a mangiare. Asahi ruota gli occhi e se ne torna in cucina, perché, davvero, lui starebbe lavorando, adesso, non dovrebbe stare dietro a Daichi. E Masa e Haru hanno la strana convinzione di poter seguire Asahi ovunque, anche in cucina, quindi ha già troppi problemi.


 



Daichi non parla. Per tutto il tragitto. Noya gioca con la sua torcia e Masa e Haru lo prendono istantaneamente in simpatia. Sembra che l’unico che ancora non ha proprio un’idea precisa su di lui sia proprio Daichi, che sembra essere più preso a mandare dei messaggi che a stare lì con loro. E va bene così, perché vuol dire che non si può inventare delle storie per far paura ad Asahi. Masa non fa che parlare, mentre Haru ha preso la mano di Asahi e non la vuole lasciare andare, non importa che il pezzo buio faccia meno paura grazie alla torcia di Noya. E fanno entrambi mille domande. Come si sono conosciuti. Come sono diventati amici. Se vogliono essere amici per tutta la vita (Haru fa questa domanda con un tono inorridito, per qualche motivo) e Noya risponde senza nemmeno un attimo di esitazione.

Sembra solo strano, ecco. Non che Noya risponda che sì sono amici, che sì ha intenzione di stare accanto ad Asahi per tutto il tempo che gli è dato, e che sono diventati amici nello stesso momento in cui si sono presentati l’uno all’altro. Quelle sono cose -strane, sì, perché Noya le dice con sicurezza e leggerezza e Asahi fa di tutto per non guardarlo mentre risponde, mentre Daichi ruota gli occhi, ma la cosa strana è che non siano a braccetto. Ecco. Sì. Questo gli sembra strano. Ed è strano, vero?, che gli sembri così strano.

Rimane comunque strano.


 




Noya è seduto accanto al piano cottura, con un piede sul ginocchio, mentre mangia l’omurice e Asahi prova ad asciugarsi le mani sul grembiule, prima di togliersi la fascia trai capelli e andare verso il lavabo, per lavarsi le mani e rinfrescarsi un pochino il viso. Fa davvero tanto caldo e la maggior parte del personale è fuori, per prendere un po’ d’aria. Dicono che tra poco chiuderanno per alcuni giorni il ristorante, perché i Tanaka andranno da qualche parte a fare chissà che cosa. Motivo per cui questa cucina sarà accessibile per Asahi soltanto per qualche giorno ancora, poi dovrà tornare a casa. E l’appartamento, ultimamente, è sempre vuoto. Sua mamma non torna da qualche giorno, perché... Asahi dovrebbe iniziare a chiedere più spesso il perché delle azioni delle persone intorno a lui. Si è reso conto di non conoscere le motivazioni di così tante cose da fargli venire quasi paura.

“Mamma lo faceva così” mormora a un certo punto Noya, dondolando i piedi. Il tallone sbatte contro l’armadietto su cui è seduto e Asahi si asciuga il viso con la manica. “L’omurice. Lo faceva così. Ci hai messo i piselli?”

“Ah, sì” risponde Asahi, avvicinandosi a lui, con le braccia incrociate. “Ho seguito la ricetta che mi ha dato Tanaka-senpai.” Poi sospira una risata, per sistemarsi indietro i capelli. Sono un po’ cresciuti da quando li ha tagliati, non abbastanza da poterci fare una coda, o una cipolla, certo, ma adesso ci sono ciuffi che può davvero tirare indietro. Motivo per cui si sistema di nuovo la fascia trai capelli. “Mi ha detto che avresti sicuramente preferito qualcosa con i piselli. E ha anche detto di dirti che vengono dalla tua famiglia.”

Noya sbuffa qualcosa che dovrebbe essere un sorriso o una risata o qualcosa del genere, prima di continuare a mangiare. “Saeko-neesan è la migliore” mormora, e si porta un altro boccone in bocca. “Perché ti sta insegnando a cucinare?” gli chiede, tirando su anche l’altro piede per incrociare le gambe vicino al piano cottura. Non dovrebbe lasciarglielo fare, sicuramente, ma Asahi ha già pensato che appena andranno via laverà quella parte e non ci saranno delle conseguenze per questo suo comportamento, motivo per cui non si deve preoccupare. Noya sta aspettando una sua risposta e poi sospira, prima di continuare a parlare. “Me lo chiedevo un po’, in effetti, perché ti stesse insegnando proprio Saeko-neesan, di solito non lo fa, di solito aiuta in altri modi, ma sembra che lei voglia passarti le ricette di famiglia.”

“È una brutta cosa, vero?” chiede Asahi, grattandosi la nuca.

“No, non direi” risponde Noya. E sembra essere più confuso, mentre continua a mangiare. “È una cosa buona, invece. È un po’ come se ti avesse adottato come fratello minore” gli spiega, puntandogli contro il cucchiaio. “È una bella cosa, questa, no? Tu e quei ragazzi, i Sawamura, siete un po’ così, no? Tipo, amici che si prendono cura l’uno dell’altro.”

“Ah” esclama Asahi. Non sa nemmeno come rispondere. La prima domanda che gli ha fatto Noya era... a quella forse può rispondere senza problemi. Okay. Quindi. “È solo che pensa che non mangi bene” dice alla fine, continuando ad accarezzarsi il retro del collo. È un po’ imbarazzante, a pensarci bene, essere trattato in questo modo, come se fosse un enorme bambino che non sa nemmeno che cosa fare di se stesso, che non sa come prendersi cura del suo corpo. Ma è vero che Tanaka-senpai non lo ha mai fatto sentire completamente inutile o stupido o incapace... Asahi cucina, in questa cucina, per se stesso, ma anche per Noya. In un certo senso, è come se...

“E tu non mangi bene?” gli chiede Noya ancora. Lascia da parte il piatto e cerca lo sguardo di Asahi, inclinando un pochino la testa. Allunga le braccia, per prendere le mani di Asahi, e attirare la sua attenzione e poi sorride. “Saeko-neesan dice sempre che il modo migliore per prendersi cura di se stesso è prendersi cura anche degli altri.”

Asahi sbatte le palpebre velocemente. Sembra, in effetti, qualcosa che Tanaka-senpai direbbe. Ed è una cosa che lo fa un po’ sorridere. Noya continua a tenergli la mano, mentre prende il piatto che aveva lasciato da parte e cerca, con una mano soltanto, un altro cucchiaio che poi lascia tra le mani di Asahi e sembra voler riprendere a mangiare, anche se, prima, gli fa un segno con le dita perché anche lui inizi a mangiare. I gesti di Noya sono precisi e non ammettono esitazione. È un po’ come se stesse invitando con un po’ troppa forza Asahi a fare qualcosa per il suo stesso bene. È una gentilezza rude, la sua. Lui dice di non essere gentile, edï eppure, quando Noya parla con Asahi, quando lo invita a fare qualsiasi cosa... Asahi abbassa lo sguardo e sente di nuovo un caldo che non ha a che fare con la cucina o i fornelli, né niente del genere.

“Vivi da solo?” gli chiede Noya, con la bocca piena, mentre Asahi non sa che cosa dovrebbe fare con il cucchiaio, con il piatto che Noya tiene tra loro due e con questa strana sensazione sul petto. “Perché tutte le volte che ti accompagno a casa mi sembra che le luci siano spente. Volevo chiederti anche questo da un po’.”

“Vivo con mia madre” risponde Asahi. Dovrebbe prendere un boccone? Dovrebbe davvero mangiare? Non è davvero sicuro di poterlo fare. Alla fine, questo piatto Asahi lo ha preparato per Noya. È il piatto di Noya. E c’è un confine. Non sa chi glielo ha detto o perché è così sicuro di questo, ma sente che, nel momento in cui inizierà a mangiare dal piatto di Noya avrà superato un limite da cui poi non potrà più tornare indietro. “Ma i suoi orari di lavoro sono un po’...”

“Sarai solo per queste vacanze?” chiede ancora Noya, dondolando le gambe. “Dico quando Saeko-neesan e Ryuu andranno in vacanza. Sarai da solo?”

Asahi guarda con insistenza il cucchiaio. No. Non dovrebbe. Non importa che Noya gli abbia detto che va bene e che vuole condividere il cibo con lui. Non dovrebbe farlo. Dovrebbe, beh, far finta di niente e continuare a parlare e non mangiare, non toccare nemmeno un boccone. “Credo di sì” riesce a dire alla fine.

Noya annuisce piano, mentre prende un po’ di omurice nel cucchiaio, con lo sguardo sul piatto. “I Sawamura staranno con te?” chiede ancora, dividendo il pezzo di omurice.

“Beh, forse, non sempre” risponde ancora Asahi.

Noya alza lo sguardo e sta ancora sorridendo. Prima sembrava essere molto concentrato sul piatto, adesso invece sembra essere concentrato su Asahi. “La settimana prossima inizieremo a raccogliere le mele e alcuni ortaggi, quindi la maggior parte della mia famiglia sarà impegnata nei campi e io potrò aiutare. Mi hanno detto di portare degli amici. E io mi chiedevo chissà quante persone posso portare a casa prima di fare arrabbiare mio nonno.” Lo dice quasi ridendo. Asahi non si sta avvicinando per mangiare e Noya non gli sta facendo nessuna pressione. “E di solito ci divertiamo. Facciamo barbecue, prepariamo onigiri per portarli trai campi, diamo la caccia ai bruchi e ai ragni e poi li vediamo andare via e cose così. Cioè, ci divertiamo, davvero. E dovresti vedere quanto sono belle le mele e poi beh... I miei amici -non so se li conosci, a volte vengono qui al ristorante e dicono che siamo all’ultimo anno e... beh, comunque, loro non verranno, per un motivo o un altro... e...”

Asahi aggrotta le sopracciglia, perché non sa dove Noya voglia andare a parare. Non sa che cosa gli voglia dire. Non sa se ha proprio capito. “Sono sicuro che ti divertirai anche quest’anno” gli dice, per incoraggiarlo a parlare ancora. Perché solo così può averne la conferma e non vuole coprirsi di ridicolo. Non vuole sentire quanto felice è di quel possibile invito. Non vuole davvero alzare le speranze e le aspettative, a questo punto. Perché non dovrebbe averne.

E Noya si passa una mano trai capelli, tirandoseli indietro. Fa una smorfia e poi prende un respiro profondo. “Non era quello che volevo dire” dice con una mezza risata. Poi prende il cucchiaio e lo mette in aria, tra loro due. “Apri la bocca, dai.”

“Cosa? No.”

“Asahi-san, se poi Saeko-neesan scopre che hai cucinato soltanto per me, si arrabbierà, e nessuno dei due vuole farla arrabbiare” gli dice Noya, ridendo. Alza le sopracciglia e aspetta che Asahi si muova per mangiare, cosa che Asahi non ha la minima voglia di fare. “Dai” mormora a bassa voce, inclinando la testa.

“Vuoi condividere con me il cibo solo per non far arrabbiare Tanaka-senpai?” gli chiede Asahi, con un mezzo sorriso divertito e Noya lo guarda e per la prima volta da quando si conoscono, boccheggia.

Noya non sembra avere una risposta a questa domanda e fa un pochino di tenerezza, perché, beh, è da un po’ che Asahi ci sta pensando, ma ha come la sensazione che Noya abbia un piccola cotta per Tanaka-senpai (sarebbe strano che non l’avesse, in realtà, lei è incredibile, e una persona gentile, così come considerata e piena d’energia)(se Asahi avesse voluto scegliere qualcuno per cui avere una cotta, come quando era piccolo e decideva il nome di una persona per sembrare normale, per non dire che no, non si è mai preso una cotta e che lui era del tutto normale con cotte e le riviste porno e... beh, comunque, quella persona sarebbe stata Tanaka-senpai)(e questo spiega i comportamenti di Noya)(ha deciso di essere la cavia di Asahi quando Tanaka-senpai glielo ha chiesto)(ogni volta che viene al ristorante viene vestito con il gakuran anche dopo preso parte agli allenamenti di pallavolo, perché gli piace tantissimo il gakuran e dice che gli dà un qualcosa in più)(e ogni volta si siede al bancone invece che nelle parti più lontane del ristorante, forse per stare vicino a Tanaka-senpai).

Noya deve voler continuare a fare bella figura con lei. E Asahi non lo sta aiutando, con la sua indecisione e il suo modo di fare. Non vuole che la cotta di Noya sia rovinata da lui, o che Noya pensi di essere visto in modo peggiore da Tanaka-senpai per colpa di Asahi. (Non vuole che nessuno veda Noya come meno del ragazzo stupendo che è.)

Per questo motivo, solo per questo, Asahi impugna il cucchiaio e prende un boccone dell’omurice, mangiando dallo stesso piatto di Noya, che ha aggrottato le sopracciglia e sembra non essere proprio a suo agio. Eh. Non è bello, in effetti, condividere il piatto con qualcuno che conosci da così poco. E Daichi ancora quasi piange quando Asahi o Suga gli toccano il piatto. Deve dare fastidio anche a Noya, anche se è stato lui a chiedere di farlo.

“Non era quello che volevo dire, comunque” riprende a parlare Noya, dopo essersi schiarito la gola.

Asahi alza lo sguardo verso di lui ed è rosso, Noya. Ci sono delle macchie su tutto il suo viso, un po’ sono sulla fronte, un pochino sulle guance e ha un’unica macchia rossa sulla punta del naso. È davvero uno strano modo di arrossire. Deve aver capito che Asahi si è reso conto della sua cotta. Deve davvero dirgli che non c’è niente di male e che comunque lui non ha intenzione di spifferare niente a nessuno. Ma non sa come uscirebbe fuori una frase del genere dalla sua bocca.

“Volevo dire che potevi provare il ritmo della campagna” continua Noya, abbassando lo sguardo sul piatto. “Puoi venire da me qualche giorno. E non è per avere braccia in più, lo giuro, puoi anche soltanto... e ci sono cose belle da vedere. Io, quando ero piccolo e non potevo aiutare, beh, di solito cacciavo le farfalle e cose così. Puoi anche venire. Solo per un giorno se vuoi e poi... era questo che volevo dire. Se volevi venire... alla casa paterna.”

“Al posto dei tuoi amici?” gli chiede ridendo Asahi, ma la frase non fa ridere Noya.

“No” gli risponde con un tono serio. “No. Come Asahi-san. Senza, beh, capito. Senza nessun al posto di. Perché voglio passare il tempo con te.”

È così dolce, Noya. Asahi non ha intenzione di mangiare un altro boccone di omirice. Gli sorride. Gli passa una mano sulla guancia, su una di quelle macchie rosse sul suo viso e gli sorride. Ha il viso caldo, Noya. Asahi ha le mani fredde, perché se le è appena lavate. “Sarò felice di venire da te” gli dice. “Se vuoi passare del tempo con me.”

Noya punta il suo sguardo sul piatto. Asahi non ha davvero più intenzione, comunque, di continuare a mangiare.


 





Prima di vedere la faccia di Suga, Daichi, Asahi e Shimizu vedono soltanto la sua narice e i peli dentro il naso, perché è sempre così che li saluta, Suga. Poi si allontana dalla videocamera e li saluta con la mano e un enorme sorriso. Anche se, prima di dire qualcosa su quanto gli mancano e altra roba così, punta Asahi e dice: “Ho saputo che stai uscendo con un ragazzino delle medie. Non è una cosa carina Asahi.” Poi fa una smorfia con il naso e Shimizu ruota gli occhi, alzandosi in piedi e andando a prendere qualcosa. Non dice niente. Semplicemente, si alza e se ne va, e Daichi spinge un po’ più in là Asahi, per poter vedere meglio durante la videochiamata.

“È quello che gli ho detto anche io” dice, mentre spinge Asahi.

“Non pensavo che tu fossi così.”

“Lo sai che non -sai che c’è?” inizia Asahi, scuotendo la testa. “Noya fa l’ultimo anno di liceo. Si diploma quest’anno.”

“E li hai visti i suoi documenti?” chiede Daichi, girandosi verso di lui. “Perché non sembra davvero avere diciassette anni. Sembra averne tredici.” Si gira verso lo schermo del computer. “Perché è basso, Suga.”

“Basso quanto?” chiede Suga, iniziando a mangiucchiare dei popcorn. “Cioè, perché un metro e settanta è okay credo. E poi dovresti davvero stare attento e chiedergli i documenti.”

“È basso, Suga. Sarà tipo un metro e cinquanta.”

“Non è un metro e...”

“Ti piacciono quelli bassi per davvero, allora” ride Suga, continuando a mangiare popcorn. “Shimizu, dove sei? Perché te ne sei andata?”

Shimizu giocherella con il bicchiere di acqua e fa un gestaccio con la mano che Suga non può di certo vedere, motivo per cui Asahi alza le sopracciglia e fa una smorfia, fingendo di non averla vista. Lei poi torna ad aprire tutti gli sportelli della cucina di Asahi. Deve essere alla ricerca di qualcosa da mangiare. Mostra a Daichi un sacchetto di patatine e dei mikado, prima di tornare vicino a loro, sedendosi accanto ad Asahi.

“Quando l’ho visto al ristorante pensavo che avesse più o meno l’età di Masa e Haru. In pratica è alto così e quando sta vicino ad Asahi sembra suo figlio, te lo giuro.”

“È colpa della barbetta” commenta Suga, indicandosi il mento. “Che poi non ho capito questa cosa che ti sei tagliato i capelli ma non la barba. Cioè, spiegami la logica, per favore.”

“Non è proprio una barba” sussurra Asahi, per difendersi e Daichi gli dà una pacca sulla spalla, mentre Suga punta i gomiti sul tavolo. “E comunque non c’era bisogno di...”

“È tipo come al primo anno di liceo, vero Daichi? Sembra davvero più piccolo, ma il pizzetto mi rovina l’illusione e mi ricorda che potresti essere visto come un vecchio pervertito che esce coi ragazzini delle medie. Ti dovresti solo vergognare.” Fa una pausa e aggrotta le sopracciglia. “Ditemi che non va alle medie, o chiamo la polizia qua, seduta stante.”

“Noya non va alle medie” si difende Asahi. “E lo sapete che non sono un pervertito che uscirebbe con dei ragazzini.”

“Lo spero proprio” borbotta Daichi.

“Daichi, tu lo sai.

“Non fa che parlare di questo Noya” commenta Shimizu, prima di bere il suo bicchiere di acqua. “Uno vorrebbe avere una conversazione come delle persone normali e mature e lui inizia a parlare di Noya. Noya qua. Noya là. È noioso. Come può essere così ossessionato da un liceale.”

“Shimizu, sssh, non dire niente. Non farlo.”

“Beh, questa è nuova” commenta divertito Suga, continuando a mangiare. “Una cotta per un liceale, Asahi? Pensavo avessimo già passato quella fase. Non siamo un po’ troppo grandi per queste cose?”

“Ha un anno in meno di noi” cerca ancora di difendersi, passandosi entrambe le mani sul viso.

“E lo sai che gli prepara il pranzo?” continua Daichi, scuotendo la testa, con una punta di rimprovero. “A me non ha voluto nemmeno preparare del ramen.”

“Ti ho già detto che stavo lavorando.”

“Gli prepari che cosa?” chiede, gridando e sbattendo le mani su quella che dovrebbe essere la sua scrivania, Suga. “Asahi. Ma sei proprio uno facile allora. Sono fuori da qualche mese e guarda che cosa combini! Vergognati! Sei davvero così disperato?”

“Cosa pensi? Che sia soltanto lui?” riprende Daichi. “Il ragazzino che sembra delle medie lo accompagna a casa ogni giorno.”

“Non tutti i giorni...”

“Beh, certo, stare con uno più grande fa figo trai ragazzini, no?”

“La devi smettere. Adesso.”

“Ma dal suo punto di vista è spiegabile” controbatte Suga, alzando le mani in aria. “Dicevo questo.”

“E Asahi lo guarda come se fosse la cosa più bella e incredibile del mondo” continua invece Daichi con una smorfia.

“Nonostante conosca me” scherza con tono monocorde Shimizu, mangiando dei mikado. “Capisci quanto sono offesa.”

“Ma lo sono anche io!” esclama Suga. “La cosa più bella e incredibile del mondo che tu abbia mai visto sono io!”

Asahi fa un verso addolorato, nascondendo il viso dietro le mani, e Daichi scoppia a ridere. “Non potevi essere la sua cotta per sempre” mormora Shimizu. Suga sta ridendo. Lo sente che sta ridendo, non ha bisogno di vederlo né sentirlo per saperlo. “Devi lasciarlo andare.”

“Dovresti essere un pochino più indignata anche tu.”

“No, io sto bene.”

“Sarò l’unico col cuore spezzato per colpa di Asahi allora.” Suga sospira e posa il mento su entrambe le mani. Non sembra riuscire a trovare una posizione in cui rimanere. Si muove quasi nervosamente. È strano. “Allora” inizia, contando le cose che vuole chiedere sulle punte delle dita. “Non mi avete raccontato, uno, come si sono incontrati, due, che cosa ha fatto questo falso studente delle medie per rubarmi Asahi e tre, c’è la possibilità che io possa vedere questa coppietta felice, nella mia prossima visita, oppure no?”

“Beh, per avere un’opportunità, dovrebbero mettersi insieme prima che tu arrivi” dice Daichi.

“Perché sono troppo bello e gli ruberei di nuovo Asahi, vero?”

“No, perché sei solo un elemento di disturbo.”

“Ma che avete? Mi avete chiamato per insultarmi?” chiede Suga, aggrottando le sopracciglia. “Non sono un elemento di disturbo.”

“Lo sei.”

“No!”

“Qui è tutto molto calmo senza di te.”

“Allora vi starete annoiando parecchio” risponde senza pensare Suga. Poi però si ferma. Durante la sua ultima parola la voce si incrina un pochino, come se si stesse rendendo conto di quello che stava dicendo e poi è scoppiato a ridere con una punta di incertezza, grattandosi con un dito la fronte. Asahi assottiglia lo sguardo. Non gli sembra che Suga abbia detto qualcosa di sbagliato, o di troppo insensibile. Non in modo cattivo e di proposito, comunque. “Beh, comunque, non mi avete risposto. Come mi ha rubato Asahi quel ragazzino? Me lo posso riprendere?”

“Non era difficile rubartelo.”

“Shimizu, per favore, sono in lutto.”

“L’unica cosa che devi sapere è che sembra un ragazzino, dai, solo per prendere in giro Asahi.”

“Eh, okay, sì, sicuro, ma Asahi non ha detto che non ha una cotta per il ragazzino delle medie...”

“Potreste smetterla di chiamarlo così?”

“Non m’interrompere. Dicevo. Ad Asahi quel ragazzino sembra piacere, per questo sono curioso.”

“Allora diciamo che quando torni a casa saprai il resto della storia.”

Suga sospira e c’è un momento di silenzio in cui nessuno riesce a dire nemmeno una parola. In effetti, il motivo della videochiamata era questo. Solo, beh, sapere quando sarebbero stati tutti e quattro. Così. Per sapere. Sono mesi che non si vedono. E Suga fa una smorfia con le labbra e incrocia le braccia, tirando su le spalle. “Tornare a casa a farmi insultare, eh?” chiede con un tono divertito e con mezzo sorriso. “Chissà.”

“Beh, okay, allora ciao” dice Shimizu, allungandosi per chiudere la chiamata e Suga apre la bocca per fermarla.

“Stavo scherzando! Stavo scherzando, dai!” grida, muovendo la mano, come se potesse fermarla fisicamente. “Dai, su. Tra poco ci torno a casa. La prossima settimana finisco gli esami e ho il treno per il fine settimana di tra due settimane.”

“Perché tra due settimane?” chiede Asahi, con le sopracciglia aggrottate.

“Ti sto dando il tempo per non essere più vergine, perché Daichi dice che sono un elemento di disturbo.”

“Anche Daichi è un elemento di disturbo.”

“Eh, ma a quanto pare non lo è quanto me.”

“Perché non dovrei essere più vergine quando arrivi?” chiede Asahi.

E Daichi e Shimizu si girano a guardarlo come se gli fosse spuntata una seconda testa, o qualcosa così. Shimizu ride piano, scuotendo la testa e Daichi ruota gli occhi. “Anche Asahi è un elemento di disturbo per se stesso, però. Non ha bisogno di noi” commenta Daichi, incrociando le braccia e Suga scoppia a ridere.

“Non importa, dai. Tifiamo per te!” Suga mette su i pugni. “Bene, okay, c’è qualcos’altro che mi sono perso?” chiede, cambiando argomento.

Asahi sospira. Non è che Noya gli piaccia. Gli piace stare con lui. Gli piace parlare con lui. Gli piace... beh, comunque, non che importi, giusto? A Noya piace Tanaka-senpai. E ad Asahi va bene così. Va... va davvero bene così. Lo può giurare.



 





“Quindi rimarrai qui per le prossime due settimane?” chiede Noya, portando la scala sotto l’ascella. Asahi lo segue, con i cestini in mano. Noya sembra raggiante, nella sua salopette arancione, i risvoltini che si muovono sulle sue caviglie. Si gira verso Asahi, per sorridergli, con il naso arricciato. Pochi scodinzola, correndo avanti e indietro, per non lasciarli mai troppo indietro. “Non potrei chiedere di meglio.”

“Non ho visto nessuno qui intorno” gli dice Asahi. Giocherella nervosamente con le dita. Sente di star facendo qualcosa di sbagliato ad accettare l’invito di Noya. Sente di star ficcando il naso in qualcosa in cui non avrebbe dovuto ficcare il naso. Asahi qui è soltanto un ospite e sente di non star facendo bene il suo lavoro da ospite. Come se ogni sua parola potesse offendere qualcuno. “Va davvero bene che io rimanga qui?” chiede. Non sa come potrebbe offendere qualcuno, visto che in quella che Noya chiama la casa paterna, non sembra entrarci nessuno.

“Sai cucinare?”

“Beh, sì.”

“Mi aiuteresti a lavare i piatti?”

“Certo.”

“Allora per me potresti anche rimanere nella casa paterna per tutta la vita” gli dice, posando la scala vicino a un albero. “Anzi, per favore, fallo.”

Asahi ride piano. Già. Come no. Si inginocchia, per posare i cestini sull’erba e poi chiamare a sé Pochi, che sembra essere solo felice di poter correre all’ria aperta. Pochi sembra un cane molto felice. È vecchiotto, ci sono dei peli bianchi sotto il suo musetto, e sembra una barba che si allunga, un po’ come quella degli esseri umani, ed eppure corre come se fosse un cucciolo, senza stancarsi mai. Deve essere la possibilità di correre con così tanta libertà. Asahi lo accarezza. Gli ricorda il suo vecchio cane, quello di quando era molto piccolo. Doveva avere più o meno l’età di Pochi, quando è morto. E Asahi aveva più o meno l’età dei fratellini di Daichi.

Pochi gira su se stesso, mettendosi a pancia in su, per continuare a essere accarezzato e Noya sbuffa una risata, mentre sistema la scala sotto un albero, per poterci salire. “L’ho detto io che era il mio cane” mormora e Asahi pensa che sì, qualcosa di Noya deve davvero averlo Pochi. Ad esempio questa vitalità. Oppure il fatto che sembri essere una specie di divinità protettrice di questo giardino.

“E la tua famiglia?” chiede Asahi, continuando ad accarezzare Pochi, che muove la coda di qua e di là. È davvero adorabile. “Arriverà presto?”

Noya punta il piede sulla scala, per controllare che sia ben assicurata, poi si gira verso Asahi e arriccia il naso.

“Loro sono già nei campi” gli risponde, allungando la mano per prendere un cestino. “Dicono che il prossimo anno li aiuterò a tempo pieno, se vorrò e che quindi non me ne devo preoccupare. E di godermi quest’ultimo anno. Bla bla bla.” Sale sulla scala quel tanto che basta per arrivare ai rami più bassi. “Se lo chiedi a me, penso che non vogliano che li aiuti, perché potrei ereditare parte dei campi dal nonno e loro vorrebbero venderli. Se non so che cosa fare coi campi adesso, non lo saprò fare dopo e come unica soluzione mi rimarrebbe vendere, perché non avrei abbastanza braccia per prendermi cura dell’eredità del nonno. Mi dicono sempre, pensa a giocare a pallavolo, e io ci penso a giocare a pallavolo.”

Asahi aggrotta le sopracciglia mentre Noya prende una mela dal giardino, ma non la stacca, inizia, invece a girarla su se stessa, e poi la mela sembra cadergli nel palmo.

“Ovviamente ci penso a giocare a pallavolo, è una delle cose che amo di più, ma amo anche i nostri campi, quindi è ovvio che pensi anche a loro. E i miei zii non lo sanno, ma ho imparato tutta la pratica da nonno.” Fa un occhiolino, per poi tirare la mela ad Asahi, che viene preso alla sprovvista e se la vede scivolare sul petto e poi tra le dita, prima di riuscire a prenderla.

Non sa quanto di tutto questo lui dovrebbe sapere. Noya è molto aperto sotto questi punti di vista, così tanto da fare quasi paura. Va bene sapere di questa divisione familiare? Va bene che Asahi sappia di tutto questo? E che cosa dovrebbe dire, a questo punto? Pochi sembra essere irritato dall’idea di non essere più accarezzato, motivo per cui si alza sulle sue quattro zampe e inizia ad abbaiare ad Asahi con insistenza.

“Pochi, per favore, Asahi-san deve fare una cosa” lo rimprovera Noya. Poi sorride verso Asahi. “Provala. Dovrebbe essere matura. Doniamo il primo frutto del giardino al nostro ospite.”

Asahi inclina un po’ la testa, facendo un mezzo sorriso di circostanza. Non sa come dovrebbe reagire a certe cose, motivo per cui sospira e dà un morso alla mela. Beh. È una mela. Una buona mela. Una succosa mela. “È perfetta” mormora con le sopracciglia aggrottate.

“Già” risponde fieramente Noya, posando le mani sui fianchi. “Ed è soltanto la prima.” Si gira per iniziare a cogliere con calma, altre mele.

È strano.

Asahi lo osserva e c’è un sole splendente. In questo giardino, sembra che il tempo sia un altro. Si sentono degli uccelli che cinguettano, e sono davvero molto vicini, a volte volano da una parte all’altra. E Noya, con la sua salopette da lavoro, controlla le mele una ad una, prima di metterle nella cesta. E sembra calmo. Noya -dicono che Noya non sia mai calmo, non per davvero. Tanaka-senpai e suo fratello minore dicono che è più facile incontrare un animale parlante che Noya addormentato, o concentrato o in silenzio. Dicono anche che sia così sul campo da pallavolo. Asahi dà un altro morso alla mela. A lui, adesso, Noya sembra essere molto calmo. Sembra essere molto sereno. Sembra aver canalizzato la sua energia. E Asahi si ferma a contemplarlo, mentre posa le mele con gentilezza. Dovrebbe aiutarlo, invece.

Dà un’ultima carezza a Pochi, che sbuffa indignato, prima di tornare a correre di qua e di là, e si alza in piedi, per prendere la cesta dal braccio di Noya, che gli sorride teneramente.

“Ti prendi cura del giardino da solo?” gli chiede.

“Ah, beh” inizia Noya, alzando una spalla. “Non vengono molte persone alla casa paterna. La maggior parte delle case della mia famiglia stanno a valle, o verso valle. Questa è la casa più alta e più vicina ai campi. Se guardi verso l’alto, ci solo le coltivazioni a terrazza della frutta e i cereali. Verso valle ci sono le risaie, che prendono un pochino più di tempo e quindi più persone che ci lavorano. E prima vivevano tutti qui, ma poi una parte della famiglia si è trasferita in città, una parte ha preferito il centro cittadino e siamo rimasti io, il nonno e qualche mio cugino.”

“Che non vede l’ora di vendere.”

Noya sospira. Gira la mela rossa che tiene in mano e scuote la testa. “Mi chiedo sempre perché” mormora. “In fondo, noi qui ci siamo cresciuti.” Posa un’altra mela nel cestino che Asahi tiene tra le mani. “A me mancherebbe la casa paterna. Mi mancherebbe poter andare a cogliere i nostri frutti e le nostre verdure. E mi mancherebbe fare il giro dei ristoranti e dei supermercati.”

Asahi abbassa lo sguardo. “Forse non è una vita che può fare per tutti” gli risponde.

“È un peccato, però” dice a sua volta Noya, tenendosi dalla scala e spostando il suo baricentro perché lui e Asahi si possano guardare negli occhi. “Perché sto iniziando a pensare che possa fare per me. Sul serio. Come fa per il nonno. Ma non nello stesso modo del nonno. Cioè. Non penso di poter più vivere in una casa così silenziosa.” Noya lancia uno sguardo verso casa sua, anche se, visto l’enorme giardino, non è possibile vederla. Poi torna a guardare Asahi. “Mi piacerebbe riempire la casa paterna di persone. Persone che urlano, magari, o qualcuno che rompe piatti. Giocare tutti insieme a pallavolo. Sarebbe divertente, mi piacerebbe tantissimo. Dicono che prima fosse così, questa casa.”

“E poi?”

“E poi, beh, la vita di campagna non fa per tutti” risponde Noya, scrollando le spalle. “E una volta che ne esci, è difficile tornare indietro. Tornare a farne parte, sai? E a volte mi chiedo -io riuscirei a prendermi cura di tutti. E se non torni alla campagna va bene. Basta che tornino a casa, no? Io posso prendermi cura del resto.”

Asahi non sa come dovrebbe rispondere a tutte queste informazioni. Quindi deglutisce e annuisce piano. “Neanche a me piacciono le case silenziose” mormora in risposta e Noya gli sorride.

Sembra pensare a che cosa dire, in questo momento. C’è un attimo di esitazione che normalmente con Noya non ci sarebbe, poi torna a cogliere le mele. “Beh, allora siamo fortunati, ché ci facciamo compagnia a vicenda, giusto?”



 




Al contrario di Asahi.

Noya è un tutto al contrario di Asahi. Tranne, forse, per tutte le origini dei suoi comportamenti. E Asahi lo scopre osservandolo da una vicinanza troppo intima, che non gli sembra di meritare.

Asahi cerca di aiutarlo a piantare dei semi di prezzemolo. Preparano insieme il terriccio e Noya sembra essere molto felice di farlo. Alla fine di agosto, gli ha detto, ci sono molte piante da coltivare, nonostante quello che si pensa, ad esempio c’è il cavolo, il finocchio, cose così. E c’è il prezzemolo, che lui adora. Noya che prepara il terreno per la seminare è tutto un al contrario di Asahi. Ha le mani piene di terriccio. Ha detto che non importa dei guanti di gomma. Gli ha mostrato le dita e detto che comunque non gli sarebbero stati.

Quindi Asahi indossa i guanti. Noya no.

Noya è cresciuto, a quanto pare, in una casa silenziosa. È ormai una settimana che Asahi si trova qui e, per quanto gli piacciano le conversazioni notturne con Noya e lo svegliarsi in piena notte e vedere Noya ancora addormentato nel futon accanto al suo, o anche essere svegliato da lui (troppo presto, sempre troppo presto), none riesce a togliersi dalla testa il fatto che non si sia mai fatto vedere il nonno di cui Noya parla tanto. Non si è fatto vedere nemmeno un cugino o uno zio, per vedere come Noya se la stia cavando. In questa casa, così grande e così spaziosa, sembra viverci soltanto Noya insieme a Pochi. Ed è troppo, per un solo diciassettenne. Asahi non sarebbe riuscito a sopravvivere. Avrebbe iniziato ad odiare tutto e tutti in così poco tempo... e l’impossibilità di scendere in paese e parlare con Daichi o Shimizu lo avrebbe fatto impazzire. Noya invece sembra essere a suo agio. Sembra essere abituato.

Questa non sembra essere proprio la sua casa. Noya sembra essere una divinità protettrice e questo sembra il suo tempio.

Hanno entrambi i polsi sporchi di terra e Noya alza lo sguardo verso di lui, per sorridergli. Asahi non riesce a mantenere lo sguardo, perché è troppo vicino, perché può sentire il suo odore, perché le loro dita si potrebbero toccare, perché Asahi vorrebbe che si toccassero. Che è una cosa stupida. Deve concentrarsi su altro.

Chissà dov’è andato a finire Pochi.

Noya sembra essere così rumoroso per riempire il vuoto in questa casa. E Asahi sta iniziando a chiedersi se lo stato naturale di Noya non sia questo silenzio che fa quasi paura. Se il rumore di Noya si sarebbe fatto sentire anche se fosse cresciuto in un luogo diverso, con un’altra famiglia. Asahi anche è cresciuto in una casa silenziosa. E quando parlava, sentiva di fare troppo rumore. E quando provava a comunicare con sua madre, gli sembrava di avere un tono troppo lagnoso. Forse per questo ha deciso di crescere in un modo così silenzioso. Neanche stesse cercando di scomparire lui stesso.

Non ha fatto bene ad accettare l’invito. Non perché non si senta bene a stare con Noya. Non doveva farlo perché questo sguardo vicino alla sua vita, questo stare insieme per così tanto tempo, gli fa sentire che c’è qualcosa che ha iniziato a provare e che non dovrebbe provare. Non verso qualcuno che è solo gentile. Non verso qualcuno che non potrebbe ricambiare i suoi sentimenti, dai. Gli vengono in mente le parole di Suga. Pensava veramente che avessero già passato la fase delle cotte impossibili. Non può rimanere in questa fase per sempre.

I semi del prezzemolo sono piccoli marroni e Noya, con le mani sporche di terriccio glieli passa e sembra voler aspettare. “Sono tuoi, Asahi-san” gli dice con un gesto. “Seminali tu.”

Da qualche parte, Asahi ha letto qualcosa sul prezzemolo. Perché Daichi adora il cibo e mangiare e odia cucinare e c’era un sito in cui prendeva tutte le ricette semplici e veloci per fare da mangiare a se stesso e ai suoi fratellini. Diceva qualcosa sul prezzemolo. Che è una pianta resiliente. Che è una pianta che sopporta il freddo e il caldo, che lotta con tutte le sue forze per rimanere in vita. E i suoi semi sono così piccoli da sembrare fragili e quasi si perdono tra le righe dei palmi della mano si Asahi. Li posa piano e questo gesto fa diventare il sorriso di Noya ancora più grande. Sembra essere davvero contento.

“Così dovrai venirlo a trovare, ogni tanto” gli dice, muovendo la terra sui semi, con le mani. “Lo chiamiamo Asahi come te, Asahi-san. E lo abbiamo messo a Ovest, perché mi piace il contrasto.”

“C’è una pianta a Est che si chiama Yuu?” gli chiede un po’ per scherzo.

Ma Noya sbatte le palpebre e inclina la testa. “Beh, sì” gli risponde. “È stata la prima piantina che ho piantato.”

“Così saresti dovuto andare a trovarla ogni tanto” ripete le sue parole Asahi, muovendo anche lui il terriccio, per coprire i semi.

Le loro dita non si sfiorano. Asahi è attento a non farle sfiorare. Intorno alle unghie, Noya ha tutta questa terra, che profuma di buono, sembra profumare di nuovo, anche se non sa che cosa possa significare una cosa del genere.

Asahi (non) vuole toccare le dita di Noya e poi pensarci per tutta la notte. Non è una cosa che può davvero fare. Per Noya. Non sarebbe giusto nei confronti della loro amicizia. Asahi non vuole davvero rovinare tutto. Non a questi livelli.

Se fossero rimasti ai livelli di una volta questo ragazzo mi ha dato degli stuzzicadenti e io in cambio gli ho dato un lecca-lecca, sarebbe stato più facile. Se fossero rimasti ai livelli di questo ragazzo ogni tanto mi parla quando sono a lavoro, sarebbe stato tutto meno complicato. Ma ormai Asahi conosce Noya. Sa cosa lo fa ridere. Conosce le sue smorfie. In una stanza piena di persone, Asahi riuscirebbe a notare Noya con un solo colpo d’occhio. E ha il permesso, il diritto, di stargli accanto, di parlargli.

(E se perdesse questo permesso?)

Quando è successo? Perché Noya? Asahi, perché Noya? Non è stata una cotta scelta. Non è stato Asahi che si è seduto e si è guardato intorno e ha detto lui, sarebbe impossibile non avere una cotta per lui, è solo una scelta logica, scelgo lui. È semplicemente successo. Come se avesse iniziato a piovere e lui non se ne fosse reso conto e adesso fosse tutto bagnato.

Noya appiattisce il terreno e si siede con le gambe incrociate. “Ormai è una responsabilità, Asahi-san. Ti ho teso una trappola.”

Asahi sbuffa una risata. “Già” mormora, ma non gli sembra proprio una trappola, questa. “Ci sono cascato.” Solo che, al contrario di Noya, lui non ha così tanto coraggio da dirlo ad alta voce.



 





“Sei una persona paurosa, Asahi-san?” gli chiede Noya, mangiando con le mani una pallina di riso, per poi girare su se stesso e ridere, nel momento in cui Asahi apre la bocca per dire qualcosa. Sembrava voler scappare da una possibile presa, mentre ride. Ma non va troppo lontano. Rimane a pochi centimetri da Asahi, che si passa le mani sul grembiule, con una smorfia divertita. “Perché mi sono dimenticato di raccontarti qualche storia di qui intorno. Ad esempio c’è questo spirito che...”

“Non sono pauroso” si affretta a dire Asahi. “Non devi per forza raccontarmele.”

Noya sbuffa una risata, e poi si arrampica vicino al piano cottura, sedendosi. “Allora è vero che sei un tipo pauroso” lo prende in giro, con la testa inclinata. La sua testa sta proprio tra le mani di Asahi e il suo viso, impedendogli di concentrarsi sull’onigiri. “Ma non ti devi preoccupare perché ci sono io a proteggerti, sai?” continua.

Asahi inclina la testa. “Tu non hai mai avuto paura, invece? Dello spirito qua intorno, dico.” Muove le mani, per poter guardare cosa sta facendo con gli onigiri. Noya sembra conoscere le basi della cucina, ma non sembra che ami cucinare, motivo per cui gira intorno ad Asahi, come se sperasse che quel tempo speso a cucinare si riducesse e per magia il cibo apparisse davanti a sé. Ora che ci pensa con un pochino più di indizi, Asahi si chiede se Tanaka-senpai non gli abbia chiesto di fare da cavia ad Asahi proprio per questo. Per monitorare che cosa mangia. “Questa casa è grande.”

Noya non risponde, fa soltanto una smorfia e chiude gli occhi. Non sembra avere proprio voglia di rispondere o dire niente al riguardo e forse Asahi ha fatto una domanda che non avrebbe dovuto fare. Non lo sa. Gli offre l’onigiri che ha finito di preparare, come ramoscello d’ulivo e Noya alza un lato delle labbra, prendendolo dalle sue mani. “Ho sempre avuto Pochi” dice alla fine. “Perché avere paura, allora?”

“Anche io avevo un cane. Si chiamava Palla.”

“Palla?”

“Palla” ripete Asahi, prendendo un po’ di riso tra le mani per modellare il seguente onigiri. “Mio padre gli ha dato il nome. Non sapeva che cosa gli piacesse e quindi si è guardato intorno e gli piaceva tantissimo la palla, a Palla, e quindi è diventato il suo nome. Quando sono nato non era più un cucciolo, ma ricordo che in effetti, quando stavo con lui mi sentivo molto protetto. Era abbastanza grande da poterci dormire in mezzo.”

Asahi sorride al ricordo. Palla riusciva a fargli una specie di culla, intorno a cui lui si accucciava e dormivano per tutto il pomeriggio insieme, quando non c’era nessuno. Certo. Questo gli dava problemi perché dicevano sempre che Asahi puzzava di cane e non di essere umano. Ma era davvero l’unico posto al mondo in cui si sentiva protetto. E per questo era stato così disperato quando Palla non gli aveva più risposto. La morte del suo cane lo aveva destabilizzato tantissimo. (Sua madre, in cambio, aveva solo ruotato gli occhi.) Gli viene quasi da piangere a pensarci anche adesso. Un peso al petto che non va via e che non riesce a scacciare.

“Quindi lo capisco.”

Noya guarda prima lui e poi l’onigiri che ha in mano e lo mette trai loro due visi. Come aveva fatto con quel boccone di omurice, qualche giorno fa. “Io avevo paura di Pochi, quando era piccolo” gli dice, ridendo. Non sembra molto felice di quello che ha detto e non sembra molto felice di... qualcosa. Forse non doveva continuare questa conversazione. Deve aver fatto qualcosa di stupido. Deve avergli pestato i piedi. Deve aver detto o fatto qualcosa che non doveva né dire né fare. E gli dispiace. Non vuole. Non vuole far arrabbiare Noya o... “Mangiamo insieme” continua Noya, dividendo l’onigiri in due.

“Dobbiamo...” inizia Asahi, ma lui scuote la testa.

“Dopo ne facciamo altri” gli assicura. “Ti aiuto. Mangiamo questo adesso, però. Lo voglio dividere con te.”

Asahi aggrotta le sopracciglia. Non sente di capire che cosa abbia Noya, in questo momento. “L’ho fatto io, posso farne un altro e così non devi dividerlo.”

“È per questo che voglio dividere questo onigiri con te.”

“Ah” esclama non molto sicuro Asahi, ridendo solo perché non sa come dovrebbe comportarsi. “Vuol dire che non è buono.”

“No!” grida Noya, alzando la mano, per fargli cenno di fermarsi. “Sì che mi piace e per questo voglio condividere con te il primo onigiri.”

“Ma non hai detto che domani possiamo fare un picnic?” gli chiede a sua volta Asahi, confuso. “Domani potremo condividere...”

“Non sarebbe questo onigiri” ribatte Noya, scuotendo ancora la testa. “È che questo onigiri mi ha reso felice e quindi voglio condividerlo con te, perché sei stato tu a farlo e vorrei che rendesse felice anche te.” Dondola i piedi. “Così non hai paura. Perché ti ho già detto che non devi avere paura, visto che ci sono io.” Si alza quel tanto che basta per dare una testata leggera ad Asahi.

Non fa male e Noya si allontana quasi subito. Gli sorride. “Sai di riso, Asahi-san” gli dice poi, inclinando un altro po’ la testa.

Asahi prende la metà di onigiri che Noya gli stava offrendo. “Qualcuno mi aveva detto una cosa del genere” gli risponde con un mezzo sorriso.

Noya ride ad alta voce. “Il riso è veramente bello, non pensi?” gli inizia a dire. “Nel senso che quando sta nelle risaie sotto l’acqua. Mio nonno mi ci portava sempre, quando ero più piccolo, prima di venire qui, sai. Il riso ha bisogno di condizioni speciali per crescere e il terreno deve essere lavorato per bene, oppure devi trovarlo così in natura, perché il riso sia buono. Ed è anche difficile trovare qualcuno che dice che non gli piace il riso, cioè, mai incontrato nessuno che dicesse una cosa del genere prima. Quando ho incontrato Saeko-neesan e Ryuu, mi hanno offerto del riso e mi è sembrato di stare subito a casa.” Noya arriccia il naso. “Tu sai di riso.”

Asahi non sa che cosa voglia dirgli Noya. Ma gli piace. Noya gli piace. Le sue parole gli piacciono. Quello che gli fa sentire, gli piace. Ed è il motivo per cui si mette a mangiare la metà dell’onigiri che ha preparato. Noya abbassa un pochino la testa e poi alza il mento quel tanto che basta per lasciare un bacio sulla guancia di Asahi, mentre scivola giù dal piano cottura.

“È un bell’odore” dice, continuando a mangiare. “A me piace.”

Non è stata una cosa scelta. Asahi abbassa lo sguardo ancora una volta e sente come gli venga caldo. Caldo alla base del collo. Caldo su tutto il viso. Caldo alle mani. Non è una cosa che ha scelto, questa. Non è una cosa con cui può convivere. E tra due giorni arriverà Suga a casa, , e tutti quanti loro si incontreranno e potranno parlare di cose serie e scoprire che cosa fare insieme. Finalmente. Gli sembra che non stanno insieme, che non si divertano e non parlino e non mangino qualcosa insieme da una vita. E pensa, non sa, adesso ha davvero bisogno di tutti e tre.

Asahi lancia uno sguardo a Noya. Gli piace. Noya gli piace per davvero. E lui non sa come convivere con questo sentimento.


 




Il messaggio di Suga arriva al posto di Suga, il giorno prima, mentre Asahi sistema le mele che Noya sta raccogliendo. Sente la vibrazione del cellulare nella tasca dei pantaloni, si dice che è strano. Di solito loro… beh. Non deve nemmeno sbloccare il cellulare. Sa che c’è qualcosa che non va. E ad Asahi si spezza il cuore, quando apre l’email. Tiene il cellulare in mano e guarda verso il basso. Si dice che forse ha letto male. Allora legge di nuovo e gli viene quasi da piangere. Si passa una mano trai capelli e legge di nuovo il messaggio.

Non si è nemmeno degnato di dare una vera e propria spiegazione.

Suga non è una persona cattiva. Non deve averlo fatto con malizia, e deve aver peccato di egocentrismo. Ma non è cattivo. E deve avere le sue ragioni, ci devono essere delle spiegazioni. Asahi si rifiuta di pensare che non ci siano. Però. Suga è sempre stato impulsivo e deve aver perso la concentrazione facendo qualcosa, deve aver trovato qualcosa di eccitante che voleva fare subito (in fondo, è una cosa che diceva sempre, casa non si muove mai)(casa rimarrà sempre lì) e deve aver pensato di afferrarla al volo, quell’occasione, quella situazione, quella qualsiasi cosa che gli si è parata davanti. E va bene cosi. Suga non è un ragazzo cattivo. È un po’ egoista. Va bene così. Però...

Noya scende di qualche gradino la scala. Non fa domande ad alta voce. Lo osserva soltanto. Aspetta, mentre Asahi stringe il cellulare tra le mani e poi prova a sorridergli, scuotendo la testa. “Sembra che non ci sarà la riunione che pensavamo ci sarebbe stata” dice, scrollando le spalle. “Niente di grave.”

Noya non sembra essere molto convinto. Lancia varie occhiate alle mani di Asahi e poi al suo viso. Fa una smorfia, con le sopracciglia aggrottate e Asahi pensa -non pensa che Noya sia troppo vicino. Non pensa a Noya, per una volta. O forse, sì, pensa a Noya. Alle sue parole. A quando hanno parlato della vita di campagna. A quando ha detto che è difficile tornare.

Suga è egoista. Asahi voleva incontrarlo di nuovo, un po’ come ai vecchi tempi. Voleva passare un po’ del loro tempo insieme. Voleva… Daichi è triste? Shimizu? Era un altro promessa tra tutti loro. Suga ha mentito a tutti loro. Ha lasciato da soli —non è giusto che Suga sia uno, che Daichi, Shimizu e Asahi siano in tre, ma che siano loro ad essere rimasti, in un certo senso, da soli. Non è giusto. Che non torni, non è giusto. Che loro a lui non manchino, non è giusto. Che ad Asahi Suga invece gli manchi così tanto... non è giusto.

Noya allunga la mano, tenendosi in equilibrio con il braccio l'obero intorno a inonda scalino. Prende la mano di Asahi e si porta le nocche sulla fronte. “Ci teniamo compagnia” gli dice a bassa voce, stringendogli le dita con dolcezza. Ha le mani callose. I polpastrelli duri. Odora terriccio. Terra viva bagnata. “Io a te e tu a me. Ci possiamo tenere compagnia.”

Noya è così forte. E anche così gentile. Così risoluto. Quando dice una cosa —è come se, di lui, non importa il momento, non importa la situazione, ti puoi fidare ciecamente. Ti puoi appoggiare a lui. E quindi Asahi sorride. Chissà quanto potrà durare questa situazione. Chissà quanto tempo al cuore di Asahi, prima che esploda, o che si rompa in mille pezzi, di nuovo. “Prenditi cura di me” sussurra.
  
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