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Autore: Freddie36    05/04/2020    0 recensioni
Ci troviamo nel 1942, apparentemente sembra una scena normale, con un ragazzo che cammina per strada con una busta della spesa; quando, arrivato a casa, dopo pochi minuti lui e la sua famiglia sentono fuori dalla porta delle urla.
Tutti si chiedono il padre dov’ê?
Genere: Angst, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Ciao a tutti, eccomi di nuovo qua.
ho deciso di scrivere un altra fan fiction nel periodo di guerra, dato che ho visto che la fiction: "221" ha raggiunto quasi le 300 letture, e sono molto contenta di ciò. Vi ringrazio veramente!
ancora una cosa, poi ti lascio: scusatemi per gli errori grammaticali. E spero che questo non rovini la lettura.

Ci troviamo nell’anno 1942 a Berlino. Su una delle tante strade della capitale sta camminando un ragazzo di circa 27 anni: alto, um po’ grassottello; con un ombrello nero che tiene a mo’ di bastone, anche se da come cammina sembra che non abbia nessun problema alle gambe. Il suddetto ragazzo portava una busta contenente, sembrava, del cibo; per meglio dire, gli ingredienti per fare da mangiare: insomma, una busta con la spesa. Svoltò a sinistra e dopo 500 metri si fermò davanti ad una piccola casa: aprì il portone. Oltrepassò il piccolo giardino, ed entrò in casa, dove posò il giubotto sull’attaccapanni prima di dirigersi verso la cucina per posare la spesa. “Chi ero, e chi sono arrivato!” Borbottò lui infastidito. Infatti, prima che la Germania nazzista prendesse il sopravvento e prima che Hitler salisse al potere, lui faceva parte del governo civile che costituiva la repubblica di Weimar; non era uno dei membri principali, ma dava il suo contributo. Ma tutto questo prima che Hitler ed i suoi seguaci istituissero il terzo Reich. “Mycroft! Finalmente sei arrivato! Ero così preoccupata…” una signora sui 45 anni gli andò incontro. “Mamma” disse lui “E perché eri così preoccupata?” “Come non potrei… ci troviamo in un brutto periodo!” “Non ti preoccupare. Non potranno trovarci” disse lui con tono gentile. “Dai, ti aiuto con la spesa” “Aprite la porta” si udirono delle voci minacciose alla porta. “Che succede?” Un ragazzo sui vent’anni scese da una scalinata; indossava una vestaglia blue: la sua vestaglia preferita. Intanto le urla ed i pungni e calci contro la porta continuavano. “Abbiamo circa due minuti” disse Mycroft con calma per non spaventare gli altri. “Non pensavo di inaugurare così la stanza sul retro!” Disse Violet, la madre dei due, con panico crescente. “Papà ci ha traditi.” Affermò Sherlock, il ragazzo di vent’anni. Mycroft e Violet lo guardarono. “Stavo analizzando un liquido con il microscopio, una settimana fa; quando con la coda dell’occhio ho visto papà che stava scrivendo qualcosa. Quando infilò il foglio nella busta e poi la girò, ho potuto vedere che era indirizzata a Himler…” “Himler? E perché non mi hai detto niente?” Domandò Mycroft irritato; si trovavano nella stanza: era molto piccola e con un unico letto, ma era anche bella. Chiedo scusa se non la descriverò, ma i dettagli non sono importanti, almenoché non si sia effetuato un omicidio. ”secondo te?” Chiese Sherlock sarcastico. “Ti ricordi James Himler che è stato testimone di papà?” Il maggiore degli Holmes non disse nulla, ma lasciò continuare il minore nel suo racconto. “Come dicevo, pensavo che stava scrivendo a James, magari per invitarlo ad una cena… o qualche sciocchezza del genere. “Decisi di non dirlo alla mamma perché pensavo che fosse una sorpresa; e poi dopo qualche ora me ne dimenticai”. “E come fai a dire che è stato Siger?” Chiese incredula Violet. “Sta mattina Mycroft, quando sei uscito di casa, papà è uscito subito dopo di te…” “Ricordo” disse Violet, mettendosi le mani sugli occhi per non vedere. “Mi aveva detto che aveva una sopresa per me!” “Esatto” confermò Sherlock. “Ma mi è sembrato strano che era vestito in maniera troppo elegante, come se dovesse incontrare la regina in persona… in questo caso il dittatore” tutti gli Holmes sorrisero a quella battuta. “Così sono andato sopra ed ho raccolto ciò che era necessario, nel caso dovessimo stare chiusi in questa casa.” “Io non riesco ancora a crederci” “Mamma, lui è ariano. Pensi davvero che lui ama più te che i soldi?” Disse Mycroft. Lei non rispose. Il maggiore proseguì: “Ma se è davvero così, lui conosce questa stanza…” “Se facciamo alla svelta, potremmo scappare” e Sherlock tirò fuori dei vestiti ottocenteschi. “Io non sono così grasso” si lamentò Mycroft, vedendo Holmes che gli porgava dei pantaloni due taglie più grandi dei suoi. “Non c’è nessuno qui!” Gridò una voce maschile. “Abbiamo ricevuto una segnalazione che qua ci sono tre ebrei!” Urlò un’altra voce maschile in risposta. “Potete spararmi, ma io vi ripeto che non c’è nessuno.” Ripeté ancora la prima voce “Sherlock. Siger non ci tradirebbe mai!” Violet era sollevata. “Bene. Se davvero non c’è nessuno, ci lasci controllare la casa.” “Non voglio sentirti mai più accusare tuo padre! Hai capito?” Disse lei piano, ma con voce arabbiata. Sherlock annuì e guardò mycroft che annuì a sua volta: loro padre era un attore; infatti così si sono conosciuti i suoi genitori: lei era una sua grande fan. La sera di tanti anni fa, lei aveva vinto un concorso ed il premio era passare una giornata intera con il più grande attore di Berlino: Siger Holmes. Ma quel giorno si trasformò in anni. “Bene. Non c’è niente” la seconda voce risvegliò Mycroft dai suoi pensieri. Si sentì sbattere la porta. “Porta tutto di sopra, mentre io vado a salutare tuo padre. Mycroft aiuta il tuo fratellino” disse quest’ultima frase con rabbia, sapendo che a Sherlock non piaceva esserE consIderato il più piccolo dei due: lo associava a, il più stupido dei due. “Mamma, rimani qua. Sherlock questa volta ha ragione” ma Violet non lo ascoltò. “Cosa aspettate? Con te parliamo dopo signorino!” Rivolse uno sguardo di fuoco a Sherlock. Uscì.“Come fa ad essere così stupida?” Si chiese Mycroft. “Lo ama ancora come il primo giorno” rifletté ad alta voce Sherlock.“Ho sempre detto che i sentimenti sono uno…” “Siger cosa fai?” Gridò spaventata Violet.“Avete ragione. Ci sono tre ebrei: mia moglie ed i miei due figli…” sembrò pensare un attimo. “Oh no, volevo dire tre ratti! Questo è la prima…” “Cosa? Se questo è uno scherzo…” iniziò lei con le lacrime agli occhi. “Non ricordi che io sono un attore? Mio Dio! Così stupida.” “Tu mi hai mai amata?” Chiese lei ormai t+emando, non sapeva neanche lei come si sentiva: “Ti ho amata. Ma sai, il Dio denaro!” Disse con un sorriso viscido. “Ora, dimmi, dove sono gli altri due ratti?” “Non chiamare così i nostri figli!” Rispose lei senza più voce. “Oh, mi dispiace” disse lui fintamente “ma so dove non ho cercato. Tenetela ferma!” Subito due uomini grandi come degli armadi, la tennero ferma per braccia e gambe.“Nooo!” Urlò lei. “Lasciateli stare!” “Sherlock andiamo!” Ripeté Mycroft con disperazione.“Abbiamo circa 30 secondi per scappare.” “Vai tu Mycroft! Io preferisco rimanere qui con la mamma.” Rispose quest’ultimo testardo. “Sherlock, se restiamo non possiamo aiutarla. Te l’ho spiegato mille volte.” “Il tuo piano non funziona Mycroft! Sono troppi.” Qualcuno aprì la porta, era Siger. Troppo tardi per qualsiasi azione. “Mi siete mancati figli miei!” Sherlock gli tirò un pugno. “Sporco piccolo ebreo!” Gridò lui con rabbia; e gli tirò un pugno nel petto. Per un attimo Sherlock non ebbe più il fiato. “Da quando?” Chiese Mycroft.“Da circa un mese” ghignò lui. “E come mai solo adesso?” Sherlock partì alla carica con un calcio. Ma Siger lo fermò e lui cadde per terra.“Servono rinforzi!” Urlò in tono d’ordine. Arrivò un terzo uomo che prese Sherlock in braccio, come se fosse un sacco di spazzatura. “Mycroft perché non fai niente?” Gridò Sherlock, ma non udì mai la risposta del maggiore. “Cosa vuoi per lasciarli liberi entrambi?” Domandò il maggiore degli Holmes. “Sempre a contrattare Mycroft?” Soghignò Siger. “Dimmi. Cosa vuoi?” “La vostra sparizione da questa terra!” “Potrai uccidermi ora. Ma lasciali liberi!” Sembrò soppesare la proposta: “hm, no… è più divertente vederti soffrire” e gli tirò un pugno sul naso. “D’accordo. Ma li lascerai vivere.” Disse Mycroft perentorio, ignorando il dolore al naso. “Oh no! Voi dovete morire. Tutti. Senza eccezioni!” “Non mi hai dato scelta!” Mycroft prese qualcosa che aveva in tasca e la puntò verso il padre. Sapeva che doveva agire in fretta, se voleva salvare Sherlock e sua madre; se solo Siger fosse stato da solo… “Cosa pensi di fare con quella pinzatrice?” Cominciò a ridere. “Sapevo che eri stupido, ma non così tanto!” “Papà, hai perso qualche decimo di vista a quanto pare.” E così dicendo sparò. Lo sparo non si sentì, ma solo un piccolo click. Siger urlò, più che altro per avvertire gli altri. Ma lo sparo era andato a segno: nel cuore. I tre componenti della famiglia Holmes si trovavano su un treno, in un vagone con altre trecento persone: infatti neanche lo spazio per sedersi non c’era. Violet piangeva, Sherlock era triste e Mycroft rifletteva. “Mycroft ti stavano davvero bene quei pantaloni vittoriani” Mycroft gli sorrise in risposta ed annuì. “Hai ancora quella pistola Mycroft?” Chiese Violet con gli occhi pieni di lacrime. “L’ultima volta ce l’avevo, ma temo che me l’abbiano presa” rispose. “Lo so che stai male per il tradimento di papà, ma lo sai bene che i sentimenti sono un difetto chimico della parte che perde!” “Avrei dovuto crederti Sherlock… mi dispiace!” E lo abbracciò. Qualcuno affianco a loro vomitò; quando Sherlock voltò il viso per vedere il motivo capì: un morto per terra. “Soffriva di claustrofobia” dichiarò suo fratello, senza qualche inflessione nella voce. Molti cominciarono a pregare, altri a cantare… c’erano due giovani che si stavano abbracciando: nel loro sguardo c’era amore e disperazione. Dopo tutto non c’era più tempo per il corteggiamento.I due giovani si baciarono. Quelli che stavano intorno a loro fecero un piccolo applauso. Dopo molte ore di viaggio, li fecero scendere dal treno a calci e spinte; almeno se non eri abbastanza veloce, subivi questo trattamento. “Marciare, marciare!” Solo questo nelle orecchie. Ad un certo punto si fermarono d’avanti ad un grande cancello di ferrro. C’era scritto: “Arbeit match frei”. “Quindi siamo qui per lavorare?” Chiese un ragazzo di 15 anni ad una guardia.“Esatto. Però prima, dovete seguirmi, affinché io vi possa dare il lavoro più adatto a voi.” Non era affatto stato come ha detto quella guardia. Dopo esser diventati solo dei numeri, erano stati costretti a lavorare, se si poteva chiamare lavoro quello. Violet era morta, con il cuore spezzato. Era morta dalla tristezza e dalla paura. Mycroft non si sapeva che fine aveva fatto. Sherlock era diventato il numero: 19851812153118151213519. Era abbastanza carino il suo numero; però mai non l’avrebbe pronunciato. Lui non era un numero. Un giorno una guardia entrò di corsa dove era coStretto lui a lavorare e urlò con tono imperatorio: “Chi di voi è 19851812153118151213519?” Sherlock fece un passo avanti. “Vieni con me.” Ormai cosa poteva perdere? Era stato meglio così. Se non avesse risposto, la punizione sarebbe stata peggio. Non solo per lui, ma anche per gli altri prigionieri. La guardia lo condusse ad una grande porta bianca: probabilmente la porta di un medico, anzi sicuramente, si capiva dalla scritta: “John Watson e Mary Morstan: medici e ricercatori”. La guardia bussò. Un uomo di circa 21 anni aprì la porta. Era biondo ed aveva un camice bianco; dopo di lui, una donna di circa 19 anni con uno sguardo gelido, e come l’uomo, indossava un camice bianco. “Vi ho portato l’ebreo che volevate” “Bene” rispose il medico. “Puoi andare Wilhelm” la guardia fece un inchino e se ne andò, dopo aver spinto coN forza Sherlock dontro il studio. “Ho sentito dire che tu sei un chimico” dichiarò il medico. Sherlock non rispose. “Allora?” Disse la donna, impaziente. “Avete avuto delle false informazioni. Mi piace fare esperimenti, ma non mi definisco un chimico” “Che genere di esperimenti?” “Tutti quelli che possono incriminare una persona” rispose Sherlock beffardo. “Perché lo dici con quel tono? Dovremmo spaVentarci?” Chiese La donna schiernendolo. Lui non rispose. “Basta chiacchere. Hai detto che ti piacciono gli esperimenti… dovresti aiutarci. Come sai…” “No. Qualunque cosa volete fare la risposta è no.” “Ti conviene ascoltarci. Se no, non sopravviverai fino a domani” disse la donna in modo minaccioso. “Non lo spaventare così fin da subito…” disse il medico sarcastico. “Aspetta, cosa vuoi affinché ci aiuti?” Sherlock gli sputò “non vi darò niente di niente” “Io ci ho provato…” e lo colpì sul viso. “Questo era solo un assaggio…” “Di meglio non sai fare John? Mi deludi…” “Come ti permetti…” abbaiò mary prima di tirargli uno schiafo. Passarono diverse settimano, Sherlock non collaborava. Ma aveva capito: tra John e Mary c’era amore… se si poteva chiamare tale l’orrore che facevano insieme. Però aveva imparato una cosa Sherlock stando per così tanto tempo con loro: Watson si occupava delle torture fisiche, Morstan invece delle torture Psicologiche. Un giorno John si avvicinò al letto di Sherlock… sì aveva un letto. Un letto di legno, con un materasso lurido e sporco e, soprattutto, scomodo. Il letto era per bambini di 15 anni. Mary aveva deciso: magari avrebbe potutto collaborare Sherlock dopo quella unica concessione. Sherlock appena lo vide ribadì che la risposta era no. Non li avrebbe aiutati. “Devi mangiare” disse John. “Non ho fame" rispose gelido. “D’accordo 19851812153118151213519” da qualche tempo, più precisamente da due giorni circa, lo chiamava sempre così. Mary di solito gli diceva  : “Hei tu!”. Anche Watson lo chiamava così, ma come detto, da due giorni lo chiamava per numero e Sherlock non capiva il motivo. “Qualunque cosa stai facendo, non funzionerà!” “Come?” Disse il medico perplesso. Sherlock lo guardò dubbioso, sembrava sincero. Ma non doveva fidarsi, magari anche lui è stato un attore come il padre. “D’accordo. Non vuoi mangiare?” Lo prese con la mano dietro il collo e con l’altra mano prese un cucchiaio pieno di zuppa. Ma quando lo stava per avvicinare alla bocca del prigioniero, quest’ultimo gli diede un manrovescio ed il contenuto cadde sulle sue gambe. “Non hai mangiato da tre giorni” disse John esasperato. “Non m'importa. Non ho fame” “Cosa vuoi fare Watson. Qualunque cosa Mary abbia in testa non funzionerà!” Infatti la zuppa sembrava appettitosa. “Così mi offendi. Non solo Mary è la mente tra noi due” sorrise. Holmes non rispose al sorriso. “Ma tornando a noi. Se non vuoi mangiare, dovrò costringerti a forza” e lo legò, non troppo stretto, con le mani dietro la schiena. “A che gioco stai giocando?” Chiese lui sprezzante. “Al gioco che devo farti mangiare 198518…” “La smetti di chiamarmI così?” “Allora dimmi qual è il tuo nome” Sherlock riuscì a slegarsi e verso il contenuto del piatto sul letto. “Almeno metà hai mangiato”. “Ripeto. Non funzionerà Watson” ripeté. Il medico chiuse la porta. Il giorno seguente arrivò una donna incinta allo studio dei due cosidetti dottori. Il prigioniero fu chiamato. “Non può nascere naturalmente, devi aiutarla.” “Siete medici. Fatelo voi” sapeva che il bambino sarebbe stato allontanato dalla madre e per questo non voleva farlo. “Va bena.” Watson prese il coltello. “Aspetta!” E Sherlock gli diede qualcosa da bere. Un anestetizzante. Il bambino fu portato via subito da Mary. “Il mio bambino!” Watson sorrise. “Non si preoccupi. L’avrà” ne Sherlock ne la donna, gli credettero. Il giorno dopo, prima dell’alba, la donna arrivò nello studio con il bambino in braccio e ringraziò Sherlock. Questi lo guardò stupefatto. “Ieri sera il dottore mi ha dato il bambino e mi ha detto di averne cura e di fare attenzione e di non dire a nessuno quello che è successo e ha aggiunto di ringrazziarti. Perciò grazie 19…” “Mi chiamo Sherlock Holmes” “Grazie Sherlock Holmes” questi fece un cenno con il capo, anche se non capiva. Quel giorno, più tardi, verso sera, John arrivò nella stanza con un piatto ricco di prelibatezze. “Ho mangiato oggi.” “Lo so. Questo è un extra” rispose il medico. “Cosa vuoi fare Watson? Lo sai che mai potrai ottenere ciò che tu o Mary volete” “Solo lei ormai vuole la morte di tutti gli ebrei.” “Come?” Poi aggiunse “Non ti credo. Non m’inganni. Voi tedeschi non potete cambiare. Solo fingete.” “Chiunque può cambiare, sia in bene che in peggio” rispose Watson. “Tu comE ti chiami?” “Non t’importa. Comunque è stato un gesto molto bello da parte tua restituire il bambino alla madre” “Non l’avrei mai fatto.” “Perché ha ringraziato me?” “Perché grazie a te lo restituito, non l’avrei mai fatto” Sherlock sembrò pensarci: “Non mi impressioni con i tuoi gesti, primA o poi ti annoierai di fingere” Watson annuì pensieroso. “Ora mangia” “Non puoi darmi ordini” ma non era così convinto. “Certo che posso” replicò volendo sembrare minaccioso, ma non lo era. Con il passare dei mesi Watson riuscì pian piano a guadagnarsi um po’ di fiducia da parte di Sherlock; non solo perché era meno aggressivo nei suoi confronti, ma anche perché quando veniva qualche “paziente” nel suo studio, lui lo trattava con gentilezza e, se c’era Mary nei paraggi, faceva finta di essere il medico senza cuore. Sherlock aveva ancora dei dubbi che Watson fingesse, come aveva fatto suo padre, ma da qualChe giorno, quando John si trovava nei paraggi, si dimenticava di questo suo proposito: non fidarsi di John. “Buon giorno, dormito bene 198…” “Mi chiamo Sherlock Holmes. E penso che questa sia una domanda inapropriata” e fece un cenno al materasso. John annuì concorde. “Sherlock. Bene. Ho vinto alla fine!” “Non hai ottenuto…” “Io sono John. Piacere di conoscerti” e gli tese la mano. Sherlock la guardò diffidente. “So chi sei” “Certo, certo.” Abassò la mano. “Ma vedo che neanche tu non hai dormito bene” “un buon osservatore” sorrise John. “Ho litigato con Mary.” Sherlock non piegò ciglio. Il medico proseguì: “Sono passati ormai sei mesi. E da te non ha ottenuto nessun aiuto…” “Finalmente vi siete arresi!” Disse Sherlock tionfante. “Dovrai morire.” Perché sembrava triste? “Bene. E sei venuto a darmi queta notizia?” “Non te l’avrei detta se tu non avessi iniziato l’argomento!” Rispose infastidito. “E quando?” “Non ha ancora deciso.” “Davvero?” “Io non glielo permesso.” Holmes non rispose. Non lo pensava davvero. Magari John non stava fingendo altrimenti perché avrebbe detto ciò. Si alzò. Andò verso la porta e la aprì. Non c’era nessuno. “Piacere mio” e gli tese la mano che John strinse con calore. “In serata qualcUno verrà a farti visita” e così dicendo John uscì. La sera, John entrò nello studio. “E saresti tu quel… Mycroft!” Si alzò in piedi e andò in contro a suo fratello. Si abbracciarono per qualche secondo senza dire una parola. “Sei dimagrito!” “Tu invece sei più maturo.” Sorrisero. “Sai Sherlock, non tutti i tedeschi sono uguali” “Come hai fatto?” “Ripeto…” “non mi dire che ti ha ingannato uno di loro!” “No. Non tutti sono come papà; così come non tutti gli ebrei sono dei santi!” Sherlock aspettò che continuasse. “Ho conosciuto un’ispettore della Gestapo: Gregory Lestrade. Dall’inizio di questo nostro viaggio sono stato con lui. Cercavamo un piano per liberare tutti.” “Lestrade?” Ripeté Sherlock. “Hai fallito fratellone. Quello è amico di John Watson.” “Ne sono a conoscenza. John Watson è a conoscenza del piano da due settimane…” “perché? Lo dirà a Mary! E…” Mycroft lo zitti con un cenno della mano. “Stai perdendo colpi fratellino. Dove è finita la tua capacità dedurre le persone? John non è quello che sembra. Non lasciare che il tuo odio per i tedeschi ti annebbi il cervello. Così si inizia la dittatura” guardò il fratello. “John Watson non è e non sarà un traditore.” “Grazie fratellone” “Stiamo diventando sentimentali” rispose con un sorrisO. “Non ti ci abituare Mycroft” risero di cuore entrambi. Stettero a chiaccherare per altri 10 minuti, poi Mycroft se ne andò per non destare sospetti. “Cazzo Sherlock! Che succede! Svegliati!” Il ragazzo si trovava legato mani e piedi ad una sedia, la testa da un lato, incosciente; su tutto il corpo aveva segni di frustate e in alcuni punti anche del sangue rappreso. “Ti preoccupi?” Lo schernì una voce femminile. “Cosa c’è? Ho sbagliato a giocare con lui? È anche il mio gioccatolo, non solo tuo” disse Mary con un broncio. “Perché hai dovuto ridurlo così?” “Non sono stupida sai!” Disse lei con rabbia. "So che ci tieni a questo sporco ebreo. All’inizio pensavo che volessi solo il suo aiuto; ma poi ho capito che non è così: l’ho capito da come lo guardi. Mi fai schifo! E sai cosa, lui non si rende neanche conto!” “Non chiamarlo così! Sai una cosa, all’inizio tu non eri così! Chissà perché ti ho sposato!” “Io? Parli di me John? Tu sei stato sempre un santo?” “Le persone cambiano Mary. Ma a quanto pare non tutte!” Ormai urlavano entrambi. “Ora ti prego di andartene e per sempre!” “Rimani con… il tuo cadavere!” E rise, peggio dei film Horror. Mary chiuse la porta ancora sogghignando. John si accostò a Sherlock Sherlock respirava ancora. Ma di secondo in secondo sembrava peggiorare. John prese il tetoscopio. Il cuoreceva uno strano rumore, come un risucchio. Aveva un’emmoragia dall’interno. Quella bastarda lo aveva frustato e poi sparato! Si meravigliava come faceva a respirare. Dopo tre ore di anestesia, intervento, ristabilimento… Holmes sembrava essere stabile. John lo appoggiò sul letto e lo coprì con la sua coperta. Mycroft e Lestrade arrivarono. “E tutto pronto. Siamo in circa trecento. Dobbiamo andare” “Non posso…” disse John guardando Sherlock. “Non ti preoccupare per lui” lo rassicurò Greg poggiandogli una mano sulla spalla. “Starà bene. Me ne occuperò io. Vai con Mycroft. Abbiamo mezz’ora di tempo prima che ci scoprano.” “Ormai è troppo tardi Mary…” “Non sa niente. 29 minuti! Forza!” Avevano solo 20 minuti, finalmente avevano convinto John. Quando Sherlock aprì gli occhi, incontrò un soffitto bianco e nella mano sentì che aveva qualcosa: una flebo. Guardò alla sua sinitra, John era lì che gli sorrideva. “Benvenuto a Londra William Scott”. Sherlock non capiva. Infatti stava guardando John con sguardo interrogativo. Allora John gli sorrise. “Ti spiegherò tutto non appena ti riprenderai. Ora devi bere” Sherlock alzò gli occhi al cielo. “Da quando ti conosco mi ripeti sempre che devo mangiare” John gli sorrise dolcemente: “non te lo ripeterei se non fosse necessario.” e gli porse un piatto di quello che sembrava pasta e un pasticcio... sembravano mele? “Io questo non lo mangiò!” esclamò deciso. “Come tuo medico ti ordino di mangiarlo.” “John, ho capito che non tutti i tedeschi sono uguali” “Scuse accettate Sherlock”. Gli accarrezzò la fronte. Sherlock sentì un strano calore nel punto che John aveva toccato; ma decise di non dargli peso. “Ora mi devi raccontare tutto dottor Watson: come mai siamo a Londra? come? e perché William Scott?” l’interpellato rise piano e cominciò a raccontare. Sherlock si era ormai ripreso. Abitava insieme a John al 221B di Baker Street. Lestrade era un poliziotto e finalmente Sherlock riuscì a fare ciò che gli piaceva: risolvere i crimine. Si definiva consulente investigativo. John e Sherlock erano diventati così coinquilini ed amici. Una sera, mentre guardavano la TV, o per meglio dire John guardava e Sherlock si lammentava perché era un programma stupido, quest’ultimo chiese: “John come mai hai cambiato idea?” Watson lo gualdò interrogativo. “su di noi... non ci consideri più i capri espiatori” “Perché Sherlock, ho conosciuto te” e gli posò una mano sulla coscia. “E dimmi John, perché hai lasciato Mary?” “Perché non la amavo più” disse lui guardando le labbra di Sherlock. Sherlock deglutì, ma continuò: non era bravo con i sentimenti e per questo preferiva chiedere. “Ti sei mai innamorato di qualcun’altra oltre a Mary?” “No. Di nessun’altra. Tu invece ti sei innamorato?” gli posò un bacio fugace sul collo. Sherlock arrossì, ma posò una mano sulla spalla di John. “Sì” disse in un sussurro e lo baciò all’angolo delle labbra. “Invece mi sono innamorato di qualcun’altro oltre a Mary” disse con un sussurro rauco, prima di baciarlo dolcemente. “John...” e Sherlock approfondì il bacio. “Anch’io Sherlock".
   
 
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