Salì le scale, che collegavano il primo al secondo piano, e percorse alcuni metri. Isotta dai biondi capelli, a passo rapido, gli venne incontro, accompagnata da una donna alta e snella, vestita d’un lungo abito azzurro. I lunghi capelli neri erano raccolti in due trecce, che sobbalzavano ad ogni suo passo, e il suo volto dai lineamenti delicati era impreziosito dagli occhi, dal taglio allungato, simili a due zaffiri. Il monarca, vedendo le due donne, si inchinò in un gesto di rispetto. – Come sta mio nipote? – chiese, il tono apparentemente calmo. L’affetto per Tristano, malgrado i contrasti, non era svanito. Pur di aiutarlo, aveva deciso di condurre con sé sua moglie. Solo lei avrebbe potuto salvarlo. Lo sguardo ceruleo di Isotta si adombrò, sentendo le domande del marito, e le lacrime rigarono le sue guance. – Purtroppo, morirà. Nemmeno i filtri di vostra moglie hanno potuto nulla. Tristano è condannato. – intervenne l’altra, il tono pacato. Re Marco, sentendo la sua voce, girò la testa verso di lei. – Perdonatemi, signora. Posso domandarvi chi siete? – si scusò il re, imbarazzato. – Isotta dalle bianche mani. Moglie di Tristano. Figlia del duca di Hoel. – si presentò lei. L’uomo, d’istinto, abbassò lo sguardo sulle mani, dalle dita lunghe e sottili, della giovane e, per alcuni istanti, ammirò il biancore niveo della sua pelle. – Sarei stato felice di conoscervi in un altro momento. – dichiarò, cupo. La bellezza della figlia del duca di Hoel era paragonabile a quella della sua sposa Eppure, lampi di risentimento balenavano nei suoi occhi blu. Cosa era accaduto? Si sentiva sempre più confuso… – Per quanto tempo sopravviverà? – chiese. Isotta inspirò e fissò il suo sguardo in quello metallico del marito. – Non arriverà all’alba del giorno successivo. – rispose. Guardò Isotta dalle bianche mani, che aveva ripreso il suo contegno silenzioso. – Signora, potrei domandarvi il permesso di parlare con mio nipote da solo? – le domandò. – Certo. – disse lei. Le due donne si allontanarono e l’uomo si avviò verso la stanza.
Appena entrò, una zaffata di erbe aromatiche, come un’onda, lo investì, penetrandogli nel naso e nei polmoni. L’uomo rimase immobile, sulla soglia, colto da forti accessi di tosse. – Chi… Chi siete? – domandò ad un tratto una voce maschile flebile. Re Marco alzò la testa e, steso sul letto della camera, vide Tristano. Come sei ridotto, nipote mio…, pensò. Sul suo volto scarnito, d’un biancore livido, brillavano, come fuochi verdi, gli occhi e i capelli neri, arruffati, lucidi di sudore, scendevano sulle spalle e sul petto… Le sue mani, un tempo forti e robuste, erano abbandonate sulle lenzuola, inerti, simili a quelle di un cadaevre. Vedendo l’imponente figura del sovrano, le labbra livide del giovane si sollevarono in un debole sorriso. – Zio… Siete dunque venuto? – domandò. Non riusciva a credere ai suoi occhi… Forse, era una crudele illusione del veleno… D’impeto, il monarca entrò nella stanza e si avvicinò al letto di Tristano. Gli occhi verdi dell’agonizzante cavaliere studiarono la figura di Re Marco. Dio, malgrado il suo comportamento, gli aveva dato la possibilità di spirare serenamente, cullato dall’affetto di suo zio… Prima di spirare, doveva obbedire ad un imperativo di sincerità e liberare il loro rapporto dal velo degli inganni e delle ambiguità. Con fatica, alzò il braccio destro e appoggiò la mano su quella dell’uomo. L’uomo, comprendendo il desiderio del giovane, annuì e si sedette accanto a lui. – Zio… Sono felice che Rohalt non sia qui… E, se avessi potuto, avrei risparmiato anche a voi un simile tormento… – confessò, dispiaciuto. Non voleva dare una pena ulteriore a suo zio, ma il suo cuore era stanco di inganni e menzogne. La sua sorte era stata condannata e desiderava donare al suo unico familiare una immagine di sé pura, libera da colpe. – Cosa intendi, nipote? – domandò il monarca. Strinse la mano attorno a quella del nipote, poi la lasciò. No, doveva mostrare forza e contegno… Poi, sarebbe stato il tempo delle lacrime… – Io… Io non voglio più nascondermi… L’amore che ha unito Isotta e me ha condannato troppi cuori alla sofferenza… – cominciò. Un ringhio risalì sulla bocca dell’uomo. Dunque, Tristano confermava quel sentimento proibito tra lui e sua moglie… Fece per alzarsi, ma rimase fermo, seduto. No, non poteva allontanarsi. Desiderava comprendere tutto. Eppure, non riusciva a non nascondere la rabbia. – Continua. – lo incoraggiò, atono. Gli occhi verdi del giovane si velarono di lacrime. La rabbia, per quanto celata, si distingueva sul viso di Re Marco, atteggiato ad una espressione impenetrabile… E non poteva nemmeno dargli torto. – Ma io vi chiedo… di non incolpare la regina… Sì, il nostro tradimento non fu causato da colpevole lussuria… – continuò. – Non ti comprendo, nipote. – mormorò l’uomo. Tristano chiuse gli occhi e, per alcuni istanti, tacque. – Sulla nave che ci riportava verso la Cornovaglia… Io, incauto, volli brindare con lei alle sue nozze fortunate… E quel brindisi sciagurato segnò l’inizio della nostra sventura… – confessò poi.
Un cupo silenzio, per diversi istanti, oppresse come un macigno i due uomini. Ora si spiega tutto…, pensò Re Marco. Le parole, piene d’amarezza, di suo nipote squarciavano l’ultimo velo. Finalmente, la realtà si svelava ai suoi occhi e alla sua mente, priva di orpelli e ricami insensati. La rabbia, in quel momento, era svanita, sostituita dall’amarezza e dal dolore. Tristano, inconsapevole, aveva bevuto un potente filtro d’amore, forse destinato a lui e l’aveva fatto bere a Isotta. Quel brindisi li aveva legati in un amore forte e appassionato, venato d’amarezza. Questo rivelava la realtà della loro innocenza, malgrado i loro atti. Erano stati costretti da una forza esterna, superiore alla loro volontà, ad amarsi. Con un gesto nervoso, si asciugò le lacrime, che minacciavano di rotolargli sulle guance, e la sua mano si posò sulla guancia di Tristano, in una gentile carezza. – Zio… Non mi odiate? – chiese il giovane, dubbioso. L’uomo, sentendo quelle parole, accennò ad un sorriso amaro e la sua mano, leggera, gli terse una lacrima, che minacciava di rigare la sua guancia destra. – No… Non posso odiarti, nipote mio… Tu e Isotta siete stati condannati da un destino avverso e non meritate altro che compassione… – mormorò, amareggiato. L’affetto per suo nipote, compresso dal suo ruolo di monarca, in quel momento erompeva nel suo cuore. Non era più costretto da un rancore fasullo, da lui mai provato. E anche sua moglie non era più un’adultera, ma una donna sfortunata. Se solo la sorte non fosse stata così triste con voi…, pensò, amareggiato. Suo nipote si era mostrato abile e valoroso e si era meritato il rispetto dei nobili di Hoel, eppure non aveva potuto donare il suo cuore alla meravigliosa Isotta dalle bianche mani. Il tormentoso pensiero di Isotta dai biondi capelli non dava requie al suo cuore. Pur di cercare requie ad un amore impossibile, aveva condannato un’altra donna innocente ad un’aspra e immeritata sofferenza. E sua moglie si macerava nel tormento, consapevole della gravità dei suoi peccati, a cui non poteva sottrarsi. Il volere di entrambi, dinanzi alla magia, svaniva. Il senso si palesava ai suoi occhi, ma era vessillifero di dolore. Erano stati avvinti nella rete di un Fato beffardo e crudele, indifferente alla pena umana. Strinse i pugni. La Chiesa aveva elogiato Dio, definendolo misericordioso. Eppure, perché aveva condannato loro ad una pena così insensata? Per quanto si sforzasse di cercare un senso in quella situazione, non vi riusciva. Forse, sarebbe stato condannato all’Inferno per la sua sfiducia in Dio. Eppure, in quel momento non gli importava. Riusciva a vedere solo suo nipote, straziato da una pena crudele e condannato ad una agonia insensata. – Zio… Resterete con me? Vi chiedo di non abbandonarmi in questi ultimi momenti… Io ne avrò per poco… – balbettò il giovane. Le braccia di Re Marco cinsero il corpo di Tristano in un abbraccio, poi la mano dell’uomo affondò nei suoi capelli. Come poteva negargli quell’estrema richiesta? Tristano non temeva la morte, ma era angosciato dalla solitudine. No, non avrebbe sopportato una simile, crudele pena. Finalmente, poteva donargli l’affetto paterno, che, nel corso di quei tre lunghi, dolorosi anni, era stato costretto a reprimere. Ormai, nulla si frapponeva tra di loro… – Sì, nipote mio. Rimarrò con te. –