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Autore: futacookies    09/04/2020    2 recensioni
{spoiler! se non si è in pari con la pubblicazione del manga}
{scritta per il quarto giorno della sakuatsu week! Prompt: skin}
Atsumu ha sei anni quando scopre cosa sia un'anima gemella, dando così a Sakusa il trauma della sua vita.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Kiyoomi Sakusa
Note: Soulmate!AU | Avvertimenti: Spoiler!
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Nda: soulmate au in cui qualunque cosa scrivi sulla tua pelle appare sulla pelle della tua anima gemella. Per seguire questa trama, diciamo che mi sono presa la licenza di modificare leggermente quella che è la germafobia di Sakusa e di renderla più una paura dello sporco in generale e della perdita di controllo. Per il resto non credo ci sia molto da dire, è tutto quanto più fedele possibile al canon (spero).
Buona lettura!
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Sporcato d’inchiostro
 

 
 
Atsumu ha sei anni quando scopre cosa sia un’anima gemella: lo ha spiegato la maestra quando qualcuno, non si ricorda nemmeno chi, glielo ha chiesto insistentemente. Osamu ha scrollato le spalle e gli ha detto che a lui non interessa, avere un’anima gemella. A lui interessa solo mangiare onigiri.

Ma Atsumu è elettrizzato: appena torna a casa, corre in camera sua e scribacchia sul braccio un “ciao”, con caratteri semplici ma comunque molto confusi, e aspetta una risposta.

 
***

 
Sakusa ha sei anni quando con orrore scopre di avere sul braccio uno scarabocchio che proprio non riesce a lavare via: non importa quanto strofini, quanto sapone ci metta, c’è una macchia d’inchiostro sul suo braccio e non riesce a farla sparire e non capisce dove stia sbagliando.

Nemmeno sua madre, da cui corre in lacrime, riesce ad ottenere risultati. Invece di preoccuparsi, come sta facendo lui, gli sorride placidamente e gli spiega che quella è la sua anima gemella, che sta cercando di parlargli. Gli dice che non è costretto a rispondere, se non vuole, e Sakusa si sente estremamente sollevato. L’idea di sporcarsi e non sapere quando sarebbe riuscito a ripulirsi del tutto non gli piace per niente.

 
***

 
Sakusa ha sedici anni e domani giocherà la finale del torneo dell’Interhigh. Non pensa alla sua soulmate da anni, e perché mai dovrebbe farlo? È una storia vecchia, di quelle che sua madre ama tirar fuori quando vuole metterlo in imbarazzo, e l’unica cosa che gli ha lasciato è stata una strana ossessione per il pulito. Non vuole vedere polvere, non vuole vedere macchie, non vuole vedere disordine. Perché lui ha tutto sotto controllo. Ha tutto sotto controllo e non esistono scarabocchi che lui non possa far sparire.

Perciò si sente un po’ morire quando, prima di andare a dormire, nota un Ehi, sul dorso della sua mano. Sa che non potrà cancellarlo, che è inutile precipitarsi in bagno, cerca di respirare regolarmente, di non pensarci, perché magari è un’allucinazione e quando riaprirà gli occhi non ci sarà più.

Espira, inspira.

Chiude gli occhi, conta fino a dieci e quando li riapre, effettivamente la scritta non c’è più.

Forse era un’allucinazione, magari era il nervosismo che gli giocava brutti scherzi. Anche se in fondo non era mai stato nervoso per una partita, perché aveva fiducia nelle sue capacità e nei suoi compagni.

È una questione di pochi secondi. Sta per mettersi il pigiama, perché il riposo è importante, è fondamentale, quando li nota: una serie di kanji scritti in maniera confusa, quasi illeggibili, dove poco prima non c’era nulla. Sakusa guaisce, sconfitto, e Komori gli lancia un’occhiata interrogativa.

«Sto bene.», gli dice, recuperando una penna e pensando freneticamente a dove andare. Di certo non si sarebbe chiuso in bagno, non dopo che un’orda di adolescenti ci era passata per lavarsi. Alla fine rimase in piedi fuori al corridoio, indeciso sul da farsi, fissando terrorizzato quelle parole che sembravano star finalmente sbiadendo.

Non so nemmeno perché sto scrivendo, aveva detto. Sono nervoso, credo, era comparso, lì dove un attimo prima non c’era di nuovo nulla. Dovrebbe trovare il coraggio di rispondere e di chiedere di non scrivergli mai più. Dovrebbe farlo davvero. In fondo, che si tratti della sua anima gemella o meno non ha molta importanza. Sta per farlo, davvero, quando le parole scompaiono e ne appaiono altre.

Domani giocherò la finale del torno giovanile di pallavolo.

Sakusa fissa interdetto quelle parole. Vorrebbe pensare che si tratti di uno scherzo, ma in fondo sa che non può essere. Magari gli dovrebbe dire anch’io. Magari è uno dei suoi compagni di squadra. Magari è qualcuno della squadra avversaria. Non lo sa. Non sapere non gli piace.

Perciò non gli scrive anch’io, ma buona fortuna e spera che non gli risponda. Poi prende dei respiri profondi, un po’ alla volta e cerca il coraggio di andare in bagno per cancellare la sua risposta.

La mattina dopo, a colazione, guarda con sospetto tutti i suoi compagni, ma sono tutti nervosi, ovviamente. Neanche studiare i membri della squadra avversaria sembra avere effetto, per cui, dopo aver vinto la partita e festeggiato la vittoria, non gli resta che aspettare. Magari gli scriverà di nuovo. Magari gli dirà di aver vinto e saprà di dover cercare bene tra i suoi compagni. Magari gli dirà di aver perso e saprà di non doversi preoccupare della sua molesta anima gemella, che tanto viveva in una sperduta regione del Kansai – Sakusa nemmeno la voleva, un’anima gemella, non sapeva cosa farsene: non l’aveva scelta lui e pertanto sfuggiva ad ogni sorta di possibile controllo.

Per sua fortuna – o forse sfortuna? Non saprebbe davvero dirlo – non gli arriva nessun messaggio.

 
***

 
Mi hanno selezionato per la nazionale giovanile.

Quando si sveglia, Sakusa pensa che ci sia un enorme insetto su dorso della sua mano. Scatta sul letto, terrorizzato, ma sa che le probabilità di insetti così enormi a Tokyo sono bassissime. Sa anche che non c’erano insetti, nella sua stanza, quando è andato a dormire, e sa di aver dormito con le finestre chiuse – è inverno, in fondo.

Perciò sbuffa contrariato e fissa con astio la scritta sulla sua pelle, sperando che sparisca in fretta. Sparisci, sparisci, sparisci, ripete nella sua mente, consumando a grandi passi il pavimento della sua stanza. Se non lo guarda, è come se non ci fosse. Ma Sakusa sa che c’è, sa che c’è e non può cancellarlo, non può fare niente se non-

Quando la realizzazione lo colpisce, vorrebbe prendersi a schiaffi. Ovviamente. Ovviamente, la prima volta che gli aveva scritto non si aspettava una risposta, per cui si era premurato di cancellare tutto immediatamente. Ma dato che era stato così stupido da rispondergli, adesso di aspettava che il suo messaggio arrivasse.

Potrebbe dirgli qualcosa di molto maleducato. O semplicemente di molto cattivo, come non mi interessa, o potrebbe essere sincero e dirgli per favore, lasciami in pace. Però. Però, uhm, si sentirebbe in colpa, perché chiunque ci sia dall’altro lato non sa di star facendo qualcosa di potenzialmente molto fastidioso e non sa di aver involontariamente dato origine a molti dei suoi problemi, da piccolo.

Forse un giorno glielo potrà rinfacciare – forse molto presto, visto che anche lui è stato selezionato dalla nazionale giovanile. Intanto si limita a scrivere congratulazioni, poi corre in bagno per lavare via tutto.

 
***

 
Atsumu Miya è l’essere più fastidioso che sia mai stato creato. È anche, molto probabilmente, la sua anima gemella, motivo per cui ha intenzione di stare il più lontano possibile da lui. Inoltre, a cose più importanti di cui preoccuparsi, come ad esempio di chiunque sia stato forte abbastanza da battere Wakatoshi-kun. Quello potrebbe essere un problema serio, ma Kageyama-kun non sembra così minaccioso, almeno da solo – non sembra nemmeno il tipo da potere battere Wakatoshi-kun, ma c’è riuscito comunque.

Atsumu Miya invece è esattamente come sembra: è arrogante, ed è troppo sicuro di sé, ma effettivamente ha abbastanza talento per giustificare questi suoi atteggiamenti, il che lo rende ancora più fastidioso. Quasi non ci crede, che qualche mese prima era nervoso per la finale dell’Interhigh. Magari era solo una scusa per scrivergli.

Una settimana dovrebbe passare in fretta, ma Miya sembra apparire ovunque: quando fa colazione con Komori, quando pranza con Komori, quando cena con Komori, quando sta per andare a fare il bagno, quando esce dal bagno, quando si appresta ad andare a dormire. Forse è perché sente di essere evitato – un po’ come i cani quando capiscono che hai paura: cominciano a starti addosso per dimostrarti che non c’è niente di cui essere spaventati. Ma Sakusa non ha paura. E i cani puzzano.

Di solito cerca di starsene sulle sue, passando anche tutto il (poco) tempo libero che hanno a disposizione nella sua stanza, sperando di essere lasciato in pace e di evitare tutti i germi, i batteri e lo sporco che potrebbero annidarsi in giro per l’albergo. Però ha proprio bisogno del programma degli allenamenti, perché l’ultima cosa che vuole è dover prendere i mezzi pubblici per tornare a casa e sua madre si è offerta di andarlo a prendere. Ma non riesce a trovarlo, quindi è costretto a cercare Komori.

Ora, Sakusa sa che Komori è un bravo ragazzo: gli lascia i suoi spazi, si assicura che non sia sempre troppo turbato dall’eccessivo disordine e dalla confusione, si occupa sempre di socializzare anche al posto suo. Ecco, proprio per questo motivo, lo trova seduto a tavolino con gli altri ragazzi – tra cui anche Atsumu, ovviamente. Deve solo avvicinarsi, agguantare Komori e ritornare in camera sua. Non è difficile, davvero, anche se l’idea di fare marcia indietro lo tenta.

Mentre si fa sempre più vicino, comincia anche a sentire l’argomento del loro discorso. Ovviamente. Tutta questa storia delle anime gemelle sembra lo stia perseguitando: alla maggior parte delle persona non importa di questo, davvero, si può vivere benissimo senza un’anima gemella, ma questo gli adolescenti di solito non lo capiscono e sembra che si divertono ad inseguire i mulini a vento. Sospira. In fondo, è un adolescente anche lui, ma gli interessa molto di più carpire qualche altra informazione sulla squadra di Kageyama. Kageyama ad esempio – Kageyama è un alzatore serio. Sta sempre a sistemarsi le unghie e preoccuparsi di allenarsi e di certo non si sarebbe messo a parlare di queste sciocchezze. Invece gli tocca Atsumu.

«E tu, Sakusa-kun?», gli domanda Atsumu, che ha visto benissimo che stava ascoltando, anche se adesso prova a fare il vago. «Tu conosci la tua anima gemella?»

So che è un idiota, dovrebbe rispondere. Invece scuote la testa e comincia a fare segno a Komori di seguirlo.

«Be’, io invece-»

«Molto interessante, Miya, però noi adesso dobbiamo andare.», gli dice sbrigativo, afferrando la giacca di Komori e trascinandolo via.
 

***

 
Dopodiché, non è che parlino spesso. Sì, certo, Atsumu prova sempre a scrivergli: gli scrive quando vengono sconfitti dopo la partita al torneo primaverile – che ha pianto, dopo, quando nessuno poteva vederlo. Il pomeriggio successivo anche Sakusa ha perso, non ha pianto, ma ha contemplato per un attimo l’idea di dirglielo – anche io gioco a pallavolo. Anche io ho perso.

Solo che poi il faccione indisponente di Atsumu fa capolino tra i suoi pensieri e non è che abbia tutta questa voglia di farsi prendere in giro. E poi pensa che forse Atsumu non lo farebbe, perché a quanto pare, oltre al fastidioso sbruffone che ha imparato a conoscere c’è anche un altro Atsumu, che si innervosisce prima di una partita ufficiale, che si emoziona quando viene selezionato per le giovanili, che piange quando pensa di non essere visto – che comunque è fastidioso, eh. Solo, non uno sbruffone. Gli riesce di essere fastidioso anche quando è sentimentale.

Forse è tutta quella foga, a dargli fastidio. Sakusa si è sempre ritenuto una persona calma e misurata – tranne quando ci sono insetti in giro, lì c’è poco da restare calmi – mentre Atsumu sembra voler dare il massimo in tutto, che si tratti della pallavolo, di provare emozioni, di tormentare i compagni.  Mentre lui si nasconde in un angolo, Atsumu cerca sempre di essere al centro dell’attenzione.

Si è chiesto, a volte – ma soprattutto negli ultimi tempi – in base a cosa si diventasse anime gemelle: magari qualcuno prendeva due persone che non potevano essere più diverse da loro e diceva: “Sperimentiamo. Magari va bene. Magari no.”, perché altrimenti non capisce in che modo Atsumu Miya possa essere la sua anima gemella. O in che modo lui possa essere quella di Miya. Forse lor sono un errore, una virgola fuori posto nel sistema cosmico. Oppure tra dieci anni si guarderà indietro e riderà del Sakusa adolescente che aveva tutti questi dubbi. O forse si darà ragione.

 
***

 
Atsumu gli scrive quando lo nominano capitano, e ancora quando scopre che il fratello non giocherà agonisticamente. Sakusa per lo più ascolta, ogni tanto commenta, a volte pensa che vorrebbe dargli una pacca sulla spalla, molto più spesso lo vorrebbe prendere a schiaffi.

Non gli hai mai chiesto di parlargli di sé: sarà che gli piace davvero tanto, essere al centro dell’attenzione, oppure non vuole rispettare dei paletti invisibili che Sakusa nemmeno si era accorto di aver posto. Semplicemente sta lì, e quando vuole blatera di tutto quello che gli passa per la testa e a volte nemmeno si aspetta una risposta – il che implica che solitamente riceve più di quanto non chieda.

Sakusa non si sta affezionando. Solo che da quando ha iniziato il college, tutto è più divertente che studiare. Perfino Atsumu e i suoi problemi sono più interessanti del libro di economia che lo aspetta sulla scrivania. Ha promesso a sua madre che si sarebbe laureato, e solo a quel punto avrebbe iniziato a giocare professionalmente: a volte pensa di essere invidioso di Atsumu. Lui è già stato reclutato da una squadra, anche se per ora siede sempre in panchina. La pallavolo è la sua unica preoccupazione – circa.

Magari, quando giocherà la sua prima partita, andrà a vederlo. Magari sarà proprio lui a chiedergli di andare. Cioè, non a Sakusa Kiyoomi, ex compagno della nazionale giovanile, ma alla sua anima gemella, di cui non sa assolutamente nulla. Atsumu sembra una persona abbastanza squilibrata da farlo per davvero.

Sbuffa, fissando il soffitto. Forse sarebbe il caso di aprirlo, quel benedetto libro. Oppure no. È un pensiero molesto, quello che lo spinge a prendere la penna e iniziare a scrivere. Pensa che in fondo può studiare anche domani, ma non sa se in futuro avrà di nuovo voglia di parlargli.

Gioco anch’io pallavolo, gli scrive, nella squadra del college.

Forse è stata una pessima idea, anzi sicuramente lo è, perché questo significa togliere dei paletti e autorizzarlo a fargli delle domande e a portare il loro rapporto su un livello molto meno distaccato di quanto non fosse disposto ad accettare. Va in bagno e lava via tutto, l’inchiostro e una sentimentalità che non gli appartiene e che probabilmente gli ha passato proprio Atsumu. Mentre si strofina violentemente l’avambraccio, imprecando contro la noia e contro chiunque abbia trovato divertente l’idea di appaiarlo con Atsumu Miya.

Davvero? Ma è fighissimo! In che ruolo giochi?

In che posizione vorresti che giocassi?

Dovrebbe smettere di rispondergli, davvero, se non altro per convincersi che a lui di Atsumu Miya non importa un fico secco, ma la tentazione di stuzzicarlo così è più forte perfino del suo buonsenso.

Schiacciatore laterale, così potrei farti fare punto sulle mie alzate.

Opposto.

Ci sono andato vicino! Dai, mi dici la squadra in cui giochi? Così almeno posso venire a vedere le partite!

Forse si è un po’ affezionato.
 

***

 
Atsumu non ha mai scoperto il college che frequentava, nonostante lo avesse supplicato più volte e gli avesse spesso proposto di allenarsi insieme. Non ha ancora nemmeno scoperto che attualmente giocano nella stessa squadra: dopo la laurea, tentare nei try-out dei Black Jackals era stato un capriccio dettato dall’impulsività, ma a quanto pare essere il miglior giocatore dei tornei universitari era servito a qualcosa.

Giocare con Atsumu è strano. Strano perché ogni volta che gli alza un pallone salta e colpisce senza pensarci due volte, senza dover analizzare l’alzata o la situazione o la posizione degli avversari – salta e si fida di Atsumu perché è letteralmente tutto quello che il suo istinto gli dice di fare. Non gli piace molto, se deve essere onesto. Non è il suo modo di giocare a pallavolo. Però se prova a ignorare i suoi istinti e cerca di studiare l’alzata finisce fuori tempo e il pallone non riesce nemmeno a colpirlo.

È snervante. Anche Atsumu è snervante, con tutti quei nomignoli che si susseguono e tutto lo spazio che occupa e tutta quella familiarità che non esiste eppure spera di creare. Vorrebbe prenderlo a schiaffi. A volte si chiede se tutta la voglia di prenderlo a schiaffi non sia altro che il suo subconscio che cerca disperatamente di toccarlo. Sakusa non muore dalla voglia di toccarlo, visto che sono sempre sudati e Atsumu sembra non avere problemi a rotolarsi sul parquet della palestra al termine degli allenamenti.

«Omi-kun~, mi spieghi qual è il tuo problema?», gli chiede un giorno, quando gli allenamenti hanno fatto parecchio schifo e non si sono sincronizzati nemmeno per sbaglio. Pensare che sarebbe così semplice, se per una volta si lasciasse andare. Ma lasciarsi andare significa anche accettare l’idea di Atsumu, e Atsumu come anima gemella, e come possibile partner, e non importa se ha avuto a disposizione anni, lui ancora non si è abituato all’idea.

Non è neanche detto che Atsumu abbia già accettato l’idea: lo ha osservato da vicino, certo, e la sua opinione è che Atsumu sia sostanzialmente un romantico, che creda disperatamente che le anime gemelle esistano per un motivo e crede anche che loro siano un’accoppiata perfetta, questo gliel’ha detto poco dopo aver scoperto che giocava a pallavolo. Ma. Ma non è detto che una volta scoperto che sia lui, tra tutte le possibili opzioni, la sua anima gemella, la prenda bene. Potrebbe non volerlo. Quasi sicuramente non lo vuole, visto il modo in cui lo tratta.

«Io non ho alcun problema, Miya, evidentemente le tue alzate non erano abbastanza precise.», gli risponde secco, e onestamente si sente un po’ in colpa, vista la faccia da cucciolo bastonato che Atsumu mette su.

«Non era a quello che mi riferivo. Le mie alzate sono sempre perfette.», aggiunge, sinceramente offeso. Restano per qualche istante in silenzio nello spogliatoio quasi vuoto, perché Sakusa è sempre il primo a fare la doccia e perché gli altri si dedicano con più cura al defaticamento. Atsumu sembra indeciso su cosa dire, sospira, lo guarda di traverso, gli occhi ridotti a due fessure, apre la bocca, poi la richiude e somiglia ad un pesce rosso molto arrabbiato.

«Se pensi che le mie alzate debbano essere perfezionate, possiamo sempre allenarci insieme. La palestra è libera il lunedì pomeriggio.», propone infine. Sorride come se gli avesse appena teso un tranello, come se Sakusa non stesse resistendo con tutto se stesso all’impulso di accettare immediatamente.

«Il lunedì è il nostro giorno libero.», obietta invece.

«Be’, o vieni il lunedì o ti accontenti delle mie alzate.», conclude, appena prima che lo spogliatoio venga invaso dal resto della squadra. Non sono tutti fastidiosi come Atsumu, i suoi compagni di squadra, anche se alcuni sono molto più rumorosi.

«’Tsumu-san, di cosa state parlando?», chiede Hinata saltellando.  Hinata salta sempre. È sempre di buonumore. Schiaccia tutti i palloni che Atsumu gli alza. Lo chiama per nome, che è più di quanto lui non si sia mai sforzato di fare, anche se in realtà lo chiama per nome da anni, nella sua testa. Non si stupirebbe, quindi, se Atsumu avesse un debole per lui – soprattutto visto che lo guarda come fosse una benedizione dal cielo, mentre lui si becca occhiatacce di rimprovero oppure ghigni provocatori.

Sta per rispondergli qualcosa come “Non sono fatti tuoi”, “Fammi una domanda di riserva” oppure “Siamo sicuri che tu abbia tutti i vaccini in regola?”, quando Atsumu, a cui era effettivamente rivolta la domanda, risponde: «Niente! Niente di che!», arrossendo vistosamente.

Forse non avrebbe dovuto affezionarsi.
 

***

 
«Perché non volevi che Hinata sapesse degli allenamenti extra?», gli chiede, appena lo vede avvicinarsi. Vorrebbe poter dire di non esserci rimasto male. Vorrebbe potere dire che non ha palesemente ignorato Atsumu quando gli ha scritto la sera prima, ma non può, perché effettivamente l’idea che Atsumu possa essere innamorato di qualcun altro è la conferma di quello che ha sempre creduto, che effettivamente le anime gemelle erano soltanto soggetti di un esperimento casuale e che non erano legate in modo assoluto. Solo che avrebbe preferito avere questa conferma un paio di anni prima.

Atsumu arrossisce.

«Miya, per amor del cielo, non fare quella faccia.», commenta scocciato. Sembra un ebete. È un ebete.

«No, ecco- uhm, perché vedi, se- uhm, e quindi ho preferito non- ugh, perché poi magari-.»

«Non preoccuparti, Miya, non gli dirò che ci stiamo allenando.», sente di dovergli dire. Come gli è venuto in mente di ficcarsi in una situazione del genere. Dovrebbe trovarsi un agente, chiedergli di fargli cambiare team e scordarsi per sempre di questo fattaccio.

«Oggi ti dimostrerò che le mie alzate sono davvero perfette!», annuncia, mentre cominciano a sistemare la rete. Sakusa grugnisce. Lo sa, che le sue alzate sono perfette. Sono sempre facili da colpire, se si salta e si schiaccia.

«Probabilmente devi solo rilassarti.», commenta, pescando un paio di palloni dal cesto che hanno trascinato vicino ai pali.

«E come pensi di farmi rilassare?»

Atsumu arrossisce di nuovo. Non dovrebbe trovarlo così carino.

«Be’, ecco io- uhm, pensavo a qualcosa come- come- esercizi respiratori? Stretching?»

«Non ci sto provando con te, Miya, non è necessario irrigidirsi.»

Atsumu si sgonfia come un palloncino. Gli fa male, pensare che sia così sollevato dalla notizia.

«Lo so, lo so.», spiega, alzando le mani in segno di non colpevolezza.

 
***
 
Gli allenamenti del lunedì pomeriggio sono diventati un’abitudine quasi piacevole: in fondo non gli dispiace, potersi allenare un po’ di più, e sicuramente non gli dispiace passare tutto quel tempo Atsumu. Il che in sé è un problema, visto che potrebbe dichiarare i suoi sentimenti per Hinata in qualunque momento. È come una bomba ad orologeria che potrebbe scoppiargli in faccia in qualunque momento, una barzelletta cosmica che lo vede perdere l’anima gemella che non aveva mai voluto nel momento in cui aveva iniziato ad amarla.

«Hai mai pensato di fare yoga?», gli chiede Atsumu, mostrando i due tappetini che porta sotto il braccio. «Sai, con tutte quelle ossa snodabili che hai, per te dovrebbe essere facilissimo».

Probabilmente dovrebbe smetterla di opporre resistenza e cominciare a schiacciare qualche pallone decentemente – cosa che sta già facendo in partita, visto che non vuole che la sua testardaggine danneggi la squadra.

«Magari puoi farmi solo delle alzate.», gli risponde invece, cercando di colpirlo con un pallone.

È facile, si dice. Respira, salta, colpisci il pallone. Fidati di lui.

È che quasi gli fa male, fidarsi in quel modo. Soprattutto perché si sente tradito, perché ogni volta che sono con il resto della squadra Atsumu è sempre vicino a Hinata, gli sorride, scherzano insieme mentre lui continua ad alienarsi.

«Visto Omi-Omi~? Te l’avevo detto che erano facili da colpire. Che poi in partita le prendi sempre tutte, quindi non capisco quale sia la differenza.»

Sakusa gli rivolge un sorriso di circostanza e prega che quell’allenamento finisca presto. Magari, se gli avesse detto prima la verità, se Atsumu avesse saputo dal primo momento che era lui, la persona che si divertiva a imbrattare d’inchiostro, in questa situazione non si sarebbe mai ritrovato.

Quando sono entrambi abbastanza stanchi da non poter continuare, dichiarano l’allenamento finito e si preparano ad andarsene. Sakusa è sempre il primo a sparire, perché sì, è il primo a usare il bagno, ma soprattutto perché stare con Atsumu lo ferisce quasi come stare senza di lui, o pensare che potrebbe dover stare a lungo senza di lui – per sempre, praticamente, perché Atsumu non è innamorato di lui.

Si chiude nell’abitacolo della sua automobile e mette in moto. L’auto non parte.  Ci riprova. L’auto continua a non partire. Effettivamente, prima aveva notato dei rumori strani, ma non se ne era preoccupato troppo: aveva pensato che qualunque problema ci fosse, avrebbe almeno potuto aspettare domani. Invece adesso è bloccato nel parcheggio della palestra e gli tocca prendere la metropolitana per tornare a casa.

Poggia la testa sul volante e prende lunghi respiri per calmarsi. Ce la può fare. È vero, non gli piace dover prendere i mezzi pubblici, ma non è la prima volta che lo fa. Dovrà solo ficcarsi nella lavatrice una volta tornato a casa.

Sente un fastidioso bussare al finestrino e vede Atsumu a cavallo della sua motocicletta. Emette un verso frustrato perché nessuno ha il diritto di sembrare così affascinante con i guanti e il giubbotto di pelle e quel sorrisetto compiaciuto perché lui sa, sa di stare maledettamente bene così.

«Che vuoi, Miya?», gli chiede, abbassando il finestrino.

«Serve un passaggio?», propone, facendogli cenno con il capo di salire sulla moto.

Non se ne parla, si dice, fissando un punto davanti a sé per non concentrarsi sul fatto che effettivamente un passaggio gli farebbe comodo. Per non concentrarsi sul fatto che effettivamente avrebbe accettato la sua proposta anche se non fosse stato necessario.

«Non posso lasciare la macchina qui.», spiega. «Chiamerò un carroattrezzi e la lascerò al meccanico più vicino.»

«Però poi dovresti prendere comunque la metro per tornare a casa. Forse anche un pullman.», obietta Atsumu, scendendo dalla moto e prendendo un secondo casco.

Sakusa sa che è una pessima idea rifiutare la sua proposta, ma sa anche che sarebbe una pessima idea accettarla, quindi si trova in questo limbo per cui da un lato ha tanti motivi non troppo validi per dirgli di no, dall’altro ne ha molti validissimi per dirgli di sì.

«Dai», aggiunge Atsumu, porgendogli il casco. «Prometto che ti vengo a prendere domani mattina.»

Insomma, chi è lui per rifiutare una proposta del genere?

«Grazie.», accetta infine, uscendo riluttante dall’auto. «Però prima chiamo comunque un carroattrezzi.»

L’attesa del carroattrezzi è a dire poco imbarazzante: restano entrambi in silenzio, Atsumu mandando una sfilza di messaggi al telefono, Sakusa consumando a grandi passi il cortile dell’ingresso della palestra. Dovrebbe dirgli qualcosa, però già l’ha ringraziato e non vuole che sembri una conversazione forzata. Potrebbe chiedergli di Hinata, ma non crede di poter reggere una discussione del genere.

Quando finalmente si decide a guardarlo, lo trova a giocherellare con una penna: nel momento in cui Atsumu ricambia il suo sguardo, arrossisce e la mette via.

«Arrossisci spesso per essere un tipo così spavaldo.», gli sfugge, prima che possa rendersene conto.

Atsumu si gratta la nuca, a disagio.

«Ho solo pensato che non abbiamo mai parlato molto, noi due.», si giustifica. «È strano trovarsi così.»

Sta per rinfacciargli che se non vuole, può sempre andarsene. In fondo è stato lui a proporsi di accompagnarlo. Ma c’è qualcosa nello sguardo di Atsumu che gli suggerisce che quella è la strada sbagliata da prendere.

«Vorresti conoscermi meglio, Miya?», suggerisce, sperando che il suo tono fosse abbastanza flirtante da dirottare la conversazione. Atsumu distoglie immediatamente lo sguardo e continua a grattarsi il collo imbarazzato. Qualunque cosa avesse voluto rispondergli è annullata dall’arrivo del carroattrezzi che preleva la sua macchina e gli lascia l’indirizzo del meccanico a cui la sta portando.

Poi non ci sono molte parole, Atsumu gli porge ancora imbarazzato il casco e sale sulla moto, aspettando che lo raggiunga.

«Quante persone hanno indossato questo caso?», chiede, cominciando a rimpiangere l’idea dei mezzi pubblici.

Atsumu gli mostra una mano e inizia ad elencare: «Mio fratello, il suo ragazzo, Hinata, Bokuto, Meian-san, un paio dei miei ex compagni di squadra, qualche ragazza che ho conosciuto in discoteca, mia madre-», si gira per controllare la sua reazione e deve vederlo abbastanza pallido, perché si affretta a specificare: «Sto scherzando, Omi-kun! Ho la moto giusto da qualche mese, non ci ho ancora fatto salire nessuno perché la mia guida è un po’… spericolata

«E me lo dici adesso?»

Atsumu non gli risponde, ma gli intima di allacciare il casco e gli ricorda di dargli qualche indicazione, ogni tanto. All’inizio va così veloce che Sakusa non ha altra scelta che aggrapparsi a lui e Atsumu ride perché gli è anche scappata una parolaccia dopo una curva particolarmente stretta. Eppure, dopo che si è abituato alla velocità che sfiora il limite del legale, non può non piacergli stringerlo così forte, appoggiare la testa sulla sua spalla e sentire che forse è tutto lì, il senso del loro essere anime gemelle, nel modo in cui si incastrano su quella motocicletta, correndo per le strade di Tokyo. Nel modo in cui può finalmente toccarlo senza dover pensare di volerlo schiaffeggiare, semplicemente allacciandoli le braccia intorno alla vita.

Dovrebbe avere paura e dovrebbe esserne disgustato, perché non c’è lui, alla guida di quel veicolo, non è lui che controlla la direzione che stavano prendendo, anche se glielo suggerisce all’orecchio. Eppure si sta fidando, perché non ha alternative, ma forse anche se ne avesse sceglierebbe comunque di farlo.

Quando arrivano a destinazione, letteralmente sotto il suo portone, Sakusa è riluttante a lasciarlo andare: indugia ancora un attimo sui suoi fianchi, temporeggia con la testa incastrata nell’incavo del suo collo, lo sente ridacchiare per il solletico. Non sa se gli ricapiterà di nuovo. Non sa se la prossima volta sarà troppo tardi e già lo avrà perso. Non sa se ci sia ancora speranza, da qualche parte, se tutto quell’imbarazzo sia effettivamente un buon segno o se sia solo a disagio con lui.

Forse dovrebbe dirglielo. Dovrebbe dirglielo e farla finita con questa storia. Dovrebbe dirgli che è la sua anima gemella, che lo sa anni e che non gliel’ha detto perché aveva paura. Si arrabbierà con lui? Gli dirà di essere stato egoista e meschino? Gli spezzerà il cuore dicendogli che in fondo già ama qualcun altro? Seppure gli spezzasse il cuore, di certo Sakusa non glielo mostrerebbe. Ha ancora un orgoglio da salvare.

«Omi-kun-», comincia Atsumu dopo che è sceso, ma Sakusa lo interrompe.

«La tua guida non è spericolata, Miya.», gli concede. «Solo… spavalda?»

«Be’, se vuoi domani posso andare più piano.», suggerisce Atsumu. Sa che è una sfida mascherata da finta da premura, sa che vuole fargli ammettere che è andato davvero troppo veloce e che un po’ l’ha spaventato.

«Vai bene così.», gli dice, prima di rendersi conto di quello che realmente gli è sfuggito. Non se ne sarebbe nemmeno accorto, se Atsumu non avesse sbarrato gli occhi.

«La tua guida», si corregge una manciata di secondi dopo, «la tua guida va bene così.»

«Sì, certo, giusto.», conviene Atsumu, che però non gli dà l’impressione di starlo davvero ascoltando.

«Allora, domani alle otto e mezza?», gli chiede, e Atsumu annuisce, assente.

Quindi Sakusa ne approfitta per salutarlo superficialmente e lanciarsi per le scale, alla volta del suo appartamento, un luogo del tutto privo di Atsumu Miya e completamente sotto il suo controllo. Quando riesce a sbattersi la porta di casa alle spalle, tira finalmente un sospiro di sollievo. A volte crede che Atsumu gli abbia passato, anche se in minuscola parte, la sua foga nell’agire. Ecco, pensa, se gli piacessi, probabilmente me l’avrebbe già detto.

Non ci vuole molto prima che noti una serie di messaggi sul dorso nella sua mano.

Ehi. Volevo dirti che credo di essermi innamorato. Mi sento in colpa.

Sakusa guaisce indispettito, fissando con astio il messaggio sul suo polso. Se l’aspettava, è vero, ma fa comunque male. Soprattutto visto quanto era andato vicino, anche se quasi per sbaglio, al confessargli la verità. Non lo vuole sapere. Non vuole che Atsumu gli scriva. Per cosa l’ha preso, un diario? Ogni volta che c’è qualche problema, corre a scrivergli. E lui sta lì come uno scemo ad ascoltare, senza mai aver avuto nemmeno il coraggio di chiedergli di essere lasciato in pace. Magari dopo oggi può. Può sbarazzarsi di lui e della sua stupida e incomprensibile scrittura e di tutto quell’inchiostro e quei sentimenti che non è sicuro di riuscire a lavare mia nemmeno consumandosi il braccio.

Non esserlo. Com’è? Piccolo e carino?

Non sa nemmeno perché gliel’ha scritto. Lui non dovrebbe saperlo. Forse vuole solo buttare fuori tutto il rancore che sente in questo momento. Atsumu gli aveva detto che era fatti l’uno per l’altro quando nemmeno lo conosceva. Si era mostrato vulnerabile e curioso ed eccitabile in un modo a cui non avrebbe creduto, se qualcun altro gliel’avesse raccontato. Sakusa gli ha concesso più intimità in quelle settimane di quanto non abbia fatto nel corso di anni con persone che lo conoscono molto meglio. Da molto più tempo. E l’ha fatto solo perché il suo stupido istinto gli diceva che era l’unica cosa fare, che non poteva controllarlo. Ecco, se solo fosse riuscito a controllare la questione, se solo non le avesse permesso dal primo istante, da quando era soltanto un bambino di prendere il controllo della sua vita e delle sue paure-

Vorrebbe soltanto dimenticarlo. Se qualcuno gli dicesse che al suo risveglio non saprebbe più che Atsumu Miya è la sua anima gemella, andrebbe a dormire felice.

Perché lo pensi? No, è alto. Perfino più alto di me. A volte credo che mi odi.

Sakusa si alza a rallentatore e si affaccia alla finestra: Atsumu è ancora sotto il suo portone, appoggiato alla sua moto, con una mano chiaramente imbrattata. C’è una stranissima calma che lo pervade, e si sta maledicendo per tutti i suoi dubbi e tutti i pensieri che la sua mente paranoica ha partorito negli ultimi minuti. Quando gli risponde, prendendosi ogni secondo possibile per imprimere sulla sua pelle il suo messaggio, quasi non gli sembra vero.

Certo, ci aveva sperato. Ci aveva sperato e per qualche secondo ci aveva anche creduto e adesso ci torna a credere con la stessa intensità di qualche minuto prima, quando ancora lo stava stringendo mentre sfrecciavano in strada.

Aspettami.

Quasi si lancia dalle scale, mentre scende gli scalini due alla volta, con il cuore che gli batte così forte che può sentirlo nelle orecchie. Non li provava, poche ore fa, tutti questi sentimenti. Non li provava perché aveva paura che un giorno Atsumu potesse sbattergli una porta in faccia. Non li provava perché ha sempre saputo che non sarebbe riuscito a controllarli. Però adesso non ha bisogno di controllarli, non ha più bisogno di controllare un bel niente, né i messaggi che non può cancellare, né i sentimenti che non può sopprimere.

Arriva al portone e lo apre appena. Non ha pensato a cosa dirgli. Non ha pensato a come dirglielo. Potrebbe uscirsene con un “Ehi congratulazioni, ti sei innamorato di me anche se non sapevi che fossi la tua anima gemella”. Non sa se vuole baciarlo. O abbracciarlo. Non controlla nemmeno se Atsumu ha risposto, forse non riuscirebbe nemmeno più ad uscire, a quel punto.

Espira, inspira.

Si avvicina a passi lenti ad Atsumu, che sussulta e lo richiama interrogativo. Sakusa lo ignora, prende un altro e stringe la penna che ha in mano tanto da farsi sbiancare le nocche. Gli afferra il collo, non sente qualunque cosa Atsumu gli stia dicendo e riesce in qualche modo a scrivere un disordinato “ciao” sulla sua guancia.

Si morde le labbra mentre aspetta la reazione di Atsumu: sgrana gli occhi, porta un paio di dita titubanti sulla sua guancia, dove Sakusa che è comparsa la stessa, identica scritta.

«Omi-kun...», sussurra e sembra quasi una preghiera, sembra che lo stia supplicando di dirgli che è vero e che non è tutto uno stupido scherzo e Sakusa sente una tensione nel suo stomaco che potrebbe spezzarlo in due. Atsumu continua ad accarezzargli la guancia, sente le sue dite inquiete, poi la presa si fa più salda e Sakusa poggia la fronte sulla sua.

Cerca il suo sguardo, sta per dire qualcosa, poi scuote la testa e lo bacia.

 
***

 
Atsumu ha 22 anni quando bacia per la prima volta la sua anima gemella. Ci ha fantasticato a lungo, se proprio deve ammetterlo, ma non avrebbe mai pensato che ci sarebbe stato Omi-kun, non l’aveva mai supposto, non aveva nemmeno avuto il coraggio di sperarlo, alla fine.

Forse dovrebbe arrabbiarsi, perché in fono è stato un colpo basso, da parte di Omi-Omi, tenersi questo segreto per chi sa quanto. Forse dovrebbe dirgli qualcosa, tipo che è contento, è contentissimo, è estatico al pensiero che sia lui, la sua anima gemella, ma pensa che dalla sua reazione sia abbastanza evidente.

«Te l’avevo detto, no?, che eravamo fatti l’uno per l’altro.», decide di sussurrare infine, nel momento in cui si stacca dalla sua bocca per prendere aria. Sakusa gli dà un pugno sul braccio, mormora qualcosa contrariato, ma dallo sguardo nei suoi occhi è innegabile che la pensi come lui.


 
  
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