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Autore: Querdenker    25/04/2020    1 recensioni
{ BokuAka | Superhero!AU (circa) | Comico }
Questa fanfiction partecipa alla challenge "I want to break freegg" indetta dal gruppo Naruto Fanfiction Italia.
Prompt: "avevo detto spettacolare, non tentacolare!"

Dal testo:
«È arrivato il grande Kraken, criminali! Non avete più scampo!» urlò tronfio.
Fortunatamente nessuno conosceva la loro vera identità, altrimenti Akaashi sarebbe morto di imbarazzo. Bokuto, d'altro canto, aveva un'aria da spaccone sul volto e teneva in braccio la persona che aveva salvato.
Genere: Azione, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Kozune Kenma
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice: questa fanfiction è molte cose: un esperimento su un fandom (e una coppia) su cui non ho mai scritto e che adoro; una partecipante alla challege "I wanto to break freegg" del gruppo Naruto FanFiction Italia (che ringrazio immensamente, insieme ad Alixia e i suoi strampalati prompt <3); ma soprattutto è un'accozzaglia di citazioni di dubbio gusto a Dragon Ball, super eroi bizzarri, probabile OOC e idee idiote della sottoscritta.
Io vi ho avvisato.

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For you, I'll be a super human.

Capitolo 1
Quella volta in cui Bokuto si fece crescere i tentacoli.

 

Il tempo, quando si è a una festa bellissima, o si sta vedendo un film entusiasmante, vola.
Quando invece ci annoiamo, per esempio durante la lezione di matematica, o mentre stiamo aspettando che il semaforo all'incrocio diventi verde, il tempo passa lentamente, quasi si stesse piano piano congelando.

E quando si ha paura invece? Molti affermano di aver visto, in una situazione di pericolo, tutto in un secondo; altri, di aver visto l'intera vicenda a rallentatore.
Koutaro Bokuto, la cui vita – fatta eccezione per le lezioni di matematica – ha sempre preso una piega fin troppo veloce, ironicamente ha vissuto tutto a rallentatore.

***

La leggera brezza primaverile scompigliava l'assurda capigliatura di Bokuto, mentre questi si dirigeva verso casa.
Non era stata una giornata particolarmente entusiasmante, dato che aveva ricevuto ben due valutazioni negative, sia in scienze che in inglese, quindi il suo umore non era certamente al massimo.

Durante l'intervallo, aveva teatralmente annunciato a Yukippe che ben presto si sarebbe ritirato da scuola, in quanto le sue erano “braccia rubate all'agricoltura”.
Shirofuku aveva replicato pazientemente che se Bokuto si fosse impegnato un po' di più nello studio, non avrebbe certamente dovuto lavorare nei campi.
Lui non aveva trovato nulla da obbiettare e si era ammutolito di colpo per tutta l'ultima ora.

Forse dovrei impergnarmi davvero un po' di più nello studio”, pensò mentre percorreva pigramente il parco, la scorciatoia che usava per tornare a casa.
Si ritrovò di fronte alla strada che avrebbe poi dovuto attraversare e si avvicinò ad un gruppetto di persone sul ciglio del marciapiede, che aspettava di poter passare.

Il semaforo dei pedoni è rosso” constatò seccato, mentre pestava il piede sinistro sul marciapiede con fare irrequieto.
Sporse la testa verso la strada, per capire se ci fossero delle auto in avvicinamento.

Non pareva stesse arrivando nessun mezzo, avrebbe anche potuto attraversare. Era un po' rischioso, visto che quella era una delle vie più trafficate della città, ma lui era abbastanza veloce da potersela cavare tranquillamente.
Mosse un passo verso l'altra parte della strada, ma a quanto pareva non era l'unico che aveva avuto quell'idea: un ragazzino, che non doveva avere più di undici anni, cominciò ad attraversare, e anche piuttosto velocemente.
Bokuto non ci pensò due volte e lo seguì.
Quando arrivò a circa metà tragitto, notò con un po' di disagio che il semaforo non era ancora verde, e che lui e il bambino erano gli unici in mezzo alla strada: avrebbe fatto meglio ad accellerare il passo.
E poi, Bokuto la vide: una Mercedes che correva a tutta velocità nella corsia in cui lui e il bambino stavano ancora camminando e che non sembrava intenzionata a fermarsi.
Anche il bambino sembrava averla vista, ma non dava segno di volersi muovere: aveva le gambe paralizzate e fissava l'auto che si avvicinava inesorabilmente.
Morirà” constatò con ingenuo stupore Bokuto. Si mosse più velocemente che poteva, ma sentiva le gambe terribilmente pesanti e aveva il fiato corto. Le urla delle altre persone, ancora al semaforo, erano ovattate e dicevano parole sconnesse, mentre lui tentava disperatamente di avvicinarsi al bambino, ancora immobile, e di afferrarlo.
Dalla macchina partì il rumore del clacson, mentre questa cercava di fermarsi, nonostante fosse inutile: andava talmente veloce che si sarebbe fermata solo dopo aver investito il bambino.
Con uno sforzo che per lui parve sovrumano, Bokuto riuscì a raggiungere il bambino ed afferrargli la giacca della divisa scolastica, mentre gli urlava qualcosa contro.
La Mercedes era a pochi metri da loro, e una piccola, minuscola, parte di lui pensò che non ce l'avrebbero fatta a scansarsi, e che lui sarebbe morto stecchito lì, alla giovane età di diciotto anni.
Se non altro, era una fine eroica. Eppure, continuò a muoversi verso il marciapiede, aspettandosi allo stesso tempo la morte imminente.

Era sempre stata una delle peculiarità di Bokuto: lottare, muoversi frenetico, mentre i pensieri più deprimenti lo attendevano dietro l'angolo.
L'auto era vicinissima e se ne rese conto quando il bambino, ancora stretto a lui, si ridestò dallo stato di shock e cominciò a urlare. E allora, Bokuto seppe di essere spacciato.
Chiuse gli occhi.
Non sentì alcun tonfo, né alcun dolore lancinante.
Aveva pensato che si sarebbe staccato un braccio o qualcosa del genere, oppure che il suo intestino si sarebbe diviso dal suo corpo e sarebbe rotolato per tutta la via, sotto lo sguardo orripilato di tutti i testimoni.

Non accadde nulla del genere. Anzi, Bokuto sentì di essere stato come spostato, e lo capì dall'odore presente nell'aria.
Non era più un odore stantio, un odore di smog; ora l'aria era più pulita, sembrava quasi di essere fuori città, oppure sulla cima di una collina.

Aprì gli occhi e si rese conto di tenere ancora stretto a sé il ragazzino, che sembrava talmente spaventato da non riuscire neanche ad aprire gli occhi.
«È svenuto» constatò una voce dietro di lui. Bokuto si voltò e vide dietro di lui un ragazzo che doveva avere più o meno la sua età.
Aveva i corti capelli neri un po' mossi e gli occhi azzurri, nonostante il taglio tipicamente orientale. Il volto era coperto da una maschera blu.
Anche l'insolito completo che aveva indosso era blu e metteva in risalto il suo fisico magro e longilineo.
Ma la cosa più strana, era certamente il paio di ali che sbucavano dalla sua schiena, che catturarono subito l'attenzione di Koutaro.

«E tu chi saresti?- chiese curioso, gli occhi che brillavano – Sei un umano? Oppure un alieno?»
Quella esperienza assurda gli aveva certamente migliorato la giornata! Cominciò a guardarsi attorno, eccitato e perplesso, e solo in quel momento si accorse di essere sul tetto di un edificio.
Trattenne il fiato e puntò il dito contro l'altro ragazzo: «Sei stato tu! Ma come diavolo hai fatto?! Sei volato fin qua su!»
Il ragazzo con le ali, che lo stava osservando attonito da qualche minuto, annuì guardingo.
«Come hai fatto?» chiese di nuovo Bokuto.
«Con le ali»
«Questo l'ho capito, ma come? Voglio dire, cosa sei?!»
L'altro ragazzo lo osservò ancora sospettoso, poi posò lo sguardo sul bambino, ancora svenuto, che Bokuto teneva vicino a sé.
«Sei stato molto coraggioso» disse il ragazzo, cercando palesemente di cambiare discorso, e Bokuto assunse un'espressione tronfia alla constatazione.
«Lo so, ma questo non spiega le ali! Sei una specie di mutante?»
Un accenno di sorriso spuntò tra le labbra dell'altro ragazzo.
«No, certo che no. Io sono umano»
Bokuto non poteva crederci: non aveva mai visto nulla del genere! Un ragazzo che non solo aveva due ali che gli sbucavano dalla schiena, ma che era riuscito a salvare ben due persone!

Osservò meglio il ragazzo: in effetti doveva essere piuttosto forte, visto che era riuscito a trasportare lui – che non era di certo leggero – e il bambino, oltretutto per diversi metri in altezza.
«C'è qualche modo per diventare come te?» chiese poi, di getto. Non ci aveva pensato molto: gli sembrava solo terribilmente eccitante poter essere qualcuno di particolare.
E poi, lui sarebbe stato un eccellente paladino della giustizia, ne era assolutamente convinto.

L'altro aggrottò le sopracciglia e lo squadrò, con aria seccata.
«Perché vuoi diventare come me? Non è certo qualcosa alla portata di tutti»
«Mi sembra ovvio. Ma io, Bokuto Koutaro, non sono tutti» sorrise, spaccone come sempre.
Bokuto aveva sempre avuto un certo talento a cacciarsi nei guai e lui stesso non perdeva occasione per vantarsene, sotto gli occhi rassegnati dei suoi amici, che si ritrovavano ogni volta a doverlo lodare e supportare anche nelle imprese più scervellate. Questa, in fondo, sarebbe stata solo l'ultima di una serie di pazzie.

Il ragazzo di fronte a lui sospirò, quasi sconfitto. Si avvicinò, afferrando il bambino ancora svenuto per la vita e portandoselo sotto il braccio.
«Sarò di ritorno tra poco»

***

Dopo che il Ragazzo Volante Super Figo, come l'aveva soprannominato Bokuto durante la sua assenza, era tornato, era riuscito a far sparire misteriosamente le sue ali piumate ingerendo una pillola bianca.
Quindi, anziché portarlo in volo verso una base super segreta dove si facevano esperimenti sugli alieni, come aveva immaginato Bokuto, gli aveva semplicemente fatto scendere cinque piani di scale e l'aveva fatto camminare per qualche isolato, fino a quando non erano arrivati di fronte a un pub.

Durante il tragitto, Bokuto aveva scoperto che l'altro ragazzo – che si era nel mentre tolto la maschera - si chiamava Keiji Akaashi, aveva un anno in meno di lui e che, ironia della sorte, frequentava la sua stessa scuola!
«Non ti ho mai visto!» aveva osservato Bokuto, loquace come sempre. Akaashi aveva alzato gli occhi al cielo, pensieroso.
«Non sono un tipo che vuole farsi notare. Tu invece, Bokuto-san, ti dai molto da fare»
Bokuto non aveva potuto fare a meno di sorridere compiaciuto. Se c'era una cosa che adorava era essere apprezzato per la sua personalità eccentrica e allo stesso tempo senza fronzoli.
Era stato sul punto di replicare, quando Akaashi, con un cenno della mano, aveva indicato il vecchio edificio fatiscente in cui sarebbero dovuti entrare.
«Siamo arrivati» disse atono, mentre Bokuto osservava perplesso la vecchia e mezza rotta scritta “Pub” che la faceva da padrone sopra la porta di ingresso.
Entrarono. Il locale non era sporco, ma semplicemente vecchio: quale ventenne si sarebbe recato lì con gli amici per farsi una bevuta?
Le pareti parevano sul punto di crollare e le sedie dovevano essere state aggiustate talmente tante volte che oramai chiedevano semplicemente di essere buttate via.

La tinta del lungo bancone era di un blu sbiadito e in alcuni punti si potevano vedere delle scrostature.
Dietro di esso, sedeva un ragazzino, che non sembrava avere più di 13 anni. Aveva i capelli biondi, ma dovevano essere tinti, poiché si intravedeva la ricrescita nera. La curva della sua schiena era talmente innaturale che sembrava avesse la gobba e le sue piccole mani reggevano una PlayStation portatile, la quale pareva destare tutto il suo interesse. I piccoli occhi gialli del ragazzino infatti, non sembravano ancora aver notato la presenza di Bokuto e Akaashi.

«Kenma-san» lo chiamò Akaashi. Il ragazzo sussultò, quasi fosse stato svegliato di colpo, e si voltò in loro direzione.
Si stiracchiò, e Bokuto notò che in effetti non aveva la gobba: la sua schiena sembrava invece come quella di un gatto.
Kenma balzò giù dalla sedia e si diresse pigramente in loro direzione, con ancora la console in mano.

«Chi è lui?» chiese, mentre guardava Akaashi impassibile.
Keiji fu sul punto di replicare, ma Bokuto fu più svelto: afferrò la mano di Kenma per stringergliela energicamente e presentarsi.
«Bokuto Koutaro, piacere!» disse allegro, mentre un sorriso a trentadue denti spuntava dalla sua bocca.
L'altro lo guardò intimorito, mentre balbettava il suo nome: «K-kozume Kenma»
«Bokuto-san dice che vuole diventare uno dei nostri» spiegò brevemente Akaashi.

Kenma lo osservò a lungo, quasi lo stesse studiando, con leggera curiosità. Sembrava un pigro gatto che finalmente aveva trovato qualcosa di un poco entusiasmante. Poi sospirò e si voltò nuovamente verso Akaashi.
«Ne sei certo? Non mi sembra il tipo in grado di mantenere un segreto» osservò Kenma perplesso.
«Non sono in grado di mantenere un segreto? Come ti permetti? - lo interruppe Bokuto offeso – Akaashi, diglielo che sono perfettamente in grado di chiudere la bocca!»
Akaashi sospirò stanco, mentre con un cenno di mano interrompeva Bokuto.
«Bokuto-san è una persona affidabile, Kenma. E potrebbe esserci di aiuto.»
Il ragazzo fece spallucce. Si diresse poi verso la vecchia porta, dietro il bancone.
Akaashi lo seguì a ruota e così fece Bokuto, ancora non del tutto sicuro di ciò che stava succedendo, ma terribilmente eccitato.
Kenma premette l'interruttore della luce e cominciò a camminare per l'angusto corridoio che nascondeva la porta.

«Noi siamo esseri umani a cui è stato impiantato del DNA animale. - cominciò poi a spiegare Akaashi – Io possiedo il DNA del Gufo Reale, Kenma del Gatto Iriomote e non siamo gli unici. Generalmente usiamo il nostro potere per aiutare le persone in pericolo, oppure per fare la guardia a questo posto»
Bokuto trattenne il respiro, eccitato e sorpreso. Non aveva mai sentito nulla del genere!
«Come è possibile? Accidenti, è fighissimo!»
Kenma si voltò in loro direzione: «Non è importante al momento. Comunque noi non siamo gli unici che possiedono questa facoltà. Ci sono altri ragazzi che sono con noi... ma anche contro di noi.»
Bokuto si battè il petto con fare arrogante: «Non preoccupatevi! Ora che ci sono qui io non dovrete più temere nessuno, vero Akaashi?»
Questi lo guardò perplesso, mentre affermava pacatamente che loro in realtà non temevano nessuno.
Il corridoio finì, e i tre si ritrovarono in una grande stanza che sembrava essere un vecchio laboratorio. C'era un vecchio computer acceso, ma nessuno lo stava effettivamente usando. Bokuto vide Kenma dirigersi verso il mobile di fronte al computer, dove erano custodite delle piccole fialette.
«Qui sono contenuti diversi DNA di animali, non necessariamente in via d'estinzione. Gorilla, cane procione, orso tibetano e tanti altri.»
Alla parola “gorilla”, Bokuto si ridestò.
«Voglio avere il DNA di una scimmia, avere la coda e trasformarmi nelle notti di luna piena!» dichiarò entusiasta.
«Non abbiamo il DNA dei Saiyan, Bokuto-san» gli fece notare con calma Akaashi, mentre l'altro imperterrito blaterava qualcosa riguardo la forza spaventosa della forma Oozaru e Kenma lo osserveva perplesso.

Quando ebbe finito il suo assurdo monologo, Bokuto osservò meglio le fialette, afferrandone una e rigirandosela tra le mani.
«Allora, come faccio ad inserirmi questa roba nel corpo?» chiese poi, mentre i suoi grandi occhi gialli scrutavano la sostanza densa e trasparente nella fialetta.
«Iniezione. - spiegò secco Kenma - Per qualche strano motivo i due DNA reagiranno insieme e tu acquisirai alcune caratteristiche di un determinato animale. Non chiedermi perché, non sono uno scienziato. So solo che funziona»
Bokuto annuì, convinto. Non si spiegava ancora come fosse possibile una cosa del genere, ma sinceramente non gli interessava più di tanto, sembrava solo dannatamente entusiasmante.
Porse la fialetta a Kenma.
«Voglio qualcosa di spettacolare, come me!» disse, mentre rideva.
Kozume l'afferrò senza molte cerimonie e la mise al suo posto. Si sporse poi un po' più in alto, cercando un'altra fialetta e Bokuto notò distrattamente che nessuna di esse aveva l'etichetta.
Kenma ne afferrò una, tra quelle che stavano più in alto; poi si diresse verso la scrivania dove era il computer.
Aprì il cassetto per cercare una siringa non ancor utilizzata e quando la trovò, la lanciò in direzione di Akaashi, che senza dire una parola, la tolse dall'involucro.

«E io che pensavo usaste metodi più sofisticati!» esclamò provocatorio Bokuto. Akaashi lo ignorò, mentre Kenma gli porgeva la fialetta.
«Non ti trasformerai in uno scimmione gigante, ma penso che avere la forza di un gorilla sia più che sufficiente» gli disse poi, mentre faceva uscire un po' di liquido dallo stantuffo.
Bokuto sorrise, mentre porgeva il braccio.

«Per qualche istante vedrai tutto nero e sentirai un dolore lancinante. Potresti anche svenire per qualche secondo, ma nel complesso dovrebbe andare tutto bene. Sei sicuro?»
Bokuto osservò Akaashi e apprezzò il fatto che non gli avesse detto una bugia: le persone tendevano a indorare la pillola, a mentire, invece Akaashi nonostante lo conoscesse solo da qualche ora, era stato estremamente sincero.
Gli trasmetteva fiducia, era schietto e limpido.

«Sì.»
Akaashi avvicinò la siringa al braccio di Bokuto, cercando il punto ideale in cui pungere.
Un secondo dopo, Bokuto vide davvero tutto nero. Sentiva il corpo diventare completamente rigido e poi totalmente molle, in continuazione, senza mai dargli un attimo di tregua.

«A-akaashi...» ansimò rauco e lamentoso, mentre si inghinocchiava a terra e sentiva le forze mancargli completamente. Keiji si avvicinò a lui e afferrò il suo braccio.
«Bokuto-san. – disse fermo – Guardami e concentrati.»
Obbedì, senza sapere esattamente come. Ringhiava e ansimava dal dolore, Koutaro, mentre fissava gli occhi blu scuro di Akaashi.
Sembrarono attimi interminabili.
Poi, all'improvviso, Bokuto riprese a respirare regolarmente, con il sudore che colava dalla fronte. Non era più in ginocchio sul vecchio pavimento, riusciva a mettersi seduto.

«Come stai?»
Bokuto riconobbe la voce sottile e quasi atona di Kenma.
«B-bene, credo.»
Si sentiva debole, ma allo stesso tempo forte. Era come essere se stesso e allo stesso tempo non esserlo affatto, quasi fosse entrato in un corpo estraneo. O meglio, il corpo estraneo era entrato in lui.
Kenma controllò l'orario nel cellulare: «Nel giro di qualche minuto dovrebbero comparire i primi sintomi»
Akaashi annuì, mentre aiutava Bokuto ad alzarsi in piedi.
«Quali erano i vostri sintomi?» chiese Koutaro, ancora debole.
«Il mio udito è migliorato. A Kenma era spuntata la coda. Visto che tu diverrai un gorilla, suppongo che anche a te spunterà. O forse diverrai più peloso» osservò Akaashi con un mezzo sorriso.
«Preferisco la coda come i Saiyan!» esclamò Bokuto, recuperando un po' della sua antica verve.
Quando fu abbastanza in forze per stare in piedi da solo, Akaashi si allontanò leggermente da lui, sempre tenendolo sotto controllo, mentre Kenma controllava nuovamente il telefono.
«Non succede niente. - esordì Kozume – Sei sicuro che...»
La sua frase cadde a mezz'aria quando, improvvisamente, Kenma vide Bokuto vomitare. Eppure non stava ributtando una sostanza normale: il liquido che fuoriusciva dalla sua bocca era nero e viscoso.

«Kenma...» Akaashi era pallido come un lenzuolo, gli occhi blu sbarrati. Akaashi, che aveva sempre mantenuto il sangue freddo, non aveva la minima idea di cosa fare.
Sembrava che Bokuto, in qualche modo, stesse rigettando il DNA del gorilla, eppure non era mai successo, né con lui né con gli altri.

Kotaro però non sembrava particolarmente sofferente, anzi. Sembrava semplicemente che il DNA animale si fosse manifestato.
Ma a Kenma proprio non risultava che i gorilla vomitassero della squallida robaccia nera. O forse sì?

I suoi dubbi vennero subito risolti da ciò che vide spuntare dal fianco di Bokuto, che aveva appena smesso di vomitare.
Un tentacolo, lungo, viscido e di color carne aveva preso forma sotto il braccio di Bokuto, e non sembrava l'unico: altri tre tentacoli erano sbucati dal corpo del ragazzo.

Fu allora che Akaashi sembrò ridestarsi dallo stato di shock: i suoi occhi non erano più sbarrati e vacui, sembrava avessere acquisito una certa consapevolezza.
«Abbiamo sbagliato» sussurrò poi.
«Akaashi! - la voce potente di Bokuto risuonò stanca, mentre sputacchiava ancora qualche residuo di quella sostanza – Non sono un gorilla!»
«L'ho notato, Bokuto-san»
Non c'erano le etichette in quei dannati vasetti, era ovvio che si potessero sbagliare, non erano così bravi da poter distinguere i liquidi contenenti i DNA!
Solo 
gli altri ci riuscivano e si erano ben guardati da aiutare lui e Kenma a distinguerli!
Keiji si avvicinò verso Koutaro, toccandogli i tentacoli che spuntavano dai fianchi. Al tatto, la parte superiore era estremamente liscia e il colore sembrava essere mutato in un rosa più scuro.
«Per sbaglio ti abbiamo somministrato il DNA del polpo del Pacifico. - sussurrò poi – Mi dispiace, Bokuto-san»
L'espressione di Bokuto da incredula divenne sconvolta e cupa. Ancora seduto, si accovacciò su se stesso, mentre borbottava parole sconnesse.
L'aria sembrava diventata tetra, e mentre Akaashi tentava di dare delicate pacche sulle spalle a Bokuto – lui, che era sempre stato poco incline al contatto fisico, soprattutto verso gli sconosciuti – Kenma li osservava in silenzio.
Non poteva certo biasimare Akaashi per il suo senso di colpa, glielo si leggeva in faccia. Bokuto si era fidato di lui, nonostante non si conoscessero, e lui l'aveva deluso.

«DNA del polpo... - Bokuto sembrò rimuginarci su – Se non altro è qualcosa di diverso. Non potrò mutare in Oozaru, ma sicuramente potrò farmi riconoscere da tutti quando, durante le nostre imprese, salveremo gli abitanti della città! Non male Akaashi!»
«Salveremo?» chiese Keiji, sinceramente sorpreso.
«Certo! Non vorrai prenderti tutti i meriti da solo, Akaashi! Combatteremo insieme il crimine in questa città, e tutti ben presto conosceranno le eroiche gesta di Bokuto Koutaro!» decretò teatralmente, mentre dava una forte pacca sulla spalla di Keiji.
Questi lo osservava stralunato: sapeva che Bokuto era un tipo particolare, energico oltre ogni aspettativa, era famoso all'Accademia Fukorodani per questo, ma non si sarebbe certo aspettato un così radicale cambio di atteggiamento. Era straordinario nella sua genuina follia e ciò lo rendeva un ragazzo estremamente affascinante.

«Però, per favore Akaashi, aiutami a nascondere questi tentacoli, altrimenti come torno a casa?!»
In fondo però, aveva ancora bisogno di lagnarsi come un bambino.

  
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