When the time will
come
Don’t know what to say
Respiro affannato, capelli scuri appiccicati alla fronte ed alle tempie.
Conteggio numerico sbuffato gettando l’aria fuori dai polmoni con sempre
maggior fatica.
Resisti, si diceva: resisti, manca poco, manca poco, manca poco. Lo ripeteva
nonostante sentisse le forze venir meno, il sangue pompare violentemente nelle
tempie e le fibre muscolari spaccarsi. S’era steso a terra completamente senza
fiato.
Nulla, Jungkook non sarebbe riuscito a fare una sola
flessione di più, non quel giorno. Il ritorno alla normalità lo avrebbe
solitamente portato a nuove sessioni di videogaming
online, oppure ad oziare e mangiare, mangiare ed oziare. Sarebbe stato
meraviglioso.
Semplicemente non ci riusciva.
Si aggrappava al ricordo del tour, accedendo alla playlist di YT ogni qualvolta
desiderasse staccare la spina; aveva salvato in una raccolta le fancam, le riprese ufficiali, i video editati di mesi
interi di lavoro. Non lo faceva per gonfiare il proprio ego, anzi: ripensava
con affetto ai momenti condivisi con i colleghi e con le persone che li
sostenevano e supportavano da tutto il mondo.
Solitamente funzionava, ma non quel giorno.
Arrivato al momento in cui lui e Jin cantavano
assieme, bloccava il video ed impostava lo schermo intero sospirando; si
immergeva nuovamente nella sensazione delle dita lunghe tra i capelli di lui
scompigliati dalle coreografie e dall’aria della sera, sfregando piano i
polpastrelli tra loro nel tentativo di ricordarne la consistenza. Chiuse gli
occhi inspirando ed espirando profondamente, il cuore tumultuoso nella gabbia
toracica non solo a causa dell’allenamento. Mimava sottovoce le liriche che
avevano accompagnato i loro duetti iniziando a muovere la testa a tempo.
Non si accorse neppure della porta socchiusa e della figura che era appena
entrata in palestra.
Continuava stavolta a voce alta ripetendo le rime della propria canzone da
solista senza rendersi conto di chi gli si era steso accanto sorridendo.
Quando alzò piano le palpebre scattò all’indietro colto completamente alla
sprovvista; un gridolino di sorpresa sfuggì alle sue labbra. «Non farlo mai
più. Mi hai spaventato a morte.»
Il collega sbuffò ironico massaggiandosi la testa mugugnando: Yoongi era solito muoversi silenzioso e non chiedere il
permesso di entrare. La porta era aperta? Bene, poteva accedervi senza
problemi.
«Hanno inventato le serrature, usale se non vuoi essere disturbato.» Cinico
come sempre. Stese le gambe magre sul pavimento constatando come le suole delle
All Star non arrivassero neppure all’altezza della
caviglia di Jungkook: detestava essere così basso, ma
s’era rassegnato anni prima.
«Che sei venuto a fare qui?»
Domanda più che lecita la sua.
«I cazzi degli altri.»
«Dì la verità, Yoongi, non mi freghi.»
Come poteva essere così empatico da cogliere subito le sfumature negative della
gente? Ancora non se ne capacitava.
«Non ci riesco, avevo bisogno di cambiare aria.»
Jungkook sapeva esattamente cosa intendesse dire
l’altro: “non riesco a scrivere, devo uscire dallo studio prima di distruggere
il computer contro il muro.” Comprensibile visto il tempo dedicato, gli anni a
riversare sangue, sudore e lacrime su fogli e sui quaderni con grafite e penne
masticate per il nervosismo.
In tal caso, lasciarlo fare era la cosa migliore per tutti.
«E la tua idea era quella di infilarti in una palestra? Ma se la detesti.»
Amava stuzzicarlo e vedere fino a che punto avrebbe resistito senza imprecargli
contro. Un modo come un altro per stendere il nervosismo suo e dell’altro.
C’era un motivo preciso, lo sapeva, e doveva scoprirlo a tutti i costi anche se
non sarebbe stato facile estrarglielo dalla bocca. Yoongi
era introverso ed enigmatico, spesso non parlava volentieri.
«Allora, sai qualcosa?»
Una domanda scomoda la sua, una domanda che gli altri membri del gruppo non
avevano ancora avuto il coraggio di porgli. Lui invece sì.
Jungkook poggiò stancamente le braccia sulle
ginocchia scuotendo la testa; certo che no, lui non sapeva ancora nulla e la
faccenda lo stava esasperando. Non voleva darlo certo a vedere, ma spesso si
ritrovava a fissare il vuoto chiedendosi quando sarebbe successo.
Quando Jin avrebbe lasciato il gruppo per
intraprendere il servizio di leva obbligatoria.
Una fastidiosa sensazione di nausea si impossessò del suo stomaco, violenta,
pungente, fisica. Deglutì un paio di volte inspirando ed espirando
profondamente.
«Ehi, tutto bene?» La lieve apprensione nel tono della voce dell’amico lo
riportò al presente, alle iridi scure che fissavano i brividi sugli avambracci;
no, non andava bene per niente ma non voleva far preoccupare nessuno. Stupida
conclusione la sua, vista la vicinanza di tutti gli altri, la convivenza, gli
anni di lavoro alle spalle; cercare di nascondere quel miscuglio di sensazioni non
gli stava facendo affatto bene.
«Ascolta il mio consiglio, dovresti parlarne con lui. È per il vostro bene.»
Se Jungkook non fosse stato impegnato ad evitare di
rimettere succhi gastrici sul parquet probabilmente avrebbe dato la giusta
attenzione alle parole utilizzate dall’altro: non “suo” bene, bensì “vostro”.
Denotava quanto Yoongi fosse preoccupato non solo per
lui ma anche per Jin stesso.
Perché lui sapeva, leggeva tra le righe; li aveva osservati con calma mentre si
scambiavano sguardi rapidi tentando di non farsi scoprire nel cercarsi tra
tutti, nascondendosi alla minima reazione degli altri. Era in grado di cogliere
l’imbarazzo, il disagio, e non capiva perché non si fossero ancora fatti avanti.
Erano tanto palesi da sembrare ridicoli ed era convinto di non essere l’unico
ad essersene accorto; soltanto i due coinvolti sembravano non capirlo.
«Idioti.»
«Cosa?»
Credeva d’averlo soltanto pensato, invece a quanto pare le parole erano uscite di
bocca in maniera quasi naturale. Chissà, forse parlandogliene gli avrebbe dato
una spinta nella giusta direzione; un calcio nel posteriore più che una spinta.
«Cosa faresti?» Forse fargli fare un esamino di coscienza sarebbe stata la cosa
migliore. Unire il suo bisogno di staccarsi da tutto per quel pomeriggio e riuscire
a scuotere un po’ la mente di quel ragazzo potevano incastrarsi alla perfezione.
«Dico, cosa faresti se Jin te lo dicesse adesso?»
Il collo dell’altro scattò nervoso in direzione di Yoongi:
non si aspettava certo una domanda a bruciapelo, in palestra, seduti sul pavimento
di legno levigato. Non era pronto a rispondere a una cosa simile senza avere un
minimo di preparazione. Preparazione per cosa poi? Era dall’inizio dell’anno
che ci pensava spesso, fin troppo. I suoi neuroni avevano lavorato così tante
volte ad una risposta verosimile, ad una versione da poter raccontare ai
colleghi. Non era mai riuscito a formularne una che non prevedesse un “ne
morirei…”. E con quella consapevolezza strinse il labbro tra i denti mantenendo
le palpebre il più spalancate possibile, perché sapeva che se mai avesse
serrato le iridi in quel momento, sarebbero scese le lacrime.
Yoongi tentò di sfiorarlo per rincuorarlo in qualche
modo; sapeva del bisogno di fisicità di Jungkook nel
tentare di superare i momenti più difficili. Non era certo come lui, che odiava
essere anche solo sfiorato. L’istinto lo portò a chiudere una mano sulla sua spalla
massaggiandola in modo malfermo, palesemente a disagio. Poco importava, ci
stava provando almeno.
E visti i singhiozzi silenziosi dell’altro, seppe d’esserci riuscito.
Yoongi digitò rapido poche parole sullo smartphone,
spedì il messaggio ed attese. Dopo aver fatto compagnia a Jungkook
per un tempo che gli era parso interminabile sussurrò qualcosa come “sono qui
se hai bisogno, anche se non so esattamente cosa dire.” Lo aveva esternato con
tutto il garbo che il proprio carattere permetteva, ma la risposta non arrivò:
il ragazzo aveva affondato la testa tra le braccia, la fronte sulle ginocchia,
e non aveva più detto nulla.
Uscì e contattò l’unica persona che riusciva a distrarlo dal proprio malumore;
era evaso dallo studio per non pensare al lavoro, aveva raggiunto un amico che
s’era incupito anche solo a guardarlo e stava tornando in quelle quattro mura
in cui poteva chiudersi a chiave per poi avere a che fare con Hoseok. Collega fidato, impiccione cronico, amico fedele.
Inspirò sedendosi alla sedia della scrivania scaraventando sul tavolo a fianco
i block notes con decine di frasi scribacchiate:
tagli netti di inchiostro avevano tentato di cancellare quei testi mancati,
davvero la concentrazione non era dalla sua quel giorno.
La faccenda “Jin” stava diventando pesante perché i
mesi continuavano a scorrere e la tensione cominciava a farsi fisica tra loro;
aveva visto Jimin e Taehyung
fermarsi spesso a parlare con lui, ma aveva preferito non dargli peso. Quei due
erano tali impiccioni, sicuramente avevano scovato un qualsiasi motivo per
stressarlo, ma poco importava. Hoseok invece era
diverso: non che fosse più discreto, anzi, ma aveva la capacità di comprendere
quando fermarsi e fare un passo indietro.
Capacità davvero rara nel loro mondo.
Comunque di una cosa era certo: Jungkook non sapeva
ancora nulla, Jin stava mantenendo il silenzio stampa
sulla faccenda e lui era consapevole di un fatto più che ovvio: se l’equilibrio
fosse venuto a mancare ne avrebbero risentito tutti prima o poi e questo avrebbe
significato soltanto guai.