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Autore: flyerthanwind    22/04/2020    2 recensioni
Sono stufa. Questa estenuante situazione non può andare avanti, siamo ad un punto morto. Io e Caleb non parliamo da quattro giorni. Lui è troppo orgoglioso e impegnato per venire a scusarsi. D'altra parte, io non ho la minima intenzione di tornare da lui per supplicare le sue scuse e lasciarmi abbindolare dai suoi occhioni scuri. Ogni volta la stessa storia, non si può nemmeno discutere perché subito inizia a ripensare a tutto ciò che lo fa arrabbiare e sbotta. Deve capire che non può comportarsi sempre così, come se tutto gli fosse dovuto, come se dovessi adorarlo anche solo se mi degna di uno sguardo.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Universitario
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Sono stufa. Questa estenuante situazione non può andare avanti, siamo ad un punto morto. Io e Caleb non parliamo da quattro giorni. Lui è troppo orgoglioso e impegnato per venire a scusarsi. D'altra parte, io non ho la minima intenzione di tornare da lui per supplicare le sue scuse e lasciarmi abbindolare dai suoi occhioni scuri. Ogni volta la stessa storia, non si può nemmeno discutere perché subito inizia a ripensare a tutto ciò che lo fa arrabbiare e sbotta. Deve capire che non può comportarsi sempre così, come se tutto gli fosse dovuto, come se dovessi adorarlo anche solo se mi degna di uno sguardo.
Ma non voglio pensarci. Riesce a rovinarmi la serata anche quando non mi sta tra i piedi. Io non dimentico il modo in cui mi ha guardata la prima volta che mi ha vista, così come tutte le altre. Sembrava che volesse portarmi via da lì per non smettere mai di mangiarmi con gli occhi, impedendo a chiunque altro di avvicinarsi.
La possessività è sempre stato il suo punto debole: mi ha trattata come se fossi stata sua dal primo momento in cui mi ha notata, come se fosse convinto che io abbia sottoscritto qualche contratto per cui devo obbedirgli e soprattutto non farlo arrabbiare. L'altro suo punto debole è proprio la rabbia, il viso che gli si infuoca quando qualcosa non va per il verso giusto e subito ricorre alle mani per rimettere le cose come gli giovano.
«Andiamo, Bella, vieni a ballare, c'è un bel moro che non ti ha tolto gli occhi di dosso» mi urla la mia amica, cercando di sovrastare la musica nel locale. Sono abituata a volumi del genere, ma stasera i miei pensieri fanno troppo rumore, quindi mi risulta fastidiosa.
Le rispondo con una smorfia dicendole di essere stanca e che tra poco me ne andrò a casa. Non è una menzogna, sono davvero sfinita. Oggi ho avuto lezione fino alle 18:00 e non vedo l'ora di riposarmi questo week-end che non sono sotto esame.
Faccio per alzarmi ma vengo raggiunta da un ragazzo, probabilmente quello di cui parlava Carolina. Mi sorride amabilmente e mi precede fuori dal locale. Ha i capelli corvini corti sui lati del capo mentre un ciuffo si infrange sulla fronte. Nella penombra dei lampioni non vedo il colore dei suoi occhi.
«Io sono Aldo» si presenta, tendendomi la mano, «Tu devi essere Bella» continua, rendendosi conto solo dopo aver parlato del gioco di parole.
Gli sorrido di rimando, ma davvero non ho voglia di passare del tempo con lui.
«Isabella. Mi chiamo Isabella» sentenzio brusca, non riuscendo in ogni caso a spegnere il sorriso sulle sue labbra.
«Beh, Isabella, posso darti un passaggio a casa?» domanda, indicando il parcheggio adiacente al locale.
«No grazie, abito qui vicino» rispondo cortese; non ci penso nemmeno a mettermi in macchina con uno sconosciuto, per di più consigliatomi da Carolina. Devo ricordarmi di chiederle il motivo per cui continua a tentare di accoppiarmi nonostante sappia della mia situazione con Caleb.
«Allora ti tengo compagnia» propone, ancora sorridente. Mi domando come faccia ad essere così arzillo a quest'ora della notte dopo aver subito ore e ore di lezione.
Forse non è uno studente, magari è un nullafacente. Sono curiosa di sapere qualcosa in più ma credo sia meglio tenere la bocca chiusa, non vorrei dargli false speranze.
«Quindi...» esordisce per colmare il silenzio, «Sei una studentessa?».
«Sì» rispondo semplicemente, affrettando il passo e sperando non lo noti. Qui fuori si gela e il mio vestito non è propriamente coprente, non vorrei beccarmi una polmonite proprio la settimana prima di tornare a casa, mia nonna non me lo perdonerebbe mai.
«Io studio giurisprudenza» sentenzia, continuando ad affiancarmi e lanciandomi di tanto in tanto qualche occhiata di sbieco. Non sembra a disagio, probabilmente ha bevuto abbastanza per provarci senza alcuna dignità e ricordarselo domani.
«Io sono arrivata» gli sorrido, indicando il palazzo al di là della strada. Un gruppo di ragazzi sta entrando nel condominio, così decido di mollare lì il moro e salire insieme a loro perché non sono sicura di aver preso le chiavi del portone.
«A presto» mi urla lui, continuando a osservarmi mentre mi mescolo agli altri. Tra di essi un volto familiare si fa spazio per raggiungermi.
Diamine, non ho proprio voglia di litigare ora.
«Chi è quello?» domanda furioso parandomisi davanti, e addio buoni propositi.
«Non sono affari tuoi» gli rispondo spintonandolo e iniziando a salire le scale. Gli altri non fanno caso a noi, sono abituati a scenette di questo tipo o semplicemente troppo sbronzi per rendersi conto di ciò che gli succede attorno.
«Isabella» mi chiama, il tono perentorio che non ammette repliche, ma non ho intenzione di fermarmi. Non sono un soldatino ai suoi ordini.
«Non puoi fare così!» esclama, sbattendo la mano contro la porta del mio appartamento. Naturalmente è vuoto, Carolina è ancora al locale mentre l’altra coinquilina è già tornata casa.
«A quanto pare posso» concludo sbattendogli la porta in faccia, ma riesce a bloccarla con il piede prima che si chiuda, insinuandosi così all'interno dell'abitacolo.
«Caleb, vattene» gli intimo, posando la giacca all'attaccapanni e iniziando a togliermi i gioielli. Senza scarpe sono molto più bassa di lui e in questo momento non voglio sentirmi in sua balia, dunque rimango con i tacchi.
«Questo vestito è troppo corto» sentenzia, squadrandomi dalla testa ai piedi.
«Troppo tardi, sono già uscita» gli rispondo salace, sperando di allontanarlo.
Se dipendesse da lui, mi manderebbe in giro solo con il velo integrale, celando al mondo il mio corpo per tenerlo solo per sé. Ovviamente i suoi commenti mi hanno sempre lasciata indifferente e non ho mai cambiato il mio modo di vestirmi solo per compiacerlo.
Mi stupisce che si sia presentato sotto casa e che abbia persino aspettato che tornassi, non è decisamente una cosa da lui. È abituato ad ottenere ciò che vuole solo schioccando le dita e vorrei domandargli perché si trova qui adesso, ma sono sfinita e ho bisogno di dormire.
«Oh God» sospira con la sua voce roca, bassa. Il fatto che parli inglese non prospetta nulla di buono, ma poco mi importa. «Caleb, vattene» ripeto un'altra volta sperando che mi ascolti, ma invano.
«No» mi sussurra all'orecchio; non capisco nemmeno se stia parlando in italiano dato che l'accento inglese risuona tra le pareti, lo stesso accento che mi ha mandato in tilt più di una volta.
Mi circonda la schiena, incrociando le mani davanti al ventre mentre prende a mordicchiarmi l'orecchio; il maledetto sa quanto io sia sensibile in quel punto e vorrebbe farmi capitolare in pochi istanti.
«Caleb» tento di nuovo, ma la mia voce è ridotta a un sussurro e posso sentirlo ghignare alle mie spalle mentre mi attira maggiormente a sé. Ma questa volta non l'avrà vinta.
Gli tiro una gomitata nello stomaco per fargli mollare la presa ed esco dalla stanza, tornando in cucina. Mi segue con sguardo interrogativo, se fossimo in un cartone adesso avrebbe il fumo che gli esce persino dalle orecchie.
«Isabella» ritenta, senza ottenere risposta alcuna.
Una delle cose che ho apprezzato di lui, sin dal primo istante, è stato che mi ha sempre chiamata col mio nome per intero. Niente abbreviazioni, niente Isa, niente Bella, niente Bel, niente amore, niente piccola, niente baby, solo il mio nome. Nei momenti più intimi è eccitante sentire che non riesce a pronunciarlo a causa del fiato corto.
«Ma cosa ti ho fatto» continua, alzando leggermente il tono. Sa bene che non può permettersi di urlare con me e che se i vicini ci denunciano per schiamazzi -sempre che non siano troppo ubriachi- darò tutta la colpa a lui.
«Mi hai urlato contro» affermo, poggiando le braccia sul piano in marmo della cucina e voltandomi per guardarlo in faccia. Spero solo di riuscire a reggere il contatto visivo.
«Oh, tu sei la solita esagerata» asserisce, avvicinandosi nuovamente a me.
Spalanco gli occhi e si accorge che qualcosa non va, così si ferma un attimo a pensare.
«Hai tirato un pugno alle piastrelle della mia cucina e ne hai frantumante tre» sbraito, alzando il tono. Sembra che ci sia bisogno dirle ad alta voce le cose, altrimenti non gli entrano proprio in testa.
«Non ho colpito te» proclama arrabbiato, scrollando le spalle.
Questa situazione non può proprio protrarsi ancora. Sebbene Caleb sia estremamente impulsivo, ho la certezza che non mi toccherebbe mai con l’intento di farmi male; ciò non toglie che i suoi scatti d’ira stiano ormai diventando intollerabili.
«Se fossi stata un uomo non avresti esitato. Devi imparare a controllare la rabbia, razza di scimmione» concludo colpendogli il petto a pugno chiuso, consapevole di non avergli fatto male.
«Però tu vuoi questo scimmione» ripete, facendomi il labbruccio e avvicinandosi pericolosamente. Un altro passo e non so se riuscirò ad allontanarlo di nuovo, già in camera ho dovuto fare uno sforzo immane.
«No, Caleb, si gioca secondo le mie regole» asserisco, poggiandogli una mano sulla spalla e impedendogli di avvicinarsi troppo. Gli angoli delle labbra rosee si innalzano in un sorriso malizioso mentre gli occhi scuri mi scrutano incuriositi.
«Ai suoi ordini, Miss» proclama beffardo, allargando le braccia per mostrare i muscoli che allena giornalmente in palestra. Pavoneggiarsi è il suo hobby preferito, secondo solo alla boxe probabilmente.
«Io non do ordini, al contrario di qualcuno» asserisco, lanciandogli un'occhiata tagliente.
«Mi sento ferito nel profondo» si batte una mano sul petto, facendola poi scivolare sotto al maglione. So che li sotto ci sono degli addominali su cui vorrei lasciare una lunga scia di baci e una linea che vorrei percorrere con le dita prima che sparisca sotto la cintura.
«Ti sei incantata?» domanda con voce roca, sussurrando direttamente al mio orecchio.
«Mai» replico dandogli le spalle nel tentativo di uscire dalla stanza, ma lui mi blocca e mi attira a sé, facendo scontrare il suo petto e la mia schiena.
«Levati quei cosi» ordina, riferendosi ai tacchi. Odia quando non riesce a piegarsi su di me come piace a lui, torreggiando dalla sua altezza e stringendomi come fossi il più delicato e bello dei fiori, ma non avrà questa soddisfazione, non stavolta.
«Non mi dare ordini» replico salace, tentando di divincolarmi. Naturalmente la sua forza è eccessivamente maggiore della mia, indi per cui l'unico obiettivo che raggiungo è finire confinata in un angolino della cucina mentre le sue braccia iniziano a scivolare sul mio fondo schiena. Le sue mani si muovono con sicurezza: mi conosce, sa quali sono i miei punti deboli e quelli che mi fanno cedere, conosce i gemiti che proferisco quando mi solletica le natiche, infilandosi direttamente sotto la gonna.
«Meglio non togliere le scarpe» continua a baciarmi il collo e le clavicole mentre con le mani si infila negli slip e stringe la pelle nuda e calda delle natiche. Se non avessi le scarpe la differenza d'altezza sarebbe maggiore e si troverebbe in difficoltà a fare entrambe le cose contemporaneamente.
«Giù le mani, Caleb» esclamo spintonandolo via. Tira i miei slip e li sfilo, gettandoli in camera insieme alle scarpe col tacco. Sono io che comando il gioco adesso, so che non sa resistermi.
«Questo vestito è troppo corto» sentenzia nuovamente mentre io ancheggio, dandogli le spalle. Mi sto atteggiando come una pornostar qualsiasi ma poco m'importa, so che odia non avere il controllo e so anche che il suo cervello fatica a tenere il ritmo quando prendo l'iniziativa.
«Non mi sembra ti dispiacesse, prima» lo provoco ancora, sedendomi a gambe accavallate sul letto della mia stanza.
Basta fargli l'occhiolino per vederlo gettarsi a capofitto su di me, trascinarmi al centro del letto e baciarmi con foga, desideroso di ottenere ciò per cui è venuto. Finisce sempre così: io che lo perdono senza avere le mie scuse e il bacio del buongiorno sul letto sfatto.
Ma stavolta sarà differente, io voglio divertirmi e fargli comprendere che non può sempre comportarsi come un riccone viziato a cui tutto è dovuto.
Lascio che mi baci senza muovere un muscolo, combattendo contro me stessa per impormi di non lasciarmi sfuggire gemito alcuno. Quando prova a togliermi il vestito, però, mi guarda stupito dato che gli sorrido sorniona tenendo le gambe serrate.
«Tu vuoi farmela pagare» sospira sconsolato gettandosi accanto a me con le mani in faccia, l'erezione già prorompente tra le sue gambe.
«Puoi giurarci» affermo convinta, continuando a sorridere sorniona. Non riesco a comprendere se in questo momento sia più eccitato o arrabbiato, ma sono consapevole che la linea tra i due sentimenti è alquanto labile.
«Ai suoi ordini, Miss» pronuncia nuovamente le stesse parole, sottolineando con un diverso tono la parola più importante della frase. È cresciuto dando ordini a chicchessia e per questo si sente in dovere di farlo anche nei confronti di coloro a cui non può impartirli, dunque ho deciso di insegnarli a subire senza ricevere alcun ordine.
«Vorrei dell'acqua» lascio aleggiare nell'aria, premurandomi di utilizzare il condizionale per assicurarmi che, alla fine di questa serata, impari davvero la lezione. Naturalmente sa a malapena cosa sia un condizionale, complice l'assenza di quel tempo verbale nel suo idioma madre, per cui mi guarda di sottecchi cercando di comprendere le mie intenzioni.
Poiché non si muove dalla sua posizione, decido di persuaderlo ad alzarsi dal mio letto iniziando a muovermi freneticamente e ad urtarlo più volte, finché non sbotta.
«E va bene!» esclama, dirigendosi in cucina mentre io mi siedo sul letto, attendendo il suo ritorno. Ha il viso imbronciato, ma le rughe sulla sua fronte mi fanno capire che sta ancora tentando di indovinare ciò che ho intenzione di fare.
Lo ringrazio dandogli un bacio sulla guancia e bevo il mio bicchiere d'acqua con le labbra arcuate da un sorriso malizioso e gli occhi inchiodati nei suoi. Sono bellissimi, neri come la pece al punto che è praticamente impossibile -complici anche le luci soffuse della mia camera- distinguere l'iride dalla pupilla. Sembra perennemente arrabbiato o fatto, a seconda.
Gli infilo una mano nei capelli corvini prima di porre la mia seconda, implicita, richiesta: «Questi tacchi sono davvero scomodi».
Anche Caleb adesso mi sorride malizioso, posizionando una mano tra le mie cosce mentre domanda: «E io che ci guadagno?».
Gli lancio un'occhiata significativa, tirando all’indietro i suoi capelli corvini e costringendolo ad inclinare la testa. Mi guarda indispettito, le labbra tese in una linea parallela al pavimento, ma slaccia gli stivaletti senza fare alcun commento, in silenzio, premurandosi di impiegare il maggior tempo possibile. Vuole imporre delle regole proprie ma oggi non posso proprio permetterglielo.
«Desidera qualche altra cosa, Miss?» domanda, gettando via gli stivali senza grazia. In una situazione differente mi sarei premurata di fargli notare che non ha rispetto per le cose altrui e che quelli sono i miei stivaletti preferiti, ma in questo caso mi limito a sbuffare.
«Vorrei un massaggio» dico sconsolata, sdraiandomi sul letto a pancia in giù, «Sai com'è, i tacchi sono scomodissimi per i piedi».
La faccia orripilata di Caleb è talmente impagabile che sono costretta a fissare il pavimento sotto i miei occhi per non ridergli in faccia, anche se con scarsi risultati data la mia risatina sommessa. So che un massaggio ai piedi non è esattamente il massimo del sex appeal, ma non ho davvero intenzione di farmelo fare. Non ai piedi, se non altro.
«Alle spalle, grazie» ordino con voce appena udibile, notando i suoi lineamenti rilassarsi. Credo che stia iniziando a comprendere il mio gioco, ma dubito che me lo renderà semplice.
Se c'è una cosa che ho imparato, da quando lo conosco, è che lui è perfettamente in grado di fare sempre il contrario di ciò che gli viene chiesto, di qualunque cosa si tratti. Anche se va a suo discapito, il suo obiettivo primario è dimostrare di non piegarsi ad eseguire gli ordini di nessuno. Eppure è qui, nella mia camera, mi ha portato dell'acqua e mi ha tolto gli stivaletti nonostante sia talmente schizzinoso da lavarsi i piedi pure prima di infilarsi le scarpe.
«Sei proprio una stronza» mi sussurra direttamente all'orecchio dopo essersi posizionato cavalcioni su di me. Una delle cose che ho imparato ad apprezzare per prima è sicuramente la sua capacità di fare i massaggi. Spesso l'ho preso in giro per la sua ostentazione di bravura, ma bisogna ammettere che ha davvero le mani d'oro.
Non appena poggia le sue mani sulla mia schiena, ancora coperta dal vestito, tutti i miei muscoli iniziano a rilassarsi. Chiudo istintivamente gli occhi, incapace di continuare a rimuginare quando Caleb si trova sopra di me e mi sta facendo un massaggio coi fiocchi. Mi accorgo a malapena che ha abbandonato il suo lavoro per tirare giù la zip del vestito. Non c'è nemmeno bisogno che mi arrabbi per la sua incapacità di contenersi, in men che non si dica gli ha già fatto fare la stessa fine degli stivali, abbandonati in un remoto angolo della camera.
«Sembra un massaggio porno» soffio appena, godendomi appieno il contatto tra le sue mani fredde e la mia pelle. Dice sempre che le alte temperature sono un toccasana per i massaggi, ma solo se vengono praticati con strumenti raffreddati. Naturalmente aveva ragione.
«Potrebbe diventarlo» sussurra con voce suadente al mio orecchio, mordicchiandolo appena. In realtà, dato che gli slip li ho sfilati tempo fa e che il vestito è stato sfilato senza repliche, lo è appena diventato. Non che mi dispiaccia, sia chiaro. Ho imparato ad apprezzare Caleb anche nei momenti di intimità, i contatti fugaci, i gemiti strozzati, i graffi, le carezze, le coccole, i "Sei bellissima" sussurrati tra un bacio e l'altro. Il silenzio.
«Limitati a tenere le mani sulla schiena, per ora» ci tengo a sottolineare l’ultima parte, voglio assolutamente fargli capire che, prima del lieto fine -che ormai è chiaro ci sarà dato che sono già nuda sul letto con le sue mani addosso- deve imparare la lezione.
«Scusa Isabella» sussurra al mio orecchio d’un tratto, dopo un lungo silenzio.
Mesi fa, quando ci siamo conosciuti, non avrei mai pensato che dalla sua bocca potesse uscire quella parolina magica. Che è un bambino viziato non lo avevo capito subito, che è anche parecchio bello bastavano un paio di occhiate per capirlo. Cresciuto in una famiglia benestante, per lui “per favore” e “grazie” non rappresentano altro che le buone maniere dell’alta società londinese, mentre “scusa” sembra non essere affatto presente nel suo idioma.
Caleb non è una cattiva persona, tuttavia ha molti difetti. La presunzione e l’arroganza sono stampate sul suo viso come una maschera per la maggior parte del tempo, soprattutto quando deve interagire con gli altri -anche se con me ha imparato a farne a meno. Spesso, durante i primi tempi passati insieme, mi capitava di sentirmi sotto pressione in sua presenza, come se fossi costantemente in attesa di giudizio, e ogni volta questa sensazione diminuiva e Caleb si mostrava meno egoista, meno saccente, meno Caleb.
In realtà non stava facendo altro che abbandonare la sua maschera per mostrarmi chi è realmente, il ragazzo per cui ho preso una cotta pazzesca che le mie amiche definivano una sbandata passeggera per quel bello e dannato. E poi mi sono innamorata di lui, delle fossette che gli incorniciano le guance quando mi sorride dopo una notte insieme, della voce impastata di sonno al mattino presto, della zazzera di capelli corvini che gli viene fuori dopo averli appena asciugati, degli occhi scuri e stanchi dopo una giornata di lezione, delle braccia muscolose e possenti che mi avvolgono, delle vene bluastre e violacee su cui amo passare le dita.
Eppure, questa non è che una minima parte delle cose che amo di Caleb, forse anche la più superficiale ed evidente, ma sicuramente per me non la più importante. Ciò che conta davvero è il tocco delicato sulla mia pelle quando sono stanca o triste e lui è sempre lì per me, per donarmi amore, consolarmi, coccolarmi; le parole dolci sussurrate in inglese quando ancora non conosceva bene l’italiano; la capacità di tenermi testa e non darmela vinta, a meno che non abbia davvero ragione; il suo estro creativo e l’intelligenza ben sopra la media, la mente aperta; il broncio da bambino che mette su quando non vuole alzarsi dal letto e inizia a tirare anche me sotto le coperte per un po’ di coccole; i grugniti che finge quando lo colpisco ma senza scalfirlo affatto; la risata fragorosa e allegra che solo io ho l’opportunità di ascoltare; i suoi occhi sinceri che mi osservano e delicatamente mi accarezzano mentre con un filo di voce mi sussurra: «Isabella, sei bellissima».
«Vorrei chiederti di ripeterlo ma temo che non lo faresti» mi prendo gioco di lui, mentre lentamente scivola al mio fianco e sorride di nuovo, ma è un sorriso flebile, delicato, non il suo solito ghigno. Non è nemmeno il sorriso amorevole con cui mi delizia e che mi fa venir voglia di infilargli la lingua in bocca e saggiare tutti i denti per poterlo assaporare fino in fondo.
«Scusa» ripete di nuovo, mentre inizia a lasciare tanti umidi baci sulla mia guancia. So che è sincero, lui pesa sempre le parole e non le pronuncia mai tanto per dire, infatti si accinge a prendere fiato per continuare.
«Mamma diceva sempre che non devo ascoltare nessuno oltre lei e papà e questa cosa mi ha segnato, però ora ho capito che non posso sempre avere ragione, che devo sempre riflettere prima di agire, e soprattutto che se voglio stare accanto alla persona che amo devo chiedere scusa. Quindi scusa, Isabella, ti amo».
Sentire tutte quelle parole da Caleb, il quale, paradossalmente, non parla mai di sé in maniera così personale, mi sorprende non poco, ma ciò che mi fa davvero crollare è il “ti amo” alla fine, sussurrato con delicatezza e con le labbra carnose poggiate praticamente sul mio orecchio per impedirmi di guardarlo negli occhi in uno dei nostri momenti più intimi.
Odia dirlo in inglese perché sostiene che perda di significato, eppure non l’aveva mai detto in italiano perché lo reputa fin troppo significativo. E invece ora lo sta dicendo a me, lo sussurra al mio orecchio mentre mi accarezza la mano ed è troppo imbarazzato per guardarmi negli occhi.
In momenti come questi capisco quanto in realtà, oltre le sue maschere, sia delicato e fragile, e proprio in momenti come questi capisco quanto abbia bisogno di sentirsi amato e coccolato, e per questo prendo il suo viso tra le mani, costringendolo a guardarmi negli occhi mentre a mia volta sussurro «Ti amo» sulle sue labbra, prima di unirle definitivamente in un lungo bacio riparatore.
   
 
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