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Autore: D a k o t a    24/04/2020    13 recensioni
Di Dean, Lisa, Ben e un picnic nel parco.
[ambientato fra la S5 e la S6]
"Gli uccelli cinguettano, i rami verdi degli alberi si stagliano contro un cielo ostinatamente blu che non può fare a meno di ricordare a Dean quale prezzo abbia avuto tutta quell’incredibile, assurda e oh, anche meravigliosa e perfetta normalità. Quasi perfetta, in realtà. Lisa è seduta sul plaid rosso di fronte a lui, i suoi capelli scuri si stagliano contro l’orizzonte, ma il suo sguardo è tutto su Ben, che è a pochi metri di distanza, e per qualche assurda ragione sta dando ad entrambi il trattamento del silenzio."
[Partecipa al Tana Libera Fill Week del gruppo "We are out for prompt"]
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Breaden, Dean Winchester, Lisa Breaden
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sesta stagione
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Living is easy (with eyes closed)

 

Gli uccelli cinguettano, i rami verdi degli alberi si stagliano contro un cielo ostinatamente blu che non può fare a meno di ricordare a Dean quale prezzo abbia avuto tutta quell’incredibile, assurda e oh, anche meravigliosa e perfetta normalità. Quasi perfetta, in realtà. Lisa è seduta sul plaid rosso di fronte a lui, i suoi capelli scuri si stagliano contro l’orizzonte, ma il suo sguardo è tutto su Ben, che è a pochi metri di distanza e per qualche assurda ragione sta dando ad entrambi il trattamento del silenzio.

“Non so cosa sia successo” gli dice Lisa, scuotendo la testa in un moto di preoccupazione. “Stava giocando a palla tranquillamente. Sono andata da lui per chiedergli se avesse fame e mi ha semplicemente chiesto di andarmene. Ha continuato a giocare”

Dean atteggia le labbra in una smorfia ironica, perché è quasi assurdo che quello sia il più grande problema della giornata e che non vi sia nulla di drammatico al di fuori del capriccio di un bambino di undici anni.

“Oh, non ti preoccupare. Si chiama pre-adolescenza” afferma, con un’ironia che risulta più pesante e meno leggera di quello che vorrebbe essere, perché mentre guarda il ragazzino seduto su una panchina poco distante, vede un altro ragazzino, occhi verdi e pieni di domande contro una stradina adiacente a Flagstaff. “La buona notizia è che passa. Quella brutta è che questo ne è solo l’inizio”

Si avvicina per baciare delicatamente Lisa sulla fronte, ma quando quel bacio leggero e delicato si scioglie, l’espressione negli occhi castani della sua compagna è molto più eloquente di quello che necessiti essere perché Dean faccia qualcosa.

“Va bene, ho capito” afferma, alzando le mani in un gesto di resa e lasciando roteare gli occhi. “Vado a parlare con lui”

 

***

Dean gli lancia un’occhiata e gli restituisce il pallone, che ha lasciato a pochi metri di distanza dalla panchina in cui si è seduto.

“Stanco?” gli chiede, sedendosi accanto a lui.

Il bambino annuisce, lascia che il ragazzo gli passi una mano fra i capelli in un gesto ruvido ma carico di malcelato affetto e a Dean sembrano sempre pochi mesi, anche se è quasi un anno. A volte ancora lo terrorizza Ben, quello che rappresenta, quello che è. A volte la paura che la storia, la sua storia, quella da cui è scappato e in cui suo fratello è rimasto incastrato, si ripeta gli attanaglia la gola e sembra volerlo soffocare.

“Un po’. Voglio andare a casa” afferma, e si lascia pesare contro la mano del ragazzo.

Lascia che senta tutto quel Ben faticoso, fragile e noioso di cui non va certo fiero.

Il ragazzo si lascia andare ad un sorriso perché forse si sono scampati la pre-adolescenza - per ora! -, ma c’è ancora una cosa da chiarire, quindi indossa la sua migliore espressione da poliziotto cattivo e fa quello che deve fare.

“Domani è domenica e potrai riposare. Ma essere stanco non è una buona ragione per rispondere male a tua madre, ragazzino” risponde con tono fermo, ma c’è qualcosa nel modo in cui le parole gli si arrotolano sulla lingua, in cui gli battono sui denti, che parla di una vulnerabilità che a volte gli è concesso intravedere, come il mare da dietro le leggere tende bianche di una casa vacanza in cui è stato una volta da bambino, quando i suoi genitori erano entrambi presenti e Sam non era la sua unica famiglia.

Il bambino abbozza un verso assonnato, di dissenso.

“Mi dispiace, Dean” bofonchia, avvicinandosi più a lui e alla sua giacca nera. “Scusa”

Ben ha sempre gli occhi sinceri: gli ricorda un libro aperto oppure qualcun altro che non c’è, che quando era bambino era esattamente un libro aperto ed adesso è come un fantasma pesantissimo nell’aria.

Il ragazzo scuote la testa ed esala un sospiro.

“Beh, non è a me che devi chiedere scusa” afferma, tenendolo comunque contro di sé perché non è assolutamente necessario ingigantire la cosa. “Forza, andiamo da tua madre”

Ben si alza e sembra davvero deciso ad obbedire, ma poi esita davanti a lui. Sembra voler confessare qualcosa.

“Se ti dico una cosa, prometti di non arrabbiarti?” gli chiede, saltellando fra un piede e l’altro in maniera del tutto nervosa.

Dean lo squadra, riportando il suo sguardo su di lui e inarcando un sopracciglio. Dannazione, conosce quella frase troppo bene e non promette nulla – assolutamente nulla! - di buono.

“Oh, ho preso a pugni l’ultima persona che mi ha detto una cosa del genere, per tua informazione” afferma, ma scuote la testa e sorride quando il bambino sgrana gli occhi. “Ma hai undici anni, quindi questo è il tuo giorno fortunato e ti posso promettere che forse, se confessi subito, non ti ucciderò”

Il bambino arriccia il naso ed è abbastanza sicuro che Dean stia scherzando. Anche se oh, ha un senso dell’umorismo difficile da comprendere a volte.

“Ti ricordi quando hai detto che volevi bene a me e alla mamma e ti saresti preso cura di noi, vero?” chiede e Dean deve mordersi le labbra perché come potrebbe non ricordarlo? Come potrebbe non ricordare quella sera?

“Ehi, se stai cercando di addolcirmi, sappi che ci hanno già provato e non è finita molto bene” afferma, puntandogli un dito contro ma trattenendo un sorriso, in attesa di chissà quale bugia bianca il bambino stia per confessare. E’ così divertente prenderlo in castagna che si augura che non stia per confessargli di aver torturato qualche gattino o qualcosa del genere.

La verità però forse è più banale, e se ne accorge quando Ben arrossisce fino alle orecchie e riprende parola.

“Non sto cercando di addolcirti, Dean!” esclama, oltraggiato all’idea, per poi continuare. “E’ che tu ami anche la tua macchina, quindi volevo sapere se, umh, tenevi più alla macchina oppure a me e alla mamma”

Ecco, la bocca di Dean si irrigidisce in una linea sottile nell’individuare la sua macchina, la sua bambina, e nello scorgere un’ammaccatura sullo sportello, che coincide con la forma del pallone del ragazzino. Gli lancia un’occhiataccia, alzandosi in piedi e andando in quella direzione, non senza maledire la promessa appena fatta.

“Dannazione, Ben! Come ho fatto a non accorgermene?” domanda, avvertendo la presenza del bambino alle sue spalle, per poi passare la mano sulla botta.

Un sorriso imbarazzato piega le labbra del bambino e non vacilla neanche sotto lo sguardo di pura sufficienza che gli rivolge Dean.

“Eri troppo concentrato sulla mamma” borbotta, mentre si domanda quali altezze possa raggiungere ancora il sopracciglio di Dean. Non gli sembra troppo arrabbiato, però forse non è il caso di fare ulteriore ironia. “Mi dispiace, non volevo rovinare la giornata. Non l’ho fatto apposta, te lo giuro”

Non vorrebbe farsi addolcire così, ma è una bella giornata ed in qualche modo, sa che può fidarsi di lui, che non danneggerebbe mai la sua macchina volontariamente; è molte cose, ma non un bugiardo. In più può vedere quanto avesse paura della sua reazione: ecco finalmente svelato il mistero del perché si stesse isolando.

“Oh, piantala con quel broncio adesso” lo rimprovera alla fine, allontanando virtualmente l’accaduto con un gesto di noncuranza. Non c’era bisogno di mortificare il ragazzino. “Non hai rovinato nulla, ma la prossima volta ricordati di giocare lontano dalla mia macchina. Magari ti insegnerò a fare il cambio dell’olio, uno di questi giorni”

Ben aggrotta la fronte e lo guarda con l’occhiata speranzosa, ma confusa di chi – lo può scommettere - ha passato ore a preoccuparsi per la sua reazione per nulla.

“Davvero?Non sei arrabbiato?” gli chiede, con sorpresa. “Vuoi che ti aiuti a cambiare l’olio?”

Dean fa una smorfia e, guardandolo, pensa che sta meglio. Non sta bene perché dopo aver perso tuo fratello in quel modo non stai bene, ma sta abbastanza. Degli anni precedenti gli sono rimaste solo alcune abitudini, incollate addosso come certi abiti vecchi e inesorabilmente troppo stretti – il sale alle finestre, il controllare sotto il letto del bambino e il tranquillizzarsi solo nel sentire il suo respiro leggero. C’è una parte di lui che vuole davvero credere che ci sia altro oltre che l’ennesimo capitolo che lo lascerà come sempre con un palmo di illusioni e di speranze frantumate.

“Pronto? C’è nessuno? Mi hai sentito” ripete, con una scrollata di spalle. “Ma voglio ancora che tu chieda scusa alla mamma. Voleva solo essere gentile e tu dovresti darle una tregua, maledizione”

Ben annuisce, osservando un’ultima volta il danno. A volte vorrebbe solo crogiolarsi nelle attenzioni che Dean gli rivolge e che non capisce, perché è nell’età in cui il sé stesso che vede allo specchio non è poi così interessante o eccezionale. Maschera quella fastidiosa sensazione sollevando le spalle con una noncuranza che è smentita dalla piega imbarazzata delle sue labbra.

“Le ragazze sono troppo sensibili” afferma con un leggero velo di disgusto nella voce, appoggiandosi allo sportello. Per poco Dean non scoppia a ridere nel chiedersi cosa ne sappia un ragazzino di undici anni di ragazze; ecco, quella sì che è un’evidente caricatura.

“Non ti ho già detto di andare via, playboy?” risponde con ironia, scuotendo la testa, mordendosi le labbra nell’evitare di ricordargli che dovrebbe risparmiarsi di fare certe affermazioni, almeno davanti a Lisa.

Il bambino obbedisce con un sorriso riconoscente, mentre lui rimane ad osservare il danno, riflettendo su come quello forse è il modo più normale in cui abbiano mai danneggiato quella macchina, che è l’emblema della storia di una vita, anzi di una famiglia. Passa solo un minuto prima che il bambino lo chiami di nuovo.

“Dean?” lo chiama, a pochi metri di distanza.

Il ragazzo si gira a guardarlo; Ben ha gli occhi socchiusi e una mano appena sopra di essi per cercare di guardare nella sua direzione, nonostante il sole. Un sorriso furbo gli incurva le labbra.

“Quindi vuoi più bene a me e alla mamma che alla macchina?” gli chiede, senza smettere di ghignare.

Era più facile parlare di Lisa e Ben prima di Sam, quando Dean sapeva che sarebbe partito, che li avrebbe dovuti mettere da parte, che li avrebbe comunque smarriti fra le nuvole grigie che incombevano come un presagio sulla loro esistenza. E’ più difficile ora che sono insieme e sono una famiglia e che quell’attrazione, quella speranza di essere di più, l’ha avvolto fra le sue braccia, come fosse un vecchio amico mai dimenticato.

“Sparisci, prima che venga meno alla promessa di non ucciderti”

Quanto sente i risolini soffocati e i passi del bambino allontanarsi, Dean si volta di nuovo verso l’Impala, sorride e scuote la testa e pensa che quella situazione continuerà a fargli paura ancora per un po’, per qualche mese, ma che quella giornata, quel sole sulle loro teste, sarà nel frattempo un efficace scacciamostri.

 

NDA

Mai provato a scrivere su questi tre, quindi aiuto, già mi faceva paura questo, figuriamoci. Il prompt di AleDic era “#1. Dean/Lisa + Ben: picnic nel parco. “ ed è stata scritta per la “Tana Libera Fill Week” del gruppo We are out for prompt. Spero non sia OOC e che l’abbiate apprezzata.

 

 

 

 

 

   
 
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