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Autore: Watson_my_head    31/03/2020    1 recensioni
Settembre 2017. Sherlock e John sono tornati a vivere insieme e tutto sembra andare per il meglio ma un giorno, durante un caso, Sherlock sbatte la testa e perde conoscenza.
Quando finalmente riapre gli occhi è convinto di essere ancora nel 2009.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sherlock e John si incontrano il 29 gennaio del 2010.

Questa ff si colloca temporalmente all'inizio della quarta stagione, dopo the Six Thatcher e prima di The Lying detective, che qui non avviene.

 

 

Déjà vu

 

"E se non tornasse. Se non ricordassi mai più."

Seguì un breve silenzio.

"In quel caso, ricorderò io per entrambi."

 

 

***

 

 

Prologo


 

Mary è morta. Dopo la sua morte John scopre che il matrimonio non era valido e che la bambina non è sua. Il vero padre, che aveva una relazione con Mary da un po' di tempo, si presenta un giorno all'appartamento di John per raccontargli ogni cosa e per comunicare la sua intenzione di riconosce la bambina come propria e di occuparsene. John gli regala tutto ciò che lui e Mary avevano comprato per la figlia, dopo essersi assicurato che si tratti di un uomo normale e non dell'ennesimo folle che gira attorno alla sua vita. Saluta Rosie un pomeriggio di maggio. Sa che probabilmente non la rivedrà mai più e va bene cosi perché anche se l'aveva amata come fosse stata figlia sua, segretamente si sente sollevato. Non può che vergognarsi per questo pensiero, ma la verità è che non aveva mai creduto di poter essere un buon padre.

Dopo un iniziale periodo di smarrimento, John si convince che la cosa migliore è tornare a vivere al 221B di Baker Street, perché restare solo in quell'appartamento da coppia "felice" che in realtà non lo è mai stata, da padre che non è mai stato, sta solo rovinando ulteriormente la sua vita. Dopo il lavoro infatti, finisce quasi ogni sera per bere, affogando tutti quelli che ritiene i suoi fallimenti nei bicchieri di scotch: il fallimento del suo matrimonio, il fallimento del suo ruolo di padre, il fallimento della sua amicizia con Sherlock che ha allontanato malamente accusandolo di colpe che non gli appartengono. La sua vita sta andando velocemente a rotoli. Ma quando Sherlock si presenta per l'ennesima volta a casa sua con la scusa di un caso e lo prega di tornare, John cede, accoglie finalmente quella richiesta e fa le valigie. Il contratto d'affitto della casa nuova viene annullato e quel quartiere abbandonato per sempre. John si ripromette di non tornarci mai più.

La vita al 221B ricomincia lentamente a prendere la forma della vecchia confortante routine. Sono giorni lunghi e difficili ma John è contento di avere qualcuno da cui tornare dopo il lavoro e una casa accogliente che non nasconde angoli di infelicità e fantasmi. Sherlock è il solito e John non può che esserne grato. Col passare dei mesi tra i due le cose iniziano a prendere una strana piega: si avvicinano, si cercano, si sorridono, più spesso di quanto non sia mai accaduto. Non c'è ancora niente in realtà, ma è un niente a cui manca davvero poco per diventare qualcosa, basterebbe anche solo allungare una mano e John sente che forse per la prima volta nella sua vita rischia di essere felice. Anche se ha fottutamente paura.

Poi, in un giorno qualunque di questa nuova meravigliosa routine, durante un inseguimento Sherlock scivola in un vicolo e sbatte la testa in modo così violento da rimanere a terra incosciente.

Siamo a settembre del 2017.
 

***

 I 

 

Il giorno in cui Sherlock perse la memoria era un martedì di fine settembre, di quelli in cui a Londra sembra già pieno autunno più che fine estate. Accadde tutto in modo così veloce che a pensare alle conseguenze che portò, sembrava impossibile. Eppure.

L'inseguimento, il selciato bagnato, quello spigolo di muro comparso forse all'improvviso, il sangue. E poi l'incoscienza, la corsa all'ospedale, i giorni e le notti di angoscia. John credette di impazzire seduto su quella scomoda poltrona per un tempo che gli sembrò infinito, il conto delle ore tenuto solo dal bip meccanico del cuore di Sherlock e dalle lancette rumorose di un vecchio orologio a parete. Il trauma cranico era severo, ma fortunatamente non così tanto da mettere in pericolo la sua vita. Nonostante questo però, sembrava che non riuscisse a svegliarsi o forse era solo l'attesa a dilatare enormemente i tempi. L'attesta, l'angoscia.

Poi un giorno, il settimo, Sherlock apre gli occhi.

 

*

 

Non è uno shock.

E' abituato a svegliarsi all'ospedale. Riesce a capire dove si trova pochi secondi dopo aver riguadagnato coscienza, ne riconosce l'odore. Accade anche questa volta. Dapprima l'odore di pulito misto a disinfettante, di quello che un po' fa venire la nausea, come se ce ne fosse ulteriore bisogno e poi le luci fredde dei neon. Chiaro. Una deduzione elementare. Il secondo pensiero è per suo fratello che questa volta non gliela farà passare liscia. Non è trascorso molto tempo dall'ultima overdose, forse un paio di mesi, eppure, per quanto possa sforzarsi, Sherlock non riesce a ricordare cosa sia accaduto e come. Forse non è la droga, forse è successo qualcos'altro che non dipende dalla sua volontà, forse... Poi lo vede. Tre secondi dopo essersi svegliato e dopo aver dedotto il maggior numero di informazioni possibili sulla propria situazione, Sherlock vede un uomo dormire scomodamente seduto sulla poltrona accanto al suo letto. Lo osserva. Nonostante il mal di testa incessante e lo smarrimento dovuto al risveglio non può fare a meno di provare a dedurlo. E' un uomo sui quarantacinque, i cui capelli una volta biondi hanno lasciato spazio quasi del tutto ad un grigio elegante. A giudicare dai vestiti sgualciti e dalla barba non curata Sherlock capisce subito che deve essere rimasto nella sua stanza a lungo.

 

*

 

Pensa subito ad uno degli scagnozzi di Mycroft, pagato per tenere sott'occhio il suo disgraziato fratello. Ma l'abbigliamento e quel modo di dormire quasi a proprio agio su una poltrona già solo all'apparenza scomodissima gli fa cambiare idea. Scarta anche l'ipotesi del poliziotto. Non è in divisa e anche se fosse in borghese non c'è motivo di tenere addosso gli stessi vestiti per giorni senza che nessuno si sia prodigato a dargli il cambio. Non è possibile. Un soldato probabilmente lo era stato, ma molto tempo addietro. Ne rimangono debolissimi indizi che forse solo lui e suo fratello sono in grado di cogliere in tutto il mondo. C'è anche qualcos'altro. Le mani, una sotto la testa e l'altra adagiata su una gamba sono piccole ma forti e ben curate. Tutta la sua figura, seppur al momento trascurata, trasmette un senso di familiarità e sicurezza. Niente fede, ma deve averne indossata una per un po', divorziato quindi. Niente figli di cui occuparsi, nè animali domestici, altrimenti non avrebbe avuto modo di restare per tutto il tempo che i suoi vestiti mostrano così chiaramente. Chi è quell'uomo? Ogni cosa sembra dimostrare che sia lì perché conosce Sherlock personalmente. Ma Sherlock, dal canto suo, non l'ha mai visto prima.

Lo coglie un senso di malessere.

 

*

 

Quando anche John si sveglia, tutto sembra rimanere immobile per istanti che si dilatano lunghissimi, lunghi come i giorni già trascorsi. Si guardano. Il sollievo sul viso di quello sconosciuto si irradia come alba al mattino. Ha gli occhi blu, pensa Sherlock, prima ancora di registrare che quell'uomo si sta avvicinando con un'evidente gioia dipinta sul volto. Sherlock arretra, seppur di qualche centimetro, per quello che può. Un riflesso che compie il suo spirito di sopravvivenza, più che la sua volontà.

"Sherlock..."

L'uomo gli sfiora una mano. Sherlock sente il panico montargli dentro.

"Chi sei." - la voce resa rauca dal lungo silenzio.

John lo guarda, sembra ponderare alcune ipotesi, poi dice sconfitto:

"Non è divertente, Sherlock"

"Mi dispiace. Non so chi lei sia."

 

*

 

Passano alcuni istanti di sgomento e silenzio da entrambe le parti, per ragioni diverse.

"Sono io, John." - dice, come se questo bastasse a rimettere tutto a posto. E forse ci spera, quell'uomo.

Sherlock lo guarda, assente, come si guarda un'equazione difficilissima perfino da leggere. Scuote la testa.

"Sherlock, giuro che se stai scherzando, questa volta..."

Sherlock coglie l'irritazione nel tono di voce di quell'uomo insistente insieme ad una crescente disperazione mal celata. Non capisce. E non ama non capire.

John sospira, si allontana, fa alcuni passi nella stanza, passa una mano tra i capelli.

"Come ti chiami?"

"Sherlock Holmes, che domanda stupida."

"Qual è l'ultima cosa che ricordi?"

Sherlock distoglie lo sguardo. Osserva la finestra. Piove.

"Ho sete."

John si prodiga immediatamente per riempire un bicchiere di acqua e porgerglielo, aiutandolo a bere. Sherlock non è molto collaborativo, non ama assolutamente farsi toccare dagli sconosciuti, ma la sete è impellente e quest'uomo sembra irradiare sicurezza come fosse calore. Beve.

"Dimmi, cosa ricordi?" - la voce ingentilita.

"Stavo facendo un esperimento. David aveva appena detto che di quel passo sarebbe esploso tutto. Non ricordo altro."

John lo osserva incredulo.

"David... Chi è David."

"Il mio coinquilino."- dice, tornando a guardare lo sconosciuto che al momento sembra sul punto di un collasso.

"Il tuo... ? Io sono il tuo coinquilino, Sherlock. Io. John Watson."

L'irritazione crescente nella sua voce sarebbe chiara anche ad un sordo. Sherlock rimane a fissarlo.

"Io non ti conosco."

John sospira di nuovo. Lotta con la sua stessa rabbia per ingoiare parole di cui si pentirebbe. Si tormenta la fronte con una mano.

"Potresti soffrire di un'amnesia momentanea dovuta al trauma cranico.." - parla a voce alta ma forse solo con se stesso.

Medico? Sherlock lo aveva pensato quasi da subito. E' grato di non aver perso le sue capacità deduttive a causa di questo presunto trauma.

"Ok"- lo sconosciuto si riavvicina – "In che anno siamo?"

"2009" - Sherlock risponde deciso.

L'uomo si siede. All'improvviso sembra invecchiato di vent'anni.

 

*

 

Di nuovo, silenzi. Sherlock osserva quell'uomo in evidente stato di shock, bianco come il lenzuolo che lo copre fino al petto. Non sa come nè perchè, ma capisce di essere lui la causa di quel malessere. Vorrebbe rimediare.

"Io.."

"Siamo nel 2017, Sherlock."- la voce arriva stanca, lontana.

Sherlock ammutolisce. Non comprende. Chi è quell'uomo che vuole fargli credere di essere otto anni nel futuro? Perché lo sta imbrogliando? Perché nessun altro entra in quella stanza? Forse non è nemmeno un ospedale. Forse è stato rapito da quei trafficanti di droga a cui ha pestato i piedi che ora lo tortureranno per estorcere informazioni. Ma quali informazioni? Forse vogliono arrivare a suo fratello? Al governo? Trafficanti di droga che vogliono arrivare al governo? Forse le sue capacità deduttive non sono del tutto a posto.

Il bip frenetico dell'elettrocardiogramma lo tira fuori dal groviglio scomposto di quei pensieri. John è di nuovo accanto a lui, gli sussurra parole di conforto.

"Sherlock, calmati. Va tutto bene." - gli prende una mano. Sherlock la ritrae subito.

"Per favore non toccarmi."- il panico nella voce.

"Va bene, ma adesso ascoltami. Devi stare tranquillo ok? Vedrai che sarà solo un trauma passeggero e a breve recupererai ogni ricordo. Ecco bravo, respira."

Sherlock non sa chi sia quell'uomo. Non l'ha mai visto, ne è sicuro al cento per cento. Perchè una voce come la sua la ricorderebbe. Perchè un blu così intenso lo ricorderebbe. Una mano così gentile non saprebbe dimenticarla. No, non l'ha mai visto, mai incontrato.

"Io non ti conosco, non ti conosco..."

Quando arriva l'incoscenza è come una liberazione.

John lo guarda addormentarsi. Piangere non è contemplato al momento. Piangere non è mai contemplato. Piangere è inutile. Starà bene e tutto tornerà come era prima, come l'avevamo lasciato, dove ci eravamo fermati... Interrompe i pensieri per evitare di abbandonarsi alla commiserazione e poi esce a cercare un medico. La schiena dritta, il passo di un soldato pronto a combattere.

 

*

 

Amensia retrograda.

La diagnosi arriva dopo una serie di test che confermano l'ipotesi di John. Tuttavia quello di Sherlock sembra essere un caso piuttosto raro, un'amnesia che coinvolge tutti i fatti accaduti negli otto anni precedenti al trauma cranico.

"Il paziente è praticamente fermo al 2009. Le capacità cognitive non sono state intaccate fortunatamente, nè la proprietà di linguaggio. Non si riscontrano problemi di altro genere. Il trauma cranico è in via di guarigione. Purtroppo a oggi non esiste un trattamento specifico per curare l'amnesia, ma nella maggior parte dei casi regredisce in maniera spontanea entro 24 ore. Lo terremo in osservazione fino a domani, poi con i dovuti accorgimenti, potrà tornare a casa."

Mycroft ascolta il dottore in silenzio. John annuisce, scambia qualche altra parola con il collega prima che questo si congedi.

Mycroft fa qualche passo nervoso nel corridoio, sembra voler trattenere una domanda che comunque deve essere fatta.

"Convieni con me, John, che sarebbe il caso di portare Sherlock a casa mia domani?"

John lo guarda. Incrocia le braccia al petto.

"Perchè? Ha una casa. E io posso occuparmi di lui. Se gli tornasse la memoria mentre è a casa tua, il trauma potrebbe fargliela perdere di nuovo."- aggiunge un sorriso sghembo per nascondere l'ansia.

"Pensi che sia disposto ad andarsene con uno sconosciuto? Non sa nemmeno come ti chiami al momento."

"Lo sa."

"John..."

Tacciono. Quando John sta per rispondere un'infermiera li raggiunge.

"Il paziente è sveglio. Ha chiesto di lei." - guarda Mycroft che annuisce e si avvia verso la stanza. John lo segue. Quando Sherlock tornerà in sè sarà felice di sapere che non l'ho abbandonato, pensa.

 

*

 

Sherlock è seduto, la schiena e la testa poggiate al cuscino contro la testata del letto, gli occhi chiusi. Quando sente la porta aprirsi, sorride appena.

"Fratello, posso riconoscere il tuo passo anche dopo una botta in testa. Non so se esserne contento."

Riapre gli occhi per constatare che insieme a Mycroft c'è anche quell'uomo, John Watson.

"Lieto di vederti in forma, fratello mio."

"Sincerità? Ah, perdi colpi Mycroft."- lo squadra. "Ti ricordavo più giovane e con qualche chilo in più. Quindi è proprio vero, siamo nel futuro. Non ti ha giovato vedo."

Mycroft sorride appena. John è in silenzio. Nessuno trova la cosa divertente, nemmeno Sherlock.

"Sono qui per questioni urgenti che ti riguardano fratello mio. Viste le tue prossime dimissioni, domani pomeriggio al più tardi, io e il dottor Watson stavamo amabilmente discutendo sul tuo ritorno a casa. Il tuo ritorno in quale casa, precisamente."

"Ho una casa mia?"

"Certo."

"Allora tornerò a casa mia."

"Casa vostra, intendi"

Sherlock lo guarda. Mycroft sorride appena.

"La tua stanza è sempre pronta, come lo era otto anni fa, Sherlock."

"Dovrei commuovermi?"

Il tono si fa serio.

"E' anche vero che frequentare i posti che gli sono più familiari potrebbe accelerare il processo di guarigione e il regredire dell'amnesia. E io sono il suo medico. Posso tenerlo sotto controllo e monitorare i suoi progressi."

La voce di John è ferma, quasi non lascia spazio per repliche. Le braccia incrociate al petto, le gambe appena divaricate. Sembra aver preso una posizione da cui sarà inamovibile.

Medico, medico militare, senza dubbio.

Sherlock è confuso. Non riesce a capire perché suo fratello e quest'uomo fino a poche ore prima sconosciuto, sembrino litigare per la sua attenzione. Per averlo a casa propria. Lui che non ha amici e non ne ha mai avuti. Anche Mycroft solitamente somiglia più ad un nemico che ad un fratello, un nemico mortale per essere precisi. Anche se in fin dei conti si è sempre preso cura di lui, ogni qual volta ne ha avuto bisogno e soprattutto anche quando non gliel'ha chiesto, il che equivale a tutte le volte. Osserva le proprie braccia. La pelle candida non è costellata dai segni che era solito vedere, che dovrebbero essere lì ma che sembrano svaniti come grazie a un sortilegio benefico. Niente più droga dunque. Sembra quasi impossibile.

"Quindi sei il mio coinquilino e anche il mio medico."

Mycroft e John interrompono la loro guerra di sguardi e sorrisi sarcastici per voltarsi verso l'oggetto del loro contendere.

"Sono molte cose, Sherlock."- il tono è quello autoritario di poco prima, come se non avesse avuto tempo per cambiare verso qualcosa di più rassicurante.

Scende un silenzio che pesa come una cappa. John vorrebbe ritrattare e allo stesso tempo aggiungere. Sceglie di non dire altro e lasciare le cose così come stanno, già fin troppo complicate. E' Mycroft a liberare tutti dall'impasse.

"Dunque, vi conoscete da un giorno e andate già a vivere insieme. Dovrei congratularmi? Che déjà vu."- sorride al fratello, con sincerità, di nuovo.

Sherlock lo guarda, non capisce.

"Nè il vecchio me, nè questo apparente nuovo me vorrebbero venire a vivere sotto il tuo stesso tetto, Mycroft, ne sono certo. Quindi tornerò a casa mia, ovunque essa sia."

John sorride, sente un peso scendergli giù dalle spalle e depositarsi a terra.

"...E' a Londra, vero?"
 

***

 

Nota dell'autrice:
Ciao a tutti, si sono viva. Torno con questa storia che nasce dall'esigenza di buttare giù qualcosa in questo periodo difficile per tutti. Premetto che non sarà una storia lunga nè complicata, e che sarà a lieto fine. E' in parte già quasi tutta scritta ma non avrò una scadenza fissa nella pubblicazione. Ormai chi sa più cosa è una settimana? Tutti i giorni sono uguali...Quindi niente, spero vi piaccia e vi faccia un po' compagnia.
A presto!

 

   
 
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