Questa storia è nata tanti anni fa, più o meno intorno all'anno 2009, ma per un motivo o per un altro pur avendo tutta la storia in testa e nonostante avessi già scritto diversi capitoli non ero mai riuscita a mettermi sul serio per finirla. L'esperienza fatta con la fan fiction dedicata alla serie Lucifer, mi ha fatto tornare la voglia di lavorarci e concluderla. A proposito, non è ispirata in nessun modo a Buona Apocalisse a tutti o Good Omens, ai tempi non sapevo nemmeno dell'esistenza del libro di Gaiman e Pratchett.
Si tratta di una commedia romantica e soprannaturale ambientata in una Roma un po' reale e un po' inventata.
Spero che possa tener
compagnia e soprattutto regalare un po' di sorrisi a chi la leggerà.
AlbAM
Un
diavolo a Roma
Capitolo
1
Alba,
il bianco e il nero
La
ragazza ansimava sconvolta, la fatica della lunga corsa in mezzo al
bosco cominciava a farsi sentire, ma fermarsi per riprendere fiato
era impossibile, le voci dei contadini infuriati erano sempre più
vicine “Strega, strega maledetta, questa volta non riuscirai a
fuggire...”
Si
voltò per cercare di capire quanto distavano i suoi
persecutori, ma fu un errore, inciampò su una radice e cadde
per terra procurandosi una ferita alla gamba.
“Maledizione”
pensò disperata “ora seminarli sarà ancora più
difficile!”
Si
alzò faticosamente e provò a correre, ma un dolore
lancinante alla gamba la fermò subito “Oh, no”
pensò e proprio in quel momento sentì l'urlo stridulo
di un contadino con una folta barba bionda “L'ho vista! È
laggiù, dietro quel cespuglio di timo, non può più
sfuggirci”
#
Bip,
biip, biiip, biiiiip, Biiiiiiiiiiiiiiip
“HO
CAPITO, BASTA!” si lamentò Alba mentre con una mano
cercava inutilmente di bloccare la suoneria della sveglia.
Biiiiiiip,
Biiiiiiiip
TLAC
Finalmente
era riuscita a trovare il maledetto tasto.
Ancora
mezzo addormentata, ripensò al sogno le cui immagini erano
ancora vivide nella sua mente, per l’ennesima volta si era
svegliata esattamente nel momento in cui quell’odioso contadino
la scorgeva dietro il cespuglio.
Che
significato poteva avere quello stupido sogno ricorrente e perché
diavolo non riusciva mai a sapere come andava a finire si domandò
stizzita girandosi a pancia in su e fissando il soffitto.
Lo
sguardo le cadde sul ragno che dalla fine dell'estate aveva preso
possesso dell'angolo tra le due pareti sopra il suo letto
costruendovi una elaborata ragnatela che ristrutturava senza sosta.
“Tutta
fatica sprecata amico mio” pensò “questa primavera
dovrai cercarti un altro alloggio”
Arianna,
la sua migliore amica che soffriva di aracnofobia, le aveva più
volte domandato con aria terrorizzata come potesse sopportare la
presenza di quella bestia schifosa proprio sopra la sua testa.
Lei
rispondeva, mentendo, che malgrado facesse regolarmente pulizia, i
ragni continuavano ad entrare e fare la tela in quell'angolo.
Ma
la realtà era che non riusciva a scacciare il ragno in pieno
inverno. Non poteva fare a meno di immaginarlo sotto la pioggia
mentre si trascinava solo e infreddolito alla ricerca di una nuova
casa.
Si
rendeva conto che si trattava di una melensa immagine da cartone
animato disneyano, ma non ci poteva fare niente e forse, sotto sotto,
si era anche un po' affezionata al ragno.
Guardò
di nuovo l'ora, sospirò, scostò svogliatamente il
piumone e scese dal letto a soppalco grazie al quale l'agente
immobiliare aveva potuto presentare il suo minuscolo appartamento
come un ampio
e luminoso monolocale, adatto a clientela giovane e sportiva
(leggi: quarto piano senza ascensore).
Come
d'abitudine nel giro di poco più di mezz'ora riuscì a
fare la doccia, vestirsi, truccarsi e concedersi una rapida colazione
composta da tè e biscotti il cui nome ricordava vagamente
quello di una marca più nota, la cui pubblicità qualche
anno prima le aveva rovinato per sempre l'immagine di un famoso
attore di origine spagnola di cui era stata innamorata per tutta
l'adolescenza.
Prima
di uscire si controllò velocemente. Lo specchio le rimandò
l'immagine di una giovane donna minuta, con lunghi capelli neri e
ricci, le lentiggini sulle guance e due occhi verdi che la
osservavano con uno sguardo malinconico.
Alba
pensò che il cappotto blu scuro, un tempo raffinato ed
elegante, cominciava a dare segni di cedimento, doveva decidersi ad
approfittare dei saldi e comprarne uno nuovo.
Aggiustandosi
la sciarpa intorno al collo diede un'ultima occhiata veloce allo
specchio “Ma si” pensò “in fondo non ho
ancora nemmeno un capello bianco”.
Accompagnata
da quel pensiero rassicurante afferrò la borsa del computer e
uscì ad affrontare l'ennesima giornata di lavoro.
#
Alla
fermata della metropolitana non c'era più la calca di un
tempo. Merito della crisi e non certo del miglioramento del servizio.
Alba
si guardò malinconicamente intorno, non avrebbe mai pensato di
sentire nostalgia per la folla che si accalcava tutte le mattine
all'apertura delle porte del treno.
E
invece ora si rendeva conto che quella ressa era indice di vita, di
ottimismo, di futuro.
Seduta
sulla poltroncina del vagone mezzo vuoto, ripensò al suo
tragicomico appuntamento della sera prima. Il tipo le era stato
presentato dalla sua migliore amica aracnofobica come un ragazzo colto e
affascinante.
L'appuntamento
era partito male fin da subito quando lei per rompere il ghiaccio
aveva provato a parlare della sua serie preferita e lui l'aveva
immediatamente liquidata come una serie mediocre per casalinghe
frustrate, dopodiché aveva preso il controllo della serata
esibendosi in una noiosissima lezione sulla filmografia di Andrej
Tarkovskij, prendendo in esame ogni singolo film del regista.
Alba
era appassionata di cinema e riconosceva la grandezza intellettuale
di Tarkovskij, ma ciononostante non poteva fare a meno di considerare
i suoi film una palla mortale. E dire che era stata capace di
rimanere sveglia fino a notte fonda per guardare "I sette
Samurai" di Kurosawa in versione non tagliata, lingua originale
e sottotitoli. Ma Tarkovskij proprio non lo affrontava, figuriamoci
poi una serata monotematica dedicata ai suoi film e senza neanche un
minimo di dibattito, visto che parlava solo il tipo.
Al
termine di una cena che era stata un'agonia, lui le aveva proposto di
accompagnarla a casa e dopo aver parcheggiato ci aveva pure provato.
Lei
lo aveva respinto cortesemente e lui, che le era praticamente saltato
addosso, si era pure offeso!
L'aveva
salutata freddamente e se n'era andato sgommando senza neanche
aspettare che la ragazza arrivasse al portone di casa.
Certe
volte Alba si domandava con quale criterio Arianna giudicasse gli
uomini visti i tipi assurdi che le proponeva "Vedrai Alba
passerai una serata incredibile… e poi non ti dico che
sorpresa a letto!" concludeva sempre con un sorriso ammiccante.
Alba
non aveva mai avuto il piacere di sorprendersi, le sue serate
"incredibili" si erano sempre concluse sotto casa con un
cortese quanto ipocrita "Grazie per la bella serata, teniamoci
in contatto".
Ma
se Alba era single non era certo colpa dei gusti di Arianna in fatto
di uomini, gli ultimi anni infatti erano stati caratterizzati da una
serie di storie più o meno brevi e insoddisfacenti.
Le
sembravano così lontani i tempi dell'unica relazione veramente
profonda che avesse mai avuto.
Che
poi a pensarci bene, era abbastanza deprimente che la sua unica
relazione di spessore fosse stata quella con Marc, il compagno di
scuola francese con cui erano stati fidanzati ai tempi del ginnasio.
Marc
era un ragazzino allegro e rilassato con gli occhi neri e i capelli
ricci, anch’essi neri.
Aveva
dei bellissimi ricordi di quel fidanzamento adolescenziale interrotto
bruscamente l'estate della quinta ginnasio quando il padre di Marc,
ingegnere navale, aveva dovuto trasferire tutta la famiglia per
motivi di lavoro.
Erano
finiti ad Hong Kong, non proprio dietro l'angolo.
Si
vergognava ad ammetterlo, ma ogni volta che sentiva Laura Pausini
cantare Marco
se n'è andato e non ritorna più1,
si commuoveva pensando a
Marc.
Ricordava
ancora il dolore straziante provato nel salutare il suo fidanzatino
all'aeroporto e le parole di sua madre che cercava di consolarla
mentre tornavano a casa “Alba (Dio, come odiava quel nome da
vecchia che sua madre era riuscita a imporle) lo so, ora ti sembra
impossibile, ma vedrai che presto incontrerai un altro ragazzo, sarai
più grande e sarà ancora più bello!”.
Francamente
sua madre non si era mai sbagliata così tanto.
A
trentadue anni compiuti Alba era fermamente convinta che quella con
Marc fosse stata la sola e unica storia d'amore della sua vita e non
era sicuramente un caso che le fosse rimasto un debole per gli uomini
dai capelli ricci e neri.
“EUR
FERMI, STAZIONE EUR FERMI”.
La
voce impersonale dell'altoparlante la riportò alla realtà.
Scese dal treno, e con passo veloce si diresse verso l'uscita della
metropolitana.
In
pochi minuti arrivò in ufficio, si tolse sciarpa e cappotto e
trafficò un po' per far partire il computer.
Mentre
il portatile si avviava con l'usuale lentezza, ebbe la sensazione che
qualcuno la stesse osservando. Si guardò intorno, ma l'unica
persona presente era l’occhialuto collega nell'ufficio di
fronte impegnato in una accesa conversazione telefonica.
Guardò
fuori dalla finestra, ma vide solo gli operai al lavoro sul tetto del
palazzo di fronte.
“Alla
faccia della sicurezza sul lavoro” pensò osservando gli
operai lavorare sotto la pioggia battente senza alcuna protezione.
Poi
si immerse nella lettura delle e-mail.
La
giornata lavorativa, tanto per cambiare, era cominciata con le solite
magagne da risolvere.
#
Il
giovane dallo sguardo azzurro e solare camminava con passo leggero e
veloce sulle tegole dei tetti di Roma bagnati dalla pioggia
scrosciante. Ad ogni passo la treccia in cui erano raccolti i suoi
bei capelli biondi rimbalzava allegramente da una spalla all'altra.
L'impermeabile
bianco che lo riparava dalla pioggia non sarebbe stato molto intonato
alla maglietta estiva di Emergency e ai jeans azzurri scoloriti, ma
il giovane lo indossava con una tale nonchalance che l'insieme
risultava addirittura elegante. Probabilmente su qualsiasi altra
persona l'effetto sarebbe stato del tutto opposto.
Le
scarpe All Stars di colore blu e dalla suola liscia non erano certo
adatte ad una passeggiata sulle tegole bagnate e scivolose, eppure né
l'altezza, né il fatto che molte di quelle tegole fossero
sconnesse sembravano creargli alcuna preoccupazione o difficoltà.
Un
bambino di circa 5 anni cominciò ad arrampicarsi sulla
ringhiera di un balcone per osservare meglio la strada, il giovane
alzò il sopracciglio destro con aria severa e sussurrò
quasi a se stesso “Attenta Chantal...”.
“Mirkooooo,
ma cosa fai!” urlò quasi nello stesso istante una
giovanissima baby sitter prendendo il bambino fra le braccia con aria
terrorizzata, il bambino si voltò e sorrise al ragazzo biondo
che gli regalò una strizzatina d’occhio e continuò
la sua passeggiata sul tetto.
Saltando
da un tetto all'altro il giovane arrivò di fronte ad un
capannone in ristrutturazione, si fermò ad osservare gli
operai al lavoro sul tetto fino a che ne individuò' uno in
particolare.
“Eccolo
là” pensò “Milo, albanese, anni 28,
laureato in ingegneria. Manovale assunto in nero presso
l'EdilTurdozzi, fidanzato con Ada Giannini, 24 anni, laurenda in
lettere alla Sapienza di Roma...”.
“Ehilà
Michele, anche tu qui?” una voce allegra alle sue spalle
interruppe i suoi pensieri.
Michele
si voltò e il suo sguardo si rabbuiò alla vista di un
giovane sulla trentina dagli occhi scuri, i capelli nerissimi e ricci
e una corta barba nera che gli ricopriva le guance. L'uomo indossava
un giaccone nero, un berretto da marinaio, un maglione antracite a
coste, jeans neri e un paio di Nike Air Jordan bianche e nere.
Poggiato
con una spalla contro un camino, fissava Michele sotto la pioggia
battente, le mani affondate dentro le ampie tasche del giaccone e un
allegro sorriso di benvenuto stampato in faccia.
“Che
diavolo ci fai qui, Azaele?” rispose brusco il giovane biondo
“lo sai benissimo che il ragazzo è sotto la mia tutela”.
“Alla
faccia dell'educazione” commentò offeso il giovane bruno
“Almeno un ciao, potevi concedermelo visto che non ci vediamo
da mesi, o sei ancora arrabbiato per la storia di Lampedusa?”.
“Primo,
non hai risposto alla mia domanda, secondo... si, sono ancora
arrabbiato per la storia di Lampedusa. Sono stato per l’ennesima
volta riconfermato ai servizi di recupero e tu non ti sei neanche
degnato di cercarmi per chiedermi scusa. Se l'avessi fatto magari non
sarebbero passati mesi
prima di rivederci”
“Ok,
ok, hai ragione ti chiedo scusa anzi ti chiedo perdono. Però
cerca di capire, non ho potuto cercarti, ti lascio immaginare a cosa
posso essere stato assegnato io fino ad oggi, lo sai che laggiù...”.
“Aza,
non mi interessa” tagliò corto Michele “qualunque
punizione ti sia capitata te la sei meritata visto il casino che hai
combinato e che mi hai fatto combinare... comunque non hai ancora
risposto alla mia domanda: che cosa ci fai qui?”.
“Eeeh,
ma come siamo sospettosi, stai tranquillo, non ho nessun secondo
fine, sono qui per il vecchio” rispose Azaele indicando un uomo
sulla sessantina che dal basso urlava agli operai di darsi una mossa.
“Sei
più tranquillo ora?”
Michele
si rilassò “Ok, così va bene” si avvicinò
all'amico e lo abbracciò “E comunque anche se sei un
grandissimo idiota sono contento di vedere che stai bene”
Azaele
restituì l'abbraccio e poi chiese con aria contrita “Allora
mi hai perdonato?”.
“Ma
si, ma si, tanto lo sai che alla fine ti perdono tutte le fesserie
che fai".
Michele
gli batté affettuosamente una mano sulla spalla, poi sfilando
uno smartphone dalla tasca dell'impermeabile commentò “Beh,
visto che sapevo che ci sarebbe stato da aspettare mi sono
attrezzato”.
Collegò
le cuffie al cellulare e ne porse una ad Azaele che domandò
“Che ascolti?”
“Paranoid
dei Black Sabbath” rispose Michele.
“Non dovresti ascoltare certe cose!" sorrise Azaele infilandosi la cuffia, Michele ridacchiò.
I
due rimasero per un po' seduti uno di fianco all'altro ascoltando in
silenzio la musica, ognuno con la sua cuffia. Poi Michele notò
che lo sguardo dell'amico era rivolto verso alcune finestre dello
stabilimento di fronte al capannone in ristrutturazione.
Si
tolse la cuffia e domandò “Che hai da fissare così
intensamente quelle finestre?”
Azaele
si voltò e rispose visibilmente imbarazzato “Quali
finestre?”.
“E
dai Aza, non sono idiota, quelle dello stabilimento lì
all'angolo”.
Si
alzò e si avvicinò al bordo del tetto sporgendosi per
vedere meglio.
Azaele
cercò di impedirglielo tirandolo per un braccio, ma Michele si
sciolse dalla stretta e aguzzando la vista vide una donna che
lavorava al computer, la osservò per qualche istante pensando
che doveva essere impegnata in qualcosa di difficile visto che non
muoveva neanche un muscolo.
Osservandole
bene il viso si rese conto che aveva qualcosa di molto familiare, di
estremamente familiare!
Si
voltò verso Azaele con aria sorpresa “Le somiglia
parecchio!” esclamò.
“Si”
rispose Azaele malinconicamente “Ma non sono sicuro... non sono
riuscito ad avvicinarmi perché non posso perdere di vista il
vecchio, sai com'è non voglio combinare altri casini”
“Perché
non dici che non ti sei avvicinato di più perché hai
paura di rimanere nuovamente deluso?” domandò Michele.
“Si,
hai ragione” ammise Azaele “la verità è che
ho paura che anche questa volta si tratti solo di una notevole
somiglianza, niente di più” fissò la donna con
uno sguardo triste e aggiunse “E poi se fosse lei... pensi
che... insomma dopo tanto tempo... pensi che si ricorderà
ancora?”.
“Fidati
Aza” rispose Michele sorridendo ironico “nessun essere
umano potrebbe dimenticarsi di aver incontrato uno della tua specie,
anche solo per un minuto!”.
“Spiritoso,
non mi sembra di essere quel genere di demone”.
“Sto
scherzando, non prendertela, lo so bene che non approvi lo stile
Zuul”.
“Quegli
stupidi demoni sumeri...!” ridacchiò Azaele “Ci
rovinano l'immagine!”.
Michele
sorrise anche lui, era contento di essere riuscito a far ridere
Azaele, gli dispiaceva vederlo così triste e poi conoscendo
l'amico temeva che l'umore tetro potesse spingerlo a combinare
l'ennesimo pasticcio.
#
Alba
sorseggiava il caffè della pausa di metà mattina
osservando gli operai ancora al lavoro sul tetto in costruzione, la
pioggia era finalmente cessata e un bel cielo azzurro cominciava a
farsi spazio tra le nuvole grigie.
Lo
sguardo di Alba, a tratti, non poteva evitare di spostarsi verso il
tetto del palazzo all'angolo, aveva la strana sensazione che da lassù
qualcuno la stesse osservando, eppure non riusciva a scorgere
nessuno, strano!
Una
collega dell'amministrazione entrò improvvisamente nel suo
ufficio e con uno sguardo terrorizzato le domandò senza
neanche salutarla “Ma, tu che ne pensi del discorso di Molinesi
alla Prima Riunione Generale?”
“Boh,
ha fatto il suo show, no? E’ pagato per questo”
“Si
ma è evidente che è qui per tagliare teste anche se
ufficialmente è stato chiamato per fare formazione e
migliorare la collaborazione tra uffici. Il tuo colloquio individuale
com'è andato? Io ho paura di aver detto troppo!”
Alba
travolta dall’ansia della collega ebbe l’impressione che
una mano sconosciuta le fosse entrata dentro il petto e avesse
cominciato a stingerle il cuore.
Cercando
di mantenere la calma rispose “Ma, no, stai tranquilla! Siamo
sempre tragici qui dentro, se è venuto per fare della
formazione sarà così, sono anni ormai che qua dentro
non si fa nessun tipo di formazione” ma neppure lei credeva a
quello che stava dicendo e la faccia pallida e tesa della collega non
era d'aiuto.
Mentre
parlavano un giovane operaio biondo perse improvvisamente
l'equilibrio e rotolò lungo il tetto del capannone in
ristrutturazione, la collega di Alba lanciò un urlo di
terrore.
Alba
si voltò e vide con sollievo che l'operaio era riuscito ad
aggrapparsi ad una trave, un altro operaio era già li e stava
per afferrarlo.
Ma
la trave era ancora bagnata e scivolosa a causa della pioggia
recente, il ragazzo perse la presa e Alba lo vide precipitare sul
marciapiede.
Rimase
pietrificata, al contrario della collega dell'amministrazione che
iniziò strillare come una pazza insieme agli altri colleghi
che erano stati testimoni di quella terribile tragedia.
In
mezzo alla confusione di quelle grida distinse chiaramente una voce
urlare “Gesù lo sapevo che non dovevo prenderlo questo
albanese di merda, finisco in galera per colpa di ‘sto
imbranato del c... cuore... il cuo... il cuo...!”.
Il
proprietario dell'impresa edile, terrorizzato dalle conseguenze
legali ed economiche dell'accaduto colto da infarto si portò
una mano al cuore e stramazzò a terra senza finire la frase.
Alba
si sentì svenire, tutto intorno a lei cominciò a
diventare confuso e per un attimo le sembrò di vedere davanti
a se due ombre, due fantasmi alati, uno bianco e uno nero che sospesi
nel vuoto la fissavano da dietro i vetri del suo ufficio con gli
occhi spalancati.
“Sto
svenendo e ho le allucinazioni” pensò prima di perdere
completamente i sensi.
#
“É
lei Aza, è lei!” esclamò Michele.
“É
lei e ci ha anche visto Michele, ci ha visto! Ma come è
possibile?”.
Azaele
non riuscendo più a controllare la sua curiosità aveva
spalancato le sue nere ali da pipistrello ed aveva svolazzato fino
alle finestre dell'ufficio di Alba.
Michele
aveva deciso di seguirlo per poterlo riportare all'ordine in tempo
per evitare disastri.
“Ma
che dici Aza, non può averci visto!”.
“Ti
dico di si Miky”.
“E
io ti dico che non è possibile”.
Continuarono
a battibeccare per qualche minuto fino a che non sentirono
distintamente un urlo alzarsi dalla strada “Miracolo, miracolo,
sono vivi, sono risorti!”
Michele
e Azaele si fissarono interdetti, poi abbassarono lo sguardo verso la
strada e con orrore si resero conto che avevano perso troppo tempo
davanti alle finestre dell'ufficio di Alba, le due anime che
avrebbero dovuto “ritirare” erano rientrate nei
rispettivi corpi e il giovane albanese e l'anziano imprenditore si
erano risvegliati.
Una
piccola folla si era già raccolta intorno ai due e la notizia
del miracolo cominciava a passare di bocca in bocca.
“Ops!”
esclamò Azaele “Ho paura che ci siamo cascati un'altra
volta”.
“Questa
volta è quella di troppo Aza” commentò buio
Michele osservando la scena sotto di sé “questa volta
non basterà chiedere scusa”
Nota:
“La solitudine” - Laura Pausini (1993)