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Autore: Sonrisa_    20/04/2020    1 recensioni
[HaiMizu]
«È per questo che non sono passato.» esalò infine, fermando l’azione delle proprie dita, quasi come a volergli dare il permesso di sottrarsi a quella presa che, considerando il modo in cui il capitano aveva trattenuto il respiro, forse era stata davvero un azzardo.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Haizaki Ryouhei
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premessa doverosa: se non avete letto l’InaPen (“Heir of the Penguins”), potreste avere difficoltà a cogliere determinati riferimenti all’interno della storia.


 
 
 
 
There are many things that
I would like to say to you
but I don't know how…
 
 
Trovarselo davanti la porta di casa fu inaspettato al punto tale che l’unico suono capace di uscire dalla propria bocca fu un saluto balbettato, accompagnato dall’invito silenzioso di accomodarsi all’interno dell’appartamento.

«Capitano.» mormorò il ragazzo, accompagnando quella parola con un cenno del capo mentre varcava la soglia di casa.

«Non sono più il tuo capitano.» gli fece notare Mizukamiya, la pacatezza nel tono di voce a nascondere il dolore per quella scelta, chiudendo la porta con delicatezza.

Il difensore vide Haizaki fermarsi di colpo a quelle parole, quasi come se non avesse ancora riflettuto su quella che, a conti fatti, era la realtà dei fatti da quasi una settimana, e lo sentì schioccare la lingua al palato per poi borbottare qualcosa che non giunse chiaramente alle sue orecchie.

«Uh? Cos’hai detto?» chiese Seiryuu, affiancandolo per fargli strada fino al salotto.

«Non posso considerare quell’altro come capitano. Tu lo sei.» sbottò Haizaki, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, sedendosi sul divano e poggiando con cura il borsone ai propri piedi.

Mizukamiya non riuscì a nascondere la propria sorpresa per quella affermazione e se ne sentì intimamente lusingato, ma cercò di non sorridere.

«Grazie.» mormorò tuttavia, perché quelle parole gli avevano sinceramente scaldato il cuore «Ma mi auguro che tu sappia di dover rispettare le sue indicazioni, essendo un membro della Raimon.» si sentì in dovere di aggiungere per buona pace della propria coscienza.

Haizaki roteò gli occhi e sbuffò, masticando fra i denti un “certamente” al quale Mizukamiya non seppe se credere o meno.

«Posso offrirti qualcosa? Stavo per preparare il tè.»

Ryouhei annuì seguendo Seiryuu, quando questi si voltò per dirigersi verso la cucina, e poggiandosi poi allo stipite della porta con le braccia incrociate.

«Allora, ti stai trovando bene alla Raimon?»

Era suo dovere, in quanto capitano – se Haizaki continuava a considerarlo in quel modo, anche lui sarebbe rimasto di tale idea – informarsi su come fossero andati i primi giorni di adattamento nella nuova scuola.

«Mh.» fu l’unico suono che uscì dalle labbra arricciate del minore, decisamente non propenso alle chiacchiere.

Mizukamiya decise di non indagare ulteriormente in alcun modo, limitandosi a lanciargli qualche occhiata di sottecchi ogni tanto e trovandolo sempre con lo sguardo fisso verso il borsone, col logo della Raimon in bella vista, che si intravedeva accanto al divano. Che Haizaki si aspettasse qualche commento da parte sua? Ma cosa avrebbe dovuto dirgli? Non seppe darsi una risposta e, per evitare di parlare a sproposito, preferì tacere e concentrare la propria attenzione sulla preparazione dell’infuso. Così preso dai propri pensieri, non si accorse dello spostamento di Haizaki che, aggirando il tavolo della cucina, si era fermato proprio alle sue spalle.

«Dopo vorrei parlarti.»

Orecchie estranee avrebbero percepito l’ostentazione di una grande indifferenza, ma Mizukamiya, che aveva imparato a cogliere persino le sfumature più impercettibili nel tono di voce dell’altro, notò subito un tentennamento sul finire di quella frase. La mente gli propose la scena avvenuta solo qualche giorno prima e il maggiore, continuando a dargli la schiena, aumentò la presa sul manico della teiera, sperando che il tremolio della propria mano non fosse troppo evidente.

«Di cosa?» si informò, riempiendo le tazze col tè.

«Di una cosa.»

Mizukamiya assunse un’espressione confusa e si voltò con calma, poggiando la schiena al bancone della cucina per poi allungare una tazza all’altro, ogni gesto accompagnato dall’ammonimento mentale di non permettere al proprio cervello di lasciarsi andare a supposizioni troppo azzardate.

«Bella o brutta?» chiese ancora, mentre tamburellava le dita sulla ceramica e cercava di decifrare lo sguardo di Haizaki.

Il giovane non rispose e, quando si voltò leggermente per posare la tazza sul tavolo, parve sinceramente combattuto.

«È brutta, quindi.» dedusse il capitano, aggrottando le sopracciglia mentre si sporgeva in avanti ad imitazione del gesto compiuto un attimo prima dal ragazzo; fu sul punto di dirgli che niente sarebbe stato brutto quanto sentirlo abbandonare la Seishou, ma si trattenne.

«È complicata.» lo corresse Ryouhei, dandogli l’impressione di star ragionando bene sulle parole da pronunciare.

Fu a quel punto che, con un tempismo invidiabile, un miagolio deciso si levò dal salotto. Sorpreso e confuso, Mizukamiya uscì dalla cucina e, ignorando l’imprecazione di Haizaki che prese a passarsi nervosamente una mano fra i capelli sciolti, entrò nel soggiorno, posando lo sguardo sul borsone di Ryouhei – accorgendosi solo in quel momento della zip quasi completamente aperta – da cui proveniva la litania di miagolii. Haizaki palesò la propria presenza nella stanza con un sonoro sbuffo e, superato il ragazzo che si era fermato in mezzo al salotto, si diresse a grandi falcate verso il borsone.

«Non potevi startene zitto un altro po’?» sbottò l’attaccante, inginocchiandosi e prendendo fra le braccia una palla di pelo.

La risata di Mizukamiya – Haizaki in quei frangenti era davvero uno spettacolo – fu stroncata sul nascere quando il ragazzo dai capelli blu riconobbe il proprietario di quel musino tigrato che si contorceva fra le braccia del minore.

«Hoshi![1]»

A quel richiamo il micino miagolò più forte e Haizaki non poté esimersi dal rivolgere uno sguardo perplesso al difensore: «…Hoshi?»

Mizukamiya parve processare in quel momento la parola da lui pronunciata e si portò una mano alle labbra, rilasciando poi una risatina imbarazzata.

«Beh, non poteva rimanere “gatto” per sempre.» mormorò, sedendosi accanto al ragazzo «E poi mi sembrava un nome carino per la mascotte della squadra.»

«Mascotte della squadra?» gli fece eco il minore, sempre più confuso «Mi sono perso tutte queste novità in meno di una settimana?»

Se fosse stato un tipo diverso, Mizukamiya se ne sarebbe uscito con una battuta pungente, invece stirò le labbra in uno strano sorriso troppo simile ad una smorfia: Haizaki aveva avuto i suoi buoni motivi per trasferirsi alla Raimon e lui, in quanto capitano e amico, si era ripromesso di assicurargli tutto l’appoggio e la comprensione disponibile.

«L’abbiamo trovato a gironzolare per il campo lunedì pomeriggio e Sasotsuka e Orio si sono contesi le sue attenzioni per un po’ alla fine del riscaldamento.» raccontò «Quando si è presentato la volta successiva è partito il toto-nome e, no» lo stroncò subito «Non vuoi davvero sapere le proposte degli altri, dopotutto sei sempre stato tu quello bravo in questo ambito.» mormorò, guardandolo negli occhi «Io ho proposto Hoshi e, beh, a quanto pare gli altri hanno apprezzato.» aggiunse, allungando il braccio verso il micio che tese il capo verso di lui, anelando qualche coccola.

Haizaki lo fece sedere sulle proprie gambe, ma questi, dopo essersi strusciato sulla coscia dell’attaccante, si acciambellò sul ventre di Seiryuu ed iniziò a fare le fusa.

«Traditore.» lo accusò Ryouhei, picchiettando la punta dell’indice sulla porzione di pelo fra gli occhietti scuri ed ottenendo, in risposta, un miagolio stizzito.

«Io credo che in realtà venisse al campo solo per te.» replicò il capitano «Ne eravamo tutti convinti e, quando ieri non si è presentato, abbiamo pensato che avesse capito che non ti avrebbe più trovato.»

«Era con me.» rivelò l’attaccante, stupendo l’altro che gli lanciò uno sguardo sorpreso «L’ho trovato all’entrata della Seishou e mi ha seguito fino a casa.»

«Gli altri rimarrebbero delusi se sapessero che sei passato da scuola senza venire a salutarci.»

«E tu? Ci sei rimasto male?»

Non si aspettava quella domanda a bruciapelo e se Haizaki, invece di fissargli le dita intente ad accarezzare il micio, avesse sollevato lo sguardo avrebbe letto nelle iridi chiare di Mizukamiya un sano stupore accompagnato da una punta di tentennamento.

«Non credo.» mormorò, incapace di dare una spiegazione al fremito di Haizaki che aveva sollevato il volto per guardarlo «Avrai avuto i tuoi buoni motivi per non farlo. So che sei più sensibile di quanto potrai mai ammettere a voce.» continuò, sollevando il gatto e posandolo sulle gambe di Ryouhei «O forse sono solo io ad illudermi che non sia stato facile per te lasciarci e trasferirti alla Raimon.» aggiunse in un sussurro lievissimo, quasi inudibile, per poi alzarsi e lasciare la stanza.

Riprese a respirare solo quando non avvertì più gli occhi dell’altro ragazzo su di lui e, con un sospiro, si poggiò al muro della cucina, al riparo da quello sguardo e dalla miriade di emozioni che, tacitamente, gli avrebbe potuto rivolgere. Si concentrò sui miagolii di Hoshi e maledisse la propria incapacità di trattenere determinate considerazioni in certe occasioni: non che avesse mentito, ogni parola da lui pronunciata era stata sincera, forse fin troppo, ma fu inevitabile chiedersi se non avesse osato troppo. Si avvicinò al tavolo della cucina e fissò le tazze che avevano abbandonato lì poco prima che Hoshi annunciasse la propria presenza; le prese e ritornò in salotto, incrociando immediatamente lo sguardo di Haizaki che pareva essere rimasto immobile nell’attesa del suo ritorno.

«Stavamo dimenticando il tè.» disse Seiryuu, accennando un sorriso leggero mentre gli porgeva la bevanda, per poi sedersi di nuovo al suo fianco «Prima avevi detto di dovermi parlare. Riguardava Hoshi?» chiese, deciso a fingere che l’ultimo scambio di battute non fosse mai esistito, nel tentativo di disfarsi dell’imbarazzo che sembrava ancora avvolgere l’aria.

Haizaki annuì e bevve un sorso di tè prima di iniziare a parlare.

«Sentiti libero di dirmi di no.»

«E tu sentiti libero di chiedermi qualunque cosa.» replicò l’altro, spostandosi un po’ solo per poter guardare meglio l’altro in volto, stupito da quel suo comportamento.

«Mentre sarò alla Raimon potresti prenderti cura di Hoshi?»

Perché Mizukamiya aveva l’impressione che quella domanda celasse una quantità infinita di significati nascosti? E perché aveva sorriso di rimando quando Haizaki aveva sollevato gli angoli delle labbra nel pronunciare il nome del micino?
 
 

 
L’aveva chiesto davvero, Haizaki non pensava sarebbe stato così difficile dar voce a quella maledetta domanda che lo aveva spinto a presentarsi a casa del ragazzo quel tardo pomeriggio. Cercò di non soffermarsi sul peso del silenzio calato nel salotto e fissò lo sguardo su Hoshi che, ignaro del fatto che si stesse discutendo del proprio destino, si era pigramente acciambellato nello spazio lasciato libero fra le loro gambe, mantenendo un’equa distanza quasi nel timore di fare uno sgarbo preferendo l’uno o l’altro. Haizaki sbatté le palpebre nel rendersi conto di aver formulato simili pensieri – da quando aveva iniziato a dare certe spiegazioni alle azioni di un gatto? – e si sentì ancora più stupido sia per aver avanzato una simile proposta che per aver scoperto di essere rimasto ferito da quel silenzio, letto come un chiaro rifiuto che, probabilmente, si sarebbe dovuto aspettare. Irrigidì la postura, pronto a rimangiarsi ogni parola, ma quando alzò il volto rimase completamente in balia dello sguardo di Mizukamiya – era davvero emozionato o erano i propri occhi a mentirgli in un modo tanto crudele? – e si ritrovò incapace di proferir parola.

«La Seishou è casa nostra quanto lo è per lui ormai, ce ne saremmo presi cura in ogni caso.»

La parola “casa” ebbe uno strano effetto su di lui e, riecheggiando nella mente, lo indusse a posare gli occhi sul portachiavi della Seishou che, attaccato al borsone della Raimon, creava uno strano contrasto a cui non si era ancora abituato.

«È bello che tu abbia pensato a lui, ma nessuno di noi aveva intenzione di abbandonare Hoshi.» continuò il difensore, mantenendo lo sguardo fisso sull’altro «Ci stavamo organizzando per occuparci di lui in grande stile, sai? Sasotsuka aveva deciso persino di disseminare lo spogliatoio con cibo per gatti.»

«Hoshi è un cucciolo e quel porcospino lo farebbe diventare obeso in pochi giorni, glielo avevo anche detto dopo la nostra ultima partita.» obbiettò l’attaccante, mettendo su un broncio capace di nascondere il sorriso pronto ad increspargli le labbra.

Gli piacque pensare che Mizukamiya, in realtà, avesse colto quel dettaglio nel momento in cui lo vide sorridere, nascondendo la bocca dietro le lunghe dita chiare.

«Dopo essermi accorto che mi aveva seguito, l’ho portato dal veterinario per farlo visitare, poi ho comprato tutto il necessario per occuparmi di lui con l’intenzione di tenerlo a casa mia… il problema è sorto quando ho scoperto che mia madre è allergica ai gatti.» aggiunse il ragazzo, conscio di dover dare almeno una spiegazione sul perché non se ne facesse carico lui.

«Devi avere tanto fiducia in me, per affidarmelo.»

Quella constatazione lo colse di sorpresa e, vista la reazione stessa di Mizukamiya – gli occhi sgranati, le dita a coprire la bocca dischiusa –, il minore credette che non fosse stata un’uscita ben ponderata; non riuscì a trattenersi ed impedire alle proprie labbra di arricciarsi in un lieve sorriso, quasi divertito. Haizaki guardò l’altro ragazzo intensamente e poi, assicuratosi di avere tutta la sua completa attenzione, annuì, affidando a quel semplice movimento del capo un’ammissione che, fino a qualche tempo prima, non avrebbe creduto di poter fare. I due giovani si fissarono negli occhi per interminabili istanti e il minore fu certo, specchiandosi nelle iridi del capitano, che anche lui ne avesse compreso l’importanza.

«Hoshi, che ne dici? Ti piacerebbe stare qui con me?» chiese all’improvviso Mizukamiya, volgendo le proprie attenzioni sul micio che, schiudendo pigramente gli occhi, portò il musino in direzione di Ryouhei prima di balzare sul divano e acciambellarsi su un cuscino «Direi di sì. Aspetta che gli altri lo sappiano…» mormorò, portandosi poi la tazza alle labbra.

Haizaki lo fissò in silenzio, quasi rapito, riscuotendosi solo nel vedere Seiryuu restituirgli uno sguardo confuso.

«Tutto bene? Credevi che non avrei accettato?»

La realtà era che Ryouhei aveva temuto quel rifiuto, rimanendo spaventato dall’importanza che aveva affidato alla risposta del capitano, consapevole che, in quella strana proposta, avesse messo in gioco molto più che le sorti di Hoshi.

«Avevo preso in considerazione anche questa possibilità.» ammise «Del resto mi sono presentato senza preavviso a casa tua e-»

«Sono contento che tu l’abbia fatto.» fu la dolce intromissione del difensore che non gli permise di completare la frase.

Come facesse ad essere così sincero e parlare senza imbarazzo di ciò che provava, sarebbe rimasto per sempre un mistero per Haizaki che, di contro, non era mai riuscito ad aprirsi con nessuno all’infuori di Akane. Cercò di dissimulare il velo di imbarazzo che lo aveva colto a seguito di quell’affermazione, passandosi una mano fra i capelli per poi legarli in uno chignon un po’ scomposto, scostando anche i ciuffi che erano soliti nascondergli parte del volto.

«Stai davvero bene così.»

Che si divertisse, Mizukamiya, a metterlo in una posizione di imbarazzo dalla quale sembrava sempre troppo difficile tirarsi fuori?

«Come fai a dire certe cose in questo modo?»

Sperò che quelle parole non fossero state recepite in modo troppo brusco dal capitano, ma Haizaki era dannatamente serio e anche sinceramente curioso: come si potevano pronunciare simili affermazioni senza impedire che le parole si bloccassero sulla punta delle lingua, rifiutandosi di scivolare fuori dalle labbra?
Mizukamiya ridacchiò divertito e quel suono melodioso indusse Haizaki ad alzare il volto solo per contemplare il ragazzo guardarlo di rimando, gli angoli della bocca lievemente piegati verso l’alto e i polpastrelli delle dita che tamburellavano sulla tazza che, ormai vuota, giaceva sul suo ventre.

«Se posso dire qualcosa di bello, non vedo perché dovrei rimanere in silenzio.»

Haizaki assorbì quelle parole, pronunciate con una naturalezza invidiabile, e, dopo essersi preso giusto qualche secondo in più per immergersi nell’oceano di tranquillità che erano le iridi di Mizukamiya, sentì di essere pronto a riprendere il discorso lasciato in sospeso poco prima: «Ieri ero alla Seishou per prendere gli ultimi documenti necessari al trasferimento.»

«Non mi devi spiegazioni.» lo frenò Seiryuu, approfittando di un attimo di esitazione nell’altro.

«Lo so, ma voglio farlo.» replicò l’attaccante, senza ammettere repliche.

Non aveva mai avvertito l’esigenza o necessità di dover rendere conto a qualcuno delle proprie azioni, ma, per qualche strano motivo che si ostinava ad ignorare, sentiva di doverlo fare almeno con Seiryuu; ed era tremendamente irritante rendersi conto di voler rendere partecipe qualcuno dei motivi che si celavano dietro le proprie decisioni.

«Trovandomi lì avevo pensato di venire al campo per salutarvi.» disse, riprendendo a sorseggiare il proprio tè, ormai quasi freddo, solo per prendere altro tempo volto semplicemente a mettere ordine nella propria mente e cercare le parole adatte con le quali continuare il discorso.

«Haizaki-kun.» lo chiamò Mizukamiya, allungandosi solo per poggiare una mano sul suo ginocchio «Sono sincero, io n-»

Non seppe darsi una valida spiegazione sul perché avesse appena stretto fra le proprie dita la mano chiara dell’altro, guardandola come se fosse il tassello necessario a continuare un puzzle di cui non conosceva bene l’immagine finale. La pelle di Mizukamiya era talmente chiara, soprattutto se confrontata con la propria, da dargli l’impressione di splendere; intrecciate in quel modo, poi, le loro dita parevano i tasti di un pianoforte e, sulla scia di quella strana immagine propostagli dalla mente, si ritrovò a tamburellare con delicatezza i propri polpastrelli sulle nocche dell’altro.

«È per questo che non sono passato.» esalò infine, fermando l’azione delle proprie dita, quasi come a volergli dare il permesso di sottrarsi a quella presa che, considerando il modo in cui il capitano aveva trattenuto il respiro, forse era stata davvero un azzardo.

A mente fredda, lontano dalla serenità che Mizukamiya emanava anche solo sbattendo le palpebre, probabilmente si sarebbe preso a pugni per aver osato compiere un’azione del genere – prendergli la mano? Davvero? – con tanta leggerezza, ma all’improvviso i ruoli si invertirono e fu Haizaki a trattenere il respiro per qualche secondo, avvertendo le dita di Seiryuu ricopiare i movimenti eseguiti da lui poco prima.

«Per colpa mia?»

Fu un sussurro leggero quello pronunciato dalle labbra del maggiore che, con espressione confusa, era parso sinceramente affranto nel formulare quella domanda. Haizaki non riuscì a replicare con prontezza, conscio dell’impossibilità di rispondere con un semplice diniego o assenso, perché la verità era dannatamente più complessa e si era abbattuta contro di lui nell’esatto momento in cui, meno di ventiquattro ore prima, si era ritrovato incapace di dirigersi verso il campo di allenamento della Seishou Gakuen. L’essersi trasferito alla Raimon era stato più difficile di quanto avrebbe mai ammesso, ma l’idea di trovare i ragazzi allenarsi tranquillamente, come se nulla fosse cambiato, lo atterriva decisamente di più. E per lui era tremendamente irritante rendersi conto di sentire la mancanza di quel gruppo che aveva scoperto di apprezzare solo quando si era trovato a compiere la scelta di trasferirsi. Non l’avrebbe mai confidato a nessuno, perché fare una simile ammissione avrebbe significato rendere partecipe un’altra persona di un aspetto troppo intimo di sé, eppure le sue labbra si mossero da sole, addirittura toccando il tasto più dolente dell’intera situazione: «Perché hai accettato tranquillamente il mio trasferimento.»
 
 
 
 
Un pugno sarebbe stato meno doloroso, Mizukamiya fu pronto a giurarlo nell’esatto momento in cui il minore ebbe terminato di pronunciare quella frase dal sapore amaro di un’accusa immeritata per la quale sarebbe stato normale infastidirsi o quantomeno rimanerne delusi; non accadde: che fosse un pregio, un difetto o deformazione da capitano, Seiryuu non riusciva ad anteporre se stesso e le proprie emozioni quando di mezzo c’erano i compagni, Haizaki in primis, quindi cercò di essere il più comprensivo possibile.

Il minore aggiunse mentalmente quell’infelice uscita – era letteralmente sfuggita dalle labbra senza che potesse pienamente rendersene conto – alla lista delle cose compiute quel giorno per le quali avrebbe dovuto prendersi a schiaffi e si chiese se fosse possibile rimangiarsi tutto o, al limite, fuggire via, consapevole di essersi buttato in una situazione troppo difficile da gestire senza il rischio di esporsi più del dovuto.

Il difensore ritrasse la mano ancora intrecciata a quella di Haizaki e se la portò al petto, stringendo fra le dita chiare la stoffa all’altezza del cuore, poi tenne gli occhi chiusi per parecchi secondi, celando all’altro le iridi che avrebbero potuto rivelare la tempesta dentro il proprio animo.

«Volevi essere fermato?»

La voce di Mizukamiya non presentava alcun risentimento, bensì la semplice curiosità di chi desiderava sinceramente conoscere la risposta; il sorriso col quale accompagnò quella domanda, dolcissimo nel suo essere semplicemente accennato, fu tremendamente difficile da sostenere per Haizaki che, ostinandosi a restare in silenzio, si limitò a scuotere la testa. Sarebbe stato un bugiardo ad affermare di essersi aspettato proteste o tentativi di fargli cambiare idea, eppure… Eppure gli altri si erano intristiti, alcuni si erano persino arrabbiati, solo il capitano gli aveva sorriso, riempiendolo di lodi per quella scelta colpevole di aver fatto passare un’intera nottata in bianco a Ryouhei.

Mizukamiya rimase con le labbra schiuse, ma non proferì parola, limitandosi ad osservare l’altro guardarlo di rimando. Fu sul punto di raccontargli quanto fosse stato difficile per lui mantenere un sorriso credibile mentre, nello spogliatoio, tentava di riaccendere gli animi di una squadra quasi spenta per la mancanza di colui che, fino a qualche mese prima, risultava il più grande deficit del team, ma, ancora una volta, invece di soffermarsi su di sé, preferì farsi portavoce del gruppo.

«È stato un bene che tu non sia venuto a salutarci in settimana, sai? Avresti trovato una squadra davvero pessima, totalmente scoordinata.»

Non si stava riferendo alla mera organizzazione in campo, ma a qualcosa di più ampio, meno pratico e più sentimentale e sperò con tutto il cuore che Haizaki cogliesse quella sfumatura.

«Lunedì Amano ha iniziato a chiamare gli altri con i nomignoli coniati da te, senza azzeccarne uno e creando ancora più confusione durante l’intero allenamento.» raccontò con lo sguardo perso nel passato «Mercoledì, invece, Sasotsuka ha proposto di insegnare a Hoshi la Death Zone e, quando il cucciolo non si è presentato la volta successiva, Orio ha iniziato a sbraitare, accusandolo di aver traumatizzato un povero micio che non sarebbe più venuto.»

Haizaki accolse con stupore quelle parole, senza riuscire ad apprezzarle come avrebbe potuto perché incapace di inserire il capitano nel quadretto appena descritto. Sebbene gli avesse fatto piacere saperlo, l’interesse per Mizukamiya superava di gran lunga quello che il minore avrebbe potuto nutrire per la trovata del capellone o per la proposta del porcospino. Frustrato, ma soprattutto ben deciso a tenere la bocca serrata, tirò via l’elastico per capelli e lasciò che le ciocche scure gli ricadessero sul volto e sulle spalle.

Mizukamiya guardò con apprensione le dita del ragazzo stringersi sui ciuffi argentei – in quel movimento che il maggiore aveva imparato ad associare sempre ad uno spettro di emozioni negative – lasciandosi sopraffare dal desiderio di calmarlo che lo portò ad allungare la propria mano, la stessa stretta al proprio petto fino a qualche attimo prima, verso quella dell’altro.

Il tocco gentile e inaspettato, posatosi su di sé, ebbe il potere di far rilassare i muscoli contratti del minore e, quando i loro occhi si incrociarono, anche i turbamenti dell’animo parvero placarsi, levigati dall’abbraccio rassicurante dello sguardo di Seiryuu.

«Ognuno di noi sente la tua mancanza e io…» Mizukamiya tacque e le sue sopracciglia si arricciarono «… continuavo a cercarti in campo.» ammise in un sussurro, addolcendo l’espressione del volto nell’esprimere quella piccola confessione «Ma tutti noi sappiamo quanto sia importante per te poter affrontare nuovamente la Outei Tsukinomiya, quindi hai tutto il nostro sostegno.»

Haizaki non replicò in alcun modo e continuò a fissare il capitano, totalmente incapace di rispondere. Rimasero a scrutarsi fino a quando il maggiore mosse la propria mano, ancora su quella dell’altro, facendo scivolare le dita fra i capelli scuri e portando i polpastrelli a sfiorargli lo zigomo e poi scendere fino al mento, prima di allontanarla da quel viso dai tratti insolitamente distesi. L’attaccante accompagnò col viso il movimento del palmo di Mizukamiya, quasi come a voler prolungare quel contatto per qualche istante di più. Un silenzio leggero li avvolse e, per Ryouhei, fu lecito chiedersi come fosse possibile poter avvertire una simile tranquillità quando, fino a pochi istanti prima, nel suo cuore albergava solo una matassa informe di emozioni negative. Come poteva, Mizukamiya, fargli un simile effetto?

«Grazie.»

A quella parola Seiryuu sgranò i propri occhi ed ebbe un evidente fremito che Haizaki non seppe bene come decifrare; nel dubbio preferì non sbilanciarsi troppo, nonostante la miriade di parole che avrebbe potuto – e voluto – riservare a chi si era avvicinato così tanto a lui, ottenendo un posto nel suo cuore con estrema delicatezza.

«Ora che, finalmente, sono riuscito a dirtelo mi sento decisamente meglio.»

Mizukamiya colse subito il riferimento e ridacchiò divertito, prima di rivolgergli un dolce sorriso e decidere di poter arrischiare nel porgergli una domanda: «Ti andrebbe di rimanere per cena?»

Haizaki lo fissò negli occhi ed annuì, seguendo il ragazzo fino alla cucina.
 
 
 

Comodamente accucciato sul divano, Hoshi si svegliò all’imbrunire e, rinvigorito dalla piacevole dormita, si guardò attorno alla ricerca di compagnia; balzò giù dal comodo giaciglio e scrutò l’ambiente circostante con attenzione, soffermandosi sulla luce accesa che filtrava da una porta socchiusa. Il micino si avvicinò curioso ed entrò nella stanza, approfittando dell’esiguo spazio lasciato involontariamente a sua disposizione e miagolando per annunciare la propria presenza, ma ne uscì dopo poco quando la t-shirt di Haizaki, il cui lancio fu accompagnato da un impropero del proprietario e la risata cristallina del compagno, lo colpì di striscio.
 
 
…because maybe you're gonna be the one that saves me
and after all you’re my wonderwall
 
 
 

 
[1] Hoshi 星 significa stella in giapponese. Mi sembrava carino dare al micino un nome del genere, perché quasi tutti i membri delle Seishou Gakuen hanno nomi legati alle costellazioni dello zodiaco o agli astri in generale.

Sia il titolo che i versi di inizio e fine fanfic (se li avete letti cantando vi mando un abbraccio) sono tratti da “Wonderwall” degli Oasis.

 
  
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