La
solitudine del [non]
potere.
[E
quale bambino non ha pensato di vedere in cielo,
una
notte d'estate in cui non vuole prendere sonno,
il
veliero di Peter Pan?
Voglio
insegnarti a vedere quel veliero.]
Roberto Cotroneo, Se una
mattina
d'estate un bambino
Dita di
polvere.
Dita di polvere.
Qualcuno sussurrava il suo nome
nel vento. Ma non era il
vento. E non era il suo fuoco. Non era una voce umana. Non era Basta,
né Naso
Piatto, né tantomeno Capricorno. Non era Farid,
l’inseparabile Farid. Non era
Gwin. Non era Resa, né la sua foto. Non era Meggie, non era
Lingua di Fata, non
era Elinor.
Avrebbe preferito mille volte sentire il suo nome da uno
di questi piuttosto che una sola volta pronunciato da
quest’altra presenza.
Così terribile per lui, così spaventosa e
indefinibile.
Era…la solitudine.
Si, una compagna che lo aveva sempre affiancato durante
la sua vita, e che si era accentuata di più dopo
l’uscita dal suo mondo
d’origine. Molto di più. Era sempre stata
lì, quando sua madre morì per darlo
alla luce, quando aveva dovuto vivere i primi anni con la presenza del
solo
padre, quando quello stesso lo aveva venduto al circo di Mosca a soli 5
anni.
Era lì quando Occhio di Bufalo gli aveva fatto bruciare
tutte le mani per insegnargli
a maneggiare il fuoco, quando si esibivano, quando dormivano, quando si
muovevano, quando lo vedevano.
La solitudine non gli aveva mai lasciato scampo.
E adesso, che era stato sradicato dal suo unico mondo,
dove alla fine, con fatica, aveva trovato la pace, proprio adesso gli
venivano
tagliati i fili e spenti i fiammiferi.
Era solo. Solo come non mai.
E non c’era più conforto, no, dopo che vide anche
l’ultima miserabile copia del libro bruciare tra le fiamme
che lo avevano
sempre confortato dalla solitudine. Non riusciva a trovare un conforto
ora. Non
sarebbe mai più tornato a casa.
Mai più.
Doveva rassegnarsi. Ma non poteva tralasciare la
vendetta. Oh si. Capricorno l’avrebbe pagata cara.
Sapeva benissimo cosa fare: liberare il lettore. Senza
Lingua di Fata, Capricorno non aveva nulla. Lo aveva privato del libro,
lui
avrebbe contraccambiato.
Uno scambio equivalente.
Il silenzio sovrastava la collina su cui sedeva. Non
tirava vento. Era tutto sospeso, immobile.
Dita di polvere. Io
sono qui.
Di nuovo la solitudine gli sussurrava la sua presenza. Il
mangiafuoco allora prese a parlare con la sua solitaria compagna.
Perché non mi lasci
in pace? Perché sei sempre qui con me? Io non ti voglio. Non
voglio più essere
solo.
Ma la solitudine comunicava in un solo senso. Che
ovviamente non era quello di ricevere.
Dita di polvere si alzò. Frugò nello zaino ed
estrasse i
fiammiferi. Cominciò a far volteggiare il fuoco, ancora e
ancora, finché le
lacrime che gli rigavano il viso si asciugarono a contatto col calore.
Un calore che non aveva mai avuto.
Fece scorrere la mano sul fuoco, trattenendola. Ma il
fuoco gli obbediva troppo cecamente, aveva imparato a domarlo a
sufficienza.
Non lo avrebbe mai bruciato. Mai.
“Se non togli la mano ti brucerai”, disse una voce
da un
albero.
Era Farid.
[Una strana sensazione percorse la spina dorsale del mangiafuoco.]
“Non preoccuparti. Il fuoco è mio amico, non mi
brucerà a
meno che io non lo desideri davvero.”
Dette queste parole il ragazzo si fece muto.
Dita di polvere continuò per un po’ a giocare,
poi, con
un ultimo lancio di fiamma, terminò.
Raggiunse Farid sull’albero, accoccolò al petto le
sue
lunghe gambe e si mise a guardare le città a valle.
E per la primo volta in vita sua si sentì bene.
Nonostante il passato perduto, nonostante la paura di un mondo che non
lo
accettava, nonostante la morte che alleggiava sulla sua testa, il
mangiafuoco
sapeva che la sua solitudine era stata intaccata. Scalzata da un paio
di occhi
neri e pelle olivastra. Messa da parte da un ragazzino che aveva avuto
un
passato totalmente diverso dal suo, ma con un presente identico e un
futuro
quanto mai oscuro. Come lui.
Farid era il potere che cercava di conquistare. Non il
potere del fuoco, non quello del vento.
Il potere di avere un amico al suo fianco.
{
Non
può piovere per sempre }