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Autore: lagertha95    13/04/2020    1 recensioni
[ShikamaruxNuovoPersonaggio] [Post Quarta Guerra Mondiale Ninja] [accenni ShikamaruxTemari, AsumaxKurenai e KakashixIno]
Shikamaru Nara: tanto intelligente quanto pigro incontra Miyoko Senju, talentuosa kunoichi e nipote di Tsunade, da ragazzino. Insieme formano una squadra formidabile di spie, tanto da essere inviati in missione per tutti i paesi prima da Tsunade poi da Kakashi, crescendo e - senza ammetterlo - innamorandosi. Una missione separati è sufficiente per distruggere tutto quello che hanno costruito, con Shikamaru che volta le spalle a tutto e tutti e fugge a Suna. Dieci anni dopo la sua partenza il giovane Nara torna a casa, trovando cambiamenti inaspettati.
Dal testo:
«Che cosa pensavi, eh? Di tornare e trovare tutto come quando lo hai lasciato? Il tuo essere pigro e arrogante, cosa di cui mi prendo ogni responsabilità, ti ha sempre fatto scegliere la strada più semplice, anche quando avresti dovuto fermarti, riflettere e capire. Invece hai preso e sei partito, voltando le spalle a tutti, noi compresi.» Shikamaru ascoltava la madre in silenzio. «Non hai visto in che condizioni si era ridotta, farti tornare avrebbe voluto dire darle il colpo di grazia.»
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ino Yamanaka, Kakashi Hatake, Nuovo Personaggio, Shikamaru Nara | Coppie: Asuma/Kurenai, Shikamaru/Temari
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Salve a tutti/e!
Eccomi di nuovo qua, anche questa volta con una storia dove è presente un personaggio di mia invenzione: Miyoko Senju.
Il problema principale è che quando ero più piccola ero innamorata persa di Shikamaru e non ho mai (neanche adesso, a dirla tutta) mandato giù che lo abbiano accoppiato con Temari, questo per dire che nelle mie storie a Shikamaru assegnerò sempre un nuovo personaggio (o al massimo Ino, ma non ne sono così sicura).
In ogni caso eviterò di dilungarmi e vi lascio alla lettura di questo primo capitolo di quella che sarà una mini-long.
Sperando che vi piaccia, vi auguro una buona pasquetta e una buona lettura.
Baci, 
Lagertha

P.S: Come sempre (se avete avuto modo di leggere qualcosa di mio anche su altri fandom avrete visto che è un modo che utilizzo spesso), si alternano passato (in corsivo) e presente (non in corsivo).


Miyoko della Foglia
 
“Ci si allontana per capirsi.
Ci si avvicina per riscoprirsi.”
Fabrizio Caramagna

 

«No.» rispose semplicemente Miyoko.
«Cosa vorrebbe dire “No”, Miyoko?»
Kakashi aveva assunto un’espressione minacciosa fissando la giovane e determinata donna che, placida, gli stava in piedi di fronte osservandosi con attenzione le unghie corte.
«Esattamente quello che hai capito, Hokage…» ribatté Miyoko mentre il silenzio calava nell’ufficio dell’Hokage.
Gli shinobi presenti nella stanza, uomini forti e abili sopravvissuti a missioni ben più pericolose, osservavano in religioso silenzio la giovane kunoichi e l’hokage aspettando di scoprire come sarebbe andato a finire quello scontro.
«Senti, mocciosa, io non ti permetto-» iniziò Kakashi, alzandosi lentamente e sbattendo i palmi sfrigolanti sulla scrivania.
«Oh no! Questa volta sono io che non permetto più a nessuno di comandarmi a bacchetta!» rispose Miyoko con la voce che le era salita di qualche ottava. «Ti ricordi com’è andata a finire l’ultima volta o hai bisogno che ti rinfreschi la memoria?»
Il silenzio era assordante e Kakashi strinse gli occhi, digrignando i denti e osservando con rabbia la nipote ghignante di Tsunade Senju.
«Tutti. Fuori.»


Un anno prima, Villaggio della Sabbia.

Temari della sabbia sbraitava e, un oggetto dopo l’altro, lanciava giù dalla finestra ogni singola cosa che avesse a tiro in direzione del – fino a quel momento almeno – suo compagno.
«Sei una persona orribile, Shikamaru Nara, e io non ti voglio più vedere!»
Miyoko Senju osservava la scena – ridicola – da dietro il vetro di un locale dall’altra parte della strada e scuoteva la testa, constatando quanto le cose non fossero cambiate di una virgola.
Arrogante, maschilista e decisamente tendente all’apatia, Shikamaru Nara aspettava che la donna terminasse quella scenata per potersene andare una volta per tutte da quel posto orribile e secco che era Suna.
Con uno sbadiglio, quando l’ultimo piatto si infranse a terra, il jonin di Konoha si staccò dal muro, fece un cenno di saluto verso la finestra ormai chiusa e si avviò lungo la strada che portava fuori da Suna, camminando come al solito con le mani in tasca e traendo le fila di quella sua non troppo lunga vita.
A neanche trent’anni, Shikamaru Nara si vedeva costretto ad ammettere quanto si fosse rivelato tutto un grande fallimento, una bugia detta a se stesso più che agli altri.
La relazione con Temari si era rivelata l’ennesima menzogna quando la quotidianità aveva preso il sopravvento sulla freschezza di quella ragazza esotica e si erano trovati a condividere il letto senza sapere cosa dirsi, quando il letto in cui dormiva non aveva l’odore dell’amore. Non contava che avessero condiviso quasi dieci anni delle loro vite insieme.
In realtà la colpa non era di Temari e neanche della “bionda fioraia di Konoha” come la ninja della sabbia chiamava Ino.
Ino si era limitata, in uno dei tanti viaggi a Suna, a fargli notare che non sembrava felice, non come quando abitava ancora a Konoha. Shikamaru aveva fatto tesoro – esattamente come chiunque si sarebbe aspettato – delle parole di quella che era la persona che meglio lo conosceva sulla faccia della terra e aveva riflettuto a lungo, arrivando infine alla conclusione che no, Ino non si stava sbagliando: non era felice lì in mezzo alla sabbia e fino a quel momento non aveva fatto altro che mentire a sé stesso.
A Shikamaru mancavano i lunghi – infiniti – pranzi con Choji, le discussioni sterili con Ino, gli mancavano quella testa quadra di Naruto e quell’idiota di Kiba e anche Sasuke…casa, ecco cosa gli mancava. Suna non era mai diventata davvero casa sua.
Voltandosi di sbieco un’ultima volta, Shikamaru disse addio a quella che si era proposta come casa per quasi dieci anni e che lui non era mai riuscito ad apprezzare davvero, la mente e il cuore irrimediabilmente legati ad un posto più florido.

«Miyoko guarda che so che mi stai seguendo.»
Shikamaru si fermò nel mezzo della via, sbuffando come suo solito e rovesciando il capo all’indietro, gli occhi socchiusi rivolti al cielo.
Miyoko atterrò al suo fianco, guardandolo con quel sorriso sghembo e leggermente maligno che la contraddistingueva da sempre.
«Ciao Shikamaru, come stai?»
Da quanto tempo non si vedevano? Quel modo di fare annoiato, gli occhi dal taglio affilato…Miyoko si sentì stringere lo stomaco, ma impedì che qualsiasi cosa fosse visibile dall’esterno, celando tutto a quegli occhi che da troppo tempo non le si posavano addosso, quegli occhi che sarebbero stati capaci di svelare ogni suo più piccolo segreto se solo fossero stati un po’ più attenti.
Shikamaru fece spallucce portando lo sguardo scuro su quella donna che non vedeva da decisamente troppo tempo.
«Sto tornando a casa. Mi fai compagnia?»
Che buffa parola, casa, se detta da qualcuno che casa sua l’ha abbandonata più di dieci anni fa a qualcuno che più di dieci anni fa è rimasto senza però più sentirsi a casa.
Camminarono fino al calare del sole, in silenzio e affiancati, ognuno perso in un vortice infame di pensieri.
Miyoko era tornata al tempo in cui, ancora spensierata e libera, era arrivata a Konoha e, come prima cosa, aveva conosciuto il team 10.

~
 
Quindici anni prima, al Villaggio della Foglia era arrivata Miyoko Senju, nipote di Tsunade, chunin esperta con già parecchie missioni di livello B e qualcuna di livello A sulle spalle.
Asuma, con Ino, Shikamaru e Choji al seguito, era stata la prima persona a non guardarla come nipote dell’hokage ma semplicemente come Miyoko, kunoichi di talento alla ricerca – come tutti del resto – del proprio posto nel mondo.
Ino era subito stata entusiasta della notizia che Miyoko sarebbe entrata a far parte della squadra, stufa a suo dire di condividere tempo e allenamenti solo con ragazzi che non erano altro che un mangione e un lagnoso sfaticato.
«Sta’ lontana da Shikamaru, o prima che tu possa rendertene conto ti troverai intrappolata nei meandri della sua mente contorta.» le aveva detto una volta Ino, guardando con un misto di rancore e dispiacere l’amico.
Purtroppo, i consigli di Ino si erano rivelati soltanto parole al vento, perché in Shikamaru Miyoko aveva trovato un compagno con cui parlare e giocare a shogi, aveva trovato qualcuno di brillante che le rendeva meno pesante la situazione in cui si era ritrovata.
Presto Miyoko aveva sostituito il maestro Asuma come sfidante prediletta di Shikamaru, che aveva trovato in lei qualcuno che gli desse filo da torcere. Non che quella ragazzina avesse mai vinto – per il benessere mentale di Asuma, che già mal sopportava di perdere contro Shikamaru – ma almeno le partite si protraevano per ore tra una mossa e una chiacchiera e i due ragazzi restavano tranquilli.
Shikamaru non lo aveva mai ammesso – e mai lo avrebbe fatto – ma reputava quella ragazzina un’avversaria di tutto rispetto con cui trascorrere volentieri pomeriggi interi.
Era entrata in punta di piedi nella vita e nella quotidianità del team 10 prima e di tutti gli abitanti di Konoha poi. La piccola e letale Miyoko: in un metro e cinquanta e quarantacinque chili scarsi, la nipote dell’hokage si era rivelata una temibile kunoichi che aveva fatto dell’essere sottovalutata da tutti la sua arma segreta.

~

Shikamaru non si era mai reso davvero conto di quanto gli fosse entrata sotto la pelle fino a quando aveva abbandonato Konoha e con essa Miyoko, che si era rifiutata perfino di andarlo a salutare.
Quel giorno l’aveva aspettata fino all’ultimo secondo, fino a quando non era stato più possibile rimandare, ma lei non era apparsa e Shikamaru aveva voltato per sempre le spalle al villaggio.
Adesso la stessa Miyoko che dieci anni prima lo aveva lasciato partire senza neanche salutarlo gli camminava a fianco, mingherlina come sempre anche se più morbida in alcuni punti, con quel suo viso che non esprimeva niente e che Shikamaru sapeva nascondere un vero e proprio universo.
“Che cosa mi nascondi, Miyoko?” si chiese il ragazzo, osservando con la coda dell’occhio la compagna di viaggio.

~
 
C’era stato un tempo in cui Miyoko aveva odiato con tutta se stessa Shikamaru Nara e di quel tempo era a conoscenza soltanto Ino Yamanaka, che aveva promesso di non dire mai niente all’amico, neanche quando fosse andata a trovarlo a Suna, dove viveva con quella stronza dai quattro codini.

~
 
Due anni dopo il suo arrivo a Konoha, a Miyoko e Shikamaru era stata assegnata la prima missione importante.
«Shikamaru, Miyoko, domani mattina all’alba dovete partire per il Villaggio della Cascata. Vi è stata assegnata una missione di spionaggio di livello B, più tardi vi darò le specifiche, adesso andate a preparare i bagagli.» Quello del maestro era stato un ordine che non contemplava rifiuti, così i due a capo chino avevano accettato. Choji non aveva fatto domande, contento di potersene restare a casa a sgranocchiare patatine. Ino aveva strepitato per ore finché non aveva capito che una come lei sarebbe risultata troppo appariscente in una missione di spionaggio, cosa che non sarebbe capitata con Shikamaru e Miyoko i quali, ad una prima disattenta occhiata, sarebbero potuti perfino passare per fratello e sorella: entrambi mori, magri e con i capelli lisci e scuri raccolti in una coda alta, senza contare che Miyoko era bravissima a imitare il passo strascicato di Shikamaru.
La missione richiedeva che passassero inosservati e che controllassero un gruppo di ribelli che progettava un attentato alla vita del capo villaggio. All’alba, senza salutare nessuno, Shikamaru e Miyoko erano partiti. Alla sera, nascondendosi nelle ombre lunghe proiettate dagli edifici sul terreno, erano arrivati alla pensione dove avrebbero alloggiato fino a che non avessero portato a termine la missione.
«Che seccatura.»
Miyoko non aveva ancora messo piede nella stanza che già Shikamaru si lamentava: quel ragazzo era davvero impossibile!
«Che c’è?» aveva chiesto alzando gli occhi al cielo, ma quando Shikamaru si era spostato, Miyoko aveva digrignato rumorosamente i denti.
«Ricordami di uccidere Tsunade quando torniamo.» aveva ringhiato la ragazza, lanciando lo zaino sull’unico letto presente nella stanza e chiudendosi in bagno, aprendo la doccia e fiondandosi sotto al getto bollente per levarsi di dosso rabbia e polvere.
Quando era uscita, pulita ma non rilassata, dalla doccia, avvolta nell’asciugamano di spugna candida, Shikamaru le aveva lanciato un’occhiata apparentemente normale e poi, col suo fare indolente, si era alzato e chiuso a sua volta in bagno, dove era rimasto per parecchio tempo.
Miyoko lo aspettava, in calzoncini e maglietta, seduta a gambe incrociate nel letto, i capelli sciolti che sfioravano le spalle, lo sguardo concentrato. Al ragazzo si era seccata la bocca, ma aveva fatto finta di niente e le si era seduto davanti, in attesa.
Asuma aveva visto lungo, mandandoli in missione insieme: in tre giorni avevano raccolto tutte le informazioni che servivano loro, richiesto l’intervento degli ANBU del villaggio della Cascata che in quattro e quattr’otto avevano sbaragliato l’attentato e risolto la questione senza spargimenti di sangue. Strateghi brillanti, Shikamaru e Miyoko si erano rivelati una coppia perfetta di spie ed in breve tempo erano diventati, malgrado la giovane età, la punta di diamante del reparto di spionaggio di Konoha.

Solo Ino era a conoscenza di quello che li legava, di come sfogassero stress e tensioni durante le missioni. Miyoko aveva raccontato all’amica come fosse successo la prima volta, come si fossero sentiti a posto e di come avessero deciso di continuare, quasi fosse un rito.
«Shikamaru, Miyoko-» aveva iniziato il maestro Asuma, accendendosi la sigaretta.
«Dove e quando?» aveva chiesto Shikamaru senza distogliere lo sguardo dalla scacchiera, seguendo con attenzione le mosse di Miyoko.
«Dopodomani all’alba, direzione Villaggio dell’Erba.»
«Saremo pronti.» aveva risposto Miyoko, alzando lo sguardo dalla scacchiera e puntando gli occhi scuri su Shikamaru. «Scacco matto, tesoro.» aveva concluso ghignando.
Era stata la prima volta che Asuma aveva visto Shikamaru perdere una partita contro qualcuno che non fosse suo padre Shikaku.
“Sono una coppia formidabile, questi due faranno grandi cose insieme.” Aveva pensato il maestro, sforzandosi di nascondere un sorriso.
«Doveva capitare prima o poi, Shikamaru, non prendertela!» aveva detto poi, battendo una mano sulla spalla del suo sconsolato allievo che fissava incredulo la scacchiera dove il suo re era inevitabilmente intrappolato dai due generali d’argento, dall’alfiere, dal cavallo e dalla torre di Miyoko. «Vi farò avere il fascicolo domani.»
La partenza, all’alba, era stata gelida e silenziosa e aveva visto uno Shikamaru più apatico del solito e una Miyoko ghignante e soddisfatta.
Al loro arrivo al Villaggio dell’erba si era ripetuta la solita scenetta della prima volta: un letto solo, lo sbuffo di Shikamaru, le imprecazioni di Miyoko dirette all’hokage, la doccia di entrambi, uno dopo l’altra, la pianificazione in pigiama seduti sul letto.
Una volta terminata la messa a punto della strategia, Shikamaru aveva messo sul letto una scacchiera e, in silenzio, aveva disposto i pezzi.
«Muovi.» aveva detto infine, guardando la kunoichi.
«Che cosa ci giochiamo?» aveva chiesto la ragazza.
«Quello che vuoi, non vincerai di nuovo.»
«Visto che sei così convinto, scegli tu la posta in gioco Nara.» aveva sibilato Miyoko, stringendo gli occhi fino a ridurli a due fessure.
«Se vincerai, e non succederà, avrai il comando della missione.»
«E se perderò?»
«Sapere che le cose sono tornate alla normalità mi basta.»
Per tutta risposta, Miyoko fece la sua mossa. Quattro ore e infinite mosse dopo, Miyoko diede per la seconda volta scacco matto a Shikamaru che si limitò a mettere via la scacchiera e a distendersi sul fianco, spegnendo le luci e dando le spalle alla compagna che, gongolante, si addormentò a pancia sopra con il sorriso sulle labbra.
Quella volta la missione si era rivelata più complicata delle altre e quando, una settimana dopo essere partiti, l’avevano finalmente portata a termine sotto il comando di Miyoko, erano talmente su di giri che avevano finito per ubriacarsi.
«Sei una gran seccatura, Miyoko.» biascicò Shikamaru mentre a occhi chiusi espirava la lunga boccata di sigaretta. «Ma una seccatura decisamente in gamba.» aveva aggiunto voltandosi verso la compagna che, con la schiena appoggiata al muro e altrettanto ubriaca, fissava le stelle.
Lei si era voltata, lui era troppo vicino e in un attimo le loro labbra si erano scontrate.
La tensione accumulata in quei giorni aveva trovato la via di sfogo e in brevissimo tempo al bacio si erano aggiunte le carezze e gli sfioramenti. Si erano spostati di nuovo dentro la stanza, erano caduti sul letto in un intreccio confusionario di corpi e sensazioni che nessuno dei due riusciva o voleva gestire.
Era stato il miglior sesso che entrambi avessero mai fatto. Si erano graffiati e concessi reciprocamente senza trattenersi. Non era amore, non erano così ipocriti o imbecilli da chiamare amore quello sfogo fisico, ma avevano convenuto entrambi, una volta terminato e distesi supini a guardare il soffitto sforzandosi di riprendere fiato, che qualunque cosa fosse era stata molto soddisfacente. Non si erano ripromessi di non farlo più, né si erano lasciati andare a confessioni idiote di sentimenti inesistenti o malcelati. Si erano addormentati senza darsi le spalle e si erano svegliati abbracciati la mattina dopo, quando erano partiti per tornare a casa.
Solo una volta tornati a Konoha si erano rivolti di nuovo la parola.
«Voglio la rivincita, seccatura.» aveva sbuffato Shikamaru.
«Quando vuoi, tesoro.» gli aveva risposto Miyoko ghignando.
Ino, che aveva assistito a quello strano scambio di battute, aveva tampinato Miyoko per giorni finché quest’ultima, stremata, non aveva ceduto e raccontato tutto.
Ino era scoppiata a ridere e aveva continuato a farlo per un tempo che a Miyoko era parso infinito, dicendo che lei ne era sicura, che Choji aveva perso la scommessa, che prima o poi sarebbe capitato.
«Choji non ha perso nessuna scommessa, perché tu non dirai nulla a nessuno, Ino Yamanaka, altrimenti ne pagherai le conseguenze.» l’aveva minacciata Miyoko con durezza. «Nessuno deve sapere niente di questa storia, Ino. Shikamaru non deve sapere neanche che lo sai tu. Promettimelo.»
E Ino aveva promesso, mantenendo la parola e il segreto, lasciando che continuassero a fare sesso durante le missioni che portavano a termine senza mai esitare, nel modo più rapido e senza danni collaterali che Konoha potesse richiedere.

Le missioni si erano susseguite, una dopo l’altra, Miyoko e Shikamaru, Shikamaru e Miyoko. Seguivano sempre la stessa routine: partenza all’alba, arrivo alla pensione, doccia, pianificazione, partita a shogi con scommessa, esecuzione della missione, sesso, ritorno a casa, senza accorgersi che quello che era partito come semplice sesso si stava lentamente trasformando in qualcosa di più.
Erano perfetti insieme e tutto il villaggio se n’era accorto e in quel modo strano che accomuna quei piccoli villaggi in cui niente è davvero privato, gli abitanti di Konoha avevano iniziato a tastare il terreno facendo domande, proponendo soluzioni, non facendosi gli affari propri.
Ino osservava quei due e pregava che aprissero gli occhi prima che fosse tardi e uno dei due commettesse un errore perché, conoscendo bene entrambi, sapeva che nessuno dei due avrebbe facilmente perdonato.
Anche Asuma e Kurenai, che rivivevano passo passo la loro storia, pregavano con Ino che nessuno dei due sbagliasse.
Purtroppo, le preghiere non funzionarono o per lo meno non arrivarono alla giusta destinazione.

~
 
Ritornare a Konoha avrebbe richiesto più di un giorno di viaggio, quindi quando il sole iniziò a calare Miyoko e Shikamaru si affrettarono a cercare una locanda dove passare la notte.
«Che seccatura.» sbuffò Shikamaru, nello stesso identico modo in cui l’aveva detto tanti anni prima – prima che tutto crollasse, prima della sua partenza – causando la perdita di un battito a entrambi, anche se nessuno dei due l’avrebbe mai ammesso.
«Era l’unica stanza disponibile, Shikamaru. Vedi di fare poco lo schizzinoso.» ribatté Miyoko, passandogli accanto e gettando lo zaino sul letto per poi chiudersi in bagno, mascherando per quanto le fu possibile il rossore delle guance e il batticuore.
Mentre ascoltava lo scroscio della doccia, Shikamaru tornò indietro di poco più di dieci anni, quando tutto aveva preso una piega che non erano riusciti a controllare portando in meno di un anno alla rovina.

~
 
«Shikamaru domani all’alba partirai per Suna.»
La guerra era finita da poco e tutti i villaggi si stavano faticosamente rimettendo in piedi. Tsunade aveva lasciato il posto a Kakashi ed era tornata a fare il medico. Ovviamente, la pace non era qualcosa di immediato e questo comportava scaramucce sparse che venivano sempre risolte in breve tempo.
All’ordine del maestro Asuma tutti i componenti del team 10 avevano alzato il capo, Choji compreso a cui era quasi caduto di mano il pacchetto di patatine: da quando era arrivata, Shikamaru e Miyoko non erano mai stati divisi in missione.
Lo sguardo del maestro era pieno di qualcosa che i ragazzi non riuscirono a comprendere.
Shikamaru annuì in silenzio, Choji lasciò perdere le patatine e osservò l’amico, mentre Ino lanciò un’occhiata preoccupata a Miyoko che con il viso imperturbabile nascondeva le mani tremanti. Anche Shikamaru, senza farsi notare, osservava la ragazza, la testa piena di domande a cui non riusciva, per quanto si sforzasse, di trovare una risposta.
Ino portò via Miyoko, mentre Choji e Shikamaru restarono lì con il maestro.
«Perché?» aveva chiesto Shikamaru senza distogliere lo sguardo dal punto in cui Ino e Miyoko erano scomparse.
«Hanno richiesto espressamente solo te, dal Villaggio della sabbia.»
«Dite di no, che io e Miyoko siamo…»
«Hanno richiesto solo te, Shikamaru, è una richiesta personale di Gaara, Kakashi non ha potuto dire di no.»
Da quel momento era stato un precipitare di eventi a cui Shikamaru non aveva saputo mettere un freno. La missione era durata a lungo, perché Temari era scomparsa e nessuno riusciva a ritrovarla. Shikamaru aveva raccolto informazioni sulla sorella del Kazekage viaggiando in lungo e in largo per i cinque paesi, senza poter dare notizie di sé, invisibile. Quando aveva trovato Temari – ridotta male perché tenuta sedata per oltre tre mesi – e aveva finalmente potuto fare ritorno a Konoha, Miyoko era come scomparsa e nessuno sapeva – o voleva – dirgli dove fosse finita.
Alla fine, Ino gli aveva detto dove trovarla. «Sappi che sto facendo qualcosa che lei non voleva che facessi, Shikamaru.» aveva detto.
Shikamaru si era precipitato da Miyoko, trovandola piena di rabbia e fisicamente sciupata, quasi che nei due mesi che avevano passato lontani lei avesse a malapena toccato cibo.
«Che cosa vuoi?» gli aveva chiesto, guardandolo con occhi vuoti.
«Miyoko io-» non aveva saputo che cosa dire, Shikamaru, bloccandosi nel momento in cui non avrebbe dovuto farlo, restando in silenzio invece di dire quello che avrebbe dovuto.
«Non ti sei opposto, non ti sei fatto sentire. Sei partito e per due mesi è stato come se tu fossi morto. Bene, adesso per me lo sei davvero.»
Non capiva, Shikamaru, o forse sì, ma rimase in silenzio davanti a quelle accuse.
«Non potevo-»
«Eravamo qualcosa, Shikamaru? Siamo mai stati qualcosa?» aveva chiesto Miyoko, la voce tremante malgrado la facciata di indifferenza. «Il tempo che abbiamo passato insieme, quello che è successo tra noi…ha mai avuto un senso?»
Non capiva, il giovane Nara, che cosa la ragazza stesse dicendo e non capendo non sapeva che cosa rispondere.
«Non importa, vattene pure, se è quello che vuoi. D’altronde a Suna aspettano il ritorno del grande eroe, del salvatore della sorella del kazekage no? Bene, qui non c’è bisogno di altri traditori. Io non ne ho bisogno.»
Solo una volta al villaggio, trovandosi di fronte la prima pagina del giornale Shikamaru aveva capito.

L’erede dei Nara porta in salvo la sorella del kazekage
Shikamaru Nara, jonin del Villaggio della Foglia, è riuscito dove i migliori jonin del paese non sono riusciti. La rapita Temari è stata trovata e portata in salvo dall’eroico…continua con intervista dell’eroe a pagina 4

 
L’articolo continuava con stupide ciance su quanto fosse stato bravo, su quanto il Villaggio della sabbia gli fosse debitore, ma Shikamaru non riusciva a distogliere l’attenzione dalla foto che troneggiava, enorme e falsa, sotto il titolo. Era lui, con Temari in braccio accoccolata al suo petto, che faceva un ingresso trionfale a Suna, ma l’unica cosa che Shikamaru vedeva era il palesarsi di ciò che aveva visto Miyoko: un tradimento.

«Avresti dovuto dirmelo non appena ho messo piede a Konoha, Ino!»
Shikamaru urlava e il ragazzo non urlava mai. Con i capelli scompigliati e il viso rosso, Shikamaru sbraitava all’indirizzo dell’amica di sempre che lo guardava divisa tra urlare in risposta o incassare e chinare la testa. «Miyoko ha pensato che io l’abbia tradita in qualche modo e non è così, ma sai meglio di me quanto sia difficile farle cambiare idea, una volta che si è convinta di qualcosa!»
Era rimasto altri due mesi a Konoha, cercando di chiarire con Miyoko, ma la ragazza si era rifiutata di vederlo.
«Quello che dovevamo dirci ce lo siamo detti, adesso può tornare da quella stronza con quattro codini a mangiare la sabbia ad ogni respiro.» Aveva detto a Ino quando questa era andata a trovarla cercando di ammorbidirla sulla questione Nara.
Miyoko, Shikamaru lo sapeva bene, era il ritratto del rancore e mentre lei non voleva neanche sentirlo nominare, Temari della sabbia gli scriveva lettere di ringraziamento in cui lo invitava ad andarla a trovare a Suna.
Ino stava soffrendo come una bestia per entrambi i suoi amici che stavano mandando tutto a rotoli perché uno era un vigliacco e l’altra una testarda, consapevole del fatto che ormai non c’era rimedio.
Tutti sapevano, Asuma in primis che continuava a tenere d’occhio il ragazzo aspettando il crollo emotivo, che Shikamaru avrebbe scelto la strada meno faticosa e che questa decisamente non era rappresentata da Miyoko Senju.
Fu così che all’alba del trentesimo giorno del quarto mese dal giorno in cui era partito, Shikamaru Nara partì da Konoha seguito dallo sguardo addolorato dell’intero villaggio mentre Miyoko Senju piangeva tra le braccia di Ino, distrutta ma decisa a non tornare sui propri passi, a non chiedere scusa, a non rincorrere qualcuno che per lei – era palese, a suo dire – non avrebbe fatto la stessa cosa.

~
 
Miyoko lo aspettava seduta sul letto, con una larga maglietta e un paio di corti calzoncini, i capelli sciolti e una scacchiera già pronta davanti.
«La posta in gioco?» chiese, senza neanche guardarlo in faccia.
«Risposte.» rispose Shikamaru senza esitazioni.
Miyoko digrignò i denti, ma fece la sua mossa e così tutto ricominciò.
Ore e ore dopo, Shikamaru guardò soddisfatto la scacchiera mentre Miyoko si abbandonava contro la testiera del letto, imbronciata e a disagio.
«Perché mi seguivi?» iniziò Shikamaru, accendendosi una sigaretta e guardando la donna attraverso la nuvola di fumo.
«Ordini dell’hokage. Aveva sentito parlare di una possibile rottura tra te e la str-principessa della sabbia e voleva essere sicura che tu tornassi a Konoha. Non capita tutti i giorni di poter riavere una spia del tuo calibro al proprio servizio.» rispose Miyoko, sfilando la sigaretta dalle dita di quello che era stato un amico, un compagno e poi qualcosa di più, ma che adesso non era più niente.
«Perché ha mandato te?»
«Perché Kakashi è Kakashi e se ne frega di poter ferire la gente, se è certo che proprio chi ferisce è la persona più adatta a portare a termine una missione.»
«Come stai?»
«Ti ho dato le risposte che volevi, ora è tardi e domani ci aspetta un lungo viaggio. Buonanotte Shikamaru.» concluse Miyoko, spegnendo la sigaretta nel posacenere e stendendosi di fianco, le spalle rivolte al compagno per celare le lacrime che premevano per uscire.
Shikamaru sospirò, ma conosceva la donna e sapeva perfettamente che non avrebbe ottenuto altre risposte per quella sera. Quindi si tolse la maglietta e si distese, spegnendo la luce e facendo calare il buio e il silenzio nella stanza.

~
 
Il dolore di Miyoko era paragonabile ad un migliaio e forse più senbon che la infilzavano contemporaneamente e in punti vitali. Piangeva, di rabbia e tristezza, mentre il filo rosso che l’aveva fino a quel momento legata a Shikamaru si assottigliava sempre di più senza però rompersi, senza lasciarla libera.
Sapeva perfettamente che quello che si era lentamente creato tra loro – incrollabile e assoluta fiducia, rispetto profondo e anche, purtroppo, amore – non sarebbe stato facile da accantonare, ma Miyoko era una persona paziente e decisa e mentre continuava a sentire che il cuore le veniva strappato pezzo dopo pezzo dal petto, disperata piangeva stringendo Ino come se ne andasse della propria vita. Urlava, Miyoko Senju, mentre Ino si chiedeva perché il suo amico dovesse essere così idiota e la vita così stronza.
Le ci erano voluti quasi quattro anni per non piangere silenziosamente ogni notte tra le braccia dell’amica o stropicciando le lenzuola tra le dita, per tornare a fare la spia, per tornare a tollerare di sentire il suo nome uscire dalle labbra degli altri abitanti del villaggio, ma alla fine ce l’aveva fatta ed era tornata ad essere quella di prima, implacabile, silenziosa e, cosa che non era stata, crudele.
Affrontava ogni missione in solitaria – dopo Shikamaru non aveva più voluto un compagno – e le portava a termine rapidamente e senza preoccuparsi di sporcarsi le mani.
La rottura con Shikamaru l’aveva cambiata nel profondo: Miyoko non voleva più soffrire e per questo aveva deciso che l’unico modo per evitarlo era chiudere il suo cuore a chiunque provasse ad entrarci.
Tutti temevano l’Ago della Foglia – così era conosciuta dagli altri Paesi Miyoko Senju – e nessuno poteva contrastarla.
Le uniche missioni che rifiutava categoricamente di accettare erano quelle che avevano a che fare con il Villaggio della Sabbia e dopo le prime volte che Kakashi si era trovato a litigare con la ragazza aveva anche smesso di affidargliele.
Il nome di Shikamaru, nonostante tutto, era giusto sussurrato, mai pronunciato ad alta voce, come quando un tempo la gente parlava di Naruto e della volpe a nove code: nascondendosi perché terrorizzati.
Solo Ino azzardava a riportarle, ogni tanto, notizie da Suna, stando ben attenta a non pronunciare mai il nome di Temari, parlando di Shikamaru attraverso perifrasi perfettamente calcolate. Ino era l’unica a cui era permessa una cosa simile senza doverne pagare le conseguenze.

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Alla fine, Miyoko era crollata, provata dalla marea di emozioni che le erano piombate addosso in un attimo. Shikamaru ascoltava il respiro di quella che ricordava come una ragazzina e ritrovava la pace che in dieci anni gli era mancata.
Era sempre stata bella, Miyoko, in quel suo modo speciale che solo lui aveva potuto vedere davvero, senza maschere fatte di ghigni, arroganza e silenzio.
A lui si era aperta come non aveva fatto con nessun altro e per quasi cinque anni erano stati amici, confidenti e amanti. Gli aveva permesso di guardarla dormire libera da ogni protezione, di rassicurarla e abbracciarla quando si svegliava in preda agli incubi, di baciarla e cullarla fino a farla riaddormentare, di averla nel modo più intimo che esistesse.
Anche adesso, nel buio totale, Shikamaru avrebbe saputo disegnare il corpo di Miyoko come se fosse il suo, riconoscendone ogni singolo tratto. Le mani di Shikamaru scattarono, senza che potesse farci nulla, a sfiorare la curva dei fianchi, curva che ricordava ossuta e che ora trovava morbida sotto le dita.
In un attimo, però si trovò rovesciato sulla schiena, un kunai puntato alla gola e Miyoko seduta a cavalcioni su di lui.
«Non sono più la ragazzina che ricordi, Shikamaru. Dormire nello stesso letto non ti restituisce automaticamente i privilegi che avevi dieci anni fa.»
Shikamaru alzò lentamente le mani e Miyoko scivolò giù, rimettendo il kunai sotto il cuscino e tornando a dormire.
L’alba arrivò in un lampo dopo quella scaramuccia per la quale Miyoko si malediceva perché si era comportata esattamente come si era ripromessa di non fare: una donna ferita e innamorata.
Partirono dopo aver fatto colazione in silenzio, come avevano sempre fatto.
Le porte di Konoha si avvicinavano e loro ancora non avevano scambiato neanche una parola. A meno di un chilometro dai cancelli Shikamaru raccolse il coraggio a due mani e prese per un braccio Miyoko che si voltò soffiando come una gatta.
«Miyoko ti prego, ascoltami questa volta.» la supplicò Shikamaru. «Non avrei mai voluto farti del male, dieci anni fa io…»
«Dieci anni fa tu sei partito da solo per una missione che ti ha tenuto lontano da me per due mesi.» Negli occhi di Miyoko l’uomo lesse tutto il dolore che le aveva causato, dolore che continuava a divorarla. «Dieci anni fa mi hai ferita Shikamaru, perché come sempre hai scelto la strada più facile, quella senza ostacoli e anche in discesa.» Poi, sorprendendolo e sorprendendosi, Miyoko alzò una mano e la poggiò sul viso sbarbato di Shikamaru, guardandolo con dolcezza. «Non importa, non te ne faccio più una colpa, d’altronde non avevamo mai detto nulla, non eravamo nulla, anche se io mi illudevo di sì. Ti auguro tutta la felicità di questo mondo, adesso puoi continuare da solo, la strada la conosci.» E con un ultimo gesto, un bacio delicato sulla guancia, Miyoko sparì nel bosco, lasciandolo da solo ad affrontare il ritorno a casa.


Miyoko piombò, tremante e con le lacrime che sgorgavano crudeli e incessanti, nel negozio di Ino che si spaventò perché era davvero tanto tempo che non la vedeva in quelle condizioni. Non ci fu granché bisogno di spiegazioni: era chiaro come il sole chi fosse il responsabile di quel crollo emotivo.
«Kakashi alla fine ha mandato te.» sospirò Ino, accarezzando dolcemente il capo dell’amica. «Perché non ti sei rifiutata, Miyoko?»
«Pensavo che non mi avrebbe fatto più effetto, Ino.» singhiozzò Miyoko, cercando di darsi un tono nonostante tutto. «Sono passati dieci anni, Ino, DIECI!»
«Racconta, andiamo…» sospirò la bionda fioraia di Konoha, alzandosi e mettendo su un tè.
«Sono anni che Kakashi lo tiene d’occhio. Non ha mai digerito che se ne fosse andato al servizio di Gaara e non appena ha sentito erano in rottura mi ha convocata. Mi sono opposta, Ino, te lo giuro, ma conosci-»
Sì, Ino conosceva Kakashi e sapeva che avrebbe approfittato delle debolezze di chiunque, pur di arrivare all’obiettivo.
«Comunque, quando sono arrivata era in strada, appoggiato come al solito alla parete, in attesa che la pioggia di piatti terminasse. Ho aspettato che uscisse da Suna, l’ho seguito-»
Ino ascoltava il racconto sorseggiando tranquillamente il tè, in attesa. «Si era accorto di me fin dall’inizio. Ino, la sua voce…» la voce sottile di Miyoko si spezzò, insieme alla rigidità della sua schiena che tornò a sobbalzare seguendo il ritmo dei singhiozzi. Ino si alzò e andò a sedersi di fianco all’amica, stringendola tra le braccia mentre tutto il dolore che per anni aveva fatto finta che fosse scomparso la travolgeva e rompeva la diga che Miyoko aveva costruito con tanta cura. «Ci siamo fermati alla locanda, il letto era uno solo-» Ino si irrigidì, aspettando il seguito. «Abbiamo giocato a shogi, ho perso, ci siamo addormentati. Poi lui mi ha sfiorato e, oh, Ino!»
Ino pregò che non fosse successo nulla, perché altrimenti avrebbe ucciso Shikamaru e massacrato di botte Miyoko, una volta che si fosse ripresa. «Gli ho puntato un kunai alla gola, ma avrei solo voluto baciarlo, Ino!»
Con quell’ammissione anche le ultime fragili barriere poste a protezione del cuore e della sanità mentale di Miyoko crollarono, accolte dalle braccia forti di Ino.
Alla fine, quel filo rosso, indebolito e sottile, era riuscito a non spezzarsi, a resistere per dieci anni, rinforzandosi alla prima occasione. Quando l’ebbe riaccompagnata a casa e messa a letto, Ino, con l’espressione di quando era davvero arrabbiata, si diresse verso l’ufficio dell’hokage.

«Tu sei soltanto uno stronzo!» Ino gridava, infuriata come poche volte a Konoha l’avevano vista. Kakashi, di fronte a lei, manteneva la solita faccia di bronzo di sempre, comprendendo alla fine il perché di tutta quella rabbia. «L’hai mandata a prenderlo anche se sapevi che sarebbe crollata, Kakashi! Ma che razza di hokage sei, eh? Ha già sofferto abbastanza, dannazione, e tu non fai altro che distruggerla!»
«Adesso basta ragazzina! Non ti permetto di mancarmi così di rispetto! Siediti e ascoltami, in silenzio.» Ino si mise seduta, rigida e torva, in attesa che l’hokage si spiegasse. «Shikamaru è una grande risorsa, lo sappiamo entrambi, e il Villaggio della Foglia non poteva permettersi di perderlo di nuovo. Miyoko era l’unica a cui Shikamaru non avrebbe mai detto no, l’unica che avrebbe seguito fino a Konoha. Lei ha capito e ha accettato, quindi-»
«Si amavano, lo sai? Si amavano e non se lo erano mai detto. Stavano per farlo quando hai fatto partire Shikamaru da solo senza che potesse dirle nulla, quando lo hai costretto a stare lontano per mesi senza dare neanche una notizia.» Ino sorrideva maligna mentre scaricava tutto quello che per dieci anni, su richiesta di Miyoko, aveva tenuto dentro e adesso a Kakashi non stava risparmiando neanche un colpo. «Stavano per ammettere che erano innamorati, dopo tre anni in cui continuavano ad andare in missione da soli, a fare l’amore, a dormire tra le braccia l’uno dell’altra, a proteggersi. Al tempo non ti sei chiesto, hokage, perché avessero smesso di lamentarsi del fatto che li facevi dormire sempre in stanze con un solo letto? Tre anni che tu hai distrutto in un attimo. Il giorno in cui Shikamaru è tornato, quando i giornali erano attaccati ovunque con quella prima pagina maledetta, Miyoko ha deciso che Shikamaru l’aveva tradita. E tu conosci Miyoko meglio di me, Kakashi.»
«Quando si convince di qualcosa non torna indietro.»
«Esatto. Gli ha permesso di vederla una volta sola, gli ha vomitato addosso quello che pensava e gli ha chiuso la porta in faccia. Dopo due mesi, Shikamaru ha mollato la presa. Tutti sapevamo che sarebbe successo, nessuno gli ha mai dato la colpa. L’unico colpevole di tutta questa storia sei tu, Kakashi. E adesso che forse Miyoko aveva davvero raggiunto una specie di equilibrio, tu la mandi a prenderlo a Suna, distruggendo tutto quello che ha faticosamente ricostruito. Sai dov’è adesso la tua miglior spia, hokage? A casa sua, che anche se dorme continua a singhiozzare. È distrutta e tu sapevi che ne sarebbe uscita in questo modo. Quello che hai fatto per lei una volta non cancella gli errori che hai commesso. Complimenti Kakashi, hai rovinato tutto. Di nuovo.»
Ino uscì dall’ufficio con le spalle leggere e il cuore a pezzi e tornò a casa di Miyoko per assicurarsi che stesse bene. A sera, vedendo che anche i singhiozzi dell’amica si erano placati, Ino la lasciò a dormire.


Ino Yamanaka si presentò a casa di Shikamaru in serata, dopo che tutti gli altri lo avevano accolto sorridendo, felici del ritorno a casa del figliol prodigo. Quando Shikamaru aveva visto Choji, dopo essersi fatto stringere in uno stretto abbraccio che voleva dire tante, troppe cose, gli aveva chiesto di Ino. Choji aveva balbettato qualcosa sul negozio, i genitori anziani…tutte scuse che Shikamaru aveva accettato in silenzio, conscio di due cose: uno, Ino era con Miyoko; due, la bionda fioraia di Konoha sarebbe passata dopo cena, come quando erano ragazzi.
«Dovresti imparare a regolare il tono di voce, le tue urla si sentivano da fuori l’Accademia.»
Shikamaru attendeva Ino seduto al tavolino in giardino, la sigaretta tra le dita e due bicchieri di sakè caldo pronti per essere bevuti.
«Kakashi si meritava tutto quello che gli ho detto.» Ino si sedette, scrollando i lunghi capelli biondi e prendendo tra le dita il bicchiere. «E in ogni caso non urlavo così tanto. Se poi tu eri lì sotto ad ascoltare, non è colpa mia.»
Shikamaru sorrise leggermente, scrollando la cenere. «Come sta?»
Ino si aspettava quella domanda, la domanda che tante volte in dieci anni le era stata posta, anche se questa volta il tono di Shikamaru era diverso dal solito.

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Il calore le faceva appiccicare i capelli al collo facendola imprecare e maledire il giorno in cui aveva scelto di farsi ricrescere i capelli. Seduta al tavolo, Ino aspettava Shikamaru sorseggiando un tè.
«Ciao Ino.» La ragazza avrebbe riconosciuto ovunque e in qualunque tempo quel tono di voce strascicato e in un attimo si era alzata, aveva posato la tazzina e si era precipitata tra le braccia di Shikamaru, che l’aveva stretta a sé affondando il naso nei suoi capelli biondi. Poi si erano seduti, avevano sorseggiato il tè chiacchierando di cose senza importanza, cercando di rimandare il momento che – lo sapevano entrambi – sarebbe arrivato nonostante tutti i tentativi di entrambi di evitarlo.
«Come sta?» le aveva chiesto alla fine, fissando il fondo della tazza.
«Come vuoi che stia, Shikamaru?» aveva sospirato Ino, posando la tazza e appoggiando la schiena al muro. «Piange, urla, ti maledice.» La ragazza si era fermata e aveva guardato, con quei suoi occhi color fiordaliso, l’amico. «Perché non torni a casa? Perché non provi a spiegarle-?»
«Che cosa, Ino? Che cosa dovrei spiegarle? E soprattutto, perché credi che mi ascolterebbe quando non l’ha fatto prima che io partissi?» L’amarezza del tono di Shikamaru era più che palese alle orecchie di Ino che avrebbe tanto voluto dirgli la verità, ma Miyoko glielo aveva fatto promettere e Ino Yamanaka non veniva meno alla propria parola, mai, così si era limitata a scuotere il capo. «E poi, casa mia è qui con Temari, adesso.»

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«Sinceramente? Non lo so.» Ino sospirò pesantemente e diede fondo al sakè. «Che sia chiaro, Shikamaru, tutto quello che è successo dieci anni fa lei non lo ha dimenticato. Ha provato ad andare avanti, ad accettare la cosa, ma non ce l’ha fatta-»
«Neanche io, Ino.»
«Lo so, Shikamaru, io lo so, ma tu hai avuto Temari, Miyoko…»
«La amo ancora, Ino.»
Ino quasi si strozzò con il sakè e tossendo con le lacrime agli occhi fissò l’amico che neanche la guardava, perso chissà dove e chissà quanto, gli occhi scuri puntati nel cielo stellato.

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«Miyoko Senju, sei una dannata testona!» Shikamaru bisbigliava stringendo i denti mentre, nascosti nell’ombra, lui e Miyoko si baciavano fingendo di essere una coppia come tante altre e, intanto, ascoltando i discorsi dei tipi strani seduti al tavolo. Miyoko aveva visto giusto quando aveva puntato quel terzetto di giovani e adesso i due di Konoha stavano ascoltando lo scambio di informazioni di una neonata cellula terroristica nella periferia del Villaggio della Nuvola. Quello che Miyoko però non aveva considerato era l’effetto che quei baci stavano avendo su entrambi. Fortunatamente le informazioni che avevano raccolto erano sufficienti a richiedere l’intervento degli shinobi del Villaggio della Nuvola, così, continuando a baciarsi, Shikamaru e Miyoko rientrarono alla locanda, mentre la gente per strada guardava sorridendo quei ragazzi che correvano inconsapevoli di guardarsi con gli occhi dell’amore.
Una volta in stanza, caddero uno sopra l’altra sul letto, continuando a baciarsi, lasciando che le mani dell’altro si perdessero ovunque volessero, sotto la giacca, sulla schiena, lungo l’orlo della gonna…avevano fatto l’amore quasi senza rendersene conto, con la passione di due diciassettenni, senza che le labbra si separassero per più di qualche attimo, donandosi senza remore l’uno all’altra e addormentandosi nudi e abbracciati.
Il giorno dopo erano partiti per tornare a Konoha. Lungo la strada Miyoko si era distratta ed era caduta in una trappola tesa dai membri della cellula sfuggiti alla cattura.
Shikamaru non si era mai spaventato così tanto: aveva attaccato senza pensare, rischiando di cadere anche lui in trappola.
Quando Miyoko era rinvenuta, si era trovata tra le braccia del compagno, osservata dagli occhi più spaventati che avesse mai visto. Aveva capito, ma non aveva detto niente, limitandosi a farsi stringere di più, strofinando il viso contro la maglia sporca di sangue di Shikamaru.
Quel giorno Shikamaru Nara si rese conto di essere caduto – con tutte le scarpe – in una trappola che non aveva mai preso in considerazione.

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«Sai che sorpresa!» ridacchiò Ino, versandosi dell’altro sakè e constatando quanto l’amico fosse maturato. «Era palese, lo sai? Tutto il villaggio se n’era accorto. Asuma e Kurenai avevano anche scommesso che uno dei due alla fine avrebbe ceduto…»
«Ho deluso tutti.»
«Nessuno ti ha mai dato la colpa di niente, Shikamaru, neanche Miyoko.» sospirò Ino alzandosi. «Semplicemente, avete sbagliato entrambi, ma eravate troppo giovani per capire la portata di quell’errore. Adesso siete adulti, potete rimediare.» Ino abbracciò Shikamaru, posandogli un bacio sulla guancia. «Mi sei mancato, Shikamaru.»
«Mi sei mancata anche tu, Ino.»


Il villaggio non era cambiato di una virgola, constatò Shikamaru.
Era arrivato da un mese e non aveva avuto difficoltà a ritrovare i ritmi del villaggio, così diversi da quelli di Suna.
Asuma e Kurenai, che erano usciti alla luce del sole e avevano addirittura avuto una figlia, una sera lo invitarono a cena da loro.
«Allora? Com’è essere tornati a casa?» chiese Asuma, prestando attenzione agli scacchi.
«Meraviglioso, maestro.» rispose Shikamaru con un tono che non convinse né Asuma né Kurenai.
«Non l’hai più vista?» chiese la donna, portando in tavola il sakè.
Shikamaru scosse la testa e mosse il generale d’oro, senza guardare la maestra e perdendosi così lo sguardo che la donna lanciò al compagno prima di uscire dalla stanza lasciando da soli i due uomini.
«Come stai, Shikamaru?»
«Come vuole che stia, maestro?» borbottò il ragazzo appoggiandosi allo schienale della sedia, tirando fuori un pacchetto di sigarette e offrendone una al maestro. «Mi ha detto Ino che l’hokage ha mandato appositamente Miyoko, perché sapeva che non avrei rifiutato se fosse venuta lei.»
«Ed è vero?»
Shikamaru per tutta risposta si versò un bicchierino di sakè e lo buttò giù tutto d’un fiato.
«Perché non sei mai tornato, Shikamaru? Voglio la verità, questa volta.»
«Mi ha detto che non aveva bisogno di un traditore, sarei dovuto restare?»
«Quando si è arrabbiati si dicono tante cose, non è detto che tutte quelle cose siano vere…»
«Non era lì, maestro. Non l’ha vista quando…non l’ha vista.»
«Io non ti ho mai chiesto nulla di quello che accadeva tra di voi, Shikamaru, perché non era un problema. Eravate felici e in gamba, portavate a termine le missioni, vi proteggevate…che cosa è successo poi?»
«La missione per conto di Gaara, quando sono partito da solo. Quello è stato il primo passo per la rovina. Il resto lo ha fatto il mio essere un vigliacco patentato, maestro.»
«Non mi pare che Miyoko abbia mai rifiutato o ti abbia fatto una colpa del tuo essere uno che preferiva evitare i confronti, o mi sbaglio?»
No, il maestro non si sbagliava: i problemi, si rese conto Shikamaru, erano iniziati molto prima.

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«Quale dannazione è il problema, Miyoko?»
Shikamaru stava disteso per terra, un filo d’erba tra le labbra e gli occhi socchiusi mentre la compagna gli camminava irrequieta di fronte, stringendo e rilassando le mani ed espirando forte dal naso.
Ino, Asuma e Choji erano fuggiti via qualche minuto prima, annusando nell’aria il sentore di litigio tra innamorati.
«Non c’è nessun problema.» aveva ringhiato lei, somigliando in modo assurdo a Kiba.
«Andiamo, sono solo arrivato in ritardo…»
«Sei arrivato in ritardo per la partenza, razza di idiota! Solo perché c’era quella tipa con i codini con cui dovevi “aggiornarti” sulle novità.» disse a denti stretti e con la voce grondante sarcasmo.
Temari era andata a trovare Shikamaru, anche se ufficialmente era in missione come ambasciatrice per il kazekage. Si era presentata al campo di allenamento con quel suo sorriso sghembo e quegli occhi color dell’oceano che sembravano essere in grado di attirare l’attenzione di Shikamaru più di quanto riuscisse a fare il resto del mondo. Il ragazzo e Temari se ne erano andati subito dopo che il maestro aveva aggiornato Miyoko e Shikamaru sulla missione, mentre Asuma, Ino e Choji guardavano la moretta, certi che prima o poi sarebbero arrivate le urla e le lacrime.
«Sei pesante. Sono arrivato no? E la missione è andata bene.»
Miyoko non rispose, si limitò ad andarsene in silenzio, esattamente come anni prima era arrivata, senza dire nulla e lasciando lì da solo il ragazzo.

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«Shikamaru?» Asuma guardò il ragazzo vagare perso tra i ricordi di tanti anni prima ed espirò lentamente il fumo. Erano due testoni, quello era fuor di dubbio, ma crescendo Asuma aveva sperato che si addolcissero almeno un pochino. Si era sbagliato: erano rimasti i due testardi profondamente innamorati di dieci anni prima.
Asuma pensò a se stesso e a Kurenai e agli anni che avevano buttato via per la troppa stupidità, così alla fine, decidendo in un attimo di intervenire, di fare un’entrata a gamba tesa delle sue che aveva rimandato per troppo tempo, prese il taccuino e scribacchiò qualcosa su un foglietto che poi passò al ragazzo. «È il suo indirizzo, fanne buon uso.»
   
 
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