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Autore: Satellite_29    29/03/2020    0 recensioni
In un futuro prossimo la Guerra dei Keyblade è terminata, gli eroi che conosciamo hanno finito la loro guardia e i mondi sono nuovamente in pace. Ma dove sono? Perchè si sa così poco sulla Guerra? Cosa è successo in realtà?
Una nuova oscurità avanza inesorabilmente, inghiottendo i mondi nell'abisso.
Tre nuovi eroi iniziano la loro avventura, tra amicizie, liti e amori. Riusciranno a scoprire chi sono davvero e a riportare l'equilibrio tra Luce e Oscurità?
"Ricorda: più ti avvicini alla luce, più la tua ombra crescerà."
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nessun gioco
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May your Heart be your guiding key: a Kingdom Hearts Story

Chapter One

The Darkside


- Sei bellissima, Akane. Sai che non potresti farmi più felice.
Mi guardai allo specchio mentre mia madre e mia zia mi sistemavano l’abito per l’ultima prova. Ero davvero bella in quell’abito dorato. Avrei preferito di gran lunga un abito bianco, ma a Cardis è usanza sposarsi con quei colori. Mia madre mi guardava nello specchio, con gli occhi pieni di lacrime di gioia pronte a scenderle sul viso. Avrei voluto imitarla, piangere di felicità con lei. In realtà, non potevo essere più triste. A  soltanto diciassette anni, avevo finito a stento la scuola, e già avrei dovuto prendere marito. Non mi era mai piaciuto legarmi alle persone, figuriamoci sposarmi! Ma i miei genitori avevano insistito così tanto che mi sono vista costretta a rinunciare alla mia libertà. In fondo, lo facevano per me, per darmi un futuro migliore: erano riusciti a combinare un matrimonio con uno dei principi di Cardis. Non sarebbe stato il futuro re, ma mi avrebbe comunque dato una vita più agiata. Lui si chiamava Damian, e io non avevo la più pallida idea di chi fosse. Oltre al suo nome, non conoscevo nulla, neanche il suo viso. Mia zia e mia madre mi guardavano con occhi quasi adoranti, commosse per il grande passo che avrei fatto il giorno seguente. Volevo morire. I miei capelli erano stati rasati da un lato, come ce li aveva anche mia madre quando si era sposata, mentre dall’altra parte i capelli erano stati lasciati morbidi. Gli occhi verde smeraldo cercavano di non mostrare la sensazione di vuoto che provavo dentro.
- Ah, mi sono scordata di darti una cosa! – esclamò mia madre, sparendo in pochi attimi dalla mia visuale. Ritornò con una scatolina rossa in mano e me la consegnò.
- Questo è il mio regalo di nozze per te.
Aprii la scatola e vi trovai una pietra rosso-arancio che splendeva come il sole. Era legata a mo di pendaglio ad un filo d’oro sottilissimo.
- Vorrei che lo indossassi domani. Mi è stato regalato da una persona molto cara tanto tempo fa, dicendomi che aveva il potere di proteggere chi lo indossava. Forse sarà una sciocchezza, ma mi sentirei più tranquilla se lo tenessi con te.
E a quel punto non potei più trattenere le lacrime. Strinsi il corpo esile di mia madre, più piccola di statura rispetto a me, che la superavo di quindici centimetri. Cercai di far scivolare via la paura, il dolore, l’angoscia insieme alle lacrime. Mia madre dovette capirlo, visto che mi strinse più forte di prima. Invece quella testa vuota di mia zia doveva aver pensato che si trattasse di felicità, e esclamò contenta.
- Smettetela di fare così o mi commuovo anche io! E poi adesso devi riposarti, o domani arriverai all’altare con le occhiaie.
Mi staccai dall’abbraccio con mia madre in modo che le due donne potessero svestirmi. Quando ebbi soltanto l’intimo addosso, mia zia ripose l’abito sopra lo specchio ed uscì. Mia madre fece per seguirla, ma si fermò poco prima della porta.
- Akane, ricordati che io e tuo padre vogliamo il tuo bene. Ma ricorda ancor di più che vogliamo che tu sia felice. – disse, e poi uscì, lasciando tanti sottintesi quante domande e dubbi.

Erano le dieci di sera passate, non avevo mangiato niente ma non avevo fame. Osservai la mia stanza, o meglio, la stanza degli ospiti in cui avevo vissuto per tutta la durata del fidanzamento con Damian. A Cardis è tradizione che i due promessi sposi non si vedano durante i preparativi del matrimonio, e se non si rispetta questa tradizione, i più superstiziosi potrebbero anche far saltare il matrimonio. Ma un conto è non vedere per quattro mesi il ragazzo che ami, di cui conosci tutti i lineamenti a memoria, e un altro è attendere di vedere un uomo che non hai mai visto. I principi non escono spesso da palazzo, perciò non avevo la più pallida idea di quale volto avrei incontrato, quale sarebbe stato il viso che avrei visto ogni notte prima di andare a dormire e ogni mattina al mio risveglio. Per fortuna, o sfortuna, non saprei dirlo, era più grande di me solo di due anni. Mi avvicinai al balcone della stanza, dal quale si vedeva tutta Cardis. Le case più vicine al palazzo reale erano eleganti, piene di giardini pensili. Man mano che ci si allontanava dal centro, le strade iniziavano a degradarsi e le case a farsi più piccole e modeste. Io abitavo esattamente lì, nella zona in cui non si vive né nel lusso né nella povertà. La via di mezzo, insomma. La luna era ancora giallognola, segno che era nata da poco tempo. Si specchiava sulle acque del lago Hara, che era poco lontano dalla periferia della città. Mi allontanai dal balcone e mi accorsi che mia madre mi aveva lasciato la collana sul letto a baldacchino. La presi tra le mani e me la poggiai sul collo. Non dava la sensazione di essere adatta per una collana, era stranamente grande. Il colore era singolare: non era quel rosso scuro tipico dei rubini, nemmeno quello aranciato del corallo. Era più un rosso fuoco. Come il mio nome, che significa “rosso brillante”. Me la legai al collo e mi sdraiai sopra le coperte del letto. Mi avevano offerto l’occasione di vivere a palazzo reale, con tutte le comodità e gli agi esistenti al mondo. Ero stata fortunata, mi avevano detto: era stato il principe Damian in persona a scegliermi come sua futura sposa. Avrebbe potuto accontentarsi di una qualsiasi ragazza, molte sognavano anche solo di ricevere un saluto da lui, eppure voleva proprio me. Ero un’ingrata. Ma il mio cuore non ne voleva sapere di accettare l’idea di sposarlo. Avrei potuto fingere di amarlo, ma non sono mai stata il tipo di persona capace di vivere nella menzogna.
Con questo turbine di pensieri, mi addormentai, sognando ciò che avrebbe cambiato il mio destino.
 
Nero. Buio. Oscurità profonda.
Non era la stessa sensazione che si prova quando non ci si ricorda di un sogno, quando si dice erroneamente “non ho sognato nulla”. Era un sogno vero e proprio, e iniziava col nero.
Una luce apparve fievolmente davanti ai miei occhi. Provai ad avvicinarmi ma quella sembrava sfuggirmi. Un bagliore emerse dal suolo. Era come se, dal suolo che avevo appena calpestato, stesse nascendo un’immagine. Una piattaforma forse, visto che la sentivo solida sotto i piedi.
Apparve un disegno. Ero io, ma non ero io.
Indossavo degli abiti mai visti prima: una specie di armatura rossa e arancione dai bordi neri. Sembravo addormentata, e al mio fianco vi era una spada. O meglio, una chiave lunga quanto una spada.
- Sei destinata a grandi cose, anche se ancora non lo sai. Ma ricorda: più ti avvicini alla luce, più la tua ombra crescerà.
- Chi sei? – urlai, ma nessuno rispose. Di scatto, mi voltai all’indietro e guardai con orrore emergere un mostro dalla mia ombra. Un Heartless, ricordai a me stessa. Non ne avevo mai visto uno. Con la Seconda Guerra dei Keyblade, sembrava che la loro minaccia fosse stata debellata.
- Combatti, usa la luce che c’è in te. – ripeté la voce sconosciuta.
La creatura continuava a crescere a dismisura, i miei occhi non volevano crederci. Sentii qualcosa scuotermi il petto. Era la collana che mi aveva regalato mia madre a tremare. Improvvisamente ne uscì una luce gialla, che mi entrò nel petto. L’Heartless si avvicinava pericolosamente verso di me, quando dal nulla apparve una chiave. Era la stessa che era rappresentata sul pavimento. La afferrai, e lei cercò di trascinarmi contro il mostro. Non avevo nessuna possibilità. Io, minuscola davanti a quell’essere, non sarei mai riuscita a distruggerlo. Eppure qualcosa mi diceva che dovevo farlo, o non sarei uscita viva da li.
Impugnai il Keyblade con entrambe le mani e corsi all’attacco.
L’Heartless iniziò a lanciarmi delle sfere oscure contro. Ne vidi una passarmi davanti agli occhi e poi dissolversi magicamente senza avermi sfiorato, come se avesse incontrato una barriera invisibile. Pensando di essere invulnerabile a quei colpi, iniziai a colpirgli le gambe ma lui alzò il piede e colpendo il suolo scatenò un terremoto che mi fece cadere a terra. Rialzò il piede per schiacciarmi definitivamente, io istintivamente alzai il Keyblade per difendermi.
“È finita. Mi ucciderà.” pensai, ma il Keyblade iniziò a brillare e a riscaldarsi. Divenne quasi incandescente nella mia mano e bruciò letteralmente il piede dell’Heartless, che si accasciò in ginocchio. Avevo ancora una speranza di uscire viva da quell’incubo. Intravidi sul suo dorso un simbolo a forma di cuore. “Se non funziona questo, non so più cosa fare.” Mi alzai di scatto, saltai letteralmente sulla sua schiena e conficcai la lama del Keyblade ancora incandescente al centro del cuore. L’Heartless emise un orribile grugnito di dolore e iniziò a bruciare dall’interno. Tornai immediatamente a terra, e osservai l’orrendo spettacolo che si stagliava davanti ai miei occhi: una specie di buco nero stava risucchiando l’Heartless che bruciava lentamente e soltanto quando fu ridotto in cenere il vortice si chiuse. Del combattimento avvenuto pochi attimi prima non c’era più traccia.
- Complimenti Akane, hai battuto l’Oscurità che c’era in te. Ora il tuo cure è puro. – disse una voce.
- Come fai a sapere come mi chiamo? - chiesi. In realtà non mi aspettavo una risposta: semplicemente, chiederlo mi era parsa la cosa più naturale da fare. Si aprì un varco oscuro, simile a quello che aveva risucchiato le ceneri dell’Heartless. Con la differenza che quel vortice non spingeva le cose dentro di sé, ma era fatto per farle uscire fuori. Una figura incappucciata emerse dal nero. Era molto alta, ma era evidente che era molto esile, nonostante il cappotto nero.
- Niente di più semplice. Ti ho vista nascere. – rispose, come se stesse conversando con un amico che non rivedeva da tanto tempo. Io sgranai gli occhi.
- Tu cosa? – urlai, esterrefatta – Non è possibile!
- E perché no? – chiese sogghignando.
- Mia madre mi ha partorito in casa sua, con il solo aiuto di un’ostetrica. Non era presente nemmeno mio padre in quel momento, è impossibile che sia stato presente uno sconosciuto!
Ero furente. Quella cosa, perché in effetti non sapevo chi si stesse nascondendo sotto quel cappuccio, si stava prendendo gioco di me. Il Keyblade, che si era raffreddato da quando l’Heartless era scomparso, iniziò quasi a pulsare. E mi venne un’idea.
- Se vuoi che ti creda, fatti vedere in faccia. O giuro che ti ucciderò così come ho fatto con quel mostro. – esclamai, puntandogli la chiave contro la gola. La figura indietreggiò leggermente, sorpresa. Pensai di averla in pugno, ma iniziò a ridacchiare, prima a bassa voce e poi sempre più forte. Continuai a tenergli la lama puntata alla gola ma l’uomo, infischiandosene del fatto che avrei potuto benissimo ferirlo, la spostò con un dito. Ero troppo confusa per reagire, e l’uomo ne approfittò per avvicinarsi a me. Si abbassò il cappuccio e finalmente riuscii a vedere il suo volto.
Era pallido, spigoloso. Gli occhi verdi risaltavano per la loro brillantezza,erano quasi innaturali. Quasi come i miei, avrei osato dire. I capelli rossi erano pettinati verso l’alto e all’indietro ed erano di un rosso acceso. Si abbassò per avvicinarsi ancora di più al mio viso.
- Hai proprio la stessa faccia tosta dei tuoi genitori. Soprattutto di tua madre. – sussurrò, con un ghigno divertito stampato in faccia. Io trasalii. Sentirgli nominare la parola “genitori” mi faceva arrabbiare sempre di più: come faceva a conoscerli?
- Ma toglimi una curiosità: tra le due donne nella stanza, sei proprio sicura che la donna che ti ha partorito è la stessa che ti ha cresciuta in tutti questi anni? Credo che tu debba sapere chi siano i tuoi genitori, prima di sposarti. – disse, diventando stranamente serio. Sobbalzai. Volevo urlare, piangere, graffiargli la faccia a suon di colpi di Keyblade. Ma non ebbi la forza di fare nulla di queste cose.
- La vedi quella collana? – disse, indicando il ciondolo che portavo al collo.
- Quello è uno dei legami che hai con tua madre. La tua vera madre. Scopri chi sei, e perché hai il Keyblade. Se poi vorrai ancora sposarti, sarò felice di essere presente al tuo matrimonio. – terminò, sorridendo. Alzò il braccio e con la mano evocò un varco oscuro.
- Ci si rivedere, piccolina. – sussurrò, e si incamminò verso il varco.
- Aspetta! – urlai. Cercai di acchiapparlo, ma sembrava lontano anni luce da me. Era come se la distanza tra me e quell’uomo fosse infinita, come se fossi destinata a non raggiungerlo mai, nonostante poco prima era a un soffio da me. L’oscurità che fino a quel momento aveva fatto da sfondo al mio sogno iniziò a rompersi e sfaldarsi. Crepe di luce crebbero fino a diventare immense. L’Oscurità si ruppe definitivamente, così come l’immagine che avevo sotto i miei piedi, e caddi nella luce.
  
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