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Autore: Louve Vanessa Wolfe    07/08/2009    1 recensioni
Cosa accadrebbe se nel triangolo amoroso Jake-Bella-Edward si intromettesse un'altra ragazza? Cosa accadrebbe se l'imprinting non esistesse? Cosa accadrebbe se Emmett Cullen non avesse mai incontrato Rosalie Hale? Cosa accadrebbe se Alice Cullen prendesse a vivere con se sua nipote?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Emmett Cullen, Jacob Black, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pioveva. Piangeva anche il cielo. Almeno non ero l'unica, pensai. La bara di mia madre veniva calata lentamente nella terra umida. Attorno molte figure indistinte, di gente vestita di nero, sembravano partecipare ad una triste scena da telefilm. Chi piangeva sul serio, chi faceva finta, chi nemmeno ci provava. Mia madre, l'unica persona che aveva contato davvero nella mia vita, era morta. Come si faceva a continuare a vivere se, a soli 17 anni, veniva a mancare il sostegno di una figura materna? Il sacerdote, con un cenno, mi chiese se volessi fare un breve discorso in onore della donna che aveva riempito la mia vita. Feci cenno di no con la testa ed abbassai lo sguardo. Parole. Sarebbero state solo parole buttate al vento, che sarebbero scivolate sulla pelle di quella gente come la pioggia. Notai una ragazza, bassina, i capelli erano corti. Un caschetto sbarazzino. Aveva una bellezza estasiante anche se un po' troppo perfetta per sembrare vera. Accanto a lei un giovane uomo, di 20 anni o forse meno, capelli biondi. Si assomigliavano per pochi elementi: il pallore della loro carnagione, delle evidenti occhiaie violacee e la bellezza. Distolsi lo sguardo. Sentivo una strana tranquillità mescolarsi al dolore. La breve cerimonia terminò. Dopo aver salutato i presenti, con dei brevi cenni e dei 'grazie' sussurrati mi incamminai verso l'Audi. "Elisabeth" mi sentì chiamare. "Sì?" chiese tentando di non mostrare il mio fastidio. Volevo rimanere da sola, era troppo chiedere di vivere il mio dolore in completa solitudine? "Piacere, sono Alice Marie Brandon Cullen Hale". La ragazza sulla quale prima si erano fermate le mie riflessioni mi porse educatamente la mano. E chi sei la regina d'Inghiletrra?, pensai. Risposi solamente: "Elisabeth Brandon, piacere di conoscerla" e le afferrai leggermente la mano. Era ghiacciata, sembrava pietra. Staccai immediatamente la mia. Lei se ne accorse ma non ne fece parola. "Jasper Hale" disse il ragazzo, ma non mi porse la mano. Aveva un'aria allarmata, come se tentasse di non pensare a qualcosa. "Vorrei parlarti" esordì la ragazza. "Può farlo anche qui" disse mantenendo le distanze. "Preferirei in un luogo asciutto" disse. "Ti faremo strada con la nostra macchina, pernottiamo in un hotel a pochi kilometri da qui" disse lui in tono cortese. "Esattamente di cosa dovremmo parlare?" chiesi. Non volevo di certo spettegolare davanti a thè e pasticcini, non ero in vena. "Del tuo futuro piccola" disse lei. Piccola? Piccola? Ma se lei poteva avere la mia età. Scossi la testa. "Non ce ne andremo finchè non riusciremo a spiegarti la situazione" disse lei, come intuendo i miei pensieri. "Perfetto" dissi in tono sarcastico "vi seguo" e salì sull'auto non degnandoli di uno sguardo. Li seguì per la strada. La pioggia mi permetteva poco di vedere, mentre la ragazzina ed il suo compagno guidavano senza problemi. Perchè avevo deciso di seguirli? Insomma cosa ne sapevano loro del mio futuro? In quel momento sarei dovuta essere a casa mia, a piangere e a cercare di rimettere in piedi la mia vita. Invece, sempre vittima della mia maledetta curiosità avevo deciso di seguirli. L'auto si bloccò dinanzi ad un hotel bellissimo. Un edificio in stile vittoriano, era gigantesco. Si avventurarono verso il parcheggio ed io li imitai, tentando nel frattempo di ricacciare le grosse lacrime che mi rigavano il volto. Parcheggia senza difficoltà ed uscì. Mi resi conto solo allora di non avere l'ombrello, sicuramente era a casa vicino all'entrata. Jasper mi fece cenno di utilizzare il suo. Accettai solo per non risultare sgarbata. Entrammo e quando fummo dentro, all'asciutto, Alice mi precedette dirigendosi verso una sala da thè molto graziosa. L'aria era riempita dalle note di un paio di violini, l'arredamento era nei toni del panna e su ogni tavolo un mazzo di rose rosse nella sua semplice eleganza faceva da centro tavola. "Prendi qualcosa?" mi chiese lei quando ci fummo seduti. "No, grazie" risposi. "Bene, come ti ho detto vorrei parlare del tuo futuro" iniziò. Il ragazzo mi fissava come se cercasse di leggere le mie emozioni. Mi sentìi leggermente infastidita, ma mi rimproverai di essere sempre così sospettosa. "Sì" fu l'unica risposta sensata che riuscì a dare. "Devi sapere che io sono una tua lontana zia". "Cosa? Davvero? Non ti ho mai vista" dissi io rimanendo leggermente scioccata dalla recente notizia. Mia zia? Era sicuramente una mia coetanea, feci velocemente una rivisitazione mentale del mio albero genealogico a partire da mia nonna. "Sì, non sono mai stata in questa zona" disse lei frugando in una borsa. Mi porse dei documenti. "Questi qui dovrebbero parlare chiaramente". Lessi la prova inconfutabile della nostra parentela. "E con questo?" chiesi restituendole i documenti. "Con questo siccome sei ancora minorenne, ed essendo la tua unica parente in vita, sono io a dovermi occupare di te" spiegò lei guardandomi soddisfatta. "Aspetta, mia madre non aveva fratelli, tanto meno sorelle" "Infatti sono una tua lontana parente" disse lei spazientita. "Perfetto, ma credo di riuscire a cavarmela da sola" dissi tentando di alzarmi. Il ragazzo mi pose delicatamente una mano sul braccio, io lo alzai, impaurita da quel contatto freddo che era riuscito a penetrare nonostante il cappotto. "Ascolta, per favore" mi disse in tono calmo. Mi risedetti guardandoli impaurita. Cosa volevano? Erano piombati da un momento all'altro nella mia vita, non sembravano per niente umani e per di più volevano impormi la loro presenza. "E' la legge che me lo impone Elisabeth, e dobbiamo ubbidire" Iniziava a starmi seriamente antipatica. "Spiegate, per favore" dissi pizzicandomi con l'indice ed il pollice il ponte del naso. Ero esausta, non chiudevo occhio da due giorni. Da quando mia madre era rimasta vittima di quell'incidente che le era costato la vita. "Verrai a vivere con noi, abitiamo a Forks, nello stato di Washington. Assieme a noi ci sono altri componenti: Carlisle ed Esme -i nostri genitori- ed i miei due fratelli Edward ed Emmett" spiegò con fare materno, doveva essersi accorta della mia stanchezza ed arrendevolezza. "Io... non so cosa dire" disse. Ed era vero, ogni ragionamento razionale sembrava esser scivolato via assieme alle lacrime. "Basta un semplice 'sì'" disse lei e mi porse un foglio. Non lessi nemmeno e firmai, per quel che mi interessava potevano spedirmi ovunque. Non avevo più una vita, il dolore l'aveva risucchiata. Dissi addio alla mia libertà. "Bene, ora se non ti dispiace dovremmo andare a casa tua. Domani partiamo" disse lei soddisfatta. "Ok" dissi e mi diressi fuori dalla sala. Mi dispiaceva, eccome.
  
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