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Autore: Sayre    06/04/2020    3 recensioni
«Chi sei tu?»
«Colui che ti ucciderà»

Tom viene a trovarlo quasi ogni notte.
O meglio, è lui che s’infiltra nei suoi sogni.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Tom O. Riddle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Strambo

 

 

Tom viene a trovarlo quasi ogni notte.
O meglio, è lui che s’infiltra nei suoi sogni.
Harry sa che non dovrebbe farlo – non dovrebbe infilarsi nella mente dell’Oscuro Signore mai, per nessun motivo al mondo, neanche in situazioni di vita o di morte. Eppure non riesce ad impedirlo perché in quei sogni Voldemort non è che un bambino, terrorizzato dalle cose strane che stanno accadendo attorno a lui e dal giudizio dei compagni.
E sembra umano, quasi. In alcuni momenti pensa addirittura di provare pena per lui. 
È un bambino indifeso, si è ripetuto tante volte, che cosa mai potrebbe farmi in questa forma?
La coscienza, però, con una voce fastidiosamente simile a quella di Hermione, gli ha ripetuto che la persona che fa quei sogni non è più un bambino e di certo non è indifeso, anzi.

 

La prima volta che capisce che qualcosa non va è quando Tom, cinque anni e un segno rosso sul viso, così terribilmente simile all’impronta di una mano, aggrotta le sopracciglia nella sua direzione.
Sono nel giardino dell’orfanotrofio e tutti i bambini giocano compostamente sotto lo sguardo severo di quella che Harry presume essere la direttrice e di due collaboratrici. Il figlio del demonio però non gioca con nessuno e rimane in disparte a fissare il punto tra i cespugli in cui si trova lui. Non è la prima volta che vede episodi dell’infanzia di Lord Voldemort, ma mai lui aveva avvertito la sua  presenza o l’aveva visto.
Tom rimane a fissarlo per molti minuti finché la vecchia direttrice non si avvicina e lo scuote violentemente per una spalla, intimandogli di smetterla con le sue stranezze.
«Stai spaventando gli altri bambini, Strambo» gli dice.
«Ma lì c’è un uomo che ci spia» prova a replicare il bambino, mentre un ragazzetto tozzo gli si avvicina e lo spinge per terra sull’erba.
«Ora vedi anche i fantasmi? Ti rinchiuderanno, Strambo, perché sei pazzo» gli dice e Harry lo vede stringere i pugni, lo sguardo infiammato che cerca di trattenere le lacrime.
Non sapeva che i Signori Supremi del Male potessero piangere.
Quando Tom si volta nuovamente nella sua direzione si acciglia, perché effettivamente lì non c’è nessuno.

 

La seconda volta che succede sono nella camera di Tom, che ora ha sette anni ed è troppo alto per la sua età: era stato appena rimproverato da Mrs. Cole perché andava in giro senza le scarpe che gli avevano comprato il mese scorso. Tom aveva provato a ribattere che non le indossava perché erano strette, ma la direttrice lo aveva accusato di essere un piccolo diavolo che le faceva spendere tutti i soldi inutilmente, quando c’erano bambini che morivano di fame là fuori, e poi lo aveva mandato a letto senza cena.
Un po’ di fame Tom la ha, visto che è il terzo giorno di fila che la direttrice lo mette in castigo, e quando Harry compare nella sua stanza lui non si preoccupa minimamente e semplicemente gli chiede se ha con sé del cibo.
Il ragazzo si acciglia eppure le sue mani finiscono istantaneamente nelle sue tasche e tira fuori una barretta di cioccolato. Non esita neppure a porgergliela, nonostante sappia benissimo che è la stessa persona che, da grande, ucciderà i suoi genitori a sangue freddo. Dovrebbe lasciarlo morire di fame, oppure, ancora meglio, avrebbe dovuto ucciderlo nel momento stesso in cui si era reso conto che il bambino poteva vederlo. Eppure rimane lì, seduto su quel lettino, in silenzio, a guardar mangiare un piccolo Voldemort con una voracità tale da impressionare chiunque. Chiunque ma non lui, perché lui sa cosa significa essere chiamato Strambo ed essere lasciato senza cena.

 

Ritorna da Tom qualche settimana dopo.
Questa volta sono sul tetto dell’orfanotrofio e il bambino non esita a parlargli.
«Chi sei tu?» domanda. Harry nota che il suo tono di voce è già duro e graffiante e questa volta prova davvero molta pena per lui. Ha rabbia dentro, se ne accorge facilmente, perché è la stessa che ha provato per molti anni anche lui.
Non risponde subito. Si limita a sedersi sul cornicione accanto a lui e a guardare il panorama sottostante: due bambine stanno saltando con la corda e stanno ridendo quando Mrs. Cole arriva e le sgrida bruscamente, facendole piangere. Le mette in punizione e le manda a letto, nonostante siano soltanto le due di pomeriggio.
Harry rabbrividisce quando la vecchia si volta nella loro direzione e ha paura che Tom possa essere scoperto: un bambino seduto sul cornicione di un tetto non è proprio una cosa normale e presume che Tom sia salito lì sopra senza nessuna autorizzazione. Invece la signora Cole stende le labbra in un sorriso cattivo quando guarda Tom e Harry capisce che anche quella è una punizione per il piccolo.
«Da quanto tempo sei qui?» rompe il silenzio il più grande, parlando per la prima volta.
«Da ieri pomeriggio» dice il bambino mentre alza le spalle.
Questa volta Harry si fruga in tasca e senza che l’altro gli chieda niente gli porge il cioccolato. «Se non ti trattano bene dovresti dirlo a qualcuno» gli dice con un tono tanto delicato che si sorprende addirittura di avere.
Tom non prende la cioccolata questa volta, anzi lo fissa negli occhi.«Chi sei tu?» ripete.
Harry non può far altro che sospirare.
«Un vecchio amico».

 

La quarta volta in cui lo vede, Tom ha dieci anni e uno squarcio enorme sulla gamba destra. Harry non la può chiamare ferita perché, beh semplicemente non lo è.
È seduto sul suo lettino, coperto da fogli di vecchi giornali per non sporcare la leggera coperta che ha per affrontare il rigido inverno inglese, ha la gamba stesa e cerca di medicarsela come meglio può, ma è un bambino e non può fare molto. Neanche lo guarda quando appare – sa che lui è lì – ma non rifiuta il suo aiuto quando Harry gli si avvicina. Neanche lui sa fare molto, ma almeno può tenergli la mano mentre cerca di chiudere la ferita nel modo meno doloroso possibile.
Non grida, né si lamenta, ma Harry nota che in alcuni momenti Tom gli stringe la mano un po’ più forte e allora cerca di essere più delicato. Fuori dalla porta, tuttavia, le voci e le risate sono forti e Harry capisce che Tom non si è ferito da solo, mentre un moto di rabbia si accende dentro di lui. Qualcuno grida che «Albert ha finalmente dato una lezione allo Strambo» e Harry nota come il bambino giri il viso nella direzione opposta alla sua ogni volta che prova ad alzare lo sguardo dal suo lavoro.
Probabilmente gli rimarrà una cicatrice, pensa e quando finisce di ricucirlo trova drammaticamente ironico il fatto che i punti avessero preso la forma di una saetta.
Così quando il bambino gli chiede senza esitazioni: «Chi sei?», Harry non si attarda a rispondere «Il tuo destino».

 

La volta successiva che Harry si immerge nel mondo di Tom sa che sarà l’ultima.
È sorpreso di vedere il bambino per la prima volta contento. Nella sua realtà Tom Riddle è diventato cibo per vermi da qualche ora proprio a causa sua, eppure non ricordava di averlo mai visto contento, neanche quando pensava di averlo sconfitto nella radura.
È una strana sensazione di sollievo, mischiata a senso di colpa, quella che pervade Harry nel vedere il Tom bambino vivo e vegeto e per una volta felice. Sa di non aver avuto scelta – nessuno può vivere se l’altro sopravvive – ma avrebbe davvero fatto a meno di macchiarsi le mani se solo avesse potuto: è così che realizza che in quel luogo onirico quel bambino non è ancora un mostro, ma solo un bambino e, in fondo al cuore, nasce un sordo desiderio di provare a salvarlo un’ultima volta.
Sta per chiedergli il motivo del suo buon umore finché non nota che stringe tra le mani la lettera di Hogwarts e che non si è minimamente accorto di lui. Così gli si siede accanto, sullo stesso letto in cui lo ha curato, e legge da sopra la sua spalla. È finito probabilmente nel giorno più bello della vita di Tom e, in un certo senso, comprende la sua felicità: il ricordo migliore che ha della sua infanzia, infondo, è la notte in cui Hagrid venne a salvarlo dai Dursley.
Come un fulmine a ciel sereno, Harry si rende conto che hanno più cose in comune di quanto credeva: la versione infantile e innocente di Voldemort lo affascina più del necessario e il livello di empatia che ha sviluppato nei suoi confronti farebbe preoccupare chiunque.
La tranquillità che aleggia nell’aria però viene bruscamente scacciata via dalla porta che si apre e da tre ragazzini che si gettano sul corpo dell’undicenne Voldemort e cominciano a picchiarlo, esultando del fatto che il vecchio dottore lo rinchiuderà presto in una gabbia di matti per gli strambi come lui. Sta per intervenire ma si blocca improvvisamente quando i tre lo lasciano di scatto e si rannicchiano su loro stessi, urlando di dolore.
Si sente nauseato, ora, e ordina a Tom di smetterla, anche se questo non dà segni di averlo sentito. Anzi, il piccolo assottiglia lo sguardo sui suoi carnefici e questi vengono sbattuti fuori dalla cameretta e la porta viene richiusa.
Lui non ha mai torturato i Dursley nonostante tutto il male che gli hanno inferto.
In quel momento realizza con profondo rammarico che il destino del bambino non può cambiare, perché Tom non conosce l’amore, e ora che il corpo fisico è morto non crede di poter più intervenire neppure lui a dare un po’ di sollievo alla versione infantile del Signore Oscuro: Tom non ha mostrato nessun segno di averlo visto questa volta – come le prime volte che s’intrufolava nei suoi sogni futuri.
Il suo battito accelera perciò notevolmente quando lo vede riprendere la lettera in mano e fissarlo furente attraverso il piccolo specchio sulla parete. È così che si sente chiedere per la terza volta «Chi sei tu?».
C’è sconsolata rassegnazione nella voce quando pronuncia le sue ultime parole a Lord Voldemort.
«Colui che ti ucciderà».

 

 

 


 

Sono passati anni dall'ultima volta che ho pubblicato qualcosa su questo sito e tutte quelle storie non esistono ormai più.
Probabilmente la cosa più difficile che io potessi fare è stata cancellarle tutte, nonostante le belle parole che le persone in questo sito mi avevano dedicato. Tuttavia dal 2013 ad oggi sono passati parecchi anni e io sono, inevitabilmente, cambiata: non sentivo più quelle storie come qualcosa di mio già da molto tempo, ma solo recentemente ho avuto il coraggio di dare un taglio al passato.

Sono tornata ora con qualcosa di nuovo, lontanissimo da ciò che avevo scritto in precedenza, e con la voglia di rimanere nei paraggi per un bel po'. 
Harry Potter da sempre rappresenta il mio luogo sicuro e non ho intenzione di lasciarlo andare, nonostante io non sia più così giovane come una volta. 

Questo squarcio di realtà sul potenziale mondo onirico di Tom Riddle è stato scritto in qualche ora - tre, quattro, qual è la differenza? - e non si vanta di avvere nessuna pretestuosità, anzi! Sono quasi del tutto certa che Lord Voldemort non possa sognare, ma questo non mi ha fermata dal farlo. L'idea di Harry che si relaziona con un piccolo Signore Oscuro mi frullava in testa già da un po' ed ero davvero curiosa di scoprire cosa ne sarebbe uscito: non sono completamente sicura che il mio Harry possa essere IC, anche se quello è il punto di partenza originario. Il mio Harry Potter è un eroe certo, ma come prima cosa è una persona buona: riuscirebbe ad uccidere un bambino innocente nonostante sappia che da grande ucciderà i suoi genitori? Questa è la domanda che mi sono posta prima di iniziare a scrivere questa storia.

Ringrazio chiunque sia arrivato a leggere fin qui!

Strambo

 

 

Tom viene a trovarlo quasi ogni notte.
O meglio, è lui che s’infiltra nei suoi sogni.
Harry sa che non dovrebbe farlo – non dovrebbe infilarsi nella mente dell’Oscuro Signore mai, per nessun motivo al mondo, neanche in situazioni di vita o di morte. Eppure non riesce ad impedirlo perché in quei sogni Voldemort non è che un bambino, terrorizzato dalle cose strane che stanno accadendo attorno a lui e dal giudizio dei compagni.
E sembra umano, quasi. In alcuni momenti pensa addirittura di provare pena per lui. 
È un bambino indifeso, si è ripetuto tante volte, che cosa mai potrebbe farmi in questa forma?
La coscienza, però, con una voce fastidiosamente simile a quella di Hermione, gli ha ripetuto che la persona che fa quei sogni non è più un bambino e di certo non è indifeso, anzi.

 

La prima volta che capisce che qualcosa non va è quando Tom, cinque anni e un segno rosso sul viso, così terribilmente simile all’impronta di una mano, aggrotta le sopracciglia nella sua direzione.
Sono nel giardino dell’orfanotrofio e tutti i bambini giocano compostamente sotto lo sguardo severo di quella che Harry presume essere la direttrice e di due collaboratrici. Il figlio del demonio però non gioca con nessuno e rimane in disparte a fissare il punto tra i cespugli in cui si trova lui. Non è la prima volta che vede episodi dell’infanzia di Lord Voldemort, ma mai lui aveva avvertito la sua  presenza o l’aveva visto.
Tom rimane a fissarlo per molti minuti finché la vecchia direttrice non si avvicina e lo scuote violentemente per una spalla, intimandogli di smetterla con le sue stranezze.
«Stai spaventando gli altri bambini, Strambo» gli dice.
«Ma lì c’è un uomo che ci spia» prova a replicare il bambino, mentre un ragazzetto tozzo gli si avvicina e lo spinge per terra sull’erba.
«Ora vedi anche i fantasmi? Ti rinchiuderanno, Strambo, perché sei pazzo» gli dice e Harry lo vede stringere i pugni, lo sguardo infiammato che cerca di trattenere le lacrime.
Non sapeva che i Signori Supremi del Male potessero piangere.
Quando Tom si volta nuovamente nella sua direzione si acciglia, perché effettivamente lì non c’è nessuno.

 

La seconda volta che succede sono nella camera di Tom, che ora ha sette anni ed è troppo alto per la sua età: era stato appena rimproverato da Mrs. Cole perché andava in giro senza le scarpe che gli avevano comprato il mese scorso. Tom aveva provato a ribattere che non le indossava perché erano strette, ma la direttrice lo aveva accusato di essere un piccolo diavolo che le faceva spendere tutti i soldi inutilmente, quando c’erano bambini che morivano di fame là fuori, e poi lo aveva mandato a letto senza cena.
Un po’ di fame Tom la ha, visto che è il terzo giorno di fila che la direttrice lo mette in castigo, e quando Harry compare nella sua stanza lui non si preoccupa minimamente e semplicemente gli chiede se ha con sé del cibo.
Il ragazzo si acciglia eppure le sue mani finiscono istantaneamente nelle sue tasche e tira fuori una barretta di cioccolato. Non esita neppure a porgergliela, nonostante sa benissimo che è la stessa persona che, da grande, ucciderà i suoi genitori a sangue freddo. Dovrebbe lasciarlo morire di fame, oppure, ancora meglio, ucciderlo nel momento stesso in cui si era reso conto che il bambino poteva vederlo. Eppure rimane lì, seduto su quel lettino, in silenzio, a guardar mangiare un piccolo Voldemort con una voracità tale da impressionare chiunque. Chiunque ma non lui, perché lui sa cosa significa essere chiamato Strambo ed essere lasciato senza cena.

 

Ritorna da Tom qualche settimana dopo.
Questa volta sono sul tetto dell’orfanotrofio e il bambino non esita a parlargli.
«Chi sei tu?» domanda. Harry nota che il suo tono di voce è già duro e graffiante e questa volta prova davvero molta pena per lui. Ha rabbia dentro, se ne accorge facilmente, perché è la stessa che ha provato per molti anni anche lui.
Non risponde subito. Si limita a sedersi sul cornicione accanto a lui e a guardare il panorama sottostante: due bambine stanno saltando con la corda e stanno ridendo quando Mrs. Cole arriva e le sgrida bruscamente, facendole piangere. Le mette in punizione e le manda a letto, nonostante siano soltanto le due di pomeriggio.
Harry rabbrividisce quando la vecchia si volta nella loro direzione e ha paura che Tom possa essere scoperto: un bambino seduto sul cornicione di un tetto non è proprio una cosa normale e presume che Tom sia salito lì sopra senza nessuna autorizzazione. Invece la signora Cole stende le labbra in un sorriso cattivo quando guarda Tom e Harry capisce che anche quella è una punizione per il piccolo.
«Da quanto tempo sei qui?» rompe il silenzio il più grande, parlando per la prima volta.
«Da ieri pomeriggio» dice il bambino mentre alza le spalle.
Questa volta Harry si fruga in tasca e senza che l’altro gli chieda niente gli porge il cioccolato. «Se non ti trattano bene dovresti dirlo a qualcuno» gli dice con un tono tanto delicato che si sorprende addirittura di avere.
Tom non prende la cioccolata questa volta, anzi lo fissa negli occhi.«Chi sei tu?» ripete.
Harry non può far altro che sospirare.
«Un vecchio amico».

 

La quarta volta in cui lo vede, Tom ha dieci anni e uno squarcio enorme sulla gamba destra. Harry non la può chiamare ferita perché, beh semplicemente non lo è.
È seduto sul suo lettino, coperto da fogli di vecchi giornali per non sporcare la leggera coperta che ha per affrontare il rigido inverno inglese, ha la gamba stesa e cerca di medicarsela come meglio può, ma è un bambino e non può fare molto. Neanche lo guarda quando appare – sa che lui è lì – ma non rifiuta il suo aiuto quando Harry gli si avvicina. Neanche lui sa fare molto, ma almeno può tenergli la mano mentre cerca di chiudere la ferita nel modo meno doloroso possibile.
Non grida, né si lamenta, ma Harry nota che in alcuni momenti Tom gli stringe la mano un po’ più forte e allora cerca di essere più delicato. Fuori dalla porta, tuttavia, le voci e le risate sono forti e Harry capisce che Tom non si è ferito da solo, mentre un moto di rabbia si accende dentro di lui. Qualcuno grida che «Albert ha finalmente dato una lezione allo Strambo» e Harry nota come il bambino giri il viso nella direzione opposta alla sua ogni volta che prova ad alzare lo sguardo dal suo lavoro.
Probabilmente gli rimarrà una cicatrice, pensa e quando finisce di ricucirlo trova drammaticamente ironico il fatto che i punti avessero preso la forma di una saetta.
Così quando il bambino gli chiede senza esitazioni: «Chi sei?», Harry non si attarda a rispondere «Il tuo destino».

 

La volta successiva che Harry si immerge nel mondo di Tom sa che sarà l’ultima.
È sorpreso di vedere il bambino per la prima volta contento. Nella sua realtà Tom Riddle è diventato cibo per vermi da qualche ora proprio a causa sua, eppure non ricordava di averlo mai visto contento, neanche quando pensava di averlo sconfitto nella radura.
È una strana sensazione di sollievo, mischiata a senso di colpa, quella che pervade Harry nel vedere il Tom bambino vivo e vegeto e per una volta felice. Sa di non aver avuto scelta – nessuno può vivere se l’altro sopravvive – ma avrebbe davvero fatto a meno di macchiarsi le mani se solo avesse potuto: è così che realizza che in quel luogo onirico quel bambino non è ancora un mostro, ma solo un bambino e, in fondo al cuore, nasce un sordo desiderio di provare a salvarlo un’ultima volta.
Sta per chiedergli il motivo del suo buon umore finché non nota che stringe tra le mani la lettera di Hogwarts e che non si è minimamente accorto di lui. Così gli si siede accanto, sullo stesso letto in cui lo ha curato, e legge da sopra la sua spalla. È finito probabilmente nel giorno più bello della vita di Tom e, in un certo senso, comprende la sua felicità: il ricordo migliore che ha della sua infanzia, infondo, è la notte in cui Hagrid venne a salvarlo dai Dursley.
Come un fulmine a ciel sereno, Harry si rende conto che hanno più cose in comune di quanto credeva: la versione infantile e innocente di Voldemort lo affascina più del necessario e il livello di empatia che ha sviluppato nei suoi confronti farebbe preoccupare chiunque.
La tranquillità che aleggia nell’aria però viene bruscamente scacciata via dalla porta che si apre e da tre ragazzini che si gettano sul corpo dell’undicenne Voldemort e cominciano a picchiarlo, esultando del fatto che il vecchio dottore lo rinchiuderà presto in una gabbia di matti per gli strambi come lui. Sta per intervenire ma si blocca improvvisamente quando i tre lo lasciano di scatto e si rannicchiano su loro stessi, urlando di dolore.
Si sente nauseato, ora, e ordina a Tom di smetterla, anche se questo non dà segni di averlo sentito. Anzi, il piccolo assottiglia lo sguardo sui suoi carnefici e questi vengono sbattuti fuori dalla cameretta e la porta viene richiusa.
Lui non ha mai torturato i Dursley nonostante tutto il male che gli hanno inferto.
In quel momento realizza con profondo rammarico che il destino del bambino non può cambiare, perché Tom non conosce l’amore, e ora che il corpo fisico è morto non crede di poter più intervenire neppure lui a dare un po’ di sollievo alla versione infantile del Signore Oscuro: Tom non ha mostrato nessun segno di averlo visto questa volta – come le prime volte che s’intrufolava nei suoi sogni futuri.
Il suo battito accelera perciò notevolmente quando lo vede riprendere la lettera in mano e fissarlo furente attraverso il piccolo specchio sulla parete. È così che si sente chiedere per la terza volta «Chi sei tu?».
C’è sconsolata rassegnazione nella voce quando pronuncia le sue ultime parole a Lord Voldemort.
«Colui che ti ucciderà».

 


 

  
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