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Autore: crazy lion    05/04/2020    3 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti che Demi e la sua famiglia hanno vissuto, raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Il settimo compleanno è molto speciale per Demi. Riceve infatti un giocattolo che non solo la farà divertire, ma anche volare con la fantasia e grazie al quale proverà forti emozioni. Il giorno dopo a casa della sua famiglia si presentano Andrew e Carlie, figli dei loro vicini. Le bambine hanno quasi la stessa età e tra loro potrebbero esserci alcuni problemi.
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare veritiera rappresentazione del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Vale non solo per Demi, ma anche per tutti gli altri personaggi famosi di cui ho parlato.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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DEMI E IL LEOPARDO DELLE NEVI


INTRODUZIONE


La seguente storia è ispirata ad un episodio accaduto molti anni fa alla mia amica Emmastory. Le ho parlato prima di scriverla e le ho assicurato che in questo racconto accadranno cose diverse rispetto a quanto successo a lei, io ho preso solo spunto da un fatto in particolare (non dirò quale per privacy), che qui ho appunto cambiato.
Emmastory, questa storia è dedicata a te ed al tuo leopardo delle nevi, anche se da molto tempo purtroppo non lo hai più.
Ciò che metterà in atto Carlie, personaggio originale presente in altre mie storie anche se non è uno dei principali, è una cosa che io ho fatto quand’ero piccola. Qualcosa che i bimbi fanno senza capire all’inizio dove sbagliano e della quale mi vergogno ancora molto nonostante i miei mi ripetano, quando ne parliamo, che sono tutte esperienze che i piccoli devono fare per poi crescere.
 
 
 
 
 
 
Demi aprì gli occhi e si stiracchiò allungando braccia e gambe, poi si passò le mani davanti al viso. Ci mise qualche secondo a realizzare che giorno era ma, quando lo comprese, si alzò in piedi di scatto. La testa le girò e fu costretta a sedersi per alcuni momenti e poi, per quanto sentisse tutto il suo corpo scosso da una forte elettricità, si infilò con calma le ciabatte e rifece il letto com'era capace. Aveva solo sette anni, dopotutto, ma perlomeno ci provava come le aveva insegnato la mamma. Non era ancora abbastanza alta per riuscire ad aprire finestre e imposte, così lasciò stare e scese. Trovò Dallas, Eddie e la mamma in cucina.
"Buon compleanno!" esclamarono in coro, mentre i genitori si alzavano per abbracciarla.
Poco dopo lo fece anche Dallas.
"Allora, come si sta sapendo che si ha un anno in più?" chiese.
"Non lo so, normale. Tu come ti senti quando compi gli anni?"
"Sempre più vecchia" ridacchiò. "No, in realtà solo felice."
"Anch'io lo sono."
Strano ma vero, Demi non aveva chiesto nessun regalo. Non le era venuto in mente alcun giocattolo che desiderava, pensava di avere già tutto ciò di cui aveva bisogno: peluche, bambole, una casa per queste ultime, un set di tazzine, piattini, posate e pentole e perfino una macchina per le sue Barbie.
Cavolo, oggi compio sette anni pensò. Tra un po' andrò di nuovo a scuola e sono più grande.
Sembrò realizzarlo solo in quel momento e rifletté sul fatto che, forse, non si sentiva pronta a tale cambiamento. Essere più grande significava avere più responsabilità, ormai cominciava a capirlo. Era abituata a fare audizioni: un paio d’anni prima, ad esempio, aveva partecipato ai provini per "Barney And Friends" ed era stata presa alla prima selezione perché non le era stato fatto leggere niente. Prima della seconda Dallas aveva provato ad insegnarle ma, quando aveva dovuto leggere cose che non aveva mai letto, i giudici se n’erano accorti e non l’avevano accettata. In più il prerequisito per partecipare era avere sei anni, lei ne aveva cinque a quel tempo ma la mamma aveva detto che sarebbe comunque stata una bella esperienza. Ci avrebbe riprovato. Nonostante fosse già abituata a concentrarsi ed impegnarsi per dare il meglio di sé, andare a scuola voleva dire dover stare sempre più ore davanti ad un banco e giocare di meno.
"Dem, tutto okay?"
La voce gentile di Eddie la riportò alla realtà.
"Eh? Sì, sì, bene" farfugliò, come se si fosse appena svegliata da un brutto sogno.
"Abbiamo un paio di sorprese per te!" esclamò la mamma. "La prima è questa."
Tirò fuori dal frigo una torta, un salame al cioccolato. Demi adorava la cioccolata, era il suo cibo preferito assieme alla pizza.
"Oddio, grazie, grazie, grazie!"
Si mise a saltare, quasi gridando quelle parole con una vocina che la faceva sembrare più piccola.
"E poi c'è questo."
Eddie le porse un regalo avvolto in una carta rosa, con un fiocco dello stesso colore.
"So già che è bellissimo." Impaziente, Demi cercò di staccare il fiocco ma non ci riuscì, così Dianna dovette tagliarlo con una forbice. La bambina riprese il suo lavoro con mani tremanti e più di una volta rischiò di far cadere il tutto. "Un… una tigre?" chiese, insicura.
Si trattava di un peluche bianco a macchie nere tondeggianti. Non era morbidissimo, ma aveva un pelo liscio e piuttosto folto che la bambina adorò all'istante.
"No, tesoro, è un leopardo delle nevi" le spiegò il suo patrigno. "Sono animali che vivono in un posto molto lontano, nell'Asia centrale, sulle montagne."
“Potrai portarlo anche a letto,” aggiunse Dianna, “non ha cerniere o altre parti magnetiche che potrebbero farti male.”
Gli occhi erano disegnati, si sentivano a malapena in rilievo ed il naso e la bocca erano di stoffa e ricoperti di pelo.
“Non è grande per queste cose?”
“Dallas, ti ricordo che alla tua età tu volevi sempre Debby con te.”
Dianna si riferiva ad una delle sue tante barbie.
“Sì, sì, è vero, ma a otto non era più così” ci tenne a sottolineare.
“Quando Demi avrà otto anni deciderà se giocarci e basta durante il giorno oppure no, va bene?”
Le sue figlie stavano crescendo in fretta con la questione delle audizioni e di quel concorso, anche se a loro piaceva parteciparvi. Dianna, però, non voleva che smettessero di divertirsi o di essere bambine per questo. Dallas ormai era grandicella, preferiva leggere, ma Demi aveva ancora bisogno del gioco ed era giusto che fosse così.
"Leopardo delle nevi" mormorò la piccola, mentre guardava il suo giocattolo con occhi sognanti.
"Esatto. Ti piace?"
Ma lei non stava più ascoltando Eddie o chiunque le avesse posto quella domanda. Sembrava quasi che esistessero solo loro due in quel momento, tutto il resto del mondo era come scomparso. Il nome di quell'animale le piaceva da impazzire. La parola "leopardo" era un po' dura, ma unita a "nevi" diventava più delicata. Demi amava gli animali e adorava la neve, per cui sentì il cuore iniziare a scalpitare nel petto. Non vedeva l'ora di giocare con il nuovo arrivato. Aveva visto dei documentari sugli animali selvatici, in particolare l'elefante, l'orso e la tigre, ma ancora non si rendeva bene conto della pericolosità di questi ultimi e del leopardo stesso. Per lei, come per molti bambini, gli animali erano tutti buoni e dolci.
"Grazie, è bellissimo" disse infine. "Mi piace tantissimo!"
Per colazione tutti mangiarono la torta. Dianna si sforzò il più possibile di farlo e di non ascoltare le voci che udiva ogni volta che era ora di un pasto, quelle dell'anoressia, che le dicevano di non farlo o di vomitare se avesse ingerito qualcosa. Di quella malattia, così come di molto altro, nessuno ancora sapeva. Negli anni, la donna era diventata brava a nascondere ogni cosa e la sua magrezza non era tanto eccessiva da far preoccupare, benché piuttosto evidente. Fece dei respiri profondi e si concentrò sugli occhi lucidi e pieni di meraviglia della sua bambina per cercare di scacciare quelle voci, o almeno di farle tacere per un po'. Sapeva benissimo che avevano ragione loro, che era giusto che mangiasse poco e poi rimettesse se voleva essere perfetta e stare bene, se desiderava avere un po' di controllo sulla propria vita. Ma non le piaceva che il suo modo di essere - perché non si trattava di un problema, questo no, lei l'avrebbe sempre negato - le rovinasse anche i momenti più belli.
"Cosa facciamo oggi?" chiese ad un certo punto Dallas, mentre Dianna tirava un sospiro di sollievo constatando che nessuno si era reso conto di nulla.
"È il compleanno di Demi, decide lei" rispose la donna.
"Niente di che. Vorrei stare a casa a giocare e poi, magari, stasera prendere la pizza o uscire a mangiare al ristorante."
Era mercoledì ma Dianna non lavorava, non lo faceva da tempo. Con Eddie avevano deciso che ci avrebbe pensato lui mentre lei si sarebbe occupata delle bambine. L'uomo era in ferie, quindi nel caso Demi avesse voluto fare qualcosa avrebbero potuto partecipare tutti quanti.
Dopo che ebbero cantato "Tanti Auguri A Te" e terminato di mangiare, mentre Dianna lavava i piatti ed il marito li asciugava per far prima, le due sorelle corsero in camera della più grande. Demi teneva stretto al petto il suo leopardo, ci riusciva benissimo perché non era molto grande.
"Dallas?" domandò, quando furono sedute entrambe sul letto.
"Sì?"
"Secondo te papà mi chiamerà per farmi gli auguri, oggi?"
Gli occhietti le si riempirono di lacrime mentre una sensazione di risucchio le riempiva i polmoni. Era qualcosa di molto strano, che aveva provato poche volte con tante intensità. Era come annegare, soffocare, mentre il respiro si faceva corto e difficile e trattenere le lacrime non era affatto facile.
"Dem, hai gli occhi strani. Vuoi piangere?"
"Non lo so. È che… è che mi ricordo di tre anni fa."
Dallas sapeva benissimo a cosa si riferiva. La mamma e Eddie stavano ancora decidendo se era il momento di andare a vivere insieme o no quando, verso metà agosto, il loro papà biologico aveva chiamato dicendo che avrebbe voluto portare Demi a comprare un regalo il giorno del suo quarto compleanno. La mamma ne era stata felice e anche lei, tanto che quella mattina si era messa il nuovo vestitino che aveva comprato pochi giorni prima, una maglietta ed una gonnellina con le frange, tutto in rosso. Si era pettinata da sola e la mamma le aveva legato i capelli in due codine adorabili. Il papà era arrivato, erano partiti ma lui aveva iniziato a fare domande alla piccola, scoprendo dopo un po' che Dianna stava con un'altra persona. Aveva frenato bruscamente, girato la macchina così forte che a Demi era venuta la nausea ed era tornato indietro a gran velocità, non dicendo più niente per tutto il tragitto mentre lei gli domandava cos'era successo. L'aveva riportata a casa.
"Devo andare" aveva urlato a Dianna tornando in macchina, lanciando uno sguardo iniettato d'odio ad entrambe.
Poi era corso via e Demi era scoppiata a piangere, gettandosi fra le braccia della mamma e raccontandole tutto tra i singhiozzi. Patrick aveva rovinato ogni cosa. Se l'era presa anche se lui e Dianna erano divorziati e, soprattutto, ci aveva fatto andare di mezzo una bambina innocente, sua figlia, di appena quattro anni, che desiderava solo stare con lui e avere un regalo. E lei si era sentita in colpa benché non sapesse ancora definire ciò che aveva provato con queste parole, perché aveva pensato di aver fatto o detto qualcosa di sbagliato, che non avrebbe dovuto raccontare che la mamma stava con Eddie, quell'uomo tanto gentile che le rendeva felici. L'aveva fatto arrabbiare. Ma non aveva mai parlato di tutto ciò a nessuno, nemmeno a Dallas e ancora adesso si odiava per come si era comportata.
Quel 20 agosto di due anni prima Dianna, scioccata, aveva chiamato Eddie in lacrime.
"Porta le bambine a casa mia adesso" le aveva risposto lui. "Darò una festa a Demi!"
E così era stato. Aveva comprato delle barbie, si era messo un cappello in testa e Lisa, un'amica di Dianna, aveva portato una torta. Era stato uno dei più bei gesti che qualcuno avesse mai fatto per tutte loro.
"Non so se papà chiamerà o no, Demi" disse Dallas riportandola al presente. "Ma so che questo compleanno sarà fantastico in ogni caso! Dai, fammi vedere questo leopardo."
Ritrovando il sorriso, la bambina glielo passò.
"È davvero molto carino. Ti attacca!"
Il suo tono cambiò all'improvviso diventando minaccioso, anche se la più piccola sapeva che scherzava. Dallas avvicinò l'animale ai fianchi di lei e le fece il solletico con le sue zampe e la testa, mentre Demi si lasciava cadere all'indietro sul letto e riprendeva a ridere lanciando braccia e gambe in aria.
"Dallas smettila, ti prego, smettila!"
Era bello ma non ne poteva più, stava rimanendo senza fiato e, in tutta onestà, temeva di farsela addosso.
"Okay, okay, mi fermo."
Glielo ridiede e Demi se lo strinse di nuovo al cuore come fosse stata la cosa più importante per lei, poi la sorella le domandò:
"Come lo chiamerai?"
"Pensavo a Sybil. Ti piace?"
L'altra sbuffò e ridacchiò.
"Si può sapere come mai tutti i tuoi giocattoli hanno nomi femminili? L'agnellino si chiama Snow White, il coniglio Camilla, il cane Ariel. Senza contare tutte le altre e le bambole!"
"Ken è un maschio, però."
"Perché il nome era quello e si vede che lo è, altrimenti sarebbe stata una femmina per te, ne sono sicura."
"Mi piacciono di più i nomi femminili, va bene?" sbottò la piccola, mettendo il broncio.
Tuttavia non riusciva mai a rimanere arrabbiata con Dallas per molto tempo e già dopo un minuto le sorrideva. Poco dopo, la più grande la lasciò in modo che potesse giocare, dato che sapeva che la maggior parte delle volte preferiva farlo senza altri intorno.
Rimasta sola, Demi passò qualche minuto ad accarezzare Sybil partendo dalla testa ed arrivando alla coda, proprio come si fa con i gatti.
"Se li tocchi nell'altro verso si infastidiscono" le aveva spiegato una volta la mamma, mentre la bambina stava coccolando quello dei vicini.
Realizzò che quel leopardo, piccolo e snello, doveva essere ancora un cucciolo. Cosa che pensava della maggior parte dei suoi peluche, a meno che non fossero particolarmente grandi.
"Sarò io la tua mamma, adesso" gli sussurrò all'orecchio.
Quand'era più piccola, Demetria si era spesso appoggiata al seno le bambole o i peluche fingendo di dare loro il latte. Un atteggiamento piuttosto strano visto dall'esterno, soprattutto agli occhi di un adulto, ma normalissimo per una bambina della sua età che non faceva niente di male e stava solo giocando. Adesso però era cresciuta e, per quanto le piacessero i peluche, non si comportava più così, per cui fece finta che il leopardo avesse già preso il latte e continuò il suo gioco. Sapeva poco del leopardo delle nevi. Nel pacchetto, oltre al giocattolo aveva trovato anche un piccolo libretto che ne parlava. Iniziò a leggere, incuriosita, tenendolo sempre sulle gambe.
Il suo nome scientifico è panthera uncia. Il leopardo delle nevi, chiamato anche fantasma delle montagne a causa della sua pelliccia, vive sui monti dell'Asia centrale, tra i tremila e i quattromilacinquecento metri, in luoghi con un clima freddo, rocciosi, secchi e pieni di praterie e arbusti. Ha un pelo molto spesso con punti scuri e a macchie piuttosto piccole. Una cosa potrebbe sorprendervi, bambini: possiede una coda davvero lunga, più o meno un metro, che lo aiuta a restare in equilibrio durante la corsa.
"Caspita!" esclamò. "Se ce l’avete così lunga dovete essere proprio enormi."
Demi fu felice che chiunque avesse scritto quel libricino si fosse rivolto ai piccoli e quindi anche a lei. Ormai sapeva distinguere la fantasia dalla realtà, ma in fondo era ancora una bambina e le piaceva farsi prendere la mano e immaginare, anche solo per un po', che quella piccola palla di pelo fosse un vero leopardo delle nevi. Continuò a leggere. Il libro diceva che l'animale era minacciato in modo particolare dall'uomo, soprattutto dai pastori locali che lo uccidevano perché mangiava le loro pecore e che, oltreché di queste, il felino si nutriva anche di capre, l'argali e la pecora blu. Come Demi si aspettava, cacciava in particolar modo di notte. Guardò le illustrazioni che accompagnavano quasi ogni pagina, raffiguranti il leopardo in diverse posizioni, una mamma con i suoi cuccioli e molto altro. Essendo un libro per bambini non c'erano scene cruente, non si vedevano foto di momenti di caccia o di animali feriti. Per quanto quell'animale la affascinasse e non vedesse l'ora di scoprire altro, alla bambina dispiaceva che, a causa sua e di altri predatori, molte altre bestie morissero. Non era ancora abbastanza matura per capire che la natura funziona in questo modo e che è giusto così, e poi era umana e ragionava come tale, con le emozioni oltreché con la testa.
"Ti va di giocare un po', Sybil?" Attese una risposta che, com'era ovvio, non arrivò ma lei, viaggiando con la fantasia, la sentì. Immaginò di conoscere la lingua di quell'animale come di ogni altra creatura. "Sì? D'accordo, perché va anche a me."
Si sedette sul parquet, con la schiena appoggiata al bordo del letto ed iniziò a far correre il leopardo per terra, prima piano e poi più forte. Le zampe producevano un rumore molto ovattato, proprio come se si fosse trattato di un animale vero con il passo felpato dei felini.
Sybil si trovava in Asia centrale, su un'altissima montagna dalla quale, guardando in basso, si potevano vedere altri monti che si estendevano all'infinito e, volgendo lo sguardo all'insù, un cielo tanto azzurro e sereno da togliere il respiro. Aveva appena nevicato e venti centimetri di quella coltre bianca ricoprivano il terreno. Un pallido sole tentava di illuminare quella giornata mentre Sybil camminava piano. Non sentiva freddo: la pelliccia la aiutava a tenersi calda, anche se ogni tanto le folate di vento le davano fastidio. Era accanto a Demi, la sua mamma - in quei momenti la piccola credeva di essere lei stessa quell’animale - che la sorvegliava mentre lei giocava felice. Annusava il terreno, poi correva, scavava nella neve e riprendeva la corsa, salvo inciampare e rischiare di ruzzolare a terra. Ma grazie al suo equilibrio, non perfetto ma già buono, riusciva sempre a rimanere in piedi. Ovvio era che Demi non sapesse se l'Asia centrale era così, né come fosse scandita con esattezza la vita di un leopardo delle nevi o che età potesse avere Sybil, perciò lasciava che la sua fantasia viaggiasse a briglie sciolte come fa quella di ogni bambino.
 
 
 
"Non portare il leopardo a tavola, Demi. Mettilo nel cesto dei giocattoli e mangia" le ordinò la madre, che glielo ripeteva per la seconda o forse terza volta.
"Ma mamma, è mio, anzi, mia!" esclamava la piccola che, quando si fissava su una cosa, faticava a cambiare idea.
"E nessuno te la porterà via, ma mentre mangiamo non voglio sul tavolo nessun oggetto che non siano piatti, bicchieri e posate, lo sai. Avanti."
Demi sospirò tra sé e ubbidì, salutando Sybil con qualche carezza.
"Torno dopo, piccola. Tu intanto fai la nanna" bisbigliò.
Le ricavò un po' di spazio tra una bambola e il peluche di una tigre siberiana sperando che facesse amicizia almeno con la seconda e magari con qualche altro giocattolo, poi corse in cucina. Dato che la sera avrebbero preso la pizza, il pranzo fu leggero. Consisteva in pollo cotto al vapore e patate lesse. Non certo uno dei cibi preferiti dai bambini, ma sano e nutriente. La mamma aveva anche cotto delle lenticchie che distribuì ad ognuno. Demi le apprezzò tantissimo, era un cibo che faceva bene ma allo stesso tempo gustoso.
"Sei proprio sicura di voler rimanere a casa oggi pomeriggio?" le domandò Eddie. "Non c'è niente che vorresti fare?"
"Solo giocare con Sybil e leggere un altro po' il libro" rispose, con un sorriso sereno, ma poi rifletté. "Forse mi piacerebbe passeggiare."
Il sole splendeva alto nel cielo, faceva caldo ma tirava comunque un venticello che, seppur non fresco, aiutava a non soffocare.
"D'accordo" continuò la mamma. "Ci andremo verso sera, quando si starà meglio."
La donna si riempì il piatto di verdure ed un solo pezzo, molto piccolo, di carne.
"Non mangiare, non mangiare, non mangiare" continuavano a ripeterle le voci. "Non devi ingerire quella roba, hai capito? Ingrasserai, non sarai più una madre ed una moglie perfetta, non lo sarai nemmeno come donna. Farai schifo, sarai grassa e lo vedranno tutti. Pensi che Eddie ti guarderà allo stesso modo, allora? Te lo dico io, no! Ti odierà e potrai incolpare solo te stessa. E anche le tue figlie non ti sopporteranno più."
Le voci spesso erano maligne,, ma c'erano delle volte come quella nelle quali a Dianna parevano dei serpenti che si insinuavano inlei e rilasciavano tutto il loro veleno, un qualcosa che le penetrava con violenza il cuore e l'anima e che la consumava giorno dopo giorno e che allo stesso tempo le faceva capire che se si comportava come esse dicevano, sarebbe stato tutto perfetto.
"Sì," stava dicendo Demi, "con Pam e Gina non è sempre facile, ma ce la stiamo facendo."
Avevano deciso già da tempo di partecipare al "Cinderella", un concorso di bellezza per bambine e ragazzine che quell'anno si sarebbe tenuto in autunno. Da molti mesi lei e Dallas si allenavano ogni giorno, dopo la scuola, con l'aiuto di Gina e Pam, due cugine della mamma che vi avevano preso parte da piccole. Anche la loro madre Jan dava una mano e la sua esperienza era preziosa. Demetria aveva imparato che partecipare a quel concorso non voleva solo dire indossare bei vestiti, ma anche dover camminare come delle modelle, avere qualche talento per esempio nel ballo o nel canto e Pam aveva inoltre detto che ci volevano anche qualità come fiducia in se stessi, umiltà e carattere. Le partecipanti al concorso avrebbero dovuto mostrare il proprio talento, qualunque fosse, in meno di tre minuti o sarebbero state squalificate, queste erano le regole. Nei mesi passati le due bambine avevano imparato varie tecniche per riuscire a camminare bene ma non solo, comprato diversi outfit e molto, molto altro. Era stato un lavoro duro e ancora adesso si stavano allenando, dato che il concorso si sarebbe tenuto a settembre.
Dianna ascoltava le figlie parlare entusiaste di come Pam e Gina fossero brave, delle insegnanti fantastiche che erano, ma la sua mente era fissa su un unico pensiero: correre a vomitare subito. Doveva gettare quel cibo fuori dal suo sistema.
"Scusate un momento" mormorò e si diresse in bagno a passo lento, tranquilla, in modo che nessuno notasse niente anche se le costò uno sforzo immane.
Chiusasi la porta alle spalle, guardò il suo riflesso nello specchio. Una donna stanca, pallida, con due pesanti occhiaie e davvero troppo grassa la osservava con sguardo triste. Odiava se stessa e quel corpo e la tentazione di spaccare lo specchio fu forte. In realtà Dianna era molto magra, quasi troppo a dire il vero, ma cercava di vestirsi tanto in modo da non farlo notare. Quando c’era Eddie di solito si imponeva di non crollare e di mangiare tutto, mentre in presenza delle figlie mangiava verdure e qualche panino al formaggio che poi, spesso, buttava fuori. Tanto loro non se ne accorgevano o, se lo facevano, lei rispondeva che non si sentiva male e che era solo stanca o inventava scuse simili. Non aveva capito che quel comportamento alimentare sbagliato stava già influendo su entrambe, soprattutto su Demi. Dopo essersi infilata due dita in gola fece uscire tutto, non fu difficile dato che aveva appena mangiato anche se dovette andare un po’ in profondità. Le venne un conato a causa del saporaccio che le riempì la bocca, ma si riprese presto. Si lavò i denti e la faccia, si pesò e uscì. Non era dimagrita negli ultimi giorni, ma almeno aveva vomitato e non aveva messo su peso. Tutto andava bene, benissimo, o almeno sarebbe stato così fino a cena. Le voci sparirono all'istante e la donna tirò un lungo sospiro di sollievo.
 
 
 
Dopo pranzo tutti si riposarono, poi bevvero un tè e, verso le sedici, partirono. Faceva ancora un po’ troppo caldo, ma le bambine avevano voglia di uscire e prendere aria. Demi avrebbe voluto portare Sybil con loro durante la passeggiata, ma i genitori non glielo permisero così la lasciò a casa, sul letto. I quattro, assieme a Buddy, andarono fuori città e si inoltrarono nel bosco dove trovarono un po' di frescura. Mentre camminava fra le piante, ascoltando ogni tanto il cinguettio di qualche uccellino coraggioso che, a quanto pareva, non aveva paura di loro, la bambina sentiva nell'aria profumo di resina, terra e foglie bagnate dalla pioggia del giorno precedente e di molto altro che non riuscì a definire.
"Gli animali dove sono? Si nascondono?" chiese a Eddie.
Le sarebbe piaciuto vedere una lepre o uno scoiattolo, ma ormai aveva capito che sarebbe stato quasi impossibile.
"Sì, alcuni come il gufo o la civetta escono solo di notte, altri stanno nascosti perché non sono abituati a vedere gente e hanno paura."
La bambina pensò al giorno in cui, qualche anno prima, era venuta nel bosco d'inverno con i genitori, l'amico Andrew e la sua famiglia. Era nevicato abbastanza, per terra c'erano forse sette o otto centimetri di neve ma nel bosco, piuttosto fitto e in cui ne cadeva un po' di meno a causa delle piante, quattro o poco più. In ogni caso a lei e a Carlie, la sorellina di Andrew, era sembrato di vedere un cucciolo di renna lì davanti a loro. Quando aveva capito che era stata solo una fantasia ci era rimasta male, era sembrato tutto così reale! Ma poi Dallas le aveva regalato un cucciolo di renna di peluche, che aveva ancora e che adorava. L'aveva chiamato Snowflake. Ridacchiò.
Ma davvero ho pensato che fosse vera e non solo la mia immaginazione?
Intorno a loro c'era silenzio, uno di quelli che ti invitano a riflettere e a fare pensieri profondi, di cui ogni tanto hai bisogno per ricaricarti o anche solo per allontanarti dal traffico cittadino di cui, tra l'altro, Los Angeles era piena. Ma a Demi non veniva in mente nulla di particolare, così si godette la passeggiata e il rumore delle scarpe che scricchiolavano pestando aghi di pino. Buddy, intanto, annusava l’aria, poi il terreno attirato da chissà quanti odori diversi. Abbaiò un paio di volte sentendo qualcosa che i padroni non furono in grado di udire e tirò forte il guinzaglio che Eddie teneva saldamente.
“No, Buddy, ti perderemmo se ti lasciassimo andare” provò a spiegargli, pur consapevole che l’animale non avrebbe compreso.
Dianna non si stava divertendo tanto come gli altri. Anche se andava spesso fuori casa, ciò non significava che le facese sempre piacere. Spesso, come in quel caso, non ne avrebbe avuto voglia e le sarebbe piaciuto tanto mettersi a letto e rimanere lì, come se quella fosse stata l’unica cosa che il suo corpo stanco riuscisse a fare. Ma non era solo il fisico a risentire di quella stanchezza, soprattutto la mente soffriva. Non era una brava mamma, né una buona fidanzata. Non riusciva mai ad essere perfetta in niente e ciò la faceva sentire un fallimento totale.
Finita la passeggiata tornarono verso casa ma, prima di rientrare, si diressero in una gelateria che produceva gelato artigianale e lo mangiarono con gusto. Dianna prese solo una pallina alla menta, Eddie una alla nocciola, Dallas un cono fragola e cioccolato e Demi una coppa di cioccolato, bacio e panna montata. Disse al gelataio che era il suo compleanno e questi aggiunse al suo gelato due biscotti, che poi mise anche a Dallas per correttezza. Era più grande, certo, ma non voleva fare torti a nessuno.
La sera presero la pizza come promesso e poi si godettero un’altra fetta di torta. Insomma, per Demi quello fu un compleanno molto semplice, passato in famiglia e non festeggiato con i compagni di scuola perché non aveva legato con nessuno e non le era sembrato il caso di invitarli, ma le era piaciuto da impazzire. Aveva ricevuto un regalo bellissimo fatto da tutti, era andata a passeggiare nel bosco e non c'era stato un momento in cui il sorriso fosse scomparso dal suo viso.
Patrick chiamò quando avevano appena finito di cenare. Rispose Dianna che, per un momento, si irrigidì. Eddie le fu subito accanto. Non voleva intromettersi, ma desiderava capire se la stesse insultando come spesso faceva o cos'altro. Non riuscì a sentire nulla, ma fu sollevato nel vedere che le spalle e il viso della sua fidanzata si stavano rilassando.
"Demi, è papà. Ti vuole."
La bambina si precipitò al telefono e quasi lo strappò di mano alla mamma.
"Pronto?" chiese, quasi urlandolo.
Alla fine il papà le aveva telefonato, non si era dimenticato di lei. Il cuore prese a martellarle nel petto per l'emozione. Aveva fatto tante cose brutte, ingiustificabili, la mamma e loro avevano sofferto per colpa sua, ma era pur sempre il papà e questo non sarebbe mai cambiato.
"Ciao, Demi" rispose l'uomo, allegro.
Lei non poté fare a meno di domandarsi se parlasse così perché era felice di parlarle o perché era ubriaco, dato che a volte gli aveva sentito usare quel tono nei rari momenti in cui, dopo aver bevuto, non era arrabbiato.
"Ciao, papà. Come stai?"
"Bene, grazie. Tu?"
"Bene, mi sto allenando per andare al concorso di bellezza "Cinderella" e tra un po' ricomincerà la scuola."
"Ah, sì? Bene, buona fortuna."
Non c'era molto entusiasmo nel suo tono, ma non sembrava contrariato dal fatto che lei sarebbe andata a quel concorso.
"Tu invece che fai?"
"Bah, niente. Lavoro, poi ogni tanto perdo il posto e mi tocca cercarne un altro."
Fantastico pensò la bambina con un sospiro.
Ma perché si comportava così? In ogni caso aveva sentito dire alla mamma che le stava pagando gli alimenti, anche se non sapeva cosa volesse dire, per cui doveva comunque avere dei soldi o un posto più stabile. Non gli chiese altro a riguardo. Il silenzio tra loro, però, cominciava a prolungarsi. Demi avrebbe voluto parlargli del regalo che aveva ricevuto, ma temeva che papà avrebbe fatto qualche commento negativo su Eddie.
"Vai bene a scuola?" le chiese Patrick, che non sapeva come proseguire.
"Sì, abbastanza. Do il meglio di me."
"Perfetto, continua così. Adesso devo andare, Demi. Ti voglio bene!"
"Mi saluti già?"
"Sì. Scusami, ho da fare."
"Ma abbiamo appena cominciato a parlare!" insistette la piccola.
Era sicura che Patrick le volesse bene o non avrebbe chiamato, ma era parso un po' distante durante la conversazione. Se avessero continuato a parlare, tuttavia, magari avrebbero trovato qualcosa di cui discutere.
"Ho degli amici che stanno per arrivare, scusami. Ti voglio bene" le ripeté.
"Anch'io, papà."
L'uomo mise giù il telefono senza dare il tempo alla figlia di chiedergli quando si sarebbero sentiti di nuovo, o di salutarlo meglio e lei, rimettendo a posto la cornetta, non parlò più. Gli occhi le si riempirono di lacrime.
Dianna le era stata vicino dall'inizio alla fine, per paura che Patrick dicesse qualcosa di sbagliato.
"Piccola, ascolta. Lui ti vuole bene, lo sai, ma magari stasera non si sentiva molto in forma…"
O forse era pieno di alcol da far schifo, fatto, o con una donna o chissà cosa pensò la sorella più grande, che si guardò bene dal dirlo per non far stare peggio la sorella.
La mamma stava con Eddie, lui aveva tutto il diritto di iniziare una nuova storia, ma se era quella la ragione per cui aveva messo giù tanto in fretta preferendo la sua compagna alla figlia, beh, Dallas non poteva accettarlo. Si era comportato così anche con lei, a febbraio, quando l'aveva chiamata il giorno del compleanno.
“Da stronzo” mormorò fra i denti.
"Lo so,” stava intanto dicendo Demetria in risposta alla mamma, “ma noi non gli abbiamo fatto niente e lui è sempre così strano! O forse è colpa nostra?"
Sì, magari lo era. Anzi, di sicuro Dallas non c'entrava niente e l'unica colpevole era lei. Senza aspettare risposta, Demi corse di sopra e sbatté la porta con tutta la forza che aveva. Si gettò poi sul letto ed affondò il volto nel cuscino, inondandolo di lacrime calde e amare. Le faceva male tutto ma soprattutto le dolevano la testa e il petto. Se li sentiva stretti da una corda invisibile che tirava e tirava sempre più per schiacciarla. Tutti i muscoli erano in tensione, quasi che avesse dovuto saltare su da un momento all'altro per nascondersi o scappare. Era felice di aver parlato con il padre, che l'avesse chiamata, che si fosse interessato almeno un po'. Del resto, non era stato sempre e solo pauroso, ma anche affettuoso e gentile con lei e Dallas, benché non tanto presente. Le aveva detto che le voleva bene e due volte, il che non succedeva spesso. Ma per il resto si era comportato con un certo distacco, aveva fatto qualche domanda così, a caso, chiedendo cose basilari e banali ed era stata questa freddezza a farle più male, oltre alla breve durata della telefonata. Che cos'aveva fatto per ricevere questo da lui? Gli aveva risposto male in precedenza? Era stata cattiva? No, o almeno non che ricordasse. Cercava sempre di essere buona e brava come le era stato insegnato, andava bene a scuola anche se ogni tanto prendeva voti non proprio fantastici, ma capitava a tutti, giusto? E poi si impegnava sempre, anche nelle materie che le piacevano di meno. Era molto brava a cantare e lo sapeva già da tempo e pensava di essere una brava figlia. Sotto questo punto di vista non c'era niente in lei che non andasse, o almeno così sperava. Allora perché? Un movimento alla sua destra la fece voltare. Sybil si trovava a sinistra, sul cuscino, ma era un peluche e non poteva muoversi per quanto lei, nei suoi giochi, immaginasse che era un essere vivente.
"Buddy" mormorò, la voce arrochita dal pianto e dal nodo che le stringeva la gola.
Il cane le leccò la faccia facendola ridere, poi si sdraiò accanto a lei e chiese attenzioni. Demi prese ad accarezzargli la testa e la schiena, gli fece i grattini e cercò di rilassarsi. Nonostante le sue zampe facessero rumore, non si era proprio accorta che fosse entrato quando aveva chiuso la porta. Era stato un bene, perché adesso aveva proprio bisogno di qualcuno che le rimanesse accanto senza chiederle come stava o porle altre domande. Il cane uggiolò qualche volta, di sicuro avvertiva la tristezza della padroncina.
"Non preoccuparti, Buddy. Sto già molto meglio" lo rassicurò e gli sorrise. "Ed è solo grazie a te. Ti ringrazio per essere venuto a farmi compagnia."
Era vero, si sentiva un po' meno male ed era grata al suo animaletto, ma con quelle parole desiderava non solo aiutare se stessa. Anche Buddy, infatti, aveva bisogno di sentirsi più tranquillo, di sapere che ora la situazione stava migliorando. Il cane smise di agitare la coda e di batterla con forza sul letto e parve calmarsi, la sua respirazione si regolarizzò e si appisolò nel giro di qualche minuto. La bambina, invece, per quanto più calma non riusciva a smettere di piangere. Il padre le aveva fatto troppo male, riaprendo ancora una volta ferite slabbrate che non riuscivano mai a rimarginarsi, dato che con lui una volta sembrava che andasse tutto bene e che il loro rapporto sarebbe potuto migliorare e quella dopo la piccola si rendeva conto che era stata solo un'illusione. Ad un occhio esterno potevano sembrare ragionamenti troppo maturi per una bambina di soli sette anni, ma Demi ne aveva viste tante in passato, aveva capito che la mamma non sempre stava bene nemmeno ora e ricordava che più di una volta, anche se aveva appena tre anni, dopo le litigate dei genitori lei e Dallas erano state raggiunte dalla madre che aveva finto che andasse tutto bene. La più grande allora le aveva domandato:
"Ti ha picchiata?"
A volte lei aveva negato, perché era la verità, non sempre l'aveva colpita anzi, erano state più le volte in cui aveva preferito insultarla o ridicolizzarla. Altre, però, si era messa a fissare il vuoto mentre un silenzio tombale era calato nella stanza. E allora anche Demi, nonostante fosse molto piccola, aveva capito. Poche volte aveva visto segni evidenti sulla mamma, a parte il suo dito rovinato dopo essere stato staccato in quel terribile incidente quando lei non era ancora nata, ma solo perché il marito raramente aveva colpito Dianna in viso.
Tremò e strinse più forte a sé Sybil che, ormai se n'era resa conto, sarebbe stata una fedelissima compagna. Avrebbe potuto non solo giocarci, ma anche immergere il viso nel suo pelo e piangere. Quel leopardo delle nevi non l'avrebbe mai lasciata sola. Come a Buddy, anche a lei avrebbe potuto dire tutto senza timore di essere giudicata o che i suoi sentimenti, in particolare le paure, fossero minimizzati.
Una serie di lievi colpi alla porta la distrasse.
"Demi? Demi, sono la mamma, posso entrare?"
La voce di Dianna era dolce e la bambina decise di non farla aspettare tanto. Doveva essere preoccupatra per lei così si alzò ed aprì, tenendo sempre in braccio Sybil e con gli occhi ancora umidi.
"Ciao" la salutò, dopo essersi schiarita la voce.
"Ciao. Credevo avrei dovuto insistere di più. Se non sono venuta prima è perché pensavo che avresti voluto stare un po' da sola."
"Sì, esatto."
"Mi dispiace per quello che è successo stasera. Papà si è comportato molto male, lo so."
Dianna si accomodò ai piedi del letto e la figlia la raggiunse, sedendosi sulle sue gambe.
"Cosa gli ho fatto? Cosa gli abbiamo fatto io e Dallas?"
Voleva saperlo, se era stata cattiva si sarebbe comportata meglio da ora in avanti.
"Niente. Non avete fatto nulla, okay? Non siete state cattive né altro” cercò di farle capire con dolcezza. “È che lui… non sta bene e a volte si comporta così e non è molto presente, ma non succede sempre. So che non è un papà perfetto e che le cose tra me e lui sono andate male, ma lui ci sta provando, okay? Quando tu e Dallas lo vedete è perché sta meglio, non beve, non si droga. Si sta sforzando almeno un po'."
"Proprio poco, secondo me" commentò la piccola.
Demi non domandò alla mamma se sapesse per davvero che il padre non faceva più quelle cose o se fosse solo un modo per aiutarla a sentirsi meglio, in parte nemmeno le interessava, tanto ormai il suo cuore si era spezzato di nuovo. Dal proprio canto Dianna sapeva solo una cosa: non avrebbe mai lasciato che Patrick vedesse le figlie se in qualche modo le avesse messe in pericolo, per cui se ogni tanto come da accordi del divorzio glielo permetteva, accadeva perché era sicura che stesse facendo progressi. A volte di sicuro si ubriacava ancora o si drogava, infatti il giorno dopo avrebbe chiamato il suo avvocato per raccontargli l'episodio di quella sera e capire come comportarsi con Patrick e le visite, perché non voleva che le bambine ci andassero di mezzo. Era già successo, purtroppo. Allora la donna non ragionava ancora in questi termini, ma molti anni dopo, anche grazie alle terapie alle quali si sarebbe sottoposta per curare i suoi problemi, si sarebbe resa conto che probabilmente il marito soffriva di qualche malattia mentale, forse disturbo post traumatico da stress e disturbo bipolare. Nel periodo in cui stava con lui, con il Pat - come l’aveva chiamato spesso - che si era trasformato da persona dolce a violenta, le parole "malattia mentale" erano riferite solo alle persone psicotiche che dovevano essere chiuse in una clinica perché rappresentavano un pericolo per se stesse o per gli altri e di queste cose non si parlava.
Dianna non seppe cos'altro rispondere alla figlia, non parlavano un granché di quanto accaduto né di cose profonde in generale. Cresciuta in una famiglia in cui questo, di certo, non avveniva, Dianna aveva continuato così anche con le sue figlie che, difatti, erano molto chiuse in se stesse. Ma sotto la superficie, ognuna aveva i propri demoni che lasciavano ferite invisibili o comunque nascoste. Aveva fatto lo stesso discorso con Dallas, prima, e la ragazzina era scoppiata a piangere dicendo che non sapeva cosa provava per lui, lo amava ma lo odiava e Dianna era rimasta senza parole.
Madre e figlia si abbracciarono e rimasero immobili e strette per minuti interi. Demi appoggiò la testa sulla spalla della mamma e si lasciò cullare dal leggero dondolio del suo corpo, mentre inspirava il profumo dello shampoo al lampone dei suoi capelli, lo stesso che usavano lei e Dallas.
"Sto meglio adesso, grazie" mormorò ad un tratto la bambina.
Le coccole le avevano fatto bene, ma in ogni caso nulla avrebbe potuto cambiare ciò che era successo, né mandar via del tutto la tristezza del suo cuore.
"Sei sicura?"
"Sì, non preoccuparti."
Scesero insieme e Demetria salutò tutti prima di andare a letto. Eddie fu sollevato di vederla un po' più su di morale, anche se sia in lui che in Dianna la preoccupazione restava. Demi non lo diceva, ma superare dolori del genere non era facile soprattutto perché, a causa del comportamento mutabile di Patrick, non ci riusciva mai del tutto e lo stesso valeva per Dallas che, muta, la abbracciò e poi andò a letto. Per quanto Dianna lo immaginasse, decise che forse non parlarne più sarebbe stato meglio, avrebbe aiutato le figlie a lasciarselo prima alle spalle. Non si rendeva conto del fatto che sfogarsi, in situazioni del genere, è molto importante e che, come mamma, avrebbe dovuto incoraggiarle ad aprirsi con lei.
Dallas raggiunse Demi poco prima che la bambina entrasse in camera.
"Stai meglio sul serio?"
Era serissima e la guardò intensamente. La più piccola ricambiò.
"Credo di sì" sussurrò, incerta.
"Ha fatto così anche con me e anch'io ci sono stata male mesi fa e anche stasera. Mi ha fatta incazzare!” sbottò. “Ma lo sai com'è. Non è giusto ma non possiamo farci molto. E comunque non è colpa nostra, io l'ho capito anche se mi ci è voluto tempo."
Demi annuì.
"Lo so, grazie. Sono stanca adesso."
Non aveva più voglia di parlare di nulla. Era stato un bel compleanno e desiderava ricordare i momenti felici e provare a scacciare quel triste fine giornata, anche se sapeva che sarebbe stato impossibile.
"Va bene, ti lascio dormire. Ma se hai bisogno, sono qui. Buonanotte."
"Notte."
Si diedero il cinque, poi la più piccola si ritirò. Sdraiata a letto, con Buddy alla sua destra e Sybil sul petto, pregò che i giorni seguenti sarebbero stati migliori.
"Non voglio stare ancora male, Signore. Perciò ti prego, aiutami, se puoi, a sentirmi bene e fa’ lo stesso con Dallas, stasera era triste. Sia fatta la tua volontà." Dopodiché recitò alcune preghiere. "Amen" concluse alla fine, dopo il segno della croce.
 
 
 
Nel frattempo, anche Dallas si era messa a letto. Strinse forte i pugni fin quasi a conficcarsi le unghie nella carne e lasciò alcuni segni sulla sua pelle. Dio, quanto la faceva incazzare quell'uomo. Era già successo in passato, ma più accadeva più lei iniziava a non poterne più. Non era giusto che prima fosse gentile con loro e poi prima fosse carino e dolce e poi le liquidasse con due parole in croce. Cos'erano, burattini che pensava di poter muovere a piacimento per poi gettarli da una parte e riprenderli quando ne aveva voglia? Ad undici anni e mezzo, Dallas era entrata da un po' nell'adolescenza ed iniziava a provare sentimenti contrastanti per il padre, amore e odio in particolare, e con molta più intensità di Demi che, essendo più piccola, non poteva fare certi ragionamenti. Le dispiaceva pensare quelle cose di Patrick, era sempre suo papà in fin dei conti e non credeva davvero che lui le trattasse come marionette, ma a volte provava la sensazione di non essere rispettata da lui, che non pareva curarsi di quanto male faceva a lei e alla sorella con brevi telefonate nelle quali poneva solo poche domande. Non era sempre così, per fortuna, perché c'erano altri momenti nei quali si interessava molto alla loro vita, a come stavano, a quello che facevano, alle loro passioni. Tuttavia la negatività non spariva mai del tutto, ritornava sempre come il cattivo tempo che intervalla le belle e soleggiate giornate di primavera.
"Sono incazzata. Incazzata nera, porca troia, e da morire!"
In Dallas albergava una grande rabbia che, ad ogni delusione data dal padre, aumentava a dismisura, come un vulcano che si riempie sempre più di lava prima dell'eruzione. Ma lei non la sfogava mai. L'unica cosa che aveva ricominciato a fare, perché le piaceva ed anche per stare meglio, era cantare. Infatti quell'anno al "Cinderella" avrebbe cantato anche lei. Mesi prima aveva stupito tutti con quella rivelazione, poi aveva fatto sentire "Somewhere Over The Rainbow" di Judy Garland e la mamma, la sorella, Pam, Gina e la loro madre Jan si erano alzate in piedi di scatto e l'avevano applaudita facendole i complimenti. Erano anni che Dallas non cantava. L'aveva fatto solo quando era piccola. La mamma aveva trovato lavoro come cantante in una band, i White Buffalo. Nel 1991 la bambina, assieme a Dianna, al papà e agli altri componenti era andata in tour. Ad un certo punto, una sera, aveva cominciato a ballare e nei mesi successivi a saltare sul palco anche per cantare. Tutti la adoravano. Ma poi aveva smesso, non sapeva nemmeno lei perché. Forse a causa di tutto quello che aveva visto fare al padre nel corso del tempo, non lo sapeva. Ricordava poco di quel periodo. Dopo alcuni mesi dall'inizio del tour il papà aveva cominciato a bere tanto whiskey, a dormire spesso e lui e la mamma litigavano, poi ad un certo punto Dianna non ne aveva potuto più dicendo di voler andare a casa. Gli altri membri, dopo un po', l'avevano seguita perché molti si erano resi conto del comportamento irresponsabile di Pat. E così tutti avevano perso il lavoro e, una volta a casa, le cose erano andate peggio.
Adesso, comunque, era tutto passato. Il papà si comportava ancora male, certo, ma lei aveva la mamma, Eddie e un cagnolino meraviglioso, e chissà che un giorno non fosse arrivato anche un altro bambino. Quel pensiero la fece sorridere. Da quando aveva ripreso a cantare era come se dentro di lei si fosse risvegliato un gigante che era rimasto dormiente per anni, la sua voce scalpitava con forza per uscire e tutto ciò la rendeva felice.
Si alzò in piedi e provò la sua canzone, non mettendo potenza per non svegliare nessuno, in modo da esercitarsi prima di dormire. Scaricò la tensione, la rabbia e sentì che il dolore stava un po' scemando, per cui quando si rimise a letto si sentì più leggera. Si addormentò dopo poco.
 
 
 
Demi si svegliò di soprassalto, sudata e con il cuore in tumulto. Balzò in piedi e la sua testa vorticò, ma non si risedette. Dov'era finita? Le pareva di averla messa nel letto ma non c'era. Guardò sul comodino, per terra, usò anche il tatto ma niente, poi ritornò sul materasso e frugò fra le coperte.
"Sybil!" esclamò infine. "Avevo paura di non trovarti più."
Trasse un gran sospiro e si rimise sotto il lenzuolo leggero, riaddormentandosi con il leopardo stretto al petto e il cane vicino ai piedi.
Il giorno dopo, aprì gli occhi a causa di uno spiraglio di luce che faceva capolino da sotto le imposte. Gli uccellini cinguettavano allegri, riusciva a sentirli persino con le finestre chiuse e sopra il traffico, forse alcuni erano sul tetto. Si tolse le coperte di dosso, aprì braccia e gambe e rimase in quella posizione per qualche secondo. Era un modo che, da un po', aveva trovato per rilassarsi, una cosa che faceva quando era da sola o, al massimo, in presenza di Buddy. Di sicuro la mamma l'avrebbe sgridata e Dallas presa in giro, e ragione, non era una bella posizione per una signorina. Sbadigliò e infine si decise ad alzarsi. Scoprì, guardando la sveglia, che erano le nove.
Wow pensò, credevo fosse più tardi.
Scelse di restare in pigiama, tanto non sarebbe uscita e scese in cucina. Dianna la accolse con un sorriso un po' stanco e le disse, come al solito, di aver già fatto colazione. Si alzava sempre alle quattro, o un po' più tardi se era a casa dal lavoro anche se non sempre, si vestiva, pettinava, a volte truccava nonostante non dovesse uscire, poi puliva un po' facendo il minimo rumore e, quando era ora di colazione, mangiava qualcosa di leggero per poi vomitarlo, la maggior parte delle volte, perché le voci iniziavano a tormentarla. Non riusciva mai a stare tranquilla, a rimanere a letto senza pensare a niente, la sua testa le faceva credere di dover avere il costante controllo su ogni singolo aspetto della propria vita, fisico e casa compresi, ma soprattutto il primo.
"Mi fai compagnia mentre mangio?" le chiese la piccola.
"Ma certo. Come hai dormito stanotte?"
"Molto bene, grazie. Con Buddy e Sybil."
"Ah sì? Allora hai avuto buona compagnia."
"Già. Posso avere un panino con burro d'arachidi e un po' di succo di frutta, per favore?"
"Arrivano subito, intanto lavati la faccia e siediti."
La piccola non ci mise molto per fare colazione e, mentre mangiava, allungò sotto il tavolo un pezzetto di panino a Buddy che era venuto a mendicare. Tutte gli davano qualcosa ogni tanto, Eddie invece mai.
"Hai le crocchette, mangia quelle. E ogni tanto puoi avere uno dei tuoi biscotti, per cui fattelo bastare" gli ordinava in tono un po' burbero.
Faceva il duro, ma in realtà la compagna e le figlie sapevano che gli voleva bene. Quando anche lui si alzò, il cane gli corse incontro e i due si misero a fare la lotta sul tappeto, anche se Eddie ci andava piano perché non si trattava di un animale grande ma pur sempre di un Cocker Spaniel. In ogni caso, quella bestiola aveva una forza non indifferente soprattutto quando mordeva. Gli fece male un paio di volte, ma nulla di serio perché sapeva che stava giocando e quando fermarsi.
"Lo porto a fare due passi" disse Eddie alla moglie quando lui e Buddy si furono ripresi.
"Va bene, a dopo."
Il cane iniziò ad abbaiare e a saltare nel momento in cui vide che il padrone prendeva il guinzaglio ed iniziava ad infilarglielo.
"Sì, sì, ora andiamo. Fa' piano, Dallas sta ancora dormendo."
Mentre Dianna sistemava accanto al lavello i piatti e le tazze già usati per la colazione aspettando quelli di Dallas per poterli lavare, Demi sedeva sul divano con Sybil sulle gambe. Pareva proprio che non riuscisse a separarsene tanto che aveva lasciato da parte gli altri giochi, almeno per il momento. La accarezzava come se si fosse trattato di un gattino vero, non di peluche, e la osservava da vicino. Alcune macchie sul suo pelo erano più spesse rispetto ad altre e l'occhio destro era leggermente più piccolo del sinistro. Si trattava di dettagli insignificanti, ma notandoli le sembrava di conoscere meglio quella sua nuova amica. Passò circa mezzora a coccolarla, a farle i grattini come al cane e a pensare che lei, in qualche modo, dovesse sentirli e goderne, prima che Dallas si decidesse ad alzarsi.
"Cazzo stai facendo?" chiese senza salutare la sorellina.
"Dallas, il linguaggio!"
L'esclamazione di Dianna la fece voltare per un attimo verso la cucina.
"Scusa, mamma."
Demi le rivolse uno sguardo offeso.
"Gioco, è vietato?"
"No, ma sembri guardare quel leopardo delle nevi come se fosse Dio sceso in Terra, un po' come fai con Zoe."
Si trattava della bambola preferita di Demi, che la bambina lasciava spesso seduta sopra la scrivania dicendo che la sua amica la aiutava a concentrarsi quando studiava e le teneva compagnia. Avrebbe dovuto presentarle Sybil, si disse.
La più grande andò a fare colazione, poi tornò.
"Tu non giocavi così, da piccola?"
Demetria era decisa a non lasciar cadere l'argomento. Non lo domandò perché pensava di star sbagliando qualcosa, era solo curiosità.
"Ehm, sì, credo di sì, ma adesso che sono più grande mi sembra strano."
"Perché?"
Dallas avrebbe voluto rispondere, ma il campanello suonò ed entrambe volsero i loro occhi alla porta.
Dianna andò ad aprire e vide che, oltre al fatto che erano tornati Eddie e Buddy, Andrew e Carlie stavano arrivando. Tenne loro la porta aperta e li accolse con un abbraccio ed un gran sorriso. I bambini, di tredici anni lui e quasi sette lei, erano i figli di Frank e Joyce, loro vicini di casa e amici da sempre.
"Andrew!" esclamò Demi scattando in piedi.
Lasciò Sybil sul divano e corse ad abbracciarlo: erano migliori amici nonostante la differenza d'età, che non aveva impedito loro di costruire un bellissimo rapporto.
"Ciao, Dem."
Il ragazzino la prese in braccio e la sollevò in aria facendola ridere, mentre lei gli arruffava i capelli castani.
Si fissarono per un lunghissimo istante mentre i suoi occhi verdi sembravano creare una perfetta armonia con quelli marroni di lei.
"Il mare e il cioccolato" li aveva definiti Andrew una volta, benché questi due elementi non avessero niente in comune e non un granché di poetico.
Ma ad entrambi piaceva come definizione.
"Andrew, mamma e papà sanno che siete qui?" chiese Eddie ai due.
Erano bravi ed era quasi certo che non sarebbero mai scappati di casa o cose simili, ma soprattutto vista l'età di Carlie voleva essere sicuro.
Il ragazzino mise giù Demi.
"Abbiamo chiesto loro se avremmo potuto venire qui e ci hanno detto di sì, ci hanno accompagnati fino a metà strada."
"Vero" rimarcò Carlie.
"Perfetto."
Eddie lanciò comunque un'occhiata alla compagna e lei capì al volo. Sparì in cucina, chiuse la porta e fece una telefonata a Joyce per assicurarsi che fosse la sincera verità e dirle che stava andando tutto bene per tranquillizzarla. Tutto filò a meraviglia e poco dopo tornò in salotto.
“Come sei carina, oggi, Carlie. Anche più bella del solito.”
La bambina arrossì a quel complimento e ringraziò Dianna.
I suoi capelli biondi erano raccolti in due treccine con degli elastici rosa e, come sempre, la piccola non faceva che sorridere. Demi si domandava come riuscisse a farlo tanto spesso, sembrava sempre felice.
Forse sono meno magra di lei pensò la bambina.
Da quando era più piccola si confrontava con gli altri bambini riguardo la magrezza. Le pareva che tutti fossero più perfetti, migliori e più belli di lei e da quando aveva circa tre anni si guardava la pancia e si vedeva grassa. Era il germe di quello che, nel giro di qualche anno, si sarebbe trasformato nei suoi disturbi alimentari, a partire dal binge eating per finire con l’anoressia e la bulimia. Ma per ora quelli erano solo pensieri che le venivano ogni tanto e, benché la facessero stare male, non controllavano la sua esistenza.
“Tutti ti dicono che sei carina, prova a crederci” si disse, “e non rovinarti la giornata.”
"Volete qualcosa? Un po' di succo o dei biscotti?"
La mamma la distrasse con quella domanda ma lei negò, dato che aveva fatto colazione da poco.
"Io no Dianna, grazie, non vorrei approfittare."
Andrew era sempre stato molto educato e gentile, anche troppo a volte.
"Io sì, per favore" trillò invece Carlie, che seguì Dianna trotterellandole dietro.
"Come stai?" domandò il ragazzino a Demi mentre si sedevano sul divano.
"Bene, ma non dimentichi qualcosa?"
"No, affatto. Tanti auguri!"
In realtà, prima della chiamata di Patrick la sera precedente, avevano ricevuto quella di Joyce. I figli però erano andati a letto presto a causa della stanchezza e quindi era stata lei ad augurare buon compleanno da parte della propria famiglia.
"Grazie."
"Com'è andata la festa, ieri?"
"Mi sono divertita tanto." E così gli raccontò tutto ciò che aveva fatto. "E ho ricevuto questo."
"Oh, un cane. Bello!"
"Non è un cane" sbuffò.
“Allora un gatto?”
“No, nemmeno. Ma cosa stai dicendo?”
Come cavolo faceva anche solo a sembrarlo? Dai, era impossibile.
Andrew rimase perplesso per qualche momento, perché non riusciva a capire come avesse fatto a sbagliare. Insomma, gli era capitato di vedere tanti peluche nella vita, sia suoi - anche se da piccolo preferiva le macchinine o i robot - che, soprattutto, della sorella, e quello a prima vista sembrava proprio un gatto. In effetti quella del cane era stata proprio una stupidaggine, dai, non ci assomigliava per niente, ma ad un micio sì. Aveva i baffi e il corpo pareva proprio quello di un felino, ma ora che lo osservava più da vicino notò che c'era qualcosa di diverso. La testa era parecchio grossa, benché ci fossero gatti fatti così anche nella realtà. Il corpo, però, era piuttosto magro e il pelo folto ma corto. Vide solo in quel momento le macchie su di esso.
"Scusami, non avevo guardato bene. Non è un gatto, ma è un felino, giusto?"
"Sì."
Pensò alla lince, ma quella era di colori diversi. E sul momento non gliene vennero in mente altri, tanto che si diede dell'idiota per la sua scarsissima conoscenza in materia. Quando Demi gli disse di cosa si trattava le confessò di non conoscere quel particolare tipo di leopardo, così la bambina lo portò in camera e gli mostrò il libretto che aveva consultato il giorno precedente. Lo lessero un po' insieme e guardarono le figure.
"Interessante" commentò alla fine il ragazzino, con il sorriso di chi è felice di aver imparato qualcosa di nuovo. “Grazie a te ho imparato qualcosa di nuovo, oggi. Grazie Demi.”
Questa è la prova che i piccoli possono insegnare molto ai più grandi pensò.
E ci credeva davvero.
"Bene, prego. È una cosa bella quella che mi hai detto."
Le guance della bambina si imporporarono e le sentì andare a fuoco, perché non capitava spesso che qualcuno le facesse un complimento del genere.
"Come si chiama questo leopardo?"
"Sybil."
"Oh, un nome particolare. Sai che cosa significa?"
"No, io l'ho scelto perché il leopardo delle nevi vive in posti freddi e il suono mi ricordava proprio il freddo."
Andrew sorrise.
"Beh, ognuno associa al suono di un nome quello che vuole, ma in realtà è di origine greca e significa profetessa. Le sibille erano delle profetesse che, nell'antica Grecia, dicevano di riuscire ad interpretare ciò che volevano gli dei, erano degli oracoli, insomma."
"Oracoli?"
Demetria non aveva mai sentito quella parola prima d'allora ed il significato di quel nome l'aveva intrigata. Non credeva fosse tanto antico.
"Esatto. Quando qualcuno chiedeva qualcosa agli dei, per esempio il capo di un esercito domandava il risultato di una futura battaglia, si rivolgeva alle sibille che interpretavano e davano la risposta degli dei. Quindi un oracolo è una persona che compie questa azione, che allora era di fondamentale importanza perché gli antichi greci credevano tantissimo negli dei e nelle loro risposte. Per loro era qualcosa di fondamentale."
Aveva cercato di spiegarlo in modo semplice, comprensibile per una bambina di appena sette anni, ma in sostanza era di questo che si trattava.
"Oooh, bellissimo!" Demi era affascinata e lo guardò come in trance per un momento. L'aveva considerato un semplice nome melodioso e invece ora aveva scoperto che era molto più di questo. "Grazie, ora ho imparato io da te. Ti va di giocare?"
Andrew annuì.
"Aspettami un attimo."
Corse di sotto lasciandogli Sybil in custodia e tornò con una tigre di peluche.
"Lei è Zara"
Gliela diede in mano e poi stabilirono come avrebbero organizzato il tutto. Si calarono nelle parti, o almeno ci provarono, ed iniziarono.
"Ciao, Sybil, come va?"
Ad Andrew venne da ridere a pensare di dover credere di essere una tigre, oltretutto femmina, per un po', ma si ripeté più volte che era necessario restare nel personaggio.
"Ciao. Bene, sono venuta a giocare con te, la mamma ha detto che posso."
"Fantastico, anche la mia."
Si trovavano sulla vetta di un'altissima montagna ricoperta di neve. Un leggero vento continuava a spirare sollevando un po' di quella coltre bianca e rischiando di farla finire loro negli occhi. Le due amiche presero a rincorrersi, a saltare e a farsi gli agguati nascondendosi dietro qualche arbusto che sbucava dalla neve. Zara saltò addosso a Sybil e le afferrò la coda, ma l'altra riuscì a liberarsi, si girò di scatto e, con una zampata, fece finire la tigre a terra, poi le saltò sopra perché non riuscisse a risollevarsi. L'altra però faceva forza, cercava di muoversi, di scalciare. Riuscì a morderla ma per gioco, non le avrebbe mai fatto del male sul serio e a rialzarsi, poi la corsa ricominciò, più veloce di prima. Entrambe, ancora cucciole, erano molto agili ma in parte insicure sulle gambe e più di una volta scivolarono o rischiarono di finire a terra.
"Adesso salto su una roccia!" esclamò Andrew gettando Zara sul letto.
Si muovevano per la stanza assieme agli animali, che spostavano sul pavimento, sulla scrivania o dovunque fosse possibile. Dopo diversi minuti di gioco erano entrambi senza fiato. Ripulirono i due peluche dalla polvere e li misero sul tavolo.
"Sembra che hanno fatto amicizia" constatò la bambina.
Andrew ridacchiò per quel verbo sbagliato e la corresse per darle una mano.
"Abbiano" sussurrò Demi con un po' di difficoltà.
"Sì, brava. Comunque hai ragione, sono diventate amiche."
“Proprio come volevo.”
Si erano divertiti tanto ad immaginare come fosse quella montagna dell'Asia centrale. E chi se ne importava se leopardo e tigre non erano due animali che stavano insieme o se non tutto, o forse quasi niente, era realistico. Demi era una bambina, era giusto che viaggiasse con la fantasia e lui l'aveva seguita, pensando che fosse stato bello lasciarsi andare.
 
 
 
Mentre tornavano in salotto pensarono di essere stati stupidi. Si erano concentrati solo su loro stessi e non avevano coinvolto Carlie. Aveva quasi la stessa età di Demi e tutto il diritto di divertirsi. Ma come si erano permessi di dimenticarsi di lei? Erano stati solo cattivi. Stavano per scusarsi quando la videro giocare sul tappeto con Dallas. Si stavano divertendo con due bambole e la piccola sorrise loro.
"Carlie, scusa." Demetria le si avvicinò. "Non abbiamo fatto apposta, la prossima volta giocherai con noi, lo prometto!"
"Tranquilla, non ero sola. Mi sto divertendo lo stesso."
Anche Andrew si scusò.
"Non preoccuparti fratellone, sto bene. Demi, mi fai vedere quel bellissimo leoncino che hai in mano?"
Ci risiamo pensò la piccola, ma poi si ricordò che il giorno prima aveva scambiato Sybil per una tigre.
Spiegò anche a Carlie di che animale si trattava. Ma la bambina la stava ascoltando solo in parte.
Continuava ad osservare il giocattolo e sorrideva. Era bellissimo, sembrava davvero simpatico. Oh, lei non ne aveva uno così, quanto le sarebbe piaciuto! Nonostante fosse contenta di quelli che aveva, ed erano moltissimi, Sybil le pareva la creatura più meravigliosa e speciale che avesse mai visto. Avrebbe voluto abbracciarla, tenerla sempre con sé, fare con lei tutto ciò che Demi le stava raccontando e anche di più, perché di sicuro sarebbe stata per quel leopardo un'amica o una mamma migliore. Non aveva mai pensato cose del genere, non sapeva nemmeno perché lo stesse facendo e una parte di se stessa era consapevole del fatto che avrebbe dovuto fermarsi, ma era più forte di lei.
Gesù, ti prego, fa' che Sybil sia mia e solo mia! implorò in una muta preghiera.
Non ne avrebbe voluta una uguale o simile, era lei che desiderava con tutta se stessa.
"Allora, Dallas, perché trovi strano che io giochi con lei?" stava intanto chiedendo Demi alla sorella e Carlie si riscosse per ascoltare.
Non doveva guardare troppo il leopardo che giaceva sulle gambe dell'altra bambina, o questa si sarebbe insospettita. Era necessario che facesse molta attenzione.
"Perché non ricordo tantissimo di quando avevo cinque o sei anni, e prima ancora meno. E a sette adoravo già più leggere che fare altro."
"Ah. E quindi?"
Demi non riusciva a comprendere quale fosse il punto.
Mentre i bambini parlavano, Eddie e Dianna bevevano un caffè seduti al tavolo del salotto e li guardavano, tutti e quattro seduti sul divano con Buddy ai loro piedi che, con le orecchie tese, sembrava ascoltarli.
"Quello che tua sorella vuole dire" intervenne Andrew "è che ci sono dei comportamenti, delle cose che fanno i bambini che a quelli un po' più grandi sembrano strane, o stupide, o senza senso o inutili."
"Esatto" ricominciò l'altra. "Ma anche se vederti tanto presa da un peluche mi fa un po' sorridere, non significa che io ti voglia prendere in giro, perché è tutto il contrario. Riesci a capire?" Forse sarebbe stato meglio dirglielo in termini più semplici. "Intendo, è bello che tu faccia questo perché significa che riesci ancora a divertirti e a viaggiare con la fantasia ed è giusto che sia così. Perciò se ti ho offesa con quelle parole ti chiedo scusa; e se qualcuno, a scuola, ti dirà che sembri piccola perché giochi ancora con i peluche, tu rispondigli che avrai tutto il tempo di diventare grande e fregatene."
"E tu pensi le stesse cose di me?" chiese Carlie al fratello.
Era difficile concentrarsi quando l'oggetto del suo desiderio era ancora lontano da lei. Le sarebbe bastato allungare il braccio per raggiungerlo, ma non poteva prenderglielo così.
"Sì, nemmeno tu ti devi vergognare di nulla, né se giochi con le bambole e i peluche né se ogni tanto ne porterai qualcuno a scuola. Non dateli a nessuno bambine, eh, mi raccomando. Sono vostri e solo vostri."
"D'accordo" risposero entrambe all'unisono, capendo che i più grandi avevano appena detto loro cose molto importanti.
Demi si alzò e mise Sybil nel cesto dei giochi, con Carlie che la osservava di nascosto. Né Andrew né Dallas sembravano essersi accorti delle occhiate fugaci che le rivolgeva.
La voglio. La voglio tutta per me!
Non aveva mai desiderato così tanto qualcosa in vita sua. Ma si sentiva anche in colpa, perché non avrebbe dovuto. Quel giocattolo era di Demi, lei non poteva prenderlo in quel modo. Tuttavia la voglia di possederlo era più forte di qualsiasi altra cosa, le faceva impazzire il cuore e fremere ogni singola fibra del corpo.
 
 
 
Quando, poco dopo, Andrew e Carlie se ne andarono, Demi fu costretta dalla mamma a svolgere i compiti delle vacanze. Le aveva concesso una pausa solo il giorno prima a causa del compleanno. Non gliene erano rimasti molti e la donna preferiva che li terminasse il più presto possibile in modo da avere alcuni giorni liberi prima dell'inizio della scuola. Per tutta la mattinata, quindi, sia lei che Dallas furono occupate e Sybil restò nel cesto assieme agli altri giocattoli. Ogni tanto Demetria si fermava, quando la mamma non controllava ciò che stava scrivendo, e fantasticava sulle avventure che il suo leopardo delle nevi doveva vivere là dentro. Chissà come si divertiva! Avrebbe voluto esserci anche lei.
Dopo pranzo, la famiglia fu raggiunta da Pam e Gina. Eddie si eclissò e le donne, rimaste sole, iniziarono i loro consueti allenamenti.
Demi indossava un vestito bianco che aveva comprato assieme alla mamma e a Jan, la zia di quest'ultima, qualche tempo prima. Entrambe avevano le scarpe con i tacchi, più alti quelli di Dallas e meno quelli di Demetria, che avevano imparato a portare nel corso del tempo.
"Mostratemi come riuscite a camminare come delle modelle" le incitò Pam.
Una alla volta, le due si misero in posizione. Portarono il mento un po' più vicino al petto, tennero la bocca chiusa e non sorrisero. Fissarono lo sguardo su un punto a caso ma senza mai guardare nessuno. Dopodiché raddrizzarono la schiena, immaginando che ci fosse un filo che correva lungo la colonna vertebrale fino alla testa, come avevano insegnato loro Gina e Pam. Misero il primo piede davanti all'altro e la loro camminata procedette, a passi lunghi e decisi. Restarono concentrate cercando di apparire disinvolte e sciolte. I loro fianchi ondeggiavano ma non troppo e i piedi, l'uno accanto all'altro, erano segno di una camminata naturale. Le braccia penzolavano ed oscillavano appena facendole apparire composte, mentre le dita erano distanziate di poco le une dalle altre. Ognuna seguiva un ritmo diverso, immaginando una musica che suonava e che la aiutava ad avanzare. Dallas andava più spedita ed appariva molto sicura di sé, Demi invece procedeva un po' più lenta ma, in ogni caso, dai suoi movimenti traspariva una sicurezza non da poco.
"Bravissime!" si congratularono tutte quando arrivarono alla fine del salotto.
"Farete un figurone" aggiunse Gina, sicura che avrebbero dato il meglio di loro.
In seguito, provarono una posizione da modelle che le partecipanti al concorso dovevano saper fare, chiamata "pretty feet": posizionarono la caviglia destra davanti alla sinistra mentre quest'ultimo piede puntava verso le ore dieci e l'altro verso mezzogiorno. Dianna mise un CD che aveva una musica adatta che segnalava con un ding quando ognuna delle sue figlie doveva cominciare a muoversi. Non era affatto facile e sia Gina, che Pam, che Dianna concordarono sul fatto che le bambine avrebbero dovuto provare quella tecnica ancora molte volte, benché fossero migliorate tantissimo nel corso dei mesi. Fecero solo questo per più di tre quarti d'ora tanto che alla fine Demi e Dallas, pur divertendosi e ridendo quando sbagliavano, si sentirono stanchissime.
"Okay, pausa" dichiarò Pam.
Mangiarono e bevvero qualcosa, poi ricominciarono.
Demetria fece sentire la sua canzone, quella che aveva scelto e che provava ormai da mesi. Andò benissimo come sempre, stupendo tutte perché era incredibile che una bambina così piccola riuscisse a cantare tanto bene e, soprattutto, che non esitasse un istante. Poi fu il turno di Dallas. La ragazzina trasse un respiro profondo e poi iniziò.
"Somewhere over the rainbow
Way up high
There’s a land that I heard of once in a lullaby
Somewhere over the rainbow
Skies are blue
And the dreams that you dare to dream really do come true
[…]"
Riuscì a raggiungere anche le note più alte senza nessun particolare sforzo. Col passare dei mesi era diventata più sicura e, se all'inizio la sua voce tremava, adesso non lo faceva più. Prima delle lezioni, infatti, si esercitava sempre con molti vocalizzi per riscaldare la voce così come Demi e ciò le aiutava tantissimo.
Nonostante ci fosse dietro una gran mole di lavoro, l'atmosfera era tranquilla e rilassata. Spesso tutte la prendevano sul ridere se una non riusciva a fare qualcosa, incoraggiandola e anche lei non si abbatteva mai, anzi, né prendeva quelle risate per offese. Nel frattempo non avevano solo comprato i vestiti ma anche scarpe e calzini abbinati e perfino le giuste mollette per capelli.
Quando Pam e Gina le salutarono, con la promessa di rivedersi il pomeriggio seguente, Eddie tornò in salotto. Era sceso a lavorare nel suo studio per lasciarle provare in pace pensando che dovessero rimanere fra donne, anche se la sua presenza non avrebbe dato fastidio a nessuna. Buddy aveva dormito tutto il pomeriggio sul divano, sollevando solo ogni tanto la testa quando le sue padrone ridevano forte o si udiva la musica che aveva messo Dianna. Demi e Dallas invidiarono il cane, che ora appariva riposato e pieno di energia. Stavolta fu la donna a portarlo a passeggiare.
Le sue figlie, invece, corsero a farsi una doccia. Demi aveva ancora bisogno che qualcuno la aiutasse a lavarsi i capelli e, non volendo chiedere a Eddie a causa dell'imbarazzo, lo fece con la sorella.
"Certo, ti do una mano io. Andiamo."
Una volta lavate e con i capelli a posto, che Eddie aveva asciugato a Demetria con il phon e movimenti delicati delle mani, le due bambine si stravaccarono sul divano.
"Che giornata estenuante!" esclamò Dallas.
"Este cosa?"
A Demi quella parola piaceva, aveva un bel suono, ma non ne conosceva il significato.
Sarà la terza che imparo, oggi. Che bello!
"Estenuante” ripeté l’altra più piano. “Vuol dire che è stata molto stancante, del tipo che non abbiamo più energie."
"Ah. Bella parola! Grazie, Dallas."
"Ma figurati, per questo."
Demi era sempre felice di scoprire nuovi vocaboli, perché in quel modo riempiva la sua perenne fame di conoscenza. Leggeva molto, per il momento solo libri per bambini, favole, racconti leggeri ma che spesso avevano una morale e anche questo le dava una mano nell'apprendere tante parole. La maestra, incoraggiava lei ed i suoi compagni a prendere un libro al mese dalla biblioteca della scuola e lei lo divorava ogni volta che aveva tempo e forze.
"Vado a prendere Sybil."
La piccola si alzò e si diresse verso il cesto dei giocattoli. Aveva pensato al suo leopardo tutto il pomeriggio, avrebbe voluto correre da Sybil molto prima, ma era stata brava nel concentrarsi su ciò che doveva fare e non si era quasi mai distratta. In ogni caso, adesso non vedeva l'ora di riabbracciarla. Aprì il coperchio e cominciò a cercare. L'aveva messa sopra tutti quanti, vicino alla tigre che aveva usato Andrew quella mattina, per cui non sarebbe stato difficile trovarla.
"Mammaaaaa!"
Quell'urlo terribile squarciò il silenzio che era calato nella stanza. Eddie stava leggendo il giornale e fece un salto, mentre Dallas concentrata su un libro d'avventura lo chiuse con un botto.
"Demi, ma che c'è da urlare così? Ti pare il modo?" la rimproverò Eddie alzando la voce. "Sei matta o cosa?"
"Non urlare, che è successo?" chiese Dallas, parlando quasi in contemporanea rispetto al patrigno.
Ma la bambina non rispose e guardò verso le scale da dove la mamma, tornata da poco dalla passeggiatina, stava scendendo trafelata.
"Che cosa…"
Demetria le si gettò addosso e la abbracciò.
"M-mamma, Sybil è s-sparita" singhiozzò, mentre calde lacrime le scendevano lungo le guance e le bagnavano il collo e il pigiama.
"In che senso sparita?"
"L'avevo m-messa nel cesto e… e non c'è più."
Le era stato difficile spiegarsi, tremante e scossa com'era, ma alla fine ce l'aveva fatta.
I genitori decisero di non sgridarla per aver urlato, era più giusto calmarla e cercare quel giocattolo a cui teneva tanto. Come ogni bambino, anche Demi quando perdeva o credeva di non trovare più un gioco si disperava come se fosse appena morto qualcuno. Ma era normale, aveva solo sette anni e quando si è piccoli si piange anche per cose che agli adulti possono sembrare sciocchezze.
"Okay, amore, tranquilla. Adesso tiriamo fuori tuti i giocattoli dal cesto e vedrai che la troviamo, va bene?"
La bambina annuì, ma prima di tutto la mamma la fece sedere.
"Non voglio, dobbiamo trovarla!" protestò lei e cercò di rialzarsi.
Dianna, però, le prese le mani.
"Prima devi calmarti un po', altrimenti non risolveremo niente."
Le portò un bicchier d'acqua e un pezzo di cioccolato al latte, che la bambina mangiò controvoglia. Aveva lo stomaco chiuso e sottosopra, il che era strano visto che non si nutriva da ore, ma la preoccupazione faceva anche quell'effetto.
"Respira piano, tesoro" continuò Eddie con dolcezza andandole vicino. "Vedrai che si sistemerà tutto. Sarà finita sotto un peluche più grande, o magari l'hai lasciata da qualche altra parte e non ti ricordi."
"No, no, sono sicura che era lì" si lamentò, con le mani davanti al volto.
Perfetto, aveva sbagliato un altro congiuntivo. Fu questo il pensiero di Dallas, che poi lo accantonò perché al momento non era importante.
"Va bene," intervenne, "ma per sicurezza vado a guardare di sopra. Da piccola mi piaceva tanto una civetta di plastica che avevo trovato non so dove, ma un giorno mi sono resa conto di averla persa. Ci sono stata male, ho pianto, ho chiesto ad una bidella a scuola di controllare dove fosse ma non c'era. Sai dove l'ho trovata, alla fine? Nel mio zaino."
"Ma una civetta così piccola è più facile da perdere che un peluche grande come le mie due mani affiancate" osservò Demi prima che un singulto le bloccasse le parole in gola. "Comunque grazie, Dallas."
La sorella stava facendo di tutto affinché si sentisse meglio.
"Figurati. Vado."
Demetria fece un lievissimo cenno d'assenso, poi guardò di nuovo i genitori. Aveva un dubbio, ma non parlò. Si sentiva cattiva solo a pensarlo e si disse che non era il caso di discuterne, almeno non per il momento. Eppure, l'incertezza si era ormai annidata nel suo cervello e rimaneva lì, come un tarlo impossibile da mandar via. Sapeva già che qualsiasi ricerca avessero fatto non sarebbero venuti a capo di niente, ne era quasi certa. Quasi. Ma non voleva fare false accuse - si diceva così, vero? Accuse? - quindi lasciò stare.
Quando il suo respiro si fu regolarizzato ed ebbe smesso di piangere, lei e i genitori iniziarono a svuotare il cesto. Era incredibile quanti giocattoli ci fossero lì dentro, tra bambole, peluche ed animali di plastica vari. Tigri, elefanti africani e indiani, rinoceronti, ippopotami, leoni, mucche e vitellini, zebre, scoiattoli, caprette, una renna, una quindicina di Barbie e molto altro ancora. Tanti erano stati di Dallas in passato.
"No, no, no" continuavano a dire quando tiravano fuori qualcosa.
Arrivati sul fondo, capirono che del leopardo non c'era traccia. Guardarono anche in un altro piccolo cesto, non di vimini come quello bensì di plastica, in cui c'erano dei pezzi di Lego. Era improbabile che si trovasse lì, ma fare un tentativo non costava nulla.
"Non c'è" mormorò Demi alla fine.
Osservò Dallas che era appena scesa; chissà, forse lei l'aveva trovata in una delle loro camere, magari si era sbagliata e non l'aveva messa lì, lasciandola invece di sopra. C'era ancora una speranza.
"Mi dispiace, non l'ho trovata" disse la ragazzina, mesta.
Il cuore di Demi cominciò a battere sempre più piano, mentre anche l'ultimo briciolo di speranza e positività la abbandonava. Se in quel momento ci fosse stata una musica per descrivere il suo stato d'animo, pensò, sarebbe stata suonata dai violini e si sarebbe trattato di una canzone tristissima che esprimeva senso di vuoto e dolore. Non aveva perso solo un giocattolo, ma anche una sua nuova amica che, certo, non poteva parlarle, ma che l'aveva fatta divertire e confortata, pur non sapendolo, in un momento orribile la sera prima. Questi sono gli amici, pensava Demi, anche quelli immaginari dei giochi: coloro che ti stanno sempre accanto, sia nei momenti belli che anche e soprattutto nelle difficoltà. Un po' come accadeva con Buddy, solo che lui forse era consapevole, a suo modo, di quel ruolo.
Tutti le fecero coraggio, la esortarono a non abbattersi e gli adulti andarono a cercare Sybil in tutto il resto della casa pur ritenendo impossibile che si trovasse in altri posti. Demetria, intanto, si sedette in poltrona con le braccia sui braccioli e la schiena incurvata, lo sguardo puntato a terra. Né lei né Dallas parlavano perché non c'era niente da dire. La più grande avrebbe voluto consolarla, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla; e non poteva nemmeno prometterle che l'avrebbero trovata perché non ne era sicura, e se poi non fosse stato così la sofferenza di Demetria sarebbe stata ancora maggiore. Ricordandosi delle parole della sorella, Demi andò a guardare se poteva aver messo Sybil nella sua cartella, anche se era strano dato che la scuola non sarebbe iniziata il giorno dopo. Niente nemmeno lì. Ad ogni ricerca fallita il suo cuore e la propria anima si appesantivano, anche respirare le sembrava più difficoltoso come se una morsa la tenesse sempre più stretta fin quasi a soffocarla.
Tornò di sotto a mani vuote e si risedette. Non era rimasta con le mani in mano, ma aveva fallito.
Quella sera andò tutto da schifo. Demi quasi non ascoltò le parole dispiaciute dei genitori che le davano la brutta notizia, accarezzò a malapena Buddy che, vedendola stare male, venne a confortarla strusciando il musetto contro la sua gamba e tentando di leccarle il viso, quasi non assaggiò la cena e non notò nemmeno se la mamma mangiava o no. Non che non le interessasse, ma era triste e voleva chiudere tutto il mondo fuori per stare sola con la sua sofferenza.
"Demi, tesoro, non rovinarti la serata così! Te ne comprerò un'altra, d'accordo?" provò a rassicurarla la mamma, ma invano.
"Io non ne voglio un'altra, voglio lei. Era mia, anzi lo è ancora."
"Da qualche parte sarà pur finita" mormorò Eddie. "Insomma, non è uscita da qui. Demi, proprio non ti ricordi se l'hai messa da qualche parte?"
"No, mi dispiace. Io sono sicura di averla messa nel cesto e basta. Prima ci avevo giocato con Andrew, ma l’avevo portata giù."
Le tempie le pulsavano con violenza, mentre il suo cuore aumentò improvvisamente i battiti. Quel dubbio, quel dannato dubbio non se ne voleva andare, non la lasciava in pace. Forse invece Sybil era uscita da lì eccome. Ma in che modo dirlo senza poi far del male a nessuno? Eppure il giocattolo era suo, se sapeva chi l'aveva preso, o se pensava fosse stata quella persona, avrebbe dovuto parlarne. O no? Non era in grado di prendere una decisione, la sua mente lavorava frenetica e sembrava rimbalzare da una parte all'altra, tra il sì ed il no senza fermarsi mai. Fu colta da una vertigine mentre provava ad alzarsi e si sedette subito.
Dallas si schiarì la gola.
"Forse invece lo è. Intendo che è uscita da qui."
La sua voce tremò e suonò insicura, tanto che per un momento la ragazzina sperò che nessuno l'avesse sentita, ma poi vide tre paia d'occhi puntati su di lei.
"Che cos'hai detto, amore?" le domandò Eddie.
"Io… ecco, ho visto una cosa."
Le braccia di Demi scattarono in alto senza che lei l'avesse voluto, come se i muscoli non fossero stati controllati dal cervello. Che Dallas avesse il suo stesso sospettoK?
"Che cosa?"
Dianna pose quella domanda con voce stanca, non le piaceva quando doveva tirare fuori le parole di bocca alle figlie.
"Cara, Dallas sta facendo un grande sforzo per raccontarci quello che è successo. Lasciamola parlare."
Eddie appoggiò una mano sulla spalla della compagna che si calmò subito e chiese scusa alla figlia.
"Non sto accusando nessuno, o meglio non con sicurezza" cominciò quest'ultima per metterlo bene in chiaro, "ma stamattina ho visto Carlie che guardava con moltissima insistenza il leopardo di Demi."
"Sybil" puntualizzò la più piccola. "Ha un nome."
"Sybil, esatto, scusa Dem. Comunque, lo osservava con attenzione, ma davvero tanta e l'ha fatto in particolare quando mia sorella l'ha messa nel cesto. Si nascondeva in modo che nessuno notasse quegli sguardi, come se avesse voluto…"
Non riuscì a dire quella parola, le dispiaceva pensare che Carlie avesse fatto una cosa tanto brutta come rubare.
"Pensi davvero che Carlie abbia preso Sybil?"
Eddie era scioccato, così come Dianna che chiese ciò quasi nello stesso momento.
"Forse, non lo so. Ma sono sicura di quello che ho visto. Non sono certa che l’abbia presa, comunque."
"Sono d'accordo. Avevo visto anch'io queste cose. Volevo dirvelo, ma avevo paura che vi arrabbiavate con me" sussurrò Demi.
Tutti sorrisero per quell’ennesimo verbo errato. Demi parlava molto bene, ma ogni tanto commetteva ancora qualche sbaglio.
La piccola non aveva mostrato Sybil a nessun altro tranne che a lei e ad Andrew, e comunque di certo Pam e Gina non l'avrebbero portata via, non ne avrebbero avuto motivo. Eppure sembrava così assurdo. Certo prima o poi molti bambini si comportano in questo modo, perché non capiscono ancora bene cosa si può fare e cosa no o, se lo fanno, sono troppo tentati e commettono comunque quel furto non comprendendo la gravità di un gesto del genere, soprattutto perché fa stare male un'altra persona. Ma Carlie era una brava bambina, sempre educata e gentile, molto dolce con Demi. Le due non erano amiche, ma si conoscevano bene e spesso giocavano insieme. Era successo sul serio tutto questo? Eddie e Dianna credettero alle figlie, in particolare a Dallas che non solo era più grande ma era stata la prima a parlare.
L’uomo prese la parola.
"Io direi di procedere così: ora io e la mamma facciamo un altro giro della casa e controlliamo ancora più a fondo, dappertutto. Se poi non troviamo Sybil, telefoneremo a Joyce e vedremo di risolvere la cosa, d'accordo?"
Ma quando la chiamarono, la donna non rispose né al telefono di casa né al cellulare e nemmeno Frank. Dianna andò davanti alla loro abitazione e la vide tutta chiusa e a luci spente. Suonò, ma non rispose nessuno e la macchina, almeno lì vicino, non c'era.
Quando Demi lo seppe, non riuscì più a contenersi e corse in camera sua piangendo. Inutili furono i tentativi della famiglia di consolarla, i genitori provarono anche a leggerle qualche pagina dei suoi libri preferiti ma non cambiò nulla, così rimasero con lei finché non si addormentò e poi uscirono. Era stato straziante vederla singhiozzare in quel modo, vederla crollare in una tristezza inconsolabile, dirle che sarebbe andato tutto bene e constatare che la situazione non migliorava.
 
 
 
"Com'è potuto accadere?" chiese Dianna al marito quando furono tutti a letto.
"Non lo so, sono cose che fanno i bambini. Carlie non si sarà nemmeno resa conto dello sbaglio, forse, e Demi ha reagito in modo normale. Vedrai che domani sistemeremo e Joyce e Frank faranno capire a Carlie il suo errore."
La donna sospirò.
"Spero solo non la sgrideranno troppo."
Anche se a volte lei lo faceva in quanto perdeva la pazienza perché ogni tanto le figlie combinavano qualcosa o facevano confusione, capitava che non ne potesse più. Ma anche se rubare è sbagliato e se è giusto che i bambini lo comprendano e ne capiscano la ragione, non trovava corretto dar loro uno schiaffo o punizioni troppo severe, almeno non sempre, perché era convinta che a volte servisse anche questo. Dipendeva dalla situazione, insomma, ma anche se non era felice di ciò che Carlie aveva fatto - come avrebbe potuto, del resto? - sperava che per lei le conseguenze non sarebbero state troppo serie.
"Insomma," continuò il suo compagno, "abbiamo avuto due giorni piuttosto intensi, in particolare per le bambine."
Si riferiva anche e soprattutto a Patrick, era chiaro.
"Sì, infatti. Ma si sono anche divertite, sia ieri che oggi pomeriggio."
"Come vanno gli allenamenti?"
"Benissimo, siamo quasi pronte" esultò la donna, felice che le sue figlie stessero per realizzare uno dei loro desideri per il quale avevano lavorato così duramente.
"Non vedo l'ora di vederle su quel palco, Dianna" confessò Eddie.
Sapeva quanto si stessero impegnando ed era fiero di loro, lo sarebbe stato sempre.
"Sì, lo so. Per me vale lo stesso."
Si strinsero in un delicato abbraccio e Eddie si avvicinò per baciarla. Il contatto con le sue labbra morbide era sempre incredibile e quando Dianna aprì la bocca per permettergli di approfondire il bacio, entrambi cominciarono a sentire un calore intenso attraversarli da capo a piedi mentre un senso di pace e beatitudine li avvolgeva. Tra le sue braccia Dianna si sentiva al sicuro, amata e protetta e provava un senso di completezza che non avrebbe saputo descrivere con altre parole. Eddie non aveva mai amato nessuna come amava lei e pregava ogni notte che i loro cuori avrebbero continuato a rimanere legati per sempre. Prima o poi le avrebbe chiesto di sposarla. Ormai stavano insieme da anni, erano pronti per fare quel passo. Ma non ora. Adesso c'erano solo loro, avvolti e pregni dell'amore profondo che provavano l'uno per l'altra.
 
 
 
Demi non dormiva, anzi, non appena udì la porta chiudersi aprì gli occhi di scatto. E soprattutto, se avesse sentito parlare i suoi genitori si sarebbe arrabbiata, perché lei pensava che Carlie fosse stata molto cattiva. Sì, tanto, ma proprio tanto cattiva. Come aveva potuto quella brutta bambina portarle via Sybil? Certo non erano amiche, loro due, altrimenti sarebbe stato ancora peggio, ci avrebbe sofferto di più, ma non lo trovava giusto. Anche a lei era capitato di rubare la merenda ad un bambino, all'asilo, scambiandola con la propria. Quello aveva un panino con la nutella, lei alla marmellata e così l'aveva fatto. Ma poi quando le maestre e, una volta a casa, la mamma le avevano spiegato che non si faceva e perché, aveva capito. Si era vergognata, scusata e poi non ricordava com'era andata a finire. Ma era più piccola, aveva solo quattro anni. Questo non giustificava affatto il gesto, ma pensava che a sette un bambino non facesse più cose del genere. Tutti le dicevano che alla sua età era ancora piccola ma lei si sentiva grande, e anche se Carlie ne avrebbe compiuti sette a settembre non poteva credere che l'avesse fatto, dato che iniziava a crescere. I grandi non facevano queste cose. Demi ancora non capiva bene che anche gli adulti rubano, benché altre cose, non giocattoli e a causa di situazioni diverse. Si tirò su con foga e lanciò le coperte, che finirono in parte per terra. Gliene avrebbe dette quattro quando l'avrebbe vista, così avrebbe imparato a prendere quello che non era suo. Lacrime di rabbia le correvano ancora giù per le guance, un pianto che pareva scavarle sempre di più la pelle. Sentiva dolore al viso, tutto le tirava, ma si rese presto conto che non era reale. Si addormentò con il volto ancora bagnato e un senso di solitudine profondo nel cuore. Anche se aveva dormito con Sybil solo una notte, ci si era già abituata come se lo facesse da sempre. Per fortuna Buddy fu lì per darle conforto, le si sdraiò accanto e Demi iniziò a prendere sonno piangendo, sì, ma anche mentre coccolava il suo meraviglioso cane che amava con tutta se stessa. Per un momento immerse il viso nel suo pelo, poi si limitò ad accarezzarlo con gli occhi chiusi finché entrambi scivolarono nel sonno. Sybil era importante, ma si trattava di un gioco, lui invece reale ed era, assieme alla sua famiglia, quanto di più bello avesse nella vita. Ma il suo non era un vero sonno, più che altro un torpore dal quale si svegliò presto.
Quella notte la bambina non dormì mai, nemmeno un secondo. Non fece altro che girarsi e rigirarsi nel letto dando, senza volerlo, fastidio con calci a Buddy che di tanto in tanto si lamentava emettendo piccoli mugolii.
Ad un certo punto lei si tirò su piano e si alzò, infilò le ciabatte e scese. L'orologio in salotto segnava l'una e mezza.
La notte sarà ancora lunga pensò la piccola con un sospiro frustrato. Sono sicura che domani andrà tutto malissimo e non troverò mai più Sybil. Addio, piccola!
Ma prima che potesse scoppiare di nuovo a piangere un'altra sensazione, stavolta fisica, la distrasse da quei cupi pensieri. Il suo stomaco brontolava sempre più forte. Aveva mangiato solo un pezzetto di pollo e due cucchiaiate di purè di patate e adesso era affamata. Si diresse in cucina e aprì la dispensa. Nel ripiano di mezzo, a cui lei riusciva ad arrivare anche se con un po' di fatica ed ergendosi sulle punte per poi allungare le braccia, trovò la scatola dei cereali al cioccolato. Si sedette al tavolo, aprì il sacchetto chiuso con una molletta ed iniziò a mangiare. Non era di certo un pasto salutare e in più c'era il rischio che le restasse tutto sullo stomaco, ma francamente non le importava un granché. Doveva mangiare, o si sarebbe sentita ancora peggio. Per fortuna non soffriva di binge eating - disturbo alimentare che sarebbe iniziato di lì a qualche anno -, ma comunque mangiò parecchio, più del dovuto anche se piano, godendosi ogni morso e il sapore del cioccolato che si scioglieva con lentezza in bocca. Entro non molto, invece, avrebbe cominciato ad abbuffarsi senza controllo e di nascosto mangiando biscotti, ciambelle e dolci vari per gestire sia la pressione che lavorare a "Barney And Friends" le avrebbe procurato, sia il fatto di non essere più la piccola di casa e di ricevere un po' meno attenzioni dopo la nascita di Madison. Una volta sazia rimise tutto a posto e poi andò in bagno a bere un po' d'acqua dal rubinetto per idratare la sua gola secca che implorava pietà. Dopo aver gironzolato tra sala e cucina per qualche minuto tornò di sopra, ma la sua mente non riuscì a darsi pace. Demi non smise mai né di muoversi né di piangere.
 
 
 
Era notte fonda e Carlie si alzò piano dal suo letto. In punta di piedi si avvicinò allo zainetto che aveva portato con sé quel giorno a casa di Demi. L’aveva usato per anni all’asilo e ancora adesso lo utilizzava per mettere dentro qualche gioco o, nel caso della mattina passata fuori, una bottiglietta d’acqua che, nonostante il fratello le avesse detto non essere necessaria, aveva voluto infilare. Quando l’altra bambina aveva messo Sybil nel cesto dei giochi e si era girata per tornare sul divano, lei ne aveva approfittato. Nessuno la stava guardando, tutti parlavano e così si era avvicinata piano perché, tanto, Demetria le aveva sempre detto che quando veniva lì i giochi potevano essere di entrambe, per cui il fatto che lo aprisse non sarebbe stato sospetto. Con lo zaino a portata di mano aveva preso Sybil muovendosi, stavolta, furtiva e ce l'aveva infilata dentro per poi chiudere tutto. Grazie al cielo in quel momento Demi, Dallas ed Andrew erano girati dall'altra parte rispetto a lei perché stavano guardando non aveva capito bene cosa e Dianna e Eddie leggevano il giornale, così nessuno si era accorto di quel furto.
"Hai appena rubato" le aveva sussurrato una vocina nella sua testa e la piccola era stata colta da un'improvvisa vertigine, ma aveva ignorato entrambe così come il senso di nausea che aveva provato poco dopo.
La tasca dello zaino era piuttosto grande, dentro c'erano anche un astuccio e un quaderno per disegnare nel caso le fossero serviti, ma non si notava che vi era stato inserito qualcos'altro. Così era tornata a casa con il suo bottino, con il gioco che aveva tanto desiderato e adesso che la famiglia non era nei paraggi poté tirarlo fuori.
"Sybil! Oh, Sybil!” esclamò con occhi pieni di meraviglia. “Ciao, piccola" la salutò in un sussurro.
Se la portò un po' a letto, accarezzandone il pelo liscio e folto; Dio, la adorava sempre di più.
Ma non posso tenerla qui pensò poco dopo, mentre si sollevava di scatto. Mamma e papà conoscono tutti i miei giocattoli così come Andrew, che tra l'altro si ricorda anche i loro nomi. Si accorgeranno che ce n'è uno nuovo e mi domanderanno perché. Devo nasconderla subito.
Sì, era la soluzione migliore. Ma la domanda era: dove? Nel cassetto del comodino, magari? No, la mamma lo apriva spesso per fare ordine e se ne sarebbe resa conto, così come l'armadio non era un luogo sicuro.
L'unico che le venne in mente fu il cesto dei giochi. Era grande, ce n'erano davvero tanti e, forse, se l'avesse messa sotto a tutti e tirata fuori un po' di tempo dopo, nessuno ci avrebbe fatto caso. Non c'erano altri posti, nella sua mente di bambina, nei quali poter infilare Sybil. Prese quindi la sua decisione e, dopo aver infilato un paio di calzini corti e senza mettere le ciabatte per non farsi udire, aprì piano la porta. Ci mise qualche minuto prima di uscire perché non voleva fare rumore e si mosse a passo di formica per evitare di essere scoperta. Scese le scale sempre con lentezze e non si tenne al corrimano, cosa sbagliatissima e per la quale la mamma l'avrebbe sgridata, ma adesso dormiva quindi non era un problema.
Arrivata in salotto si diresse verso il secondo divano che avevano in casa, quello più piccolo, a destra del quale si trovava il cesto. Lo aprì e, con una mano, creò uno spazio scavando tra bambole, peluche e altri giochi, poi quando riuscì ad arrivare in fondo mise dentro Sybil.
"Ecco qui. Fai la brava" mormorò così piano che forse nemmeno il leopardo la udì, dopodiché tornò in camera propria.
Sarebbe andato tutto bene, il suo animaletto era al sicuro. Ora bisognava solo aspettare un buon momento per tirarla fuori, cosa non facile soprattutto per una bambina come lei che non aveva pazienza. Le prudevano le mani al solo pensiero di dover attendere giorni, forse settimane e in più per tutto quel tempo avrebbe dovuto stare attenta. Decise che a nessuno sarebbe stato permesso di andare così in fondo nel cesto dei giocattoli, né ad Andrew, che era colui che più spesso giocava con lei, né ai genitori. Si sarebbe inventata una scusa, come per esempio che alcuni peluche stavano dormendo o qualcosa del genere.
Ma Carlie non sapeva che qualcuno, dalle scale, l'aveva osservata capendo ciò che faceva. Non aveva notato la luce che era stata accesa e poi spenta non appena lei si era mossa per tornare di sopra.
 
 
 
Andrew non riusciva a darsi pace. Aveva sentito la sorella uscire dalla propria stanza e l'aveva sentita scendere le scale. Non capendo se stesse male o no e pensando che avesse bisogno di aiuto, aveva sceso alcuni gradini e poi acceso una luce per osservare ciò che faceva. La bambina aveva sollevato una mano, nella quale teneva un peluche bianco a macchie, anche se il movimento era durato solo un istante. Era quasi sicuro che si trattasse di Sybil, il leopardo delle nevi di Demi. Ma era davvero così oppure la sua immaginazione lavorava troppo? E poi non si era reso conto di niente quella mattina. Ma soprattutto, era mai possibile che Carlie l'avesse rubato?
Mamma e papà avevano sempre insegnato ad entrambi che farlo è sbagliato e lei non era una bambina che disobbediva spesso a ciò che le veniva detto. Non volendo accusarla ingiustamente né creare scompiglio, il ragazzino aspettò diversi minuti dal momento in cui la sentì rientrare in camera propria in modo da essere certo che si fosse riaddormentata, dopodiché andò anche lui in salotto, facendo sempre pianissimo. Si era diretta verso il cesto dei giochi, ne era sicuro. Ragionò sul fatto che doveva averla messa in fondo, per nasconderla. Aveva senso. Dopo un po' sentì qualcosa sul fondo, lo tirò fuori non essendo sicuro di cosa si trattasse e fu allora che ebbe quella dolorosa conferma: Sybil era lì, tra le sue dita.
“Oh mio Dio, no!” esclamò, incredulo.
Rimase inginocchiato davanti a quel cesto, con il leopardo in mano, gli occhi sbarrati ed il respiro affannoso per pochi minuti che gli parvero una terribile eternità. Sudava copiosamente e solo dopo un po’ si rese conto che la sua bocca era rimasta aperta per tutto quel tempo, come se avesse voluto urlare o se si fosse trattenuto a stento dall’esclamare qualcosa mantenendo, non sapeva nemmeno lui in che modo, un po’ di autocontrollo.
Perché fai così? Non l’hai portato via tu, non sei stato colto in flagrante o altro. Però…
Si tirò su in velocità rimettendo Sybil dove l’aveva trovata, anche se ciò gli fece male al cuore.
Però era assurdo, si disse completando il suo pensiero. Carlie aveva rubato un gioco ad una bambina che conosceva da sempre e che, per di più, era la migliore amica di lui. Ma anche se si fosse trattato di una sconosciuta, il gesto sarebbe stato comunque sbagliato.
E adesso che faccio? pensò, non sapendo come comportarsi.
Sarebbe stato meglio avvertire subito i genitori o aspettare il giorno seguente? Oppure andare a parlare direttamente con Carlie? Da fratello maggiore, era sicuro che sarebbe riuscito a farle capire il suo errore con qualche esempio semplice e senza che lei soffrisse troppo per questo. Magari si sarebbe risolto tutto senza coinvolgere mamma e papà, avrebbe potuto riportare lui stesso il peluche a Demi il giorno dopo. Ma se poi Dianna ne avesse parlato a sua madre? Inoltre, dire tutto agli adulti gli sembrava la cosa migliore. Loro erano in grado di gestire meglio queste situazioni essendo genitori. Andare a svegliarli ora, nel pieno della notte, per un fatto sì molto brutto ma non gravissimo non gli pareva corretto. Sua mamma lavorava come commessa part-time in un supermercato e sarebbe stata in ferie fino alla fine di agosto, mentre il papà era un insegnante di storia dell'arte in un liceo e non avrebbe ripreso prima di settembre. Tuttavia, anche se questo avrebbe permesso loro di dormire fino a tardi, il ragazzino non se la sentì di svegliarli, in parte temendo che l'avrebbero sgridato. Ma anche lui non riposò nemmeno un attimo quella notte e non fece altro che domandarsi come sarebbe andata a finire quella vicenda. Demi se n'era già accorta, ci avrebbe scommesso qualunque cosa e di sicuro stava soffrendo tantissimo. L'avrebbe fatto anche Carlie e Demetria sarebbe stata arrabbiata con lei. Anzi, se si era accorta del furto e aveva un sospetto riguardo a lei, lo era già. E se non era venuta prima da loro significava che l’aveva scoperto tardi, forse la sera dopo gli allenamenti per il concorso. Le due bambine non avrebbero più fatto pace. Sì, forse esagerava, ma era rimasto così sconvolto dal comportamento della sorella e pensando a come dovesse sentirsi Demi, che le sue previsioni non potevano che essere tragiche.
Il mattino dopo, quando sentì il papà alzarsi, Andrew scese senza lavarsi la faccia e lo raggiunse, sedendosi a tavola con lui. L'uomo si era preparato una colazione salata e si stava facendo un toast con formaggio e salame.
"Ciao, tesoro" lo salutò con un gran sorriso. "Come mai già sveglio?"
"Non è prestissimo e comunque avevo fame e anche bisogno di parlare con te e con la mamma."
"Per ora ci sono solo io, ma intanto puoi dire a me. Vuoi un toast anche tu?"
"Due" rispose, goloso e con lo stomaco che brontolava. "E un po' di succo di frutta, ma me lo verso io, non ti preoccupare."
Prese la bottiglia di succo all'arancia dal frigorifero e riempì un bicchiere fino all'orlo, poi la lasciò sul tavolo.
"Allora? Di che si tratta? E a proposito di preoccuparmi o meno, è una cosa grave?"
“No! Cioè sì, insomma, non terribile ed io sto bene, non è di me che si tratta. Si può risolvere, ma dobbiamo discuterne e mi serve il vostro aiuto.”
“Non ci ho capito molto ma okay, ti ascolto.”
Il padre lo guardò in attesa non sapendo bene cosa provare e, nel frattempo, stava preparando il cibo per suo figlio.
"Ecco, in realtà non c'è un modo giusto per dirlo" iniziò l'altro, incerto su come comunicare la notizia.
Sarebbe stato meglio farlo con schiettezza o girarci un po' intorno?
Oddio, smettila. Ti stai facendo mille complessi mentali.
Non era da lui e si diede metaforicamente uno schiaffo per scuotersi un po'.
"Di che parlate?" chiese Joyce entrando in quel momento.
"Non so, Andrew deve dirci una cosa."
"Mamma, Carlie è sveglia?"
Se lo fosse stata non avrebbe potuto più tirare fuori l'argomento, bensì aspettare che non fosse presente per non metterla troppo in difficoltà.
"No, riposa ancora. Perché?"
"Perché quello che sto per dirvi riguarda lei." Iniziò a parlare a macchinetta, partendo dalla loro visita ai vicini il giorno precedente. Disse che era andato tutto bene ma che la notte si era accorto di qualcosa che poi aveva scoperto essere vero. Andò anche a prendere il peluche. "Vedete?" chiese, parlando a voce bassa per non svegliare la sorellina. "È di Demi, L'ho visto ieri mattina, l'ho tenuto in mano, ho giocato con lei con questo leopardo e ne sono sicuro al centouno per cento."
Dopo aver terminato il suo discorso, Andrew rimise Sybil nel cesto.
A Frank, che si era fermato con il coltello piantato nel salame, l'utensile sfuggì e per poco non si tagliò la punta di un dito. Per fortuna l'oggetto cadde per terra e l'uomo lo gettò nel lavello prima di disinfettarsi, scoprire che non era nulla di grave ma solo un taglio molto superficiale, mettersi un piccolo cerotto per precauzione e prendere un coltello.
"Non ci posso credere!" riprese l’uomo guardando verso il cielo. "Carlie ha rubato, ha commesso un furto."
Espressioni simili, ma che disse l’una dopo l’altra per rimarcare il concetto.
Joyce sospirò.
"A volte i bambini lo fanno. Sono esperienze che prima o poi viviamo per capire cos'è giusto e cosa no. Ma nemmeno io posso crederci. Un genitore non vorrebbe mai che i propri figli si comportassero così.”
“Infatti, ti do ragione amore.”
In silenzio, i due si stavano domandando se avevano sbagliato qualcosa nell’educazione di Andrew e soprattutto di Carlie. Si presero un momento ritirandosi in salotto.
“Secondo te c’è qualcosa che le abbiamo detto che potrebbe averla indotta a rubare?” chiese Joyce al marito andando dritta al punto.
“Non credo. Sa benissimo che deve chiedere prima di prendere qualcosa e che non può portarlo via così.”
Gli occhi azzurri della donna, così simili a quelli della figlia, si intristirono ancora di più ed incontrarono quelli verdi del marito che le sorrise appena.
“Lo so,” ricominciò lei, “ma forse avremmo dovuto essere più insistenti o farle esempi migliori in modo che capisse meglio.”
Frank le circondò le spalle con un braccio.
“Senti, amore” cominciò, parlando con tutta la dolcezza del mondo. “Tu sei una bravissima mamma ed io, almeno spero, un bravo papà. Il mestiere di genitore non è facile.”
“No, affatto. Forse è il più difficile di tutti.”
“Infatti, ma ce l’abbiamo sempre messa tutta. Carlie ha sbagliato, d’accordo. Ora dobbiamo scoprire se è successo altre volte o se si tratta di un episodio isolato e risolvere la cosa. Come hai detto tu è un’esperienza che ha fatto, ma ciò non ci rende pessimi genitori. Non saremo i migliori, ma stiamo dando ai nostri figli il meglio che possiamo.”
“Già, è vero” rispose lei dopo qualche secondi di pausa.
Ci credevano entrambi, ma a volte come in quel caso risultava un po’ difficile. Dubitare delle proprie capacità come mamma e papà è normale in situazioni del genere ma si risposero che a loro pareva proprio di stare dando tutto il possibile. Avrebbero dovuto fare alla figlia un bel discorso, però, questo era poco ma sicuro.
“Torniamo da Andrew?”
Joyce diede al marito un bacio a fior di labbra e poi rientrarono in cucina.
“Mi dispiace tantissimo per Demi, comunque, starà malissimo” riprese la donna. “Chissà se hanno capito chi potrebbe essere stato. Facciamo così: appena Carlie si sveglia io e il papà le parliamo, d'accordo? E poi andiamo a casa loro e risolviamo la cosa."
"Sono d'accordo" mormorò suo marito. "Andrew, sei stato molto bravo. Ieri sera non l'hai spaventata, ma hai aspettato di parlarne a noi. Questo dimostra che stai diventando grande e che volevi, in un certo senso, proteggere tua sorella non mettendola in difficoltà."
Anche la mamma si complimentò con lui e il ragazzino li ringraziò, felice perché non si aspettava un ringraziamento simile.
"Ho fatto solo quello che mi sembrava giusto, ma ci ho dovuto pensare un po'."
"Hai preso una decisione saggia" proseguì la mamma prima di abbracciarlo.
Gli aveva appena detto che era saggio? Wow! Era uno dei migliori complimenti che qualcuno gli avesse mai fatto. Ma il sorriso scomparve subito dal suo viso e la tristezza ne prese il posto, come una nuvola nera che oscura il sole.
“Mamma, papà, c’è un’altra cosa che vi devo raccontare. Io mi sento molto male per quello che è successo.”
Andrew ricominciò a parlare e, una volta capito il problema, i genitori si affrettarono a rassicurarlo, a dirgli che non era colpa sua, ma non furono in grado di alleggerirgli il peso che gli gravava sul cuore, l’anima e lo stomaco. Se avesse ascoltato il suo corpo si sarebbe piegato in due per il dolore, ma stringeva i denti e rimaneva diritto. Nemmeno lui stesso, pur con tutta la buona volontà e gli sforzi, riusciva ad aiutarsi per stare meglio.
 
 
 
Carlie si svegliò con un sorriso radioso ad illuminarle il volto. Aveva portato a termine con successo la sua missione ed ora avrebbe solo dovuto tirare fuori Sybil in un momento in cui i genitori non si sarebbero accorti di ciò con cui stava giocando. Mentre guardavano la televisione, ad esempio. Poi sarebbe andata in camera con quel peluche, tanto accadeva spesso che si chiudesse lì con un giocattolo in mano. Avrebbe tenuto la sua amica per tutta la giornata, nascondendola nel cassetto del comodino se fosse entrato qualcuno o riportandola nel cesto in caso di pericolo.
“Sei sicura che questo piano funzionerà?” le domandò una voce nella sua testa e la piccina tremò per un momento.
Era forse troppo, come si diceva? Rischioso? Magari era meglio lasciare il giocattolo nel cesto per qualche giorno o settimana, come aveva deciso all’inizio. E se Demi fosse venuta a riprenderla? Poteva accadere, a meno che qualcun altro fosse andato a casa loro e pensasse che era stato lui. Che fare, dunque? Dove nasconderla? Pensò di sotterrarla in giardino, ma a parte il fatto che forse sarebbe sembrato strano che una bambina di sette anni si fosse messa a scavare tra l’erba e la terra, non voleva rovinare il suo bellissimo pelo. E poi non l’aveva presa per nasconderla, ma per giocarci.
Stai calma. Adesso scendi, ti comporti come al solito e vedi che succede.
Trasse tre respiri profondi, poi si lavò il viso e andò in cucina.
“Buongiorno!”
Cercò di mostrarsi baldanzosa come sempre, era la più allegra e sveglia di mattina.
“Ciao, piccola” la salutò la mamma. “Vuoi fare colazione? Ti faccio compagnia, anch’io devo ancora mangiare.”
“Sì, grazie. Posso avere del latte caldo e un croissant al cioccolato, per favore?”
Aveva imparato da poco a dire quella parola francese, gliel’aveva insegnata proprio Joyce con la pronuncia corretta e la piccola andava molto fiera di conoscerla, perché si era resa conto che nessuno dei suoi compagni sapeva cosa significasse.
“Ne è rimasto solo uno,” le rispose la mamma tirando fuori la scatola, “lo volevo io, ma te lo lascio volentieri.”
L’amore, secondo Joyce, Frank e tutti i genitori del mondo e non solo, non si limita soltanto a “Ti amo”, “Ti voglio bene” o altre frasi del genere, va molto al di là. Amare qualcuno significa pensare al suo bene e farlo, a volte ed in certe particolari situazioni, annullando se stessi se questo fa star meglio l’altra persona. Non era quello il caso, ma Joyce rinunciò volentieri alla gustosa brioche per rendere felice la sua bambina. Un gesto forse per alcuni insignificante, ma che per lei rientrava comunque nella parola “amore”.
“No, mamma, facciamo a metà.”
“Sei molto gentile ma no, mangerai troppo poco così. Non è un problema, sul serio.”
“Okay, grazie.”
Carlie scartò la sua brioche e la mangiò piano, godendosi il sapore dolce ma allo stesso tempo deciso del cioccolato. Dopo aver bevuto il latte si sentì piena di energie, ma lo sguardo serio dei genitori la inchiodò sul posto.
“È successo qualcosa?” chiese, mentre le mani iniziavano a tremarle ed il respiro si faceva pesante.
Hanno scoperto tutto? pensò. Non possono, sono stata attentissima.
“Carlie, com’è andata ieri da Demi?” le chiese il papà.
La sua voce era più bassa del solito; non sembrava arrabbiatissimo, ma dal tono che usava assomigliava comunque ad uno dei cattivi delle favole.
“Bene, ho giocato tanto e…”
“Con che cosa?” la interruppe la mamma.
“Con le bambole assieme a Dallas, mentre Andrew e Demi sono andati di sopra. A me non è dispiaciuto, la sorella di Demetria è fortissima! Ma ve l’ho già detto. Perché me lo chiedete di nuovo?”
Frank rilassò le spalle e il viso, Joyce cercò di non scomporsi: dovevano rimanere calmi e farle capire la situazione , non sgridarla e basta, o in quel modo non avrebbe imparato nulla.
“Perché,” prese la parola Andrew, “ieri sera ti ho vista mentre nascondevi Sybil nel cesto dei giochi. Sono andato a controllare ed era lei.”
La bambina si alzò in piedi facendo cadere la sedia.
“Cosa? Cattivo, tu sei una spia!” gridò, mentre il suo cuore saltava un battito.
Non era preparata a tutto questo, al fatto che l’avessero scoperta.
Non lo sono, invece” ribatté lui, piccato.
Andrew si aspettava che gli avrebbe detto che era cattivo, la riteneva una cosa normale vista la situazione, ma non poteva accettare di essere accusato ingiustamente.
“Okay, adesso basta.”
Il tono perentorio del padre zittì entrambi.
“Carlie, Andrew non ha spiato nessuno. Ha solo avuto un dubbio visto che non scendi mai di notte, all’inizio credeva ti fossi sentita male e poi si è accorto” continuò l’uomo. “Allora, è vero che hai rubato quel leopardo?”
La piccina abbassò lo sguardo e fissò il pavimento per alcuni, lunghi secondi e pensò che avrebbe voluto farsi piccola piccola e sparire.
“Sì, l’ho preso. L’ho rubato, insomma” mormorò, vicina alle lacrime.
Farlo era stata una cosa, l’aveva trovato rischioso e divertente, le era sembrato giusto. Ma dirlo era un’altra, rendeva il tutto più reale e solo adesso capiva ancora meglio quanto fosse sbagliato. Il nodo che aveva in gola si strinse sempre più e dovette deglutire più volte per sentire meno dolore.
“Portalo qui subito, per favore.”
Le parole del padre non ammettevano discussioni.
“Ma adesso è il mio giocattolo, l’ho preso io!” protestò, in un ultimo tentativo di tenerlo.
“Ho detto adesso. Non discutere.”
Stava alzando la voce e perdendo la pazienza e la bambina tremò con violenza.
“Carlie, ascoltami.” La mamma le si fece sempre più vicina e la guardò con intensità prima di riprendere con decisione, ma senza alzare la voce. “Sybil non è tua. Se rubi qualcosa non significa che ti appartenga. È di Demi e lo sarà sempre, gliel’hanno regalata i suoi per il compleanno. Perché non mi hai chiesto un peluche uguale a quello? Te l’avrei comprato.”
“Perché volevo lei” rimarcò la bimba, poi strinse le mani a pugno e se le portò davanti al petto, come per proteggersi da chissà cosa. “L’ho presa perché era bellissima, mi piaceva e la volevo. L’ho nascosta nel mio zaino e non se n’è accorto nessuno.”
“Quindi non l’hai presa perché, senza pensarci, non ti abbiamo fatta giocare con noi?”
Andrew doveva togliersi quel dubbio, era una delle cose che lo assillava dalla sera precedente e ne aveva parlato anche con i suoi, prima che la sorella arrivasse. Perché oltre allo shock, un altro pensiero che l’aveva tenuto sveglio era quello che fosse stata colpa sua e di Demi dato che non l’avevano coinvolta, che Carlie si fosse comportata così per vendicarsi, un po’ come se avesse detto:
“Non mi hai fatta giocare con voi? Benissimo, ora io ti porto via il regalo, così vedrai quanto starai male.”
Ciò l’aveva fatto sentire responsabile, un po’ come se alla fin fine fosse stato lui a rubare quel leopardo.
Quindi forse ieri sera, quando rimanevo immobile e sudavo, non ero solo sotto shock ma stavo già così. Gesù, dammi una mano.
In un solo giorno, poteva aver ferito sia Carlie che la migliore amica. Gli veniva da piangere, si tratteneva a forza e, se la risposta della sorella fosse stata positiva, non aveva idea di come spiegarlo a Demi. Magari sarebbe stato meglio proteggerla, non raccontarle nulla, ma più volte si erano promessi di raccontarsi tutto e lui voleva mantenere quel giuramento fatto un paio d’anni prima. Avrebbe dovuto andarci con calma, parlarle con delicatezza e usare parole semplici, non voleva che soffrisse o, almeno, limitare il più possibile il suo dolore.
“Oh, Dio, aiutami!” Pregò.
“Cosa?” La voce di Carlie lo riportò al presente e si alzò di alcune ottave. “No, no lo giuro!”
Disse che non aveva nemmeno pensato ad una motivazione del genere e il ragazzino si sentì più tranquillo, piano piano il senso di colpa svanì. E così, sua sorella spiegò come alla fine era arrivata nel cesto e quello che avrebbe voluto fare per tenerla segreta.
“Hai rubato altre volte?” le domandò ancora Frank, sempre con lo stesso tono.
“No, no mai! Siete arrabbiati?”
Fu sempre lui a rispondere.
“Diciamo che siamo più delusi, tristi pensando a quello che hai fatto.”
“Mi dispiace tanto.” La bambina non riusciva a guardare nessuno di loro, mentre gli angoli della bocca le si curvavano all’ingiù e gli occhi faticavano a trattenere il pianto. Portò Sybil sul tavolo come le era stato chiesto poco prima e la appoggiò sopra di esso, proprio al centro mentre Joyce sparecchiava. “Eccola qui” mormorò e la accarezzò, con la voce rotta dall’emozione.
“Carlie, ci dispiace che tu pianga” riprese Frank, che si addolcì. “Ma rubare è sbagliato, anzi, è una delle cose più brutte che si possa fare ed è ancora peggio se la persona a cui porti via qualcosa è qualcuno che conosci, ma non è giusto in ogni caso. Non si deve fare, capisci? Tu hai portato via ad un’altra persona qualcosa a cui teneva molto e lei ora ci starà sicuramente male. Non puoi prendere quello che non è tuo e pensare che lo sia, perché non è così a meno che l’altra persona te lo regali. E in ogni caso, prima di giocare con qualcosa che non ti appartiene, devi sempre chiedere il permesso.”
Carlie sospirò.
“Non ci avevo pensato” osservò, vergognandosi da morire.
“A cosa?”
“Demi adesso sta male per colpa mia, mamma.”
“Già, ma possiamo sistemare tutto.”
“Devo ridarle il gioco, giusto?”
“Sì” riprese Frank. “Ma non solo. Puoi anche fare qualcos’altro di molto bello per lei.”
Mentre ne parlavano, Carlie rifletté sul fatto che non le sarebbe piaciuto se a lei fosse accaduta la stessa cosa che era successa a Demi. Si era comportata malissimo con lei, adesso lo capiva al cento per cento.
“Devo proprio?” chiese alla fine.
Va bene, aveva sbagliato, ma era necessario arrivare addirittura a questo?
“Sì, perché hai fatto un danno, devi scusarti, ridare ciò che non è tuo e farti perdonare” le spiegò la mamma.
“E che non succeda ancora” aggiunse Frank, più duro, “o la prossima volta ci arrabbieremo molto di più. Chiaro?”
“Chiaro.”
Carlie faticò a pronunciare quella parola e una lacrima le rigò la guancia.
La moglie guardò il marito come per dirgli di smetterla, che la figlia aveva capito e che non era il caso di farla stare ancora peggio.
“Anch’io ci soffro, ma adesso basta” mormorò al suo orecchio quando gli si avvicinò.
“Sei troppo buona con lei, non puoi proteggerla sempre.”
“E cos’avrei dovuto fare? Darle uno schiaffo e metterla in castigo senza che capisse davvero dove aveva sbagliato?”
“No, ma nemmeno essere sempre carina.”
“Va bene, anche oggi entrambi abbiamo fatto quello che potevamo, il nostro meglio ed ora ha capito. Sai che io sono sempre stata più comprensiva di te, no? Ma tu le hai detto cose giuste, è anche grazie a te se siamo a questo punto. Non litighiamo, dai.”
Si abbracciarono con calore.
I due fratelli non udirono quella conversazione.
“Posso tenerla ancora un po’?” chiese Carlie alla mamma.
“No, gliela riporteremo adesso.”
Stavolta Joyce fu più decisa, non voleva che la figlia avesse la sensazione che tutto le era concesso.
“Ma mamma!”
“Niente “Ma mamma”. È di Demi? Bene, gliel’hai presa ieri mattina ed è già stata troppo tempo senza di lei. Gliela riporteremo subito, signorina.”
Carlie pianse senza freni all’idea di dover ridare Sybil alla sua vicina di casa, ma nella sua mente di bambina sapeva che era giusto e si consolò pensando che avrebbe sempre potuto vederla. Così,
dopo aver chiesto scusa e abbracciato il fratello, che la perdonò all’istante, si vestì e partì con i genitori, Sybil fra le braccia e l’anima ed il cuore pesanti. Durante il tragitto le scesero molte lacrime silenziose, che si affrettò ad asciugare con la manica della maglia mentre dava il suo ultimo addio all’amica.
 
 
 
Quella stessa mattina, quando si decise ad alzarsi dal letto dopo una notte passata in bianco, Demi aveva gli occhi gonfi e che le bruciavano a causa delle troppe lacrime versate. Sentendo rumori in cucina scese in fretta e trovò i genitori e Dallas già in piedi. Non era poi molto tardi e, dopo averli salutati a mezza voce, si sedette a fare colazione. Mangiò poco o niente, quasi non parlò. Rimase davanti alla tazza di latte fino a quando Dallas la riportò alla realtà e fu solo allora che capì che per minuti interi aveva pensato a Sybil e a nessun’altra, estraniandosi da tutto. Non riusciva nemmeno a seguire la conversazione che avevano intavolato i suoi familiari e poi non le interessava.
“Su, tesoro, dopo mangiato richiamerò Joyce. Te lo prometto” cercò di farle coraggio Dianna.
“Risolveremo tutto, vedrai, come ti abbiamo detto ieri” aggiunse Eddie.
Ma dalla sera prima nessuna rassicurazione sembrava darle speranza, infatti annuì poco convinta.
A Dallas sarebbe piaciuto dirle che le avrebbe comprato un giocattolo mille volte più bello di Sybil ma tacque, sapendo che non sarebbe stata di nessun aiuto perché in quel momento, per la sorellina, il leopardo delle nevi era il più importante e fantastico del mondo. Dopo aver piluccato qualcosa e bevuto controvoglia il suo latte, Demetria si sedette sul divano a braccia conserte e con la schiena incurvata.
“Sta’ dritta, tesoro” la rimproverò bonariamente la mamma. “Il fatto che tu sia triste non significa che debba rimanere in una posizione scorretta.”
La piccola sbuffò piano, per non farsi sentire, e si sollevò dopo essersi messa un cuscino dietro la schiena.
“Adesso chiami Joyce?” le domandò con voce stanca.
Aveva la mente un po’ annebbiata e gli occhi le si chiudevano. La mancanza di sonno iniziava a mostrare i suoi effetti; si sarebbe volentieri sdraiata, o sul divano o di nuovo a letto, ma sapeva che non sarebbe riuscita a riposare con la testa piena di paure e pensieri cupi.
“Sì, lo faccio subito. O vuoi tu?”
“No, non ci riesco.”
Sarebbe scoppiata a piangere, o ad urlare, o entrambe le cose.
Come farò ad allenarmi per “Cinderella” oggi pomeriggio? Non ce la posso fare, così.
Ma di certo la mamma non le avrebbe permesso di saltare l’allenamento solo perché qualcuno le aveva rubato un gioco al quale teneva moltissimo e lei non gliel’avrebbe nemmeno chiesto. Non le pareva il caso, visti tutti gli sforzi che Dianna aveva fatto affinché lei e Dallas potessero partecipare. In fondo non era morto nessuno e lei non stava male, non fisicamente almeno, per cui non c’era altra scusa che tenesse. Si immaginava già Pam e Gina che, a ragione, le dicevano:
“Su, Demi, fai un sorriso”
Oppure:
“Tieni la bocca chiusa, non sorridere ma non essere nemmeno così triste. Devi comportarti come una modella, non una figura tragica, altrimenti la gente osserverà i tuoi occhi e non la camminata ed i vestiti.”
Lei si sarebbe sforzata, fallendo, e la mamma l’avrebbe rimproverata in seguito. O magari sarebbe riuscita a fare ciò che le veniva detto, ma i suoi sorrisi non sarebbero stati sinceri. Mentre pensava osservava Dianna che, dopo aver sistemato un po’ la cucina, si avvicinava al telefono.
Finalmente!
Il cuore della piccola prese a battere all’impazzata mentre prendeva a sfregare le mani sudate sui pantaloni.
Ma mentre la mamma componeva il numero, suonò il campanello. Demi si gelò sul posto, non riuscendo più a muovere un muscolo e, o almeno così le parve, nemmeno a respirare. Era Carlie? Oppure qualcuno era venuto a trovarle ritardando quella chiamata? Prese a farle male il petto, un dolore che si estese dalle costole allo sterno e poi al cuore e fu solo dopo alcuni, interminabili secondi che si rese conto che in effetti stava trattenendo il fiato. Lo lasciò andare lentamente e poi inspirò per riprendere ossigeno. Eddie, intanto, era andato ad aprire.
“Ciao” lo sentì dire, gentile come sempre.
Non poteva vederlo ma l’uomo sorrideva anche se, per la prima volta da quando li conosceva, non sapeva bene come comportarsi. I Marwell erano lì, tutti e quattro, gli adulti ed Andrew rossi per l’imbarazzo e Carlie con gli occhi pieni di tristezza e lui se ne stava immobile con loro sulla soglia.
“Falli entrare, no?”
La fidanzata lo raggiunse e lui si riscosse, come se qualcuno lo avesse appena svegliato da un sogno strano.
“Oh sì, s-scusatemi” balbettò.
Ora sembrava lui quello imbarazzato, anche se non ne aveva alcun motivo; in fondo non aveva fatto nulla né a loro né ai ragazzi, però sapere che Carlie aveva combinato un guaio lo faceva sentire come se ciò che tra tutti loro restava in sospeso li distanziasse.
Una lontananza che nessuno dei presenti voleva, ma che non sapevano come accorciare. Fu Frank a sciogliere il ghiaccio.
“Immagino che sappiate il motivo per cui siamo venuti qui stamattina” disse con voce chiara.
“Stavo per chiamarvi” gli rispose Dianna, “ma se siete a casa nostra significa che tutti sapete.”
I tre annuirono e Carlie abbassò lo sguardo.
“Coraggio, vai a fare quello che devi” la esortò la mamma, alzando appena la voce.
Si era ripromessa di non sgridarla troppo benché fossero stati chiari con lei riguardo ciò che non si poteva fare. Tuttavia ora era venuto il momento che la bambina si prendesse le sue responsabilità e accettasse le conseguenze del proprio gesto.
Carlie mosse qualche passo, esitante, verso il tappeto dove Demi si trovava, in piedi per accogliere gli ospiti come i genitori le avevano sempre insegnato. In quella situazione se ne sarebbe stata più che volentieri seduta ma Joyce, Frank ed Andrew non c’entravano, quindi perché comportarsi male anche con loro? Non andò verso l’altra bambina né le disse niente anche se le avrebbe volentieri strappato Sybil di mano, era lei a doversi avvicinare e a cui spettava il primo passo. Ed eccole lì, l’una di fronte all’altra, a circa un metro di distanza. Si guardarono per lunghi istanti, Carlie con gli occhi pieni di lacrime e l’espressione da cagnolino bastonato, di chi vuole chiederti scusa solo osservandoti, Demi invece con lo sguardo iniettato di sangue. Ma, ancora una volta, non proferì parola e strinse i pugni tenendo le braccia lungo i fianchi. Non avrebbe mai fatto del male a Carlie, era solo un modo per scaricare la rabbia e la tensione. E poi vederla con Sybil in braccio sapendo che non le aveva chiesto il permesso di prenderla la faceva ardere di collera. Si sentiva bollente, dentro di lei c’era un fuoco che bruciava con maggior forza ad ogni secondo che passava e avrebbe tanto desiderato dirgliene quattro, oh, Dio solo sapeva quanto. Si stava trattenendo a fatica, per educazione più che per suo volere.
“Ciao Demi, volevo chiederti scusa” iniziò la più piccola, stavolta non guardandola e parlò così piano che l’altra fece fatica ad udirla.
“Voce!”
Frank che con gli altri adulti, Andrew e Dallas si era seduto al tavolo del salotto e le osservava, si fece sentire, rimproverato subito dalla moglie che, piano, gli fece notare che avrebbe dovuto lasciare alla figlia il tempo necessario.
“Ci sta provando, diamole fiducia.”
L’uomo tentò di rilasssarsi e pensare che adesso era una faccenda tra Demi e Carlie e che avrebbero potuto risolverla da sole o, almeno, sperava che nessuno degli adulti lì presenti sarebbe stato costretto ad intervenire.
Buddy, come se avesse saputo che si trattava di un momento particolare, osservava tutto dalla sua cuccia, in piedi, ma non fiatava. Doveva percepire la tensione che si respirava nell’aria.
Carlie si schiarì la voce e si passò una mano sulle guance sudate.
“Volevo chiederti scusa” ricominciò, stavolta più decisa e riprendendo a guardarla.
“Alla buon’ora” non poté astenersi dal commentare Demi.
L’altra abbassò per un momento gli occhi.
“Ho preso il tuo giocattolo, l’ho portato a casa e ti ho fatto male.”
“Sì, proprio così.”
La voce di Demetria era glaciale.
Dianna avrebbe voluto intervenire, dire alla figlia di essere più educata nonostante la situazione scomoda, ma Eddie la fermò.
“Lo so e mi dispiace tantissimo. Ho fatto una cosa molto brutta, rubando.  
E poi non si ruba agli amici o agli amici dei fratelli" concluse, ripetendosi come spesso fanno i bambini.
"Infatti. L'ho fatto anch'io, ma ero molto più piccola. Ne volevi uno? Te lo facevi comprare" rispose Demi, piccata.
Carlie deglutì a vuoto: le parole dell’altra bambina, anche se giuste, le facevano male, ma soprattutto la feriva il suo tono perché era sempre arrabbiata o triste a seconda di ciò che lei diceva.
"Hai ragione, ma l’ho presa perché volevo solo lei.”
“Beh, è mia.”
“Sì, lo so benissimo. Senti, ti sto chiedendo scusa. Questa è tua."
Allungare le braccia per ridarle Sybil fu, per Carlie, qualcosa che non avrebbe mai immaginato essere così doloroso. All'inizio avvertì solo qualcosa che la pungeva, uno spillo al centro del petto, ma quando il leopardo tornò alla sua legittima proprietaria, che comunque si era protesa per prenderlo, questo dolore si allargò ed intensificò a dismisura fino a toglierle tutta l'aria dai polmoni.
A Demi quegli sforzi non erano sfuggiti e, se in parte quando Sybil tornò da lei il suo cuore prese a fare le capriole e le si allargò un sorriso raggiante sul volto, dall'altra le dispiacque un po' perché, se la piccola si comportava così, doveva volerle molto bene.
"Grazie per averla trattata bene, comunque" disse infatti. Le pareva giusto ringraziarla per questo. "E soprattutto per avermela riportata."
"Non è stato tutto merito mio, anzi." Carlie fu onesta e le raccontò com'erano andate le cose. "Allora, pace?" domandò infine, con la mano già tesa verso la sua.
Demetria si rilassò; era andato tutto bene, aveva riavuto Sybil e, anche se l'altra si era comportata male, da quanto le aveva raccontato aveva capito il suo errore e non si sarebbe più comportata così, quindi non era il caso di avercela ancora con lei.
Dopo lunghi momenti di esitazione, allungò la mano e gliela strinse.
"Questa è la mia paghetta per due settimane." Carlie le mostrò dieci dollari. "Se vuoi, possiamo uscire con i nostri genitori e ti offrirò ciò che ti va."
Aveva faticato un po’ ad accettare quella punizione, ma poi si era resa conto che avrebbe fatto qualcosa di molto carino per la persona che aveva ferito per scusarsi ulteriormente.
"Non serve. Ho Sybil e va bene così."
Demi non voleva approfittare della gentilezza dell'altra, le sembrava maleducato.
"Voglio farlo. Per favore!"
Nel frattempo Joyce e Frank avevano già raccontato a Eddie, Dianna e Dallas come si erano messi d'accordo, per cui i tre non dissero nulla.
Demi cercò lo sguardo della mamma per domandarle cosa fare e lei le rispose con le labbra:
"Decidi tu."
Ci pensò su per qualche altro secondo, poi sussurrò:
"Va bene, grazie."
Fu così che tutti uscirono a fare una seconda colazione, dopo che Demi ebbe riposto Sybil nel cesto dei giochi promettendole con carezze, baci e parole dolci che sarebbe tornata presto per giocare con lei. Si diressero in una gelateria abbastanza costosa nel centro della città, un luogo dove i Marwell andavano solo una volta l'anno e i Lovato mai e se gli altri si arrangiarono, Carlie prese a Demi una grande coppa di gelato al cioccolato con aggiunta di riso soffiato, un po' di nutella e panna.
"Ti va se la mangiamo in due?" chiese la bambina all'altra. "Non ce la farò mai a finirla."
"Ma io te l'ho pagata per ringraziarti."
"Lo so, ed io te ne do una parte perché tu capisca che non sono più arrabbiata."
Le due bimbe sorridevano e gli adulti si resero conto che era tutto a posto, grazie al cielo.
"Come ti senti?" chiese Andrew a Demi mentre mangiavano.
Lui aveva preso un cappuccino e una brioche, aveva iniziato a bere il caffè da poco e in quella bevanda non ce n'era molto.
"Meglio, grazie. E sei stato molto gentile ad accorgerti di quello che era successo e a parlarne con i tuoi. Insomma, un altro non avrebbe detto niente."
"Io non sono così. Preferisco sempre la verità, anche se può far male. E poi tu stavi soffrendo e mi dispiaceva."
Demetria rifletté a lungo sulle sue parole. Erano un po' difficili da capire per una bambina di sette anni, ma comprese che la verità poteva far male in quel caso a Carlie che, dopo averla detta, aveva dovuto ridarle Sybil e soffrire per questo.
Una volta tornata a casa con la pancia più che piena, la bambina corse subito dal leopardo.
"Sei tornata!" esclamò facendo un giro su se stessa mentre la teneva sollevata in aria.
Si sarebbe messa ad urlare per la gioia, ma si limitò a saltellare per il salotto con lei in braccio.
Immaginò che il leopardo stesse sorridendo proprio come lei.
"Dai, Sybil, andiamo a giocare."
Passò quasi tutto il giorno, salvo gli allenamenti che non vide l'ora di terminare, a divertirsi con lei e uscì controvoglia dalla camera per mangiare, vivendo con la sua amica - o figlia, a seconda dei giochi - avventure incredibili. Ma nonostante ciò e anche se adesso era contenta, la sera a letto fece fatica ad addormentarsi. Aveva visto l'espressione di Carlie nel ridarle il giocattolo. In parte era stata felice al pensiero che si fosse sentita così. Se l'era meritato dopo quello che aveva fatto. Ma d'altro canto ci era anche rimasta male ed era proprio questo che non la faceva stare tranquilla. Alla fine, con Sybil sotto il braccio, scese in salotto dove i genitori stavano ancora guardando la televisione.
"Demi, che ci fai ancora sveglia?" le domandò Dianna.
"Vi dovrei chiedere una cosa. Ho un'idea, ma non so se è giusta, se va bene."
Il mattino dopo, accompagnata dalla mamma, Demetria bussò a casa di Andrew. Fu proprio lui ad aprire.
"Dem, ciao! Non ti aspettavo così presto, ci siamo visti ieri. Ma non mi dispiace vederti, affatto" si affrettò ad aggiungere, per paura che fraintendesse. "Entrate pure."
Le fece accomodare sul divano.
"Dove sono la mamma e Carlie, caro?" gli domandò Dianna con una voce tanto dolce che sembrò accarezzarlo.
"A giocare nel parco qui vicino, torneranno a momenti. Avete bisogno di loro?"
Demi annuì.
La conversazione si protrasse per alcuni minuti con difficoltà. I due amichetti non sapevano bene di cosa parlare dato che ultimamente si vedevano molto spesso e così dissero che il tempo era bello e Demetria gli raccontò degli allenamenti che stava facendo.
Quando la porta si aprì, la bambina si raddrizzò ancora di più e, nel vederla, Carlie le lanciò uno sguardo interrogativo. Dopo i saluti, fu Demi ad avvicinarsi all’altra bambina.
"Io ho capito che ora sai che quello che hai fatto è sbagliato e mi hai promesso che non accadrà più" iniziò.
"Sì, è vero e posso farlo ancora se vuoi."
"No, non è questo. Ho visto che eri molto triste mentre mi davi Sybil e immagino che le hai voluto bene." Quella frase le sembrò formulata male, ma non aveva tempo di chiedersi dove fosse l'errore. "Ti ho portato questo. È un regalo per farti sentire meno triste. Non è Sybil, ma sono sicura che potrai essere molto felice con lui o lei."
"Aspetta, aspetta." Joyce intervenne mentre Demi restava con la mano che stringeva il pacchetto a mezz'aria. "Non devi farlo. Insomma, lei ha sbagliato e adesso lo sa, regalarle qualcosa è troppo, ecco. Ti ha portato via un gioco e tu le fai un dono?"
Avrebbe voluto dire che non lo riteneva giusto, ma non ci riuscì soprattutto perché, quando Demi spiegò che lo faceva per non vederla più triste, perché la sua tristezza in parte l'aveva resa felice ma poi, alla fine, provocato dolore, ciò la commosse oltre ogni dire.
"Nessun bambino dovrebbe essere triste, nemmeno quelli che fanno degli sbagli e capiscono i propri errori. Io l'ho perdonata, lei è sincera e voglio darle quello che io ho. Non è stato facile decidere e forse non tutti capiranno, ma per me è la cosa giusta" concluse.
Una bambina che regalava ad un'altra un leopardo delle nevi quasi uguale a quello che la seconda le aveva rubato pochi giorni prima e restituito da poco, ecco cos'era Demi in quel momento. Era un gesto incredibile, molti bimbi al suo posto non avrebbero sopportato l'altro per giorni definendolo un ladro, ma nonostante tutto lei aveva comunque fatto qualcosa di buono.
"Demi, io… tu sei…" tentò Joyce, non riuscendo a terminare una frase.
Andrew restava a bocca aperta, senza parole né fiato, perché non si sarebbe mai aspettato un gesto del genere.
"Sei stata molto, troppo buona con me, Demetria Devonne" disse infine Carlie, usando il suo nome completo come facevano tutti per dirle qualcosa di serio o importante. "Non me lo merito."
"No, è vero. Ma volevo comunque vederti felice perché, anche se non siamo amiche e ti sei comportata male…” Non le venne la parola. La conosceva ma l’aveva usata poco, qual era? Ah, sì. “Desidero andare avanti e dirti che ti voglio bene."
La sua voce sembrava quella di un angelo, pensò Carlie, e le si avvicinò ancora di più per poi stringerla in un caldo abbraccio. Aveva già aperto il suo nuovo regalo e il leopardo ancora senza nome si scontrò con Sybil, che Demetria aveva deciso di portare con sé, come se anche i due animali volessero stringersi.
"Forse vogliono conoscersi" mormorò Carlie.
"Dovremmo incontrarci ancora più spesso per farli giocare insieme" osservò Demi e l'altra accolse con gioia la proposta. "Ah, come lo chiamerai?"
"Simba."
"Ma è il nome del leone de "Il Re Leone". Che c'entra?"
"Non so, mi piace."
La differenza tra i due era che quello di Carlie era un po' più grande e aveva delle macchie più spesse sul manto, inoltre ce n'erano un po' di più rispetto a quelle di Sybil.
Joyce e i suoi figli ringraziarono tantissimo entrambe, offrirono loro un tè e non sapevano più come sdebitarsi per quel regalo non meritato, che però Demi aveva comunque deciso di fare. Sarà anche stata piccola, ma aveva un cuore enorme.
"A me basta che tu gli voglia bene, non devi ringraziarmi più" fece sapere a Carlie.
"Gliene vorrò tantissimo, te lo prometto."
Tornata a casa, Demetria riprese a giocare e a fantasticare sui territori in cui viveva Sybil.
"Ti voglio bene" le ricordava spesso, come temendo che l'altra potesse dimenticarlo.
Non era stato facile, avevano vissuto entrambe dei momenti drammatici, ma alla fine erano di nuovo insieme e lo sarebbero state per sempre.
 
 
credits:
Judy Garland, Somewhere Over The Rainbow
 
 
NOTE:
1. Demi è nata ad Albuquerque e da piccola abitava in Texas, ma l’ho scoperto dopo aver iniziato a scrivere. Ho mantenuto quindi l’ambientazione che ho utilizzato per le altre mie storie, anche se qui non ha molta importanza: Los Angeles.
2. Nel suo memoir “Falling With Wings: A Mother’s Story”, Dianna spiega che Demi aveva provato ad entrare a “Barney And Friends” a cinque anni ma era stata squalificata per quel motivo nonostante l’aiuto di Dallas e che poi la bambina ha detto di voler ritentare.
3. Racconta, sempre nel libro, di aver sofferto di anoressia dall’adolescenza e per molti anni a venire, oltre ad altri problemi quali, ad esempio, depressione e depressione post partum dei quali, secondo la sua logica, nessuno doveva sapere o ciò l’avrebbe resa debole ai loro occhi. Tutto quello che ho scritto sull’anoressia è quindi vero, tratto dal libro (l’ossessione della perfezione e del controllo sulla propria vita, il fatto che nessuno doveva sapere, che il suo non fosse un problema, che si alzava presto, si truccava e voleva essere sempre perfetta in tutto) e, per quanto riguarda i sintomi, anche da mie ricerche. Per esempio, non so se lei sentisse le voci o vomitasse, ma molte anoressiche lo fanno (le prime sono una sorta di dialogo interiore con la propria testa). Non so nemmeno se si coprisse molto per nascondere la magrezza o se mangiasse in modo diverso in presenza di Eddie, ma la questione dei panini e delle verdure è vera. Per quanto riguarda la depressione, non sono sicura che quando Demi aveva sette anni lei la provasse, nel libro non c’è scritto che le fosse tornata in quel periodo, per cui ho preferito non parlarne. Nel libro però racconta spesso del fatto che si sentisse stanca ed un fallimento come persona e soprattutto come mamma.
4. L’episodio del quarto compleanno di Demi è, purtroppo, vero e tratto dal memoir. Ho inventato alcune cose come il vestito che aveva messo la piccola o la sua felicità, ma il fatto che Patrick l’abbia riportata a casa per quel motivo è reale. Non so come le abbia guardate né se per riaccompagnare Demi abbia corso, ma comunque è stato un comportamento orribile. Le battute di dialogo in corsivo sono una traduzione fatta da me. Ecco le originali.
“I got to go,”
“Bring the kids to my house right now,” […] “I’ll throw Demi a party!”
(Tra queste due frasi dette da Eddie c’è, nel libro, una frase in discorso indiretto).
Ed è vero, lui ha organizzato esattamente quella festa.
5. Ho trovato le informazioni sul leopardo delle nevi su diversi siti internet, poi l’ho riscritta con parole mie.
6. Demi e Dallas hanno davvero partecipato al “Cinderella”, che si è svolto a settembre di quell’anno. Tutto ciò che ho scritto a riguardo è vero, ho solo inventato la camminata da modelle che fanno all’inizio dell’allenamento, prima del “pretty feet”, perché credevo dovessero comunque sapersi muovere bene al di là di quella tecnica. Ho riportato solo la canzone di Dallas perché Dianna non ha scritto quale ha cantato Demi. Non so se le sorelle si esercitassero tanto o se, dopo mesi, cantassero in modo pienamente sicuro, ma ho immaginato di sì. Dianna scrive che durante quelle lezioni si divertivano tutte tantissimo, non spiega bene come ma dà ad intendere che non fossero solo ore di studio rigido.
7. La chiamata con Patrick è inventata, ma ho voluto descrivere ciò d cui la sua ex parla nel memoir, il fatto che le bambine non lo vedessero molto (lei dice che non gliele avrebbe mai lasciate finché fosse stato male) e che lui fosse stato in parte presente ma anche no nella loro vita, prima di andarsene. Dopo a volte lo vedevano, non so quante però, per cui ho creato un’atmosfera di affetto sì, ma anche di distacco. Tuttavia, nonostante le cose orribili che ha fatto come rovinare il dito di sua moglie, ridicolizzarla, insultarla anche dopo il divorzio, non voglio dire che lui sia stato solo un cattivo padre, perché penso che amasse davvero Dallas e Demi solo che non sapeva bene come dimostrarlo, come tra l’altro ha rivelato con altre parole la stessa Demetria.
Dianna non specifica se il marito le abbia messo le mani addosso altre volte oltre all’episodio del dito e a pochi altri, ma è plausibile.
8. Buddy è inventato. Demi aveva davvero un Cocker Spaniel da piccola, ma si chiamava Trump ed era nero, mentre Buddy è bianco. Non l’ho scoperto da moltissimo tempo, però, e quindi io ed una mia amica, Emmastory, nella scrittura di “Cronaca di un felice Natale” ci siamo inventate che Eddi e Dianna abbiano regalato a Demetria un cagnolino che lei ha chiamato così, ma che non c’entra niente con il cane che ha avuto da grande.
9. Per quanto riguarda le malattie delle quali forse soffriva Patrick, Dianna le menziona nel libro spiegando cosa quei termini significassero quando lei stava ancora con lui, ovvero ciò che ho scritto.
In “Simply Complicated” viene spiegato che Dianna e le figlie non parlavano mai di cose profonde per i motivi che ho spiegato, tratti invece dal libro, perché nel documentario non sono menzionati.
Ho cercato di immaginare i sentimenti che le figlie dovevano provare nei confronti del padre dopo una delusione e mi è sembrato importante analizzare anche quelli di Dallas, perché non era solo Demi a soffrire.
10. Vero, Dallas aveva ballato e cantato durante il tour dei genitori, poi aveva smesso, tutto l’episodio che ho raccontato è reale e tratto dal libro, così come il fatto che abbia ricominciato per il “Cinderella” stupendo tutti con quella canzone.
11. In alcune interviste Demi ha fatto sapere che fin da quando aveva tre anni si guardava la pancia e si vedeva grassa.
12. Da piccola, verso i nove anni, Demi ha iniziato a soffrire di binge eating e nel libro Dianna parla proprio del fatto che si abbuffasse in particolare di dolci. In questo disturbo il soggetto mangia tanto, in modo incontrollato, di nascosto, per sopperire ad un dolore o a un problema che lo sopraffà e non coinvolge il vomito.
   
 
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