Maybe we'll meet again, when we are slightly older and
our minds less hectic, and I'll be right for you and you'll be right for me.
But right now, I am chaos to your thoughts and you are poison to my heart.
- Chris Cadle
Il messaggio di Monty è appena finito.
Bellamy continua ad osservare la luce rossa del
secondo sole espandersi lungo la superficie del pianeta. Sembra che stia
andando a fuoco, bruciando.
Per un attimo è su un'altra navicella, ad osservare
un pianeta diverso che consuma sé stesso, con il cuore in tumulto e una voce
nella testa che sussurra con qualcosa che è più che cruda agonia, più che
semplice disperazione, più che la straziante consapevolezza che gli sia stata appena
strappata via metà di sé stesso: quando sarà abbastanza? Quante volte
dovrà perderla ancora prima che l'universo ritenga che sia sufficiente? Quando
il troppo diventa troppo? Quando l'attesa può finire per lasciare iniziare
qualunque sia ciò che li aspetta dopo?
L'assenza di Clarke al suo fianco è un'amputazione.
È un dolore che non gli è estraneo. Lo riconosce:
potente, antico e familiare. Risuona dentro di lui come l'eco di tamburi da
guerra, lo strepitio ululante del vento durante una tempesta. Sa di poter
sopravvivere a questo tipo di dolore che gli è penetrato fin dentro le ossa,
che sembra rattrappirgli la pelle, risucchiargli l'ossigeno dai polmoni, fargli
esplodere le orbite, bruciargli le sinapsi del cervello, marchiargli l'anima e
urlare dentro di lui. Urlare urlare urlare. Un nome. Una speranza. Un
rimpianto che ha il sapore del rancore, della neve quando si scioglie. Ha già
vissuto una vita senza di lei. Può convivere con la sindrome dell’arto
fantasma. Il punto non è mai stato riuscirci. L'ha già fatto una, due volte. Sa
che può farlo.
Non sa se vuole.
And
my loneliness is heavier than life
"Bellamy."
Forse è un'impressione o un effetto delle luci, ma
il viso di Clarke è più pallido del solito nello schermo. La sua voce è ferma,
i suoi occhi saettano nervosamente di lato come se non riuscissero a
concentrarsi sulla camera che sta riprendendo. Contengono un'urgenza che in
chiunque altro sarebbe angoscia o rabbia. "Qualcosa è andato terribilmente
storto. Registrerò un nuovo messaggio quando avrò maggiori informazioni da
condividere."
*
"Ho cercato di sistemare il guasto."
La vede scoppiare in una risata querula, passarsi
una mano tra i capelli. Appare tesa e preoccupata. Da quanto non dorme?
"Sembra che abbia sopravvalutato le mie
capacità ingegneristiche. Non che sia davvero sorpresa. Non sono riuscita a far
funzionare una radio in sei anni."
Alla menzione delle chiamate radio, il petto gli si
comprime. Respirare diventa difficile, quasi un'impresa titanica oltre
l'oppressione che si è propagata fino alla gola come un'infezione. Non sa cosa
sperare.
Se questa è la fine. Se questo è tutto ciò che
rimane di lei. Attimi rubati
di qualcosa che è già successo nel passato, già scritti e perciò
immodificabili.
Clarke sospira. I suoi occhi stremati e cerchiati da
ombre violacee per l'assenza di sonno bucano lo schermo, brillano per la
promessa che gli sta facendo. "Continuerò a provare."
Bellamy rilascia il fiato che non si era accorto di
trattenere.
Entrambi respirano, anche se su linee temporali
diverse. Finché respirano, c'è ancora speranza.
*
"Mi sono svegliata cinquanta anni prima del
previsto," annuncia tetramente nel terzo messaggio. La data nella parte
inferiore della registrazione lo informa che sono trascorsi dieci mesi dal
primo video. I capelli le arrivano alle spalle ora, non una massa indomabile di
ricci, ma una cascata liquida di oro e ambrosia. Oro come devono essere stati
il vello rubato da Giasone o il pomo della discordia di Eris. Oro e nettare
degli dei. Prezioso, proibito, irraggiungibile.
Clarke corruga le sopracciglia come se fosse appena
stata attraversata da un pensiero spiacevole. Cosa non lo è nella loro vita?
"Questo significa che nel caso in cui non riuscissi a riparare l'anomalia del
mio baccello, quando tu e gli altri vi sveglierete potrei essere già morta
oppure che sarò abbastanza vecchia da essere tua nonna o la madre di mia
madre." Esita per poi ammettere in un sussurro spezzato, dando voce alla
voragine in cui aspetta e si cela la paura di entrambi: "Non so quale
alternativa mi spaventa di più."
*
"Ho visto i messaggi di Monty."
Per un po' smette di parlare. La testa inclinata
come se volesse prendersela tra le mani e la postura dimessa, come se potesse
crollare da un momento all'altro. I suoi respiri rotti. Le dita delle mani
congiunte in grembo, così sottili e pallide contro il nero dei vestiti che
indossa.
Il silenzio dura abbastanza perché Bellamy senta
distintamente lo schianto del proprio cuore che si spezza poco alla volta,
singhiozzo dopo singhiozzo. Appoggia i palmi ai lati dello schermo perché non
può toccarla, accosta la fronte e aspetta, mentre piange insieme a lei l'amico
che hanno perso, il groviglio di tutte le parole non dette e rimaste in sospeso
tra di loro, le promesse infrante, le possibilità sfumate, ogni singola scelta
impossibile e azione moralmente scorretta, ma necessaria per il bene
comune.
Non sa cosa sia peggio. Se il dubbio lacerante di
non sapere ancora se lei ce l'abbia fatta oppure osservare gli effetti
devastanti della solitudine, sapendo di non poterla raggiungere, di non poter
fare nulla. Di essere impotente, ancora una volta. Solo uno spettatore inerme.
Osservare come un intruso, attraversato da un desiderio che supera perfino la
nostalgia e la perdita.
"Sarà così anche vedere i miei?"
Lui sta sperimentando il suo stesso panico. La vedrà
morire davanti ai suoi occhi?
Quando solleva il mento, le sue labbra tremano e le
palpebre sono gonfie e arrossate, le ciglia palpitanti gettano ombre sinistre
sulle sue guance umide. Oltre la distanza temporale, gli occhi infossati di
Clarke incrociano i suoi. Per un attimo sono assurdamente vicini,
insostenibilmente lontani, così cari.
"Vorrei che ci fosse un altro modo."
*
"Non posso farlo."
Sono trascorsi due anni e sette mesi.
L'ha vista combattere. L'ha vista distruggersi dopo
i vari tentativi falliti. L'ha vista accettare l'ennesimo peso e impegnarsi a
trovare una soluzione, affrontandolo come l'ennesimo ostacolo da superare. Solo
che questa volta le onde sono troppo alte. La zattera rischia di sfracellarsi
contro gli scogli e lei di annegare negli scuri abissi marini. Dopo dieci anni
di sangue e fuoco sprecati a combattere una guerra non sua, Odisseo impiegò
altri dieci anni per ritrovare la sua Itaca, per colpa di un dio crudele e
della sua stessa arroganza. Sarà così anche per loro?
"Non posso farlo. Non di nuovo," Clarke
dice e suona come una preghiera e una maledizione. Si preme i pugni contro gli
occhi chiusi, il viso una maschera contorta. Non ci sono stati progressi. Il
suo baccello continua a non funzionare.
"Sì che puoi," lui ribatte. Sa che non può
sentirlo. Non è come funziona. Non gli importa. Una parte di lei può sentirlo.
È la parte che l'ha spinta a parlargli attraverso una radio rotta ogni giorno
per sei anni. Lo stesso sentimento ora anima lui, una forza propulsiva che crea
e distrugge, innalza e polverizza.
"L'hai già fatto una volta. Puoi farlo di
nuovo."
"Non ero da sola quella volta," lei
risponde come se lo avesse sentito, allontanando le mani quel tanto che gli
basta per avere uno scorcio di azzurro. È un pensiero assurdo, pura pazzia, ma
stranamente confortante. Il suo cuore emette una nota discorde contro la gabbia
toracica. "Avevo Madi. Avevo..." si interrompe, stringendo le
labbra.
Te,
sembra che voglia dire. Te. Te. Lui attende, paziente, ipnotizzato.
Cos'altro può fare?
"C'è qualcosa che devi sapere." Gli
racconta quello che lui sa già, che Madi gli ha detto. "So che sembra
folle," conclude in tono difensivo, vulnerabile come l'ha vista solo poche
altre volte, giovane come non gli è più apparsa dopo Atom, "ma parlarti
ogni giorno, anche se non hai mai risposto, mi ha mantenuta sana di
mente."
C'è così tanto altro che gli sta comunicando, che
gli sta dicendo tra le righe e lui deve lottare per riprendere il controllo.
Gli sembra di avere la lingua attaccata al palato, la bocca piena di
sabbia.
"Non è folle." Cerca di sorridere, ma è un
sorriso atrofizzato dal disuso. Una parte di lui sta ancora dormendo nel
baccello. Forse si tratta di un incubo e quando si sveglierà lei sarà al suo
fianco com'è giusto che sia, come avrebbe dovuto essere sempre, sin
dall'inizio. "Un po' patetico forse, ma non folle."
Il sorriso di lei è improvviso come un miraggio di
primavera, piccolo e luminoso a vedersi, bello come le cose tristi e fragili
che si vuole proteggere a tutti i costi.
Si asciuga il bordo degli occhi con la manica e si
schiarisce la voce. "Sono abbastanza sicura che tu abbia appena fatto
un'osservazione pungente. Vorrei averla sentita." Una pausa, il sorriso
non è ancora scomparso, ma non è più come un'alba, piuttosto si è trasformato
ed è più simile a un tramonto. "Vorrei poterti vedere."
And so it seems I must always write you letters I can
never send.
-Sylvia
Platt
Dopo questo video cade in ginocchio. Non sa se è in
grado di continuare. Non sa se è pronto ad accettare la terrificante
eventualità che lei non-
Jordan mette in pausa. Lo schermo non torna nero,
semplicemente si blocca sul profilo di Clarke ritagliato nella cornice del
monitor.
Bellamy chiude gli occhi. Non serve a nulla.
L'immagine di lei ha messo radici nelle sue retine, così come il suono della
sua voce. Come ha potuto dimenticare così a lungo? Questo è l'effetto che esercita
su di lui. Come il canto della sirena che avvolgeva i marinai, stregandoli al
punto da spingerli volontariamente verso una morte lenta e atroce. Alla fine
riconosce la massa incandescente alla bocca dello stomaco, la tensione nelle
spalle che sembra trascinarlo verso il basso. È rabbia.
Anche questo è un sentimento familiare, specie se
associato a lei. Una volta identificata per quello che è, è impossibile provare
altro. La rabbia attutisce, opacizza. È ghiaccio su un'ustione. Fa passare il
resto in secondo piano.
"Perché non ha provato a svegliare qualcuno di
noi?" Riconosce a stento la sua voce. Il silenzio che li circonda è
assordante dopo le verità mute di Clarke, le confessioni nei suoi sguardi
tormentati. Avrebbe potuto svegliare Raven. Avrebbe potuto svegliare lui.
Insieme avrebbero trovato una soluzione. Non avrebbe dovuto farsi carico anche
di questo da sola.
Jordan non risponde subito, sembra sulle spine.
"L'ha fatto," ammette a malincuore.
Bellamy solleva la testa così in fretta da
procurarsi un crampo dietro la nuca. Chi, è il primo pensiero nello stupore
assoluto. Poi di nuovo risentimento. Perché non lui?
Jordan è a disagio, quasi imbarazzato. "Voleva
farlo," si corregge subito, "ma alla fine..." sospira. "C'è
un limite ai peccati che una persona può espiare o per cui può sentirsi colpevole."
L'intensità con cui lo sta fissando gli ricorda Monty, ma anche Harper. Non è
solo empatia. È gentilezza. È comprensione. È accettazione.
"Forse non dovrei." Gli dà le spalle e
comincia a trafficare con la consolle. Un altro schermo sopra le loro teste si
accende e comincia ad emettere un leggero ronzio, si illumina in una linea
verde. Da sopra la spalla, Jordan incrocia di nuovo il suo sguardo per un
brevissimo momento prima che sullo schermo inizi una nuova registrazione.
"C'è qualcosa che voglio mostrarti."
Sono altre immagini di Clarke, questa volta rubate
dalle telecamere di sicurezza e senza audio. Lei è accanto al suo baccello, di
spalle. Nella penombra il suo viso è accigliato e addolorato. Sembra in
conflitto. Lui sa perché. Riconosce
quell'espressione. La stessa dopo Mount Weather. Dannazione.
Gli occhi di Jordan riflettono lo stesso tipo di
conflitto. Quello di lasciare indietro quanto si ama per non rimanere indietro.
Rinuncia, sacrificio, devozione. Un amore che supera l'istinto di autoconservazione.
"Non poteva farti questo."
*
"Oggi è il mio compleanno, Bellamy. È un giorno
speciale. Vuoi sapere perché?"
Ha le labbra incurvate verso l'alto, ma il sorriso
non le raggiunge gli occhi che invece sono socchiusi e guardinghi, pericolosi
come trappole nascoste. Gli occhi di una donna che sta cambiando, sta
invecchiando senza di lui. Di nuovo.
"Sono tutt’orecchi," risponde stancamente.
"Compio trent’anni. Sai cosa significa?"
Clarke si piega in avanti e si avvicina fino a quando sono pochi centimetri a separarli.
Pochi centimetri e quarantaquattro anni. Suona divertita e lui indovina
facilmente il motivo. "Sono più vecchia di te."
Per un istante è facile dimenticare dove si trova,
concentrarsi solo su di lei, sulle sue sopracciglia inarcate in modo ironico,
sul neo sopra il suo labbro superiore, sui suoi capelli di nuovo corti che
assomigliano alla criniera di un leone. Per un momento immagina come sarebbe
facile spostarle quella ciocca di capelli indisciplinata che le cade sulla
fronte.
"Sono trascorsi sei anni da quando mi sono
svegliata dal sonno criogenico," lei dice e ogni traccia di svago si
dilegua in un nuovo lampo di sofferenza accecante. "Sei anni," lei
ripete con una voce strana, vuota. "Non è buffo? È più il tempo che
abbiamo trascorso separati di quello che abbiamo mai trascorso insieme. Lo odi
quanto me?"
Città che ardono come pire di fuoco, pianeti che bruciano,
corpi di cenere e una bottiglia di liquore invecchiato. Lui serra i pugni.
Sai che lo faccio.
*
È uno strano déjà-vu quello che lo coglie. La sensazione
è estenuante. È come osservare una scena già vista.
La sua paura si intensifica. La conosce; conosce
ognuna delle sue sfaccettature, espressioni e forme. Appare indecifrabile.
Diversa in modo penetrante, pungente, insopportabile. Sono trascorsi nove anni
da quando si è svegliata dal sonno criogenico. Altri giorni che non torneranno
mai più, persi nel labirinto del minotauro.
"Questo sarà l'ultimo messaggio. Forse ho
trovato il modo di hackerare il sistema. Se riesco ci vediamo dall'altra parte.
Se non riesco..." L'alternativa è odiosa. Come lui, lei preferisce evitare
di prenderla in considerazione. "Prima di andare voglio che tu sappia un
paio di cose. Non siamo mai stati del tutto onesti io e te."
Capisce cosa sta facendo nello stesso momento in cui
ricorda con un sussulto. È come rivivere il momento nel laboratorio di Becca.
Solo che questa volta non può abbracciarla, non può trovare conforto nelle sue
mani poggiate all'altezza dei reni. Suona come un addio e potrebbe essere
quello definitivo.
"Clarke," lui gracchia disperatamente,
come se lei potesse davvero sentirlo, come se potesse impedire quello che sta
succedendo, che è già successo, come se potesse fermare il supplizio
dell'ennesimo struggimento. "Non devi farlo per forza."
"Il tempo non è mai stato dalla nostra
parte," lei continua imperterrita, lo sguardo fisso davanti a sé e il
mento sollevato. "Non mi piacevi all'inizio. Ti trovavo supponente e
cinico."
"Neppure tu mi piacevi," lui replica senza
reale convinzione. "Sei stata una spina nel fianco sin dall'inizio."
"Poi ho visto cosa eri disposto a fare pur di
proteggere tua sorella." Nonostante continui a guardarlo, lui percepisce
il modo in cui, mentre parla, lei si sia estraniata, ripercorrendo con la mente
i loro ricordi in comune, la storia che li ha resi quello che sono, che li ha
portati esattamente dove si trovano. "Ho visto il modo in cui cercavi di fare
la cosa giusta anche quando fare la cosa giusta era impossibile. Suonerà
assurdo, ma adesso che sono persi, mi mancano quei giorni, quelli in cui non ti
conoscevo ancora, in cui la mia unica preoccupazione era tenere a bada te e il
resto dei Delinquenti. Mi manca quello che avevamo allora, quello che eravamo,
che stavamo diventando."
Anche a lui manca la loro vecchia vita. Gli manca
perché c'era lei.
"Voglio che tu sappia che lasciarti indietro è
stato uno sbaglio. Sono un'assassina e ho le mani sporche del sangue di centinaia
di persone, ma il mio più grande rimpianto rimani tu. Avrei dovuto dirtelo
quando potevo. Credevo di avere tempo. Ho sbagliato e mi dispiace. Non avrei
mai dovuto abbandonarti a Polis."
Il suo sguardo è lucido, liquido per una infelicità
amara.
"Non importa,” lui dice raucamente. “Ti
perdono. Ti ho già perdonata un secolo fa."
Lei deglutisce. Non sta piangendo, ma è molto
vicina. "Di' a Madi che la amo. Di' a mia madre e agli altri che mi
dispiace. Bellamy, io..."
"Lo so, Clarke. Anch'io." Ti amo ti amo
ti amo.
Lei fa una smorfia. "Suppongo che sia un addio
per il momento."
*
Non sa quanto tempo sia trascorso. Jordan poggia la
mano sulla sua spalla e dai recessi nebulosi della sua coscienza, Bellamy trova
la forza di attraversare il baratro in cui si trova per guardarlo in faccia.
"Mi dispiace," lo sente dire.
Bellamy annuisce. Per cosa? Perché ancora una volta
lei è rimasta indietro, da sola, circondata dal nulla e dai fantasmi? O perché
c'è qualcosa di peggio che non ha ancora ha avuto il coraggio di dirgli?
Avrebbe senso. Jordan si è svegliato per primo e
potrebbe avere avuto il tempo di vedere i video di Clarke, di verificare il suo
baccello, monitorare la situazione della nave al punto da sapere che ad un
certo punto sarebbe stato necessario mostrargli le registrazioni di
sorveglianza. Sa se Clarke ce l'ha fatta. È solo un ragazzo e quello che a cui
ha appena assistito spezzerebbe uomini più vecchi. Ha spezzato lui.
"Ce l'ha fatta?"
Jordan evita il suo sguardo e ogni pensiero cupo e
terrificante riaffiora.
"Non come aveva sperato."
Che diavolo significa?
Jordan deve intuire la sua impazienza, la sua
crescente frustrazione.
"Dopo quel video, è rimasta sveglia altri dieci
mesi."
Dieci mesi. Perciò è stata sveglia per-
"Nove anni, dieci mesi e quattordici
giorni," lo anticipa Jordan.
Bellamy non ha il tempo di metabolizzare. Il ragazzo
ha un'aria devastata e colpevole, come se sapesse di aver sferrato un colpo
fatale a un avversario già a terra, ma raddrizza le spalle e incrocia il suo
sguardo con quieta determinazione.
"C'è un ultimo messaggio che devi vedere."
*
"È una specie di scherzo?" Murphy domanda
alla fine del secondo video di Clarke.
Dio, come lo vorrebbe.
Bellamy scoppia in una risata amara e volta loro le
spalle, allontanandosi. Chiude gli occhi e incrocia le braccia sul petto. Le
bende avvolte attorno alle sue mani sfregano fastidiosamente contro il tessuto
della maglietta. Stanno affiorando piccoli puntini rossi, come fiori di
ruggine, e il dolore che gli attraversa le dita è un pulsare sordo e ritmico,
costante.
Sotto di lui il primo sole tramonta e il secondo
sorge mentre il contorno del pianeta è frastagliato da riverberi abbacinanti di
colori differenti. Dovrebbe essere una vista mozzafiato. Dovrebbe.
Mentre Clarke continua a parlare, il resto del
gruppo tace, ammutolito da quello che può essere identificato solo come smarrimento
e orrore.
Il viso di Raven all'inizio rimane inespressivo, ma
comincia a vacillare dopo il quarto video, esattamente com'è capitato a lui due
giorni prima. Dopo la fine dell'ultimo messaggio l'aria nella sala diventa
claustrofobica.
Bellamy si avvicina al gruppo e spegne il monitor. Jordan
è seduto in un angolo, taciturno e a disagio. Di sicuro non era come si era
aspettato il suo risveglio.
Prevedibilmente è Murphy il primo a ritrovare il
dono della parola e la sua voce gronda biasimo e sbigottimento. "Non
penserai di farlo sul serio?"
"È quello che Clarke vuole," lui ribatte
seccamente.
"Perciò la lasceremo dormire davvero per altri
cinque anni?" Se Murphy sperava di ottenere sostegno dal resto del gruppo,
il suo desiderio si infrange nell'assenza di reazioni collettive. Sono tutti
nella fase iniziale di negazione. "Sono l'unico a trovare che sia un'idea
idiota? Tu non hai niente da dire, Reyes?"
Interpellata, Raven solleva la testa. "Perché
dovremmo svegliarla?" Ogni parola è come acido, corrosiva e ostile.
"Non abbiamo bisogno di lei. Siamo sopravvissuti senza di lei per sei
anni. Cosa sono cinque di più?"
Sa che non lo pensa davvero e la durezza è solo una
copertura, una rete di camuffamento. Fa così quando è sulla difensiva. Nasconde
il suo lato più emotivo dietro freddo cinismo e una spietata noncuranza che a
tratti rasenta la crudeltà. Anche se non la conoscesse bene, le tracce di
lacrime secche sulle sue guance la tradirebbero e sarebbero una prova evidente
di quanto sia effettivamente turbata. Nonostante tutto, è difficile ascoltare
quello che ha detto senza irrigidirsi, tanto più lo è digerirlo.
"Emori?" domanda e la vede voltarsi verso
di lui. Non sembra sconvolta, ma i suoi occhi sono lucidi, tristi e pieni di
risolutezza. "Io sono con Murphy," dichiara. "L'abbiamo
abbandonata già una volta."
Le parole riverberano dentro di lui, come se
qualcuno le stesse tatuando nella sua mente. Suonano simili a un rimprovero, a
una condanna.
"È davvero abbandonarla?" interviene Echo.
"Questa volta è lei a volerlo. È una sua richiesta."
Gli sguardi di tutti sono di nuovo puntati su di
lui, come se gli stessero dicendo che la decisione spetta a lui.
"Jordan, fai parte della famiglia adesso. Cosa
ne pensi?"
"Io-" Jordan sgrana gli occhi ed esita,
come se non si fosse aspettato che qualcuno chiedesse il suo parere. "La
scelta è di Clarke e credo che dovremmo rispettarla," risponde lentamente,
"ma ci sono persone qui che hanno il diritto di esprimere la loro opinione
al riguardo più di me."
"Cosa stai suggerendo?" domanda Murphy.
"Che lo mettiamo ai voti?"
Jordan non si lascia scalfire dal tono sarcastico e
non distoglie lo sguardo, anche se è evidente che l'argomento lo metta in
difficoltà. Probabilmente fa riaffiorare ricordi dolorosi. "Sto solo
dicendo che Clarke ha una madre e una figlia."
Madi,
lui pensa con una fitta improvvisa ed è come se qualcuno gli avesse tirato un
pugno in pieno petto.
Poi, come se non fosse abbastanza, Jordan gli
rivolge uno sguardo affranto prima di sganciare l'ennesima bomba. "Bellamy
non è l'unico a cui abbia lasciato un messaggio."
*
Bellamy, se questa è l'ultima occasione per dirlo,
non voglio sprecarla.
Madi, mia madre, i nostri amici sono nel mio cuore.
Sono il motivo per cui sono sempre andata avanti, per cui ho fatto quello che
ho fatto. Sono la persona che ho scelto di essere per proteggere ciò che amo e
non me ne pento. Se potessi tornare indietro, rifarei ogni cosa. Ho odiato così
a lungo me stessa, ma non rimpiango i miei errori perché rimangono miei, parte
di ciò che sono, nel bene e nel male. Ma tu, Bellamy, tu non sei come loro. Tu
non sei lì dentro insieme agli altri, tu sei tutto ciò che li circonda. Tu sei
il mio intero cuore. Lo sei stato per molto tempo. Sei il mio migliore amico,
la mia famiglia, la mia metà, la parte migliore di me. Mi dispiace se l'ho
perso di vista per un po'. La verità è che sono stanca di essere arrabbiata con
te. Mi hai tradito, ma non è questo l'ultimo pensiero che voglio avere di te.
Ne abbiamo passate così tante, tu ed io. So che sei andato avanti ed è ora che
lo faccia anch'io. Per questo, perché mi fido di te più di chiunque altro al
mondo, ho una richiesta da farti. Ti chiedo di non svegliarmi. Non
fraintendere. Voglio che tu mi svegli, solo che non voglio che tu lo faccia
subito. Ho perso così tanto, Bellamy. Vi ho aspettato per metà della mia vita.
Non voglio guardarmi indietro e rimpiangere tutti questi anni che non ho
vissuto con voi. Non ti chiedo di aspettare dieci anni, neppure otto. Ti chiedo
cinque anni. Per allora, per quando mi sveglierai, avremo la stessa età. Per
allora, spero che anche tu mi avrai perdonato. Spero di poter avere un posto
nelle vostre vite. Spero... nella speranza di rivederci.
*
*
Mamma, se stai guardando questo messaggio è perché
probabilmente state decidendo se risvegliarmi ed è stato messo ai voti. Non ti
chiederò di non svegliarmi. So già che voterai per farlo. Voglio che tu sappia
che ti ho perdonata. Per quello che hai fatto a papà. Io stavo facendo lo
stesso prima del Priamfaya con quella dannata lista. Ora riesco a vederlo,
riesco a capire. Come ti sei sentita quando hai visto morire papà. Adesso so
perché l'hai fatto. Io ho fatto lo stesso. Stavi cercando di proteggere me, di
salvare me, di fare la cosa giusta. Come sei sopravvissuta a questo dolore,
sapendo di aver ferito così profondamente qualcuno che amavi, che hai tradito
la sua fiducia, che lo hai lasciato morire?
Impari ad accettarlo e a conviverci, credo, come con
tutto il resto. Sono così stanca di essere questo tipo di persona. Sono così
stanca di vivere senza il mio cuore. Ho provato ad essere migliore, ad essere
buona, ma ogni volta perdo qualcuno o rimango indietro. Sono così stanca di
essere lasciata indietro. Mi manca la mia famiglia. Mi manca essere la figlia
di mio padre. Voglio assaporare la pace che non ho conosciuto da quando ho
messo piede sulla Terra. Ho trentaquattro anni e sono stata in guerra e ho
combattuto metà della mia vita. Non voglio smettere di combattere, solo...
Voglio del tempo per guarire. Una volta sono stata una guaritrice. È tempo per
me di riposare. Prenditi cura di loro per me. Ti voglio bene, mamma. Mi manchi.
So che farai sempre la cosa giusta anche se io non la condivido.
When you come back, you will not be you. And I may not be I.
- E.M. Foster
N/a:
Primo capitolo di tre. Secondo in stato di rilettura, terzo in fase di scrittua :)