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Autore: fantaysytrash    04/04/2020    1 recensioni
[Steve/Bucky | Angst/Introspettivo/Fluff/Slice of Life | Canon Divergence | Post-Black Panther/Pre-Avengers: Infinity War] [Dedicata a Nexys]
Bucky non ha mai provato simpatia per il suo braccio di metallo ma, quando è costretto a stare senza, realizza essergli più vitale di quanto credeva. Fortunatamente non deve affrontare il disagio da solo.
Dal testo:
“Steve, come l’angelo che Bucky era convinto che fosse, gli preparò una colazione che non richiedeva l’utilizzo di posate, gli raccontò gli ultimi aneddoti del team e lo portò a fare un giro al laghetto non distante dalla sua capanna.
Ogni giorno aveva nuove avventure da raccontare e nuove attività per intrattenerlo, e Bucky avrebbe voluto inginocchiarsi al suo cospetto e chiedergli di sposarlo seduta stante.”
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Steve Rogers
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’Autrice

Esaurirò mai le forze per scrivere Stucky? Nope.

Dunque, questa storia è nata grazie a un’attività del gruppo Facebook “C’era una volta con un prompt...” e, in particolare, ringrazio infinitamente Nexys per il bellissimo prompt fornitomi; spero che la storia sia come l’avevi immaginata!

Nonostante la lunghezza della shot, l’ho scritta interamente oggi presa di colpo dall’ispirazione, quindi fatemi sapere se ne è uscito qualcosa di decente. Il titolo è leggermente random ma oh, well, non si può avere tutto.

Alla prossima,

Federica ♛

 

 

Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a Stan Lee e alla Marvel. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.

 

 

 

 

THE WAY YOUR HAND FITS IN MINE 

 

Bucky grugnì rumorosamente quando l’ennesimo bicchiere gli scivolò dalle mani, cadendo a terra e frantumandosi in diversi pezzi. Si lasciò scivolare a terra passandosi la mano destra sul viso, respirando profondamente per non perdere la calma e peggiorare la situazione.

Quella mattina si era svegliato con un dolore lancinante al bracco bionico e, dopo una rapida visita da parte di Shuri, avevano scoperto un piccolo malfunzionamento alla giuntura. La principessa si era scusata profondamente e gli aveva garantito che avrebbe sistemato la faccenda il prima possibile.

Tuttavia, ciò significava trascorrere le giornate senza quella che era diventata una parte fondamentale del suo corpo. A Bucky non piaceva pensarci ma, con Steve lontano e nessuno con cui parlare, aveva fin troppo tempo libero da passare solo con i propri pensieri.

Sebbene per diversi decenni il suo braccio sinistro aveva costruito un’arma a tutti gli effetti, l’improvvisa mancanza gli nuoceva più di quanto avrebbe creduto possibile.

La situazione degenerò in fretta. Fin dai primi momenti della giornata, gli risultava impossibile non tentare di afferrare qualcosa con il braccio sinistro, solo per venire brutalmente riportato alla realtà quando non ci riusciva.

Il dolore fantasma era ben lontano da quello che aveva provato nelle mani dell’HYDRA, e si sentiva ridicolo al solo pensiero di lamentarsene; aveva subito torture ben peggiori, e il braccio gli sarebbe stato restituito nel giro di una settimana. Non sarebbe dovuto essere un problema così grande.

Ciononostante, provava un immenso imbarazzo quando era costretto a farsi tagliare il cibo o essere aiutato a vestirsi. Shuri e T’Challa gli avevano messo a disposizione uno dei loro servitori, ma Bucky non si sentiva a suo agio con mani sconosciute e intenzioni che non era in grado decifrare appieno. E se qualcuno lo avesse attaccato? Se qualche agente si fosse infiltrato e avesse approfittato di quel momento di debolezza?

Dopo solo due giorni di pura agonia – sia fisica che psicologica – Bucky si arrese e chiamò Steve. Prima di tornare in America con gli altri Avengers, gli aveva dato un cellulare con il suo numero e gli aveva assicurato di poterlo chiamare in qualsiasi momento.

Bucky aveva però aspettato quanto più possibile, perché sapeva che l’altro avrebbe abbandonato qualsiasi cosa pur di prendersi cura di lui.

Inspirò profondamente e premette il pulsante di chiamata. Steve gli rispose dopo il primo squillo.

“Buck.”

Nonostante fosse passato poco tempo dall’ultima volta che si erano visti, risentire la sua voce liberò un peso dal petto del moro, che riprese a respirare più tranquillamente.

Steve era con lui, sarebbe andato tutto bene.

“Ciao, Stevie.”

“È tutto a posto? Come stai? È successo qualcosa?”

Bucky esitò brevemente, prima di ricordarsi le sedute con la sua terapista; poteva chiedere le cose che voleva, non era più una macchina da guerra ma un essere umano con emozioni, sensazioni e paure.

“Io… non bene,” ammise quindi. “So che sono passati solo pochi giorni, ma… potresti venire?”

Non ebbe il tempo di aggiungere un affrettato “Quando ti è più comodo, ovviamente” perché Steve era già in azione.

“Prendo subito un Quinjet, sarò da te il prima possibile.”

E lo fu davvero. La mattina successiva, dopo essere riuscito a dormire per qualche ora scarsa, rigirandosi nel letto svariate volte, Bucky si svegliò con una massa calda avvinghiata al suo corpo.

Sorrise nel sonno, dimenticandosi persino del suo dolore fantasma, e si rilassò tra le braccia del suo amato.

“Ehi,” sussurrò dopo qualche istante.

Steve gli passò una mano tra i capelli con una delicatezza che Bucky non riceveva da nessun altro, una presa al tempo stesso salda e sicura ma leggera e pronta a dargli spazio in caso ne avesse avuto bisogno.

“T’Challa mi ha informato della situazione, come ti senti?”

Il maggiore scrollò le spalle, evitando la domanda. “Distraimi,” disse semplicemente.

Steve, come l’angelo che Bucky era convinto che fosse, gli preparò una colazione che non richiedeva l’utilizzo di posate, gli raccontò gli ultimi aneddoti del team e lo portò a fare un giro al laghetto non distante dalla sua capanna.

Ogni giorno aveva nuove avventure da raccontare e nuove attività per intrattenerlo, e Bucky avrebbe voluto inginocchiarsi al suo cospetto e chiedergli di sposarlo seduta stante.

La beatitudine di quelle giornate, tuttavia, veniva interrotta puntualmente tutte le notti. Bucky non poteva – e, a dire la verità, non voleva – dormire da solo, ma stava diventando difficile nascondere la sua condizione al compagno. Aveva dato la colpa dei suoi incubi ai soliti ricordi dolorosi, ai momenti passati in cui era stato costretto a uccidere. E, nel corso delle lunghe notti, sognava anche quello, ma… l’assenza del suo braccio stava iniziando a causargli veri e propri problemi.

La terza notte dopo l’arrivo di Steve fu la peggiore; Bucky si svegliò di soprassalto, madido di sudore, senza rendersi conto di dove si trovasse. Tentò di aguzzare la vista, ma, quando il semplice movimento di asciugarsi la fronte fallì, iniziò ad andare nel panico.

Accanto a lui qualcosa si mosse e, istintivamente, tirò un pugno alla cieca, scrutando la stanza alla ricerca di minacce.

Hmph,” fu la risposta sommessa proveniente dallaltra parte del letto. Quando la testa di Steve emerse da sotto le coperte, Bucky si sentì morire.

No, no, no.

Calde lacrime gli rigarono il viso, e tentò di rannicchiarsi facendosi quanto più piccolo possibile, sperando che tutto ciò passasse presto.

“Bucky?”

La voce calma e comprensibile dell’altro lo fece solo singhiozzare più forte, e si maledisse per averlo ferito nuovamente. Era finalmente guarito, non avrebbe più dovuto comportarsi in quel modo così avventato.

Sentì le braccia di Steve cingergli il busto, girandolo verso di lui. Nel vedere i suoi occhi rossi, il biondo lo attirò a sé, posizionandolo quasi interamente sopra il suo corpo possente. Non fece domande, non le faceva mai per paura di peggiorare la situazione, ma Bucky percepì ugualmente la sua curiosità e preoccupazione.

“Mi dispiace,” mormorò contro il suo collo. L’odoro famigliare di Steve aiutava, ma non quanto avrebbe voluto. La sua spalla sinistra pulsava come non mai, e massaggiarla non sortiva alcun effetto.

“Dimmi come posso aiutarti,” rispose piano Steve.

“È il braccio,” ammise. “Sento dolore e ho difficoltà a fare tutto. Mi dispiace di averti svegliato.”

Steve lo stringe più forte. “Sciocchezze,” affermò sicuro. “Voglio sempre essere sveglio per aiutarti. Domani andremo da Shuri, magari può darti qualcosa.”

Bucky annuì distrattamente, mentre si adagiava meglio tra le braccia del compagno. E, sebbene il dolore non accennò a diminuire, quella notte riuscì a dormire sogni tranquilli fino al mattino.

   
 
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