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Autore: Why_    20/04/2020    0 recensioni
Disclaimer: Questa è una fan fiction ambientata nel mondo di “Haikyuu!!”, in cui i personaggi che ho inserito fanno parte della squadra femminile della Karasuno, in cui però non sono presenti le ragazze che canonicamente la formano. La presenza dei personaggi del manga è molto ridotta, ma spero che possa piacervi lo stesso. Non è mia intenzione offendere nessuno e le critiche sono sempre ben accette. Buona lettura!
Dal testo: "< Era tutto ciò che avevo sempre sognato e l’ho fatta andare via. L’ho ferita e delusa in una volta sola. Mi faccio schifo > disse all’improvviso la mora, più a sé stessa che alle amiche.
< Non sei perfetta Lyn, capita a tutti di sbagliare > ribatté Anja, girandosi a guardarla. Il viso della compagna era leggermente contratto e sembrava un po’ più vivo di come era poco prima."
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Daichi Sawamura, Koushi Sugawara, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Questa è una fan fiction ambientata nel mondo di “Haikyuu!!”, in cui i personaggi che ho inserito fanno parte della squadra femminile della Karasuno, in cui però non sono presenti le ragazze che canonicamente la formano. La presenza dei personaggi del manga è molto ridotta, ma spero che possa piacervi lo stesso. Non è mia intenzione offendere nessuno e le critiche sono sempre ben accette. Buona lettura!
I personaggi dell’opera originale non mi appartengono, ma sono di proprietà di Haruichi Furudate.  
 
 
Spostamento dei legamenti della caviglia destra, le aveva detto quell’uomo mentre la ragazza si sistemava sul pavimento. Lyn rischiava di urlare dal dolore mentre il fisioterapista le manipolava l’articolazione in questione. Era sdraiata a terra in un angolo della palestra, mentre la sua caviglia si trovava nelle mani di un uomo alto e ben piazzato che con cura si occupava del suo infortunio.
Si ritrovò a desiderare l’amputazione dell’intera gamba, solo per non soffrire in quel modo. Intanto il resto della squadra la guardava, osservava le sua lacrime, vedeva i suoi denti stretti, ma nessuno poteva fare niente. La partita doveva andare avanti, nonostante la preoccupazione di tutte. Dopo aver visto Lyn cadere a terra e iniziare a piangere, tutte si erano strette intorno a lei per capire cosa fosse successo. Il secondo allenatore della squadra avversaria si era subito preoccupato di fornire assistenza alla ragazza e, con l’aiuto di alcune ragazze, l’avevano fatta stendere lontano dal campo per lasciare al professionista campo libero. Il resto della squadra femminile della Karasuno avrebbe tanto voluto aiutare la propria compagna, ma la partita doveva continuare.
L’allenatrice intimò alle ragazze di tornare ai propri posti, cercando di tralasciare la situazione. Tutte seguirono all’istante l’ordine, tranne una ragazza alta e slanciata, con i capelli biondo chiaro tagliati corti. Continuava a guardare la compagna con occhi preoccupati, stringendo i pugni. Vederla soffrire così era straziante e sapere di non aver fatto nulla per evitarlo non aiutava di certo. Zena aveva visto perfettamente la scena: Lyn che salta per schiacciare una palla troppo vicina alla rete  e la ragazza dall’altra parte che, scendendo dal muro, le mette il piede proprio dove sarebbe atterrata l’altra. Non si era fatta sfuggire il sorrisino soddisfatto dell’avversaria, mentre la ragazza cadeva a terra e le lacrime iniziavano a scorrerle sulle guance.
All’ennesimo richiamo dell’allenatrice la bionda fu costretta a rientrare in campo, incrociando lo sguardo di Lyn per un attimo soltanto.  

La partita proseguì tranquillamente, anche se l’assenza della guida di Lyn si sentiva. Le ragazze sapevano a grandi linee cosa fare, ma il supporto del futuro capitano era necessario per far sì che tutti gli ingranaggi funzionassero all’unisono. Qualche punto dopo il breve intervallo dovuto all’infortunio, l’allenatrice si decise a chiamare un time – out per spezzare il flusso di gioco.
Zena si avvicinò lentamente alla panchina, a testa bassa. Non si curò delle parole del coach e pensò solo a quanto voleva bere. Si stava per rialzare quando una mano le bloccò il braccio e la tirò. In un istante si ritrovò il viso di Lyn, rosso e ancora segnato dalle lacrime, a un paio di centimetri dal suo. Le sue iridi marrone scuro, profonde e intense, erano cariche di una serie di emozioni difficili da distinguere.
< Spero vivamente che non sia stata intenzionale come cosa > sibilò la ragazza con i capelli scuri come il caffè, legati in una coda piuttosto disordinata.  
Zena le restituì lo stesso sguardo deciso. L’espressione sul suo viso si era fatta più seria e un guizzo di rabbia le illuminò gli occhi verde chiaro.
< Spero vivamente che tu stia scherzando > ringhiò, con un tono basso, quasi minaccioso.
< Penso che sia una cosa ovvia da chiederti, anche perché ti conosco > rispose a tono Lyn.
< Mi sa proprio che conosci la persona sbagliata allora > affermò l’altra, più sorpresa e delusa che veramente arrabbiata.
La mora rimase un attimo interdetta dalla reazione della compagna, però era decisa a fare chiarezza sull’intera situazione. Non credeva che la ragazza dai capelli biondi che si trovava di fronte fosse cattiva o altro, sapeva però quanto il suo carattere si presentasse il più delle volte impulsivo e irascibile.
< Diciamo che è una cosa un po’ insolita vedere due infortuni in due azioni di fila. Ancora di più se la seconda che si fa male è quella che ha messo di proposito il piede sotto quello della prima > spiegò leggermente più calma Lyn, allontanando un pochino il volto da Zena, non smettendo però di fissarla.
< Sarà anche insolito, ma non puoi chiedermi una cosa del genere. Non tu, Lyn. Vuol dire che di me non hai capito un cazzo > ribatté subito la bionda, ritraendo il braccio intrappolato, senza smettere di guardarla.
A Lyn sembrò un gesto quasi schifato. Si sentì una stupida. Aveva sbagliato ad attaccarla così direttamente, come se fosse già sicura della sua consapevolezza. Forse aveva agito senza riflettere, forse cercava una spiegazione, ma in quel momento non riusciva neanche a mettere ordine nei suoi stessi pensieri.
Zena intanto si era allontanata, aveva bevuto e aveva buttato la bottiglia sotto la panchina, prima di rientrare di corsa in campo. Si vedeva che, rispetto a prima, aveva cambiato umore di nuovo.  Non che la rabbia per l’infortunio di Lyn fosse andata via, ma sentiva la delusione farsi strada nel suo pensiero, come una piccola tarma nel legno. La percepiva mentre divorava tutte le sue emozioni, lasciando solo il vuoto intorno a lei. Era diventata stranamente silenziosa e sembrava totalmente assente a sé stessa. I suoi movimenti erano meccanici e la foga di poco prima era scomparsa. La tedesca non smetteva di pensare al fatto che la sua compagna, nonché sua fidanzata, l’avesse creduta capace di una cosa del genere. Fare volontariamente del male all’avversario andava contro ogni morale e, per quanto conoscesse la sua stessa emotività, non si sarebbe mai abbassata a tanto. Nemmeno una volta l’idea le aveva sfiorato il pensiero, mentre invece Lyn era addirittura convinta che potesse esserne capace.
Le sue compagne la guardavano preoccupate, non sapendo però cosa fare. Zena era sempre la ragazza energica e grintosa, non smetteva mai di incitare le compagne con trasporto o arrabbiarsi per un’azione finita male. Vederla così apparentemente calma e senza emozioni, lasciò tutte spiazzate. Lentamente, dalla metà campo della Karasuno non provenivano più grida e esultanze. Nessun commento, nessuno scherzo, nessuna sgridata. Era tutto freddo e immobile.

Quel set lo persero piuttosto in fretta. Sembrava che tutte avessero spento il cervello.
Anja,  la palleggiatrice, fece 3 doppie di fila.
Yeva, attaccante centrale, non riusciva più a murare dentro il campo.
Ren aveva perso la sua tipica scioltezza.
Il libero, Akira, era drasticamente calata in ricezione.
Kimi, da quando era entrata al posto di Lyn come opposto, non  aveva mai schiacciato una palla a terra.
Persino Jun, l’altra centrale, era leggermente peggiorata.
L’allenatrice non sapeva più che inventarsi per spronare le ragazze. Sperava nell’appoggio di Lyn dopo aver finito la sessione con il fisioterapista, ma questa non riusciva a proferire parola. Quando incontrò lo sguardo di Zena mentre stava tornando in panchina alla fine del set, sentì un brivido freddo percorrerle tutta la schiena.
Aveva gli stessi occhi di un animale ferito. Un animale ferito e rabbioso contro chi l’aveva conciato così. Si sentiva accusata da quegli occhi tanto belli quanto taglienti, che in quel momento pesavano più di qualunque altra cosa. Lyn si sentì sopraffatta da quella sensazione e quasi le mancò il fiato. Il senso di colpa si stava impadronendo di lei con una forza tale da impedirle anche di piangere. Non riusciva a fare nulla.
Alla fine di quel set non cambiarono campo, poiché bisognava aspettare che una delle due squadre arrivasse a 8 punti in quello successivo, che sarebbe stato anche l’ultimo. Il risultato parziale era di 2 set a 2.
Il resto della squadra non sapeva cos’era successo fra Lyn e Zena, ma in qualche modo aveva avuto il potere di influenzare ogni ragazza. La panchina del Karasuno era silenziosa durante la pausa. Nessuno osava dire una parola. Neanche l’allenatrice se la sentiva di aggiungere altro. Si limitò a dir loro due parole sulla tecnica e le lasciò andare. Le ragazze entrarono in campo e si batterono il cinque senza emozioni. Erano tutte dannatamente spente.
Cos’ho combinato, pensò Lyn, guardando la palla cadere a terra dopo la battuta avversaria, senza che né Ren né Akira, i pilastri della ricezione, provassero a muoversi.

Dagli spalti qualche volta si sentivano il capitano, Masa, e il vice, Naoki, accompagnate da Izanami, incitare le ragazze. Purtroppo loro non potevano fare molto, non erano state convocate per permettere alle ragazze più piccole di prepararsi per il prossimo anno. Alla fine non si stavano giocando nulla di importante, quella era solo una partita d’allenamento. Tanto loro il campionato l’avevano già perso.
< Pure Akira si è lasciata suggestionare > disse rassegnata Masa, lasciando che la sua schiena sbattesse contro lo schienale del sedile. I suoi lunghi capelli castano chiaro si incastrarono fra la sua schiena e la sedia, ma lei con la mano se li porto tutti davanti, sulla spalla sinistra. I lineamenti fini e delicati del suo viso erano increspati dalla frustrazione di non poter far nulla e gli occhi, di un caldo color nocciola, si erano alzati a guardare il soffitto, come se non riuscisse più a guardare la partita.
Accanto lei Naoki era seduta sul bordo del sedile, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani che sorreggevano il volto. Non si stava perdendo neanche un attimo della partita, ma era evidente come le facesse male vedere le compagne in quello stato. Per tre anni aveva considerato la squadra come una seconda famiglia e sentirsi così inerme le sembrava profondamente ingiusto. Iniziò a intrecciarsi con un dito una ciocca di capelli che le ricadeva sul volto.
< Ma perché anche Kimi e Jun? Io non so che hanno  > disse poi, dopo l’ennesimo errore della propria squadra.
< Deve essere successo qualcosa dopo l’infortunio del loro martello. Passato il tempo della pausa, in campo c’era un’altra squadra > spiegò Izanami, risoluta, sistemandosi meglio gli occhiali. Per quanto sembrasse la più impassibile, i suoi occhi verdi scuro erano carichi di tristezza. Percepiva bene la tensione che c’era in campo, ma non poteva farci nulla.  
< Già, quando Zena è rientrata aveva una faccia terrificante > affermò il capitano, ancora con gli occhi incollati al soffitto.
Conosceva così bene le sue compagne di squadra da riconoscere facilmente le loro espressioni. Era soddisfatta di come aveva trascorso quegli anni, accompagnata dalle sue amiche e giocando lo sport che più le piaceva. L’unico rimpianto, forse, era quello di non essere mai arrivate davvero in alto come desiderava, di non aver mai potuto toccare con mano il suolo dei grandi campioni. In cuor suo sapeva di aver fatto il massimo per tirare fuori il meglio dalla sua squadra e da lei stessa, ma era anche consapevole che non era bastato. L’ultimo anno era stato il peggiore per il campionato e la sconfitta al secondo girone di eliminatorie ancora bruciava nel suo cuore come se fossero passati pochi giorni. La speranza di aver lasciato il segno nelle ragazze che avrebbero preso il loro posto era una delle poche cose che le dava un po’ di conforto, soprattutto quando la tristezza si faceva più opprimente.
< Questa non ci voleva proprio, non alla fine del quarto set almeno. Sappiamo tutte come andrà a finire > sentenziò il vice, prima di beccarsi uno scappellotto da Masa, scattata appena aver sentito l’amica pronunciare quella frase. Dopo aver passato tutte le superiori in classe con Naoki, le veniva ormai istintivo aver la voglia di punirla per ogni commento catastrofista con cui se ne usciva. Quella ragazza così alta che le sedeva di fianco era così sentimentale ed emotiva, da deprimersi e piangere per qualunque cosa. Da quando l’aveva conosciuta, Masa non girava mai senza dei fazzoletti extra nelle tasche, sapendo quanto l’amica avesse la lacrima facile.
< Sempre la solita pessimista > aggiunse poi, quasi scocciata, per poi tornare a guardare la partita.
La situazione non era cambiata di molto, le ragazze erano ancora terribilmente sottotono. Il set era ormai quasi arrivato alla fine e la squadra avversaria era sempre più vicina alla vittoria.  
< Non è che abbia tutti i torti, comunque, se hanno ripreso da noi > ironizzò tristemente Izanami, non staccando gli occhi dal campo. I ricordi dell’ultima partita non avevano lasciato in pace neanche lei. Troppe volte si era ritrovata a rimuginare su tutte le cose che avrebbe potuto migliorare di sé stessa e ogni volta si ripeteva che era ormai troppo tardi. Le superiori erano ormai agli sgoccioli e il tempo di giocare a pallavolo era terminato.
Un coro di “Già” dal tono malinconico si disperse nell’aria.  
 

Quinto set. 8 a 3 per gli avversari.
Yuuko, Yeva e l’allenatrice aiutarono Lyn a spostarsi sull’altra panchina.
Zena non la degnò neanche di uno sguardo.
La partita continuò sulla falsariga dei set precedenti, fino al’inevitabile conclusione. Con il punteggio di 15 – 7 la squadra avversaria si aggiudicava la vittoria dell’incontro di allenamento. Le ragazze della Karasuno non emisero un fiato vedendo la palla cadere nel proprio campo, facendo segnare così l’ultimo punto agli avversari. Si guardarono di sfuggita, mentre dall’altra parte esultavano contente. Si disposero alla fine del campo per il saluto e poi batterono il cinque a ogni ragazza sotto rete, come era buona norma fare durante le partite. Ovviamente né Lyn né l’altra infortunata della squadra avversaria riuscirono a partecipare, entrambe impossibilitate a camminare bene.
Se non avesse avuto quell’opprimente senso di colpa sulla spalle, probabilmente Lyn l’avrebbe guardata male, cercando di farle capire quanto le facesse schifo un comportamento del genere. In quel momento però, l’unica persona che le provocava più ribrezzo di tutti era proprio lei stessa.
Dopo il saluto delle squadre e lo stretching finale, Yeva e Akira si occuparono di aiutare la loro compagna di squadra a raggiungere lo spogliatoio, per poi essere seguite da tutte le altre, che le raggiunsero poco dopo per cambiarsi. Solamente Zena rimase ad allungarsi un po’ più del dovuto e nessuna le disse niente. Il suo viso, ancora così pieno di emozioni, riusciva a esprimere tutto quello che non sarebbe stata capace di spiegare a voce.
 

< Comunque mi dispiac- > tentò di dire Lyn, mentre Zena le passava davanti per prendere posto nello spogliatoio.
< Comunque un cazzo, Lyn > ringhiò la bionda, girandosi a fulminarla con lo sguardo.
< Non voglio sentire “scusa” o “mi dispiace”, non voglio sentire niente > aggiunse poi.
< Perché?  > chiese l’altra, sentendosi così piccola davanti alla furia di Zena.
< Hai anche il coraggio di chiedermelo? Mi hai ferita, mi hai fatto male in un modo a cui non avrei mai pensato > affermò, alzando la voce.
Zena era immobile, con i nervi a fior di pelle, che la guardava dall’alto in basso. Stringeva così tanto i pugni da avere le nocche bianche. Se avesse avuto le unghie lunghe in quel momento, probabilmente se le sarebbe conficcate con forza nella carne fino a farsi uscire il sangue.
< Che ti ho fatto?  > sussurrò Lyn, al limite delle lacrime.
In un moto di collera incontrollabile, Zena lanciò un pugno sullo schienale della panchina, a pochi centimetri dal braccio di Lyn. I suoi occhi avrebbero suscitato paura a chiunque. Intorno a loro tutte si erano fatte ancora più silenziose e guardavano con la coda dell’occhio cosa stesse succedendo.  
< Hai dubitato di me, cazzo! Hai dubitato della mia correttezza e del rispetto per l’avversario, mi hai abbassato al livello di quella cretina che ti ha fatto male > urlò, rossa di rabbia.
Lyn sostenne il suo sguardo per pochi secondi, poi si nascose dietro un ginocchio, tremando. La bionda rimase a fissarla ancora qualche attimo, indecisa sul da farsi, finché non sentì qualcuno avvicinarsi. Appena vide Ren nel suo campo visivo si allontanò subito, dirigendosi verso la sua borsa. In meno di due minuti era già fuori, accompagnata dal rumore della porta sbattuta con forza.  
Lasciarono Lyn a sfogarsi mentre le altre si sbrigavano ad andarsene per lasciarle un po’ di privacy. Non singhiozzava, non faceva alcun verso. Stava completamente in silenzio con la testa nascosta dietro il ginocchio.
Jun fu la prima ad uscire, dopo aver accarezzato velocemente la testa di Lyn. Poi fu la volta di Kimi, che le diede una leggerissima pacca sul braccio. Una ragazza alta, secca e apatica uscì subito dopo, senza dire nulla. Guardò intensamente Anja, l’alzatrice biondina, prima di chiudersi la porta alle spalle. Per ultima uscì Akira, che le alzò la testa, le asciugò una lacrima e le sorrise dolcemente, come sapeva fare lei.
< Abbi forza > le sussurrò, sbattendo la fronte contro la sua.
Salutò le altre e uscì, sapendo di aver lasciato l’amica in buone mani.
Infatti Ren, Yuuko ed Anja aspettarono pazientemente non solo che le altre se ne andassero, ma anche che Lyn si sentisse in condizioni di parlare. Passarono dieci minuti buoni.
Lyn alzò la testa e rimase sorpresa nel trovare le amiche sedute poco distanti da lei sulle altre panchine.
< Perché non siete andate a casa? > chiese, confusa. Gli occhi arrossati e i la coda sfatta la facevano apparire ancora più stravolta di quanto già non fosse.
< Perché c’è una giocatrice che non riesce proprio a saltare dalla gioia in questo momento > disse Anja, sorridendo.
Lyn la squadrò attentamente, come se volesse scovare l’imbroglio in tutto ciò. Il suo volto sembrava rilassato e cordiale come sempre, ma la moretta sapeva che era solo una facciata.
< Se vuoi possiamo aiutarti a vestirti > esordì poi Ren, alzandosi e dirigendosi verso di lei.  
< Ce la faccio  da sol- Porca vacca > disse Lyn, mentre provava a far passare la caviglia dolorante attraverso la gamba della tuta. Strinse il tessuto dei pantaloni per il dolore e si fermò un attimo a riprendere fiato.
< Appunto > commentò Yuuko, l’altra alzatrice della squadra, già in piedi e pronta per aiutarla. Si sistemò bene i grandi occhiali che portava e le prese i pantaloni dalle mani. Ren e Anja aiutarono l’infortunata ad alzarsi e muoversi, mentre la terza le prendeva i vestiti e l’assisteva mentre li metteva. A Lyn faceva strano avere le sue amiche così vicine e sentire le loro mani su di lei. Non aveva chiesto di essere aiutata, ma quel trattamento le scaldava un po’ il cuore. Per un po’ sentir scherzare le sue amiche intorno a lei e vederle così vicine, le fece quasi dimenticare di tutto quel tornado di sentimenti che la stava inghiottendo poco prima. Il cinismo di Yuuko, l’affabilità affabilità di Anja e l’instancabile sorriso di Ren furono i protagonisti indiscussi dell’ultima pausa che la moretta si concesse prima di quello che sarebbe stato un lungo e pesante periodo.
Con calma e molta delicatezza, in un quarto d’ora Lyn era pronta per uscire, con tanto di capelli riordinati. Per ultimo, Anja si occupò di fasciarle la caviglia dolente, almeno per farla arrivare a casa. Sostenuta poi da Ren, la ragazze più alta dopo Lyn, e probabilmente anche la più forte, uscirono tutte insieme. Appena fuori dallo spogliatoio trovarono una ragazza magra e alta seduta sul pavimento della palestra, non molto lontana dalla porta. Lyn notò lo sguardo che le stava rivolgendo la sua compagna di squadra Yeva, che si mostrava sempre così apatica ma che, in quel momento, sembrava avere tutta la tristezza del mondo nei suoi occhi. E quello le bastò più di mille parole di consolazione che la ragazza potesse tentare di dirle.
Scambiarono qualche convenevole con l’allenatore e il capitano dell’altra squadra insieme alla loro allenatrice e uscirono dalla palestra. All’ingresso uno scodinzolante cane di taglia grossa dal manto nero corvino le stava aspettando. L’animale, dopo aver salutato e ricevuto una carezza da Ren, la sua padrona, annusò la caviglia di Lyn e guaì. Ma nessuna spiccicò parola.
Solo quando arrivarono sulla strada Anja interruppe quel silenzio.
< Voi avete da fare? > chiese, fermandosi prima di dividersi ognuno per la propria strada.
Chiacchierarono per un po’, poi si divisero. L’allenatrice si occupò di accompagnare Lyn a casa in macchina, Ren e Yuuko presero la stessa direzione insieme al grande cane nero, mentre Anja si incamminò con Yeva.
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Il giorno dopo Lyn passò la pausa pranzo con Anja e Yeva in un angolo appartato del cortile. Erano sedute su un muretto sotto un grande albero che donava loro un po’ di ombra.
Nonostante indossasse la gonna, Yeva se ne stava tranquillamente a gambe incrociate in equilibrio sul muretto, i lunghi capelli castani mossi leggermente dal vento. Mangiava distrattamente un po’ di riso dal suo portapranzo, ma non sembrava molto affamata. Qualche volta osservava con la coda dell’occhio la ragazza bionda seduta composta accanto a lei, giusto per assicurarsi che andasse tutto bene. Aveva tastato con mano quanto Anja potesse essere empatica e sapeva che avrebbe fatto di tutto per non lasciare sola l’amica in un momento del genere. Infatti le aveva proposto di mangiare tutte insieme per farle compagnia, convinta del fatto che non si sarebbe avvicinata a Zena per nessun motivo. A Yeva la cosa non dava particolarmente fastidio, soprattutto perché si immaginava che la situazione si sarebbe protratta per qualche periodo.
Nel frattempo Anja mangiava il suo panino con un certo appetito e accompagnava il pasto con del succo di frutta alla pesca. Yeva non si spiegava come fosse possibile, ma quella ragazza era sorridente anche mentre pranzava. Era sbalordita in qualche modo, ma anche rassicurata. Quando si trovava vicino a lei si sentiva sempre più calma del normale.
Lyn invece, appoggiata al muretto accanto alla bionda, spiluccava dei cracker dall’aria decisamente secca e li mandava giù con del tè in bottiglia. Anche rispetto all’apatia di Yeva, Lyn sembrava senza vita. Scrutava l’ambiente davanti a lei con sguardo perso e le occhiaie le davano un’aria ancora più spenta. La ragazzona le guardò per un attimo le braccia e ci trovò dei graffi che non le sembrava di aver notato il giorno prima. Forse c’era anche qualche livido, ma Yeva non si soffermò troppo a osservarla. Il dettaglio più visibile era sicuramente il rigonfiamento all’altezza della caviglia destra, coperto da dei lunghi calzini bianchi. L’infortunio di Lyn ovviamente non era passato in una sola notte, infatti faceva ancora molta fatica a camminare, nonostante lo tenesse fasciato stretto. Si era rifiutata di venire a scuola con le stampelle, ma sicuramente le avrebbero permesso di spostarsi meglio. Quella mattina era stata proprio Yeva a darle una mano e accompagnarla in classe. Fortunatamente Lyn non era molto pesante o particolarmente scoordinata, quindi se l’era sbrigata in fretta. Se al posto suo ci fosse stata la bionda con la sua corporatura minuta, ci avrebbero impiegato molto di più. Proprio per questo non aveva obiettato quando Anja le aveva espressamente detto di aiutare la compagna, se se la sentiva.
Durante il tragitto verso la sua classe, Lyn non era stata loquace come suo solito. Forse la frase più lunga che le aveva detto erano stati i sentiti ringraziamenti che le aveva porto per averla accompagnata. Nulla più di quello. Yeva non aveva avvertito imbarazzo o vergogna in quel silenzio,  non aveva sentito nulla. Non era rassicurante, né tantomeno rilassante. Era semplicemente l’unica cosa che Lyn poteva condividere con l’altra in quel momento. Yeva, con il suo solito disinteresse verso il mondo, non provò in nessun modo ad aprire un dialogo e nessuno ne fu deluso. Si salutarono brevemente ed entrambe tornarono alla loro giornata, per poi rincontrarsi all’intervallo. La ragazzona e la bionda si erano presentate dalla loro compagna infortunata e l’avevano aiutata a raggiungere il posto in cui adesso sedevano silenziose.
< Era tutto ciò che avevo sempre sognato e l’ho fatta andare via. L’ho ferita e delusa in una volta sola. Mi faccio schifo > disse all’improvviso la mora, più a sé stessa che alle amiche.
< Non sei perfetta Lyn, capita a tutti di sbagliare > ribatté Anja, girandosi a guardarla. Il viso della compagna era leggermente contratto e sembrava un po’ più vivo di come era poco prima.
< Certe cose non devono capitare > asserì decisa l’infortunata, indurendo lo sguardo.
Fece un profondo respiro prima di continuare. Sentiva di nuovo gli occhi lucidi.
< L’ho fatta andare via > sussurrò, come se si stesse sforzando di ammetterlo a sé stessa.
Cercò di mantenere un contegno, ma in poco tempo si ritrovò con il respiro spezzato e gli occhi lucidi. Si sentiva  così debole e patetica da avere l’insano desiderio di grattarsi le braccia fino a farsi male, come era successo la notte precedente. Chiuse gli occhi per riprendere la calma, ma davanti a lei non vedeva altro che lo sguardo ferito di Zena.
< L’ho delusa > aggiunse, dopo il primo singhiozzo.
< Adesso basta > terminò Anja con tono severo, continuando a osservarla.
Lyn si girò verso di lei con il viso rigato dalle lacrime.
< Vieni qui > disse Anja, scendendo dal muretto e allargando le braccia.
Lyn ci si buttò quasi a peso morto e si aggrappò a lei come se stesse per sprofondare nel terreno. La bionda richiamò ogni fibra del suo corpo per non perdere l’equilibrio. Si appoggiò delicatamente all’amica e insieme trovarono la perfetta via di mezzo per non cadere. Anja mise la sua mano sulla testa di Lyn, spingendola con gentilezza verso la sua spalla, sperando di farla sentire più protetta. Yeva era rimasta impassibile alla scena, mentre continuava a spiluccare il suo pranzo. Avrebbe voluto intervenire per aiutare Anja a portare il peso dell’amica, ma era consapevole di non dover interferire in alcun modo. In qualche maniera la bionda sarebbe riuscita a non stancarsi troppo per sorreggere una persona di quasi 10 cm più alta di lei. Forse la sua Anja non aveva così tanto bisogno di lei a volte, pensò Yeva, almeno non come lei stessa avesse bisogno della bionda. Non doveva preoccuparsi, sarebbe andato tutto bene prima o poi. O almeno era quello che pensavano lei, la ragazza che presto avrebbe avuto il corpo stanco e Lyn, che però non ci credeva davvero.
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Da quella partita non passò un giorno senza una lacrima. Che fosse pensando a Zena, che fosse per il dolore dei pugni al muro, che fosse per qualunque cosa le capitasse. Non sentiva più la forza di mostrarsi sorridente.  Non riusciva a nascondere tutto quel dolore. Quasi ogni giorno almeno una delle sue amiche passava del tempo con lei. E ogni volta Lyn si sentiva sempre più di peso, nonostante le rassicurazioni delle compagne.
Chissà cosa starà facendo Zena, si chiedeva in continuazione.
Le mancava così tanto. Sentiva quel vuoto all’altezza del petto diventare ogni giorno più pesante.
Né Anja, né Yuuko, né Ren riuscivano a fare qualcosa per farla stare meglio. Ci provavano con tutte le loro forze, ma era Lyn stessa che non voleva stare bene. Era convinta di non meritarselo e così facendo si stava autopunendo come suo solito. Sentiva il senso di colpa inghiottirla giorno dopo giorno sempre di più.
Le ragazze la portavano agli allenamenti con loro per non lasciarla sola, anche se per una quindicina di giorni non sarebbe stata in grado di allenarsi. Con il nuovo anno, Lyn aveva preso il posto di Masa come capitano e doveva occuparsi degli allenamenti e delle nuove ragazze. Non era di certo nel mood più appropriato per stare dietro queste cose, ma con l’aiuto delle sue amiche cercava di  fare del suo meglio.
Zena ovviamente non si era più fatta vedere in palestra e nessuno l’aveva più vista. Giusto Ren l’aveva sentita per messaggio, dopo che la bionda le aveva scritto per avvertirla che presto avrebbe lasciato la squadra in via definitiva. Ren non le aveva detto molto per cercare di farle cambiare idea, capendo bene la situazione in cui si trovava la ragazza. Le aveva solo chiesto di tenersi in contatto, perché comunque le sarebbe dispiaciuto perdere un’amica. Ma a parte qualche altro messaggio, non si erano più incontrate.

Quasi tre settimane dopo quella tragica partita, Lyn incrociò Zena per i corridoi durante un cambio dell’ora. I loro occhi si incontrarono per un attimo che alla mora sembrò infinito. Però lo sguardo che le rivolse la bionda era così freddo e distaccato che le si mozzò il fiato.
Se mi avesse guardata con odio avrebbe fatto di certo meno male, si disse. E invece i suoi occhi non esprimevano alcuna emozione, erano totalmente indifferenti, come se fra loro due non ci fosse mai stato niente.
Come se avesse rinnegato tutto quello che avevano passato.
Come se l’avesse dimenticato.
Come se loro due non fossero altro che due estranee.
Fu costretta a correre in bagno qualche minuto più tardi. Sentiva la sua povera colazione non voler stare più nello stomaco. Avvertì un suo compagno di classe che avrebbe passato un bel po’ di tempo alla toilette, dato che non si sentiva bene. Così se la professoressa avesse chiesto di lei, qualcuno le avrebbe saputo dire qualcosa.
Arrivata alla meta, aprì una porta a caso e la chiuse con il chiavistello subito, per poi dare di stomaco fino a rimettere non solo la misera colazione che si era concessa, ma anche i succhi gastrici. No, non sapeva proprio gestirle le emozioni forti, non era neanche la prima volta che si riduceva in quello stato. Quando aveva iniziato a giocare a pallavolo alle medie, le capitava sempre di stare così male prima delle partite, ma col tempo la cosa era decisamente migliorata. Quegli attacchi di vomito erano diventati ormai una cosa rara, riservati solo agli eventi più estremi. Probabilmente le emozioni che le aveva provocato quel fortuito incontro erano considerate estreme dalla sua mente, che l’aveva fatta reagire così.
Lyn si sedette a terra e poggiò la schiena al muro accanto al water. Aveva chiuso gli occhi e aspettava solo che quella brutta sensazione allo stomaco scemasse. Avrebbe voluto mantenere la testa libera dai pensieri, ma sembrava che non volessero darle tregua. Iniziò a piangere senza neanche accorgersene.

Anja la trovò per caso in bagno, seduta davanti la tazza a singhiozzare, dopo aver appena dato di stomaco.
Si accorse di lei sentendo uno dei suoi singulti mal soffocati. Sbirciò sotto le porte dei bagni finché non si accorse che l’unico occupato ospitava una ragazza chinata in terra.
< Ehi, tutto bene lì dentro? > chiese preoccupata la biondina, bussando alla porta.
In quel momento la ragazza nel bagno avrebbe voluto sotterrarsi. Di tutte le persone che potevano entrare in bagno, proprio la sua amica doveva beccarsi. Già faceva così tanto per lei tutti i giorni e adesso doveva darle anche questo peso. Non voleva sentirsi ancora più in debito di quanto già non si sentisse.
< Tutto bene > sussurrò Lyn, con voce fiacca, sperando che l’altra non capisse chi fosse.
Sarebbe stato impossibile per Anja non riconoscere la proprietaria di quella bugia.
< Lyn, santo cielo, che ci fai lì per terra? > chiese in ansia la ragazza.
Una fioca risata amara arrivò alle orecchie della biondina.
< Il water si sentiva solo > rispose sarcasticamente l’altra.
< Lyn > la rimproverò la compagna.
< Dai, aprimi, così ti aiuto > disse poi, con tono  più indulgente.
< Perché sprechi così tanto tempo e pazienza con me nonostante non cambi mai nulla? >
Quante volte gliel’aveva fatta quella domanda?  L’aveva sentita così tante volte che era quasi stanca di ascoltarla. Di solito se ne usciva con cose del genere durante uno dei suoi sfoghi, non era una cosa nuova.  
< Perché sono stupida, Lyn. Avrei dovuto lasciarti stare tanto tempo fa, non credi? > disse Anja, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Si passò la mano fra i morbidi capelli corti sulla nuca, prendendo un bel respiro. Voleva entrare nel bagno il prima possibile.
< Infatti, non ti capisco > la seguì l’altra, sapendo bene che l’amica stava mentendo.
< Già, neanche io. Ma adesso aprimi > sembrava quasi scocciata. Era strano sentire la voce dell’amica assumere quel tono, visto che era sempre cordiale e gentile.
Appena sentii lo scatto della maniglia, Anja aprì lentamente la porta, nonostante la preoccupazione. La prima cosa che vide fu il vomito di Lyn nel water, accompagnato dal suo pungente odore. Poi notò la sua faccia pallidissima e i suoi occhi arrossati, ancora bagnati dalle lacrime. E infine si accorse dei nuovi lividi e dei nuovi graffi che adornavano le braccia dell’amica.  
Sentiva un leggero prurito sulle mani. Voleva mollarle un ceffone in piena guancia.
Lyn le sorrise, come se la stesse schernendo.
< Lo so che vuoi darmi uno schiaffo > la canzonò, guardandola dritta negli occhi. La ragazza mora si sentì patetica a dire quelle parole. Ovvio che voleva darle uno schiaffo, se lo sarebbe data anche lei da sola.  
< Ah, stavolta hai perfettamente ragione > le sorrise tirata Anja, mentre si accucciava a terra vicino a lei.
Prese qualche strappo di carta igienica e le pulì per bene la bocca sporca di vomito. Poi avvicinò la sua fronte a quella dell’amica, per poi sbatterci contro con un po’ di forza, facendo leggermente male a Lyn, che contrasse i volto in un’espressione sofferente.
< Devi smetterla, sul serio > le intimò la biondina, fulminandola con il suo sguardo ambrato. Soffriva anche lei a vederla in quello stato e intimamente si sentiva dannatamente debole per non avere la forza di farla stare meglio.
Si scambiarono un’intensa occhiata, poi Lyn abbassò lo sguardo.
< Tu non sai cos’è successo  > affermò la mora affranta.
< E allora dimmelo >
< Ho visto Zena per il corridoio e mi ha guardata nello stesso modo in cui si guarda uno sconosciuto > ringhiò Lyn, prendendo un bel respiro. Sentiva di nuovo le lacrime farle capolino dagli angoli degli occhi.
Non sapendo cosa risponderle, Anja si limitò ad abbracciarla, sentendo il viso di Lyn premere contro la sua spalla.
Le ragazze furono interrotte dal rumore della porta principale del bagno che si apriva e da una voce familiare.
< Anja, sei qui? > chiese Yeva svogliatamente, ma con una punta di agitazione. Entrava in ansia non appena la compagna si allontanava per più tempo di quello ipotizzato.
La bionda e Lyn si scambiarono un’occhiata d’intesa e insieme decisero di chiamare quella povera ragazza.
Yeva  sembrò scattare appena sentita la voce di Anja e si presentò tre secondi dopo davanti la porticina della toilette. Il suo sguardo interrogativo bastava più di mille parole.
< Ci aiuti? > le chiese sempre la bionda.
Anja e Lyn si presero per mano e tesero le altre verso Yeva. Delicatamente la ragazzona tirò su entrambe, ma velocemente si concentrò su Lyn, vedendola non molto stabile.
< Adesso ti portiamo alla macchinetta e mi fai il piacere di mangiare qualcosa, d’accordo? > disse la biondina all’amica, mentre tirava lo sciacquone.
Lyn annuì piano. Mangiare era il suo ultimo desiderio in quel momento, ma sapeva che se non avesse ripreso un po’ le forze non sarebbe andata avanti.
< Benissimo. Te la senti di camminare da sola? > le chiese Anja, voltandosi a guardarla. Trovò la compagna con lo sguardo fisso a terra, come se volesse sparire.
< Che orribile situazione  > constatò la moretta.
< Non stai rispondendo  >
< Sì, sì, ce la faccio > disse, scocciata, per staccarsi da Yeva e dar prova della sua autonomia motoria. Il dolore alla caviglia le era ormai passato, ma il vomito e la scarsa alimentazione di certo non la mantenevano in forze.
Yeva non le staccava mai gli occhi di dosso per paura che cadesse. Si distrasse solo un momento per sbirciare il viso della compagna. Anja sembrava scocciata, ma in realtà stava male anche lei. Come ogni volta che stava con Lyn, ultimamente.
Sorrideva di meno, sembrava più stanca, era meno gioviale. Yeva non se l’era fatto scappare questo cambiamento. Aveva cercato di aprire l’argomento con Anja, ma non erano arrivate a una soluzione. Finché Lyn non si fosse ristabilita, dovevano cercare di aiutarla il più possibile. Si era anche offerta di sostenerla da sola, se Yeva non se la fosse sentiva, ma questa aveva rifiutato categoricamente. Non era l’attività più divertente del mondo, se ne rendeva conto, ma non avrebbe lasciato sola la bionda in quel modo.
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Il giorno seguente Lyn ebbe la brillante idea di passare l’intervallo con i suoi amici della squadra maschile, dato che non si erano visti molto in quel periodo. Tutti erano impegnati con il proprio club e la ragazza non se la sentiva di spiegare anche a loro la situazione in cui si trovava. Daichi e Sugawara erano sì dei suoi amici stretti, ma non voleva appesantirli con i suoi problemi, per questo aveva scelto di non dir loro nulla, soprattutto al capitano. Gli voleva bene e le era immensamente grato per tutto quello che aveva fatto per lei, ma non voleva ritrovarsi il suo sguardo inquisitorio addosso. Quindi cercò di mascherare tutta la sua tristezza e mostrarsi il più normale possibile.
Entrò nella classe dei ragazzi e li trovò seduti a propri banchi, uno accanto all’altro. Si salutarono sorridendo, poi la ragazza si sedette davanti al ragazzo dai capelli neri.
< Daaaichi, organizziamo una partita? Siamo poche quest’anno per fare un sei cont-> Lyn, vedendo l’occhiataccia che gli stava rivolgendo l’amico, non finì la frase.
< Non prendermi per scemo, finché non chiarisci con Zena niente partite di allenamento > ordinò il capitano della maschile.
Lyn sentì riaffiorare il dolore che aveva cercato di nascondere. Aggrottò le sopracciglia e guardò perplessa l’amico.
< E tu che ne sai che devo chiarire con lei? > domandò poi, stizzita.
< Lo so e basta. La mia decisione tanto rimane quella > ribatté il corvino in tono severo.
< La fai facile tu > commentò la ragazza, alzando gli occhi al cielo. Aveva già rinunciato a scoprire chi fosse la spia, tanto sapeva che l’amico non gliel’avrebbe mai detto e trovare il colpevole non avrebbe cambiato nulla.
< Devi solo prendere un po’ di coraggio, Lyn. Per una volta fai quello che vuoi fare, non quello che ti imponi di fare > sentenziò Daichi, deciso.
< Molto saggio, capitano > lo prese in giro, sperando di deviare la conversazione, ma si prese solo un’altra occhiataccia.
Il ragazzo stava per dire qualcosa, ma venne interrotto dalla voce del compagno accanto a lui, che fino a quel momento aveva ascoltato in silenzio la conversazione.
< Perché non le scrivi un bigliettino? > s’intromise all’improvviso Sugawara.
La ragazza lo guardò come se avesse appena detto la cosa più strana che avesse mai sentito.  
< Un foglietto con qualcosa di scritto, tipo “ci vediamo in cortile alle 14”, non lo so, serve solo per vedervi. Glielo lasci sul banco e poi aspetti > spiegò Sugawara con il suo tipico tono gentile, sorridendo appena.
La moretta si prese un momento per pensarci su. Non era una cattiva idea, in teoria, peccato che in pratica lei era dannatamente spaventata al solo pensiero di rivedere ancora la ormai ex fidanzata.
< Potrai nasconderti quanto vuoi, ma finché non avrai un confronto con Zena, non ne uscirai mai. Anche se finiste per urlarvi contro e decidere di non parlare mai più, almeno potresti metterci una pietra sopra > sentenziò Daichi, con le braccia conserte e lo sguardo duro. Non gli piaceva quando i suoi amici si facevano prendere dalla paura e dai dubbi fino a non riuscire ad agire. Rimanere inerte non portava mai a nulla di positivo.
La ragazza, dopo aver riflettuto qualche attimo sulle parole dell’amico, assunse un’espressione esaltata totalmente fasulla. Cercò di essere il più teatrale possibile.
< Ce l’ho! Ecco cosa posso scriverle: “Ehi, ho un idea! Che ne dici di smettere di essere arrabbiata con me? No perché mi stai davvero ferendo”. Non sarebbe perfetto? > disse Lyn, con dell’entusiasmo così finto che Sugawara stesso si portò una mano alla fronte.
< Ma per favore > commentò  la ragazza tornando al suo solito tono cinico, sospirando.
< Non posso fare una cosa del genere, con quale faccia lo farei > concluse poi, con lo sguardo triste.
Daichi impiegò fino all’ultimo briciolo della sua pazienza per non per non urlare e rimproverare Lyn in malo modo. Continuava a ripetersi che le voleva bene e che non doveva trattarla male, e che se avesse sbottato in qualche modo si sarebbe sorbito anche la predica di Sugawara.
< Qualunque battuta tu possa pensare, non cambierò comunque idea. Finché la storia non arriva da qualche parte, niente allenamenti e partite insieme. Sono irremovibile > sentenziò il capitano, lo sguardo fisso sulla compagna. Per quanto fosse arrabbiato, riusciva chiaramente a vedere lo sguardo velato di malinconia che le scuriva il viso.
Lyn si sentì toccare leggermente le spalle. Il vicecapitano della squadra maschile ci aveva appena poggiato le mani, forzandola a guardarlo fisso negli occhi nocciola.
< Puoi farcela, tutti qui credono in te > affermò, mutando la sua classica espressione gentile in una maschera di serietà.
< Non ti proporremmo mai una cosa che non sei in grado di fare. Sei forte abbastanza da superare tutto, lo penso dal profondo del mio cuore > finì il suo discorso Sugawara, dando una leggera pacca sulla spalla sinistra alla ragazza.
Fa’ che abbia ragione pensò Lyn, guardando gli occhi rassicuranti del vicecapitano e lo sguardo torvo di Daichi.
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Voleva dare di stomaco di nuovo. Con quale coraggio aveva scritto quel biglietto?
“Durante l’intervallo sono in terrazza, potresti raggiungermi? Dovrei chiederti una cosa.”
Avrebbe voluto scrivere qualcosa di più, ma Anja le aveva imposto quel piccolo foglietto apposta per impedirle di scrivere un poemetto.
Appena aveva sentito il suono della campanella che segnava l’intervallo, Lyn era volata in terrazza.
Aveva così tanta ansia che voleva vomitare. Aveva  però fatto una promessa ad Anja, Daichi e Suga, e per quanto non ci credesse veramente, le avevano fatto capire che loro credevano nella sua forza.
Io non so dove la vedano tutta questa forza  pensò, osservando intensamente l’ingresso del terrazzo.

Quando sentì cigolare la maniglia della porta, il conato si fece più forte.
Lei, appoggiata al muro della casupola delle caldaie dall’altra parte della terrazza, vide solo la porta aprirsi piano. Nascosta dall’ombra, osservò attenta l’entrata di Zena. Aveva un passo deciso. Il viso torvo. I denti stretti. Gli occhi fin troppo decisi. Eppure Lyn riusciva a vedere chiaramente la sua ansia, nonostante la determinazione e il distacco che si stava sforzando di mostrare.  
La mora uscì dal suo posto all’ombra ed entrò nel campo visivo di Zena, avvicinandosi fino alla distanza giusta per parlare senza urlare. Non si salutarono. Lo sguardo che si scambiarono bastò ad entrambe. Sapevano che più parole si fossero scambiate, più la maschera che indossavano si sarebbe sgretolata, e nessuna  delle due voleva perdere quel contegno che si erano autoimposte.
Lyn deglutì una volta sola prima di parlare, nella sua testa era ben chiaro il piccolo discorso che si era preparato per l’occasione.
< Grazie di essere venuta > iniziò, con un tono impostato, segno della sua ansia.
< Sono qui in veste di capitano per chiederti di ritornare a giocare in squadra. Il tuo apporto sarebbe davvero utile sia in fatto di numeri che in fatto di sostegno morale. E con questo non sottintendo che tu riallacci un rapporto amichevole con tutte le giocatrici, quello sarà a tua scelta. Che tu voglia essere un’estranea o un’amica per le altre a me non interessa, finché questo non crea problemi all’interno della squadra > disse, determinata a non crollare.
La bionda la guardava attenta, ostinata almeno tanto quanto lei.
Lyn  lasciò un po’ di tempo all’altra per riflettere e per decidere una risposta. Dal tempo che la bionda ci stava mettendo, sembrava si stesse sforzando davvero a non rispondere di getto come era solita fare.
< In pratica siete in poche e vi serve gente > rispose risoluta Zena.
A me non serve una qualunque, servi tu, cazzo  fu il primo pensiero di Lyn, ma non poteva dirlo, doveva mantenersi fredda. Quel poco orgoglio che usciva fuori di tanto in tanto glielo stava imponendo.
< Mettiamola in questi termini se ti fa più comodo. Sta di fatto che in squadra c’è bisogno di persone e un’ex giocatrice sarebbe la scelta migliore > affermò la mora.
< D’accordo, facciamo che ci penso > ribatté Zena, in tono quasi arrogante. La presenza di Lyn iniziava a darle sui nervi. Quella situazione mai risolta la metteva a disagio. Infatti si era già incamminata per andare via quando la voce di Lyn la bloccò.
< Sarà una cosa un po’ scontata da dire, ma questa non è una cosa fra me e te. È una cosa che riguarda la squadra intera > sibilò.
Lyn dentro di sé sorrise quando la compagna si voltò. Stava giocando sporco tirando fuori un commento del genere, ma doveva vedere quanto Zena era decisa a finirla lì. Se avesse ribattuto di nuovo con quell’arrogante calma sarebbe tutto finito, l’avrebbe liquidata con una frecciatina e l’avrebbe lasciata lì, da sola. Invece se si fosse arrabbiata ci sarebbe stata ancora una speranza, perché se Zena avesse ceduto alle sue emozioni, voleva dire che queste erano troppo forti per gestirle e che in parte ci teneva ancora. La bionda non era capace di condurre una guerra psicologica così sottile se i suoi sentimenti erano forti, quindi se si fosse mostrata risoluta fino alla fine, significava che volesse davvero chiudere definitivamente la questione.
Un guizzo nei verdi occhi di Zena colpì Lyn. Aveva lo stesso sguardo ferito di quella volta, quella dannata volta in cui tutto si era sgretolato.
< Non è una cosa fra me e te, dici? Forse ti sei già dimenticata che in quel campo ci giocavamo insieme e che quella è la nostra squadra > ringhiò, calcando la voce sulla parola “nostra”.
Vide la bionda farsi più vicina, come se volesse affrontarla a viso aperto. Lyn decise di non perdere la calma, o sarebbe stato il peggio. Doveva resistere o avrebbe pianto o, peggio, dato di stomaco. E non voleva mettersi in ridicolo così.
< No, non l’ho dimenticato ma resta il fatto che il favore te lo sta chiedendo la squadra, non solamente io > ribatté.
< Una squadra capeggiata da te, adesso. Una squadra in cui tu sei il punto di riferimento e non ci sono né Masa, né Akira e né tantomeno Naoki a mettere pace fra di noi > asserì decisa la bionda, un accenno di rabbia nella sua voce.
< Non capisco dove vuoi arrivare > rivelò infine Lyn, confusa.
< Voglio arrivare al punto di farti capire quello che vedo io. Sicuramente anche le altre ti avranno spinto a chiedermi di tornare, ma tu hai preso l’ultima decisione, in qualità di capitano. E anche se dici che stai facendo un favore alla squadra, hai deciso di farmi venire qui perché io servo a te, Lyn. Perché se davvero avessi voluto chiudere con me, ti saresti impegnata in altri modi per non far sentire la mancanza di persone alle ragazze. Perché tu sei fatta così e non saranno stati due mesi a cambiarti > sputò la bionda, come se se ne stesse convincendo anche lei.
Lyn a quel punto ebbe la conferma che Zena non voleva davvero andare via. E, soprattutto, che nessuna delle due stava bene senza l’altra. La mora strinse i denti, respirò a fondo e controllò le lacrime. Adesso poteva lentamente buttare giù la maschera, o almeno provarci.
< E, dimmi, anche se fosse così, cosa cambierebbe? Oppure potrei anche negare tutto quello che hai detto, potrei dirti che lo sforzo che ti sto chiedendo sarebbe solamente per la squadra, ma la decisione spetta sempre a te. Sei tu quella che adesso ha la facoltà di decidere. O con noi o senza di noi > asserì la ragazza mora, facendo trasparire una certa tensione nella voce. Aveva iniziato a passare la mano sulle pieghe della gonna, quasi senza accorgersene.
< Volevi dire o con te o contro di te > corresse Zena con un sopracciglio alzato.
< Perché quella che ne soffrirebbe di più alla fine, saresti tu > si spiegò meglio.
< Potrebbe anche darsi, ma cosa ti importa? > la provocò apertamente Lyn, gli occhi ridotti a due fessure.
Lo sguardo e la postura di Zena cambiarono repentinamente. Era furiosa con sé stessa. Aveva la possibilità di riallacciare i rapporti con quella che era la sua ragazza, a patto che avesse calato il muro dell’orgoglio. 
Iniziò a camminare verso la porta per andarsene e porre fine a quella conversazione. Non sarebbe stata lei la prima a scoprirsi.
< Non credevo che un orgoglio ce l’avessimo anche noi > disse Lyn ridacchiando nervosamente, fermando di nuovo Zena.
< Ti ricordi che eravamo noi quelle che prendevano in giro le coppie che smettevano di parlarsi solo perché “non sarò io a fare il primo passo”? E guardaci adesso > continuò, grattandosi le braccia. Sentiva pizzicarsi gli angoli degli occhi. Inevitabilmente, fra qualche momento avrebbe iniziato a piangere. Non ce la faceva più.
Basta frecciatine. Basta guerre psicologiche. Quella farsa poteva anche terminare lì.
< Mi sei mancata, Zena. Tantissimo. Non è passato giorno, da quella maledetta partita, in cui non abbia pianto per averti accusato in quel modo, per averti ferito, per aver rovinato tutto > iniziò Lyn con la voce tremolante. Dalle braccia era passata a grattarsi le mani. Era così difficile per lei esprimere quello che aveva dentro.
Zena si voltò a guardarla di nuovo, vedendola per la prima volta. Ai suoi occhi quella figura, che si mostrava sempre positiva ed energica, si mostrava in tutta quella fragilità che aveva sempre cercato di nascondere. Non le sfuggì il modo in cui l’uniforme le stava stranamente larga, quando prima di tutto quel casino le stava perfettamente. Il viso sembrava così pallido rispetto alle occhiaie che le si erano formate sotto le palpebre. Persino i capelli, tenuti sempre ordinati e pettinati, parevano quasi più spenti e crespi. La cosa che catturò i suoi occhi però, era lo stato delle sue braccia, coperte da lividi e graffi sulla maggior parte della superficie. A Zena mancò per un attimo il fiato.
< Non è passato giorno in cui non mi sia incolpata di tutto il male che ti ho provocato. Non è passato giorno in cui non mi sia punita in qualche modo per scontare questa pena. E ancora non basta. Ancora non mi sono perdonata. E quindi, mi chiedo, come posso sperare che lo faccia tu? > continuò, cominciando a singhiozzare. La prima lacrima lasciò il viso della ragazza mora per cadere a terra, dove lasciò un piccolissimo alone scuro.
Zena, in tutto ciò, aveva continuato a guardare Lyn mentre parlava, non sapendo che fare. Presto avrebbe pianto anche lei e vedendo la compagna in quelle condizioni, si sentì tremendamente in colpa per essersela presa così tanto. All’improvviso dimenticò tutto quello che si era prefissata subito dopo l’accaduto. Tutti quei “Non voglio più vederla” e “Non la perdonerò mai” finirono nel dimenticatoio. O meglio, Zena decise che quelle erano tutte questioni inutili, senza capo né coda.
Fece uno scatto e annullò la distanza che la separava da Lyn, in lacrime. L’abbracciò, sperando di alleviare tutto il dolore che le aveva provocato con le sue idiozie. Non disse nulla, ma la strinse forte, come se non volesse lasciarla più.
Chissà quanto male si era fatta per punirsi. Chissà quali segni portava addosso oltre ai lividi sulle mani e sulle braccia, oltre alla perdita di peso, oltre alle occhiaie marcate.
Chissà quali segni portava dentro di sé.
Chissà quanto dolore. Forse troppo per una persona sola.
E a questi pensieri, anche Zena iniziò a singhiozzare sonoramente. Lyn le cinse la schiena con il braccio sinistro, mentre la mano destra andò sulla sua nuca, in mezzo ai capelli. Quel gesto così istintivo fece ricordare alle due ragazze cosa significava sentirsi a casa dopo un lungo periodo lontano.
Come avevano fatto a stare così tanto tempo senza l’altra?
 
 
 
 

 
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Ringrazio vivamente chi è arrivato a leggere fino a qui.
Mi auguro che almeno un po’ vi sia piaciuto e che non vi sia sembrato troppo strano. Per ogni commento, critica o domanda, mi trovate sempre disponibile.

Saluti,
Why_
 
  
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