"You can be a sweet dream or a beautiful
nightmare."
Era bianco.
La luce stessa
era bianca e
filtrava da un sottobosco di alberi candidi, tingendo di macchie di
luce pura
il terreno già immacolato.
Era bianco.
Anche lui era
bianco o forse
era colpa della luce oppure della mia memoria fallace.
Ma non
m’importa, non
m’importa di chi è o non è la colpa.
Per me lui era e resterà per sempre
bianco.
Era candida, la
sua pelle, e
lo sembrava ancor di più quando la luce lo colpiva a tratti
regolari.
Un fruscio
ritmico scandiva
il tempo. E il tempo scorre così in fretta!, pensai. Ma mi
dovetti ricredere,
per lui il tempo non scorreva mai.
Era bianco ma i
suoi capelli
erano neri e i suoi occhi verdi, così verdi che sembrava
avesse risucchiato il
colore alle chiome degli alberi imprigionandolo nelle sue iridi.
Era bianco ed
era bello.
Mi chiesi il
perché di tutto
quel bianco in cui anche la luce era candida.
Me lo chiesi ma
non glielo
domandai. Sapevo che per me il tempo sarebbe trascorso in fretta e non
volevo
perderlo. Non dovevo!
Perché
il tempo non ci
aspetta, il tempo è un tiranno, è nostro nemico,
è il
dittatore imparziale della nostra vita ed
a me non è mai piaciuto. Ma non pensavo al tempo o ai
tiranni in quel momento,
pensavo al suo sorriso che era rimasto immutato da quando mi aveva
augurato il
suo personale benvenuto.
Stava fermo, mi
osservava
curioso da una certa distanza, confondendosi con il tronco
dell’albero bianco
alle sue spalle.
Iniziai
involontariamente a camminare.
Volevo sentire, volevo toccare la consistenza e il calore di quel
bianco
assoluto e iniziai a correre perché quel sorriso non si
avvicinava. Macchie di
luce purissima macchiavano il terreno, filtrando dalle chiome
immacolate di
alberi che indicavano un cielo altrettanto candido.
La luce bianca
mi colpiva, mi
accecava, e il terreno sassoso non aiutava la mia corsa ma infine il
suo
sorriso si avvicinò.
Il fruscio degli
alberi si
fece più insistente, più simile a un sibilo.
Il sorriso
restò immutato ma
una luce di preoccupazione invase gli occhi verdi che si
assottigliarono
leggermente.
Il sibilo del
vento si fece
più acuto, assordante quasi, un rombo acuto si fece
lentamente strada tra l’assordante
fischio del vento ma non me ne curai.
Volevo
abbracciarlo, quel
bianco assoluto, e osservare più da vicino quegli stupendi
occhi verdi, e
rispondere finalmente a quel sorriso che
sembrava aspettarmi da sempre.
Dovevo correre,
dovevo
sbrigarmi, dovevo superare quel rombo sconosciuto e
l’assordante fischio del
vento con la folle paura di vedermelo scomparire davanti corsi
più in fretta,
facendomi male.
E quando gli
arrivai di
fronte ebbi paura. Era troppa l’algida perfezione in quei
lineamenti, era
troppo il candore e io, come sempre, non ero abbastanza.
Ebbi paura
perché non volevo
sporcare quel bianco austero, con il guazzabuglio di colori caotici e
disordinati che solevo portarmi dietro. Esitai ,davanti a quel sorriso
teso e
perfetto e di riflesso tremò –il mio- di sorriso,
così fragile e meno
splendente.
Un rumore simile
a una frana
mi colse di sorpresa, il candido bosco stava crollando. Ogni albero
franava su
se stesso o sul
proprio vicino
sbriciolandosi subito dopo.
Il rombo si fece
più
insistente, non avevo più tempo.
Incontrai di
nuovo gli occhi
verdi e istintivamente mi aggrappai al suo petto mentre la paura faceva
sobbalzare il mio cuore.
E sperai, sperai
di non
sporcarlo con tutti i miei colori. E sperai che mi abbracciasse, ma non
lo
fece.
Riaprii gli
occhi che non mi
ero accorta di aver chiuso, nelle orecchie il rumore della distruzione,
e non
vidi più il suo sorriso.
La sua bocca
pendeva verso il
basso in una smorfia carica di dolore, dagli occhi lucidi che fissavano
il
vuoto pendevano lacrime
vermiglie.
Con una mano gli
sfiorai la
pelle bianchissima del volto e la sentii bollente. Finalmente i suoi
occhi mi guardarono
di nuovo ed erano pieni.
Pieni di fiamme
verdi.
Le lacrime
scarlatte scorsero
lungo le sue guance proseguendo poi per il candore del suo collo.
Ebbi di nuovo
paura. Che fosse
mia, la colpa di tutto quel dolore?
Come in risposta
alla mia
tacita domanda, mi sorrise scuotendo il capo. Le fiamme verdi nei suoi
occhi
avevano divorato la sua pupilla nera, notai.
Strinsi con
più forza la
stoffa bianca che lo ricopriva, gli alberi granitici cadevano sempre
più vicino
a noi.
Il rombo della
loro caduta
era diventato un continuo frastuono, mentre il rumore del vento
l’accompagnava
col suo sibilo acuto e persistente.
Desiderai che mi
abbracciasse,
ma le sue braccia restarono ferme ai lati del suo corpo.
Glielo chiesi,
con voce
strozzata, gli accarezzai il volto, lasciai piccoli baci sulle sue
guance
bollenti in una muta preghiera ma lui scosse il capo sorridendo
amabilmente.
Con i capelli
neri sferzati
dall’incessante vento mi osservava con quei suoi occhi
divorati da fiamme verdi
mentre le lacrime vermiglie non accennavano a smettere.
Mi sorrise, di
nuovo e
teneramente, e io lo baciai su una guancia.
“Abbracciami”, ripetei.
Ma lui scosse il
capo
sussurrando piano.
E quando ogni
albero intorno
si fu dissolto in polvere bianca, che ci alleggiava intorno mossa dal
vento, le
fiamme nei suoi occhi si tinsero di rosso mentre le lacrime si tinsero
di
verde.
Lo sentii
bollente sotto le
dita e staccai lentamente la presa dalla sua maglia.
Sembrava che il
colore verde
che credevo avesse sottratto alle chiome degli alberi ora fuggisse da
quelle
fiamme rosse.
Cercava di
sorridermi,
cercava di guardarmi, cercava di sussurrare di nuovo qualcosa
… ma tutto quello
che riusciva a fare era cercare di non urlare.
Mi portai una
mano alla bocca
piangendo lacrime trasparenti, gli tesi una mano e lui la
afferrò saldamente.
Scottava, faceva
male, ma non
abbandonai la presa. Mentre i miei singhiozzi si facevano
più numerosi e più
forti lui riuscì nuovamente
a guardarmi,
con quei suoi occhi fiammeggianti, e mi sorrise con quelle labbra
bianche e
pianse, pianse con me le sue lacrime verdi.
Il vento,
impietoso, non
voleva lasciarci, continuava ad agitare la polvere bianca sferzandoci
il volto
con le sue temperature artiche.
Lo osservai di
nuovo e vidi
piccole crepe intaccare la sua algida perfezione. Era ricoperto di
increspature
di sottili, crepe che percorrevano per intero il suo corpo.
Cominciò a scottare
sempre di più e sentii la mia mano ustionarsi ma non mollai
la presa.
Non dovevo, non
volevo!
Non potevo
lasciarlo quando
mi sorrideva in quel modo.
Avvicinai
l’altra mano al suo
volto in una leggera carezza e lui chiuse gli occhi come un gatto
sorridendo
appena tra le crepe del suo volto.
Singhiozzando
forte baciai le
sue guance martoriate e le palpebre dei suoi occhi ancora chiuse.
E poi le sentii,
sentii le
sue braccia intorno alla mia vita e il suo volto nell’incavo
del mio collo e
finalmente smise di piangere. Finalmente l’abbracciai,
finalmente accarezzai i
suoi capelli neri, finalmente toccai la consistenza di quel bianco.
Sospirò
lentamente e
dolorosamente vicino al mio orecchio, cercava di non urlare, cercava di
fare
qualcosa … ma non capivo cosa.
Si
districò dall’abbraccio e
vidi con orrore come il suo volto fosse ora ricoperto di grosse crepe,
anche
lui come gli alberi si stava frantumando, conclusi terrorizzata.
Mi
fissò anche se le fiamme
l’avevano reso cieco, cercò il mio volto con le
mani e trovandolo mi accarezzò
piano.
Aprì
e chiuse più volte la
bocca, riprese aria e stizzito tentò di parlare.
Strinsi tra le
mani la stoffa
che lo ricopriva e piansi le mia lacrime trasparenti mentre lo sentivo
polverizzarsi poco per volta, sotto il mio tocco.
Aprì
nuovamente la bocca, e
deciso pronunciò una sola parola più e
più volte infondendo al suo interno
cadenze sconosciute. Gustò a fondo la parola che ripeteva
senza sosta, senza
smettere di guardarmi, di sorridermi.
Gustò
il suono di quella
parola fino in fondo con la sua voce calda, che mi è
impossibile descrivere altrimenti.
E poi si
polverizzò, così in
fretta e così dolorosamente che continuai a stringere
l’aria tra le dita. Il
vento l’aveva portato via, ma non era riuscito a dissolvere
l’eco del mio nome
ripetuto così tante volte dalle sue labbra così
bianche.
Piansi,
singhiozzando forte,
incurante del vento e del freddo. Presi a pugni il terreno asettico
sentendomi
stupida, e stupida lo ero davvero.
Non ero riuscita
a conoscere
il suo nome ma non sarei mai riuscita a dimenticare nulla di lui.
La polvere
bianca e soffice
che un tempo era lui vorticò nel vento luccicando piano,
anche le mie lacrime
vorticarono nel vento, luccicando con la polvere.
Danzavano
insieme in una
danza fatti di toni trasparenti e candidi, il vento li faceva muovere
in un
armonia melodiosa. In piccoli mulinelli, aggraziati e luminosi, la sua
polvere e
le mie lacrime se ne andarono.
E tra
i singhiozzi fui
felice, perché almeno una parte di me era rimasta con lui.
"What kind of dream are you?
You can be a sweet dream or a beautiful nightmare."
...
Note della
Red: Era un sogno. Questo piccolo racconto è
nato come un sogno, su carta l'ho rielaborato, l'ho arricchito di
piccoli particolari ed ora eccolo qui!
Era da veramente tantissimo tempo che non sognavo e dato che questo
sogno mi ha colpita parecchio ho deciso di scriverlo e in seguito di
postarlo.
Spero sia piaciuto!
Ringraziamenti per 'Falling in the autumn Wind':
I n n e r Ebony: Grazie sister! Sapere che ciò che scrivo ti piace mi fa sempre un immenso piacere. *-*
miss
dark: Grazie, grazie e ancora grazie! Il tuo è
stato uno tra i commenti più belli che io abbia mai ricevuto
su EFP, leggerlo mi ha emozionata.
Sono contenta che tu ti sia rivista nella mia piccola Shot e sono
contenta che tu abbia dedicato tutto quel tempo a commentare un fic che
forse non lo meritava.
Davvero leggerai le mie fic originali? Mi lusinghi. *-*
Grazie, ancora. *-*
Alla prossima!