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Autore: Voglioungufo    27/04/2020    2 recensioni
Raccolta multishipping | Canonverse | Soulmate!AU
1. TobiKaga: "Se non fossi stato un Uchiha avrei potuto amarti".
2. SakuHina: "Una volta Kurenai-sensei mi ha detto che vediamo solo l'amore che vogliamo accettare."
3. ObiNaru: Sakura si corrucciò, ma poi si sciolse in una risata. “È buffo, ma incontrerai la tua anima gemella poche ore prima del tuo diciassettesimo compleanno”.
4. GaaLee: Gaara non sapeva cosa significasse piangere. Almeno finché non incontrò lui.
5. SaiIno: “Tu sei molto più bravo a esprimere le tue emozioni con i tuoi quadri” spiegò. “Perché non lo fai anche ora? Dipingi sul tuo braccio, così le trasmetterai qualcosa di te stesso”.
6. ObiNaru: “Astronauta?” ripeté esterrefatto ed esasperato insieme. “Perché in ogni tua dannata vita devi avere un sogno megalomane?!”
7. ShiIta: Sono shinobi, c’è solo un modo che conoscono per esprimere il proprio cuore: con la guerra.
[Questa storia partecipa alla #TheWritingWeek di Fanwriter.it ]
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Hinata Hyuuga, Itachi, Naruto Uzumaki, Obito Uchiha, Sakura Haruno, Shisui/Itachi | Coppie: Sai/Ino
Note: AU, Missing Moments, Raccolta, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Questa storia partecipa a #TheWritingWeek di Fanwriter.it.
Lista: Soulmate.
 
 
 



From which star have we fallen to meet each other here?
(F. Nietzsche)
 
 
 
Prompt: TatooDolore.
Pairing: Tobirama/Kagami.
Contesto: Era degli Stati Combattenti.
Rating: giallo.
Avvertimenti: Canon divergence.
Descrizione: Dove ti appare sul polso un tatuaggio con il nome della tua anima gemella.
Note: So che nel canon da quando Izuna muore c’è solo un altro scontro tra Madara e Hashirama, proprio dove Madara si arrende e fanno l’alleanza. Quindi immagino possiamo dire ci sia un po’ di canon divergence, visto che quello scontro viene interrotto. Anche perché c’è già Kagami, che in teoria in questo periodo dovrebbe essere un bambino??? Idk, nel canonverse si sa solo che era nella squadra di Tobirama e su Narutopedia inglese ho letto che è morto a 25 anni. Ma Narutopedia non è poi così affidabile, quindi… Insomma, è venuta fuori questa cosa. Comunque mi piaceva l’idea di ambientarla durante il periodo della guerra tra Senju e Uchiha. Ed è questa la mia idea della dinamica TobiKaga, non quella cosa pseudodisturbante che sto scrivendo per l’altra challenge.
Ah, sappiate che in questa casa ci piacciono i cliché ^^ e un piccolo ringraziamento a Querdenker che ha letto la os in anteprima <3
 
Ps. Il titolo viene dalla canzone “Rewrite the stars” del musical The Gratest Show cantata da Zendaya e Zac Efron.
 
 
 
What if we rewrite the stars?
 
 
Madara alzò lo sguardo sul ragazzino nervoso davanti a lui.
“Devi dirmi qualcosa, Kagami?” chiese più stanco di quanto volesse mostrarsi. Ma da quando Izuna era morto si sentiva così spezzato da faticare a reggere tutto il peso del clan. Occuparsi dei morti e della gestione delle razioni non era piacevole in quel momento.
Kagami si dondolò sui piedi, una mano stretta sul polso fasciato. Teneva lo sguardo basso e ancora una volta si chiese che cosa lo rendesse così recalcitrante a parlare quando solitamente era un chiacchierone inarrestabile.
“Madara-sama,” iniziò alla fine, ancora incerto e lo sguardo sui suoi piedi, “io ho un’anima gemella”.
Inarcò un sopracciglio sorpreso. Non solo perché era un evento rarissimo, ma solitamente era qualcosa che portava sempre con sé gioia e festa, non era qualcosa che si ammetteva con aria colpevole; il suo comportamento così nervoso non era promettente.
“Chi?” chiese conscio che la risposta non sarebbe stata piacevole.
Kagami non rispose, si martoriò il labbro inferiore finché non decise di sciogliere le bende al polso. Sulla pelle pallida Madara poté vedere chiaramente dei kanji tatuati con il chakra.
Senju Tobirama.
Un pesantissimo sospiro gli uscì dalle labbra, quello era peggio di qualsiasi previsione. Poteva capire perché lo avesse tenuto nascosto per tutto quel tempo. Gli dei avevano legato la sua anima a quella del Fantasma Bianco, non poteva esistere punizione peggiore per un Uchiha, chissà cosa aveva fatto nella sua vita passata da meritarlo.
“Congratulazioni” disse lugubre. “Perché me lo stai dicendo ora?”
Kagami arrossì sugli zigomi, ma non sembrava in imbarazzo, sembrava più dispiaciuto e colpevole.
“Ha ucciso Izuna-san…”
Serrò la mano a pugno d’istinto, il fiotto di rabbia che sbocciava nel suo stomaco come ogni volta che ci pensava.
“Non è tua responsabilità” disse fingendo distacco.
Gli occhi di Kagami erano tra i più dolci che avesse mai visti, rotondi e grandi come quelli dei cerbiatti, nei suoi sedici anni era molto carino e pensare che fosse destinato a un Senju era una vera e propria ingiustizia.
“Se vuoi puoi uccidermi”.
Rimase completamente senza parole e lo fissò sconvolto. “Cosa?”
Kagami continuava a fissare i piedi. “Quando un’anima gemella muore, l’altro prova un dolore indicibile” balbettò. “Lo stesso che hai provato tu quando hai perso Izuna-san”. Alzò gli occhi a guardarlo con decisione.
Lo fissò sbigottito prima di riprendersi. “No, non ho intenzione di farlo” disse duro, infastidito da quella richiesta folle. “Come ho detto, non è tua responsabilità”.
Pigramente si chiese se questa faccenda dell’anima gemella potesse avere risvolti positivi. Kagami aveva grandi capacità e in battaglia si era distinto più di una volta nonostante la sua giovane età. L’opzione che fosse in grado di sviluppare il Mangekyo non era da escludersi totalmente e un’anima gemella di quel tipo era già traumatico di suo.
“Mi… dispiace” mormorò ancora il ragazzino.
Sospirò. “È a me che dispiace”.
Tobirama sapeva di avere un’anima gemella tra gli Uchiha, eppure non aveva evitato di trucidarne a decine. Conoscendolo, probabilmente l’odiava. Non c’era da stupirsi che Kagami avesse uno sguardo triste, abbattuto, e provò pena per lui.
“Sei stato saggio a non dirlo a nessuno” considerò. “Manterrò il tuo segreto”.
Ci fu un piccolo sprazzo di gratitudine nello sguardo mogio di Kagami mentre lo congedava.
Fissò la cartina che aveva davanti, i punti delle ultime battaglie contro i Senju, e gliene venne in mente uno in particolare con un folle sogno… folle quanto l’idea che il destino avesse voluto unire un Uchiha e un Senju.
Si accigliò, chiedendosi se non fosse un segno.
 
**
 
Kagami aveva sei anni quando aveva imparato a leggere i kanji sul suo polso, che per qualche motivo oka-san gli copriva sempre con le bende. Aveva sempre avuto quei strani segni di chakra sulla pelle da che aveva memoria.
Era cresciuto ascoltando le storie degli anziani sulle anime gemelle e per lui era stato facile capire che gli dei avevano scelto lui, che era una delle poche e fortunate persone al mondo a possedere un’anima gemella. Ma in quel modo si era reso conto della gravità della discendenza della sua anima gemella e perché sua madre lo tenesse nascosto. I loro clan erano in guerra da generazioni.
Ma Kagami non si era mai arreso. Lo aveva tenuto nascosto anche dopo la morte della mamma, si era sempre cullato nel pensiero che nel mondo esistesse qualcuno fatto solo per lui, che gli dei stessi gli avevano destinato. Qualcuno che si sarebbe preoccupato di lui, che gli avrebbe voluto bene a prescindere, che era suo.
Kagami aveva sempre amato la sua anima gemella e con il tempo il suo amore era cresciuto. Aveva rifiutato tante ragazze e tanti ragazzi nella sua crescita, tutti dicevano che era carino con i suoi capelli ricci e gli occhi da cerbiatto, ma a lui non importava. C’era solo una persona che voleva lo apprezzasse in quel modo, una sola persona che stava aspettando. Anche quando aveva scoperto che il suo Tobirama era il Fantasma Bianco assassino di così tanti Uchiha, aveva continuato ad amarlo e sognare il loro incontro. Era certo che una volta incontrati tutto si sarebbe risolto, che avrebbero abbandonato le armi e che semplicemente si sarebbero amati, perché erano anime gemelle.
Si era cullato in sogni infantili di una pace improvvisa tra Uchiha e Senju, su come sarebbe stata la loro vita insieme. Era certo che lo avrebbe amato di ricambio, come poteva essere il contrario?
Ma ora il suo Tobirama aveva ucciso Izuna, la pace non era mai sembrata così lontana e i suoi sogni così sciocchi…
 
**
 
A soli sedici anni, Kagami era una delle punte di diamante negli schieramenti Uchiha. Era stato proprio Izuna a notare il suo valore e addestrarlo. Erano molte le arti in cui eccelleva, oltre i due fratelli con i Mangekyo non aveva rivali nel genjutsu.
Per questo, quando si era trattato di organizzare un’imboscata a un contingente di Senju, era stato messo in prima linea.  Quello che non si aspettava era di percepire quello strattone nella cassa toracica, come se il suo cuore fosse stato agganciato da un amo che tirava verso una precisa direzione.
Oh no.
Kagami non era mai entrato in contatto con Tobirama, nemmeno nelle battaglie. Nonostante le sue capacità lo avevano sempre ritenuto troppo giovane per affrontare i fratelli Senju. Ma ora, anche se non era un ninja sensoriale, riusciva a sentire la sua presenza: la sua anima gemella era lì.
Fu più forte di lui, il suo corpo si mosse da solo. Abbandonò la posizione e superò l’uomo contro cui stava combattendo malamente.
“Ehi!” qualcuno lo richiamò, ma ci badò appena.
 Il suo battito cardiaco era simile a un tuono in grado di zittire il furore dello scontro. Saltò sui cadaveri, evitò i nemici e gli alleati. Doveva combattere in quel momento, ma non riusciva a pensare ad altro che lui era lì. Si trascinò attraverso la carneficina del campo di battaglia fino ad arrivargli davanti, gli occhi che guizzavano sulle facce di Senju sconosciuti per cercare quella che avrebbe riconosciuto spontaneamente.
Finché, eccolo, se lo trovò davanti a pochi metri, proprio mentre si scrollava di dosso un cadavere. Per un momento, proprio come nelle sue fantasie, tutto sembrò fermarsi. Ma non era come nella sua immaginazione, dove tutto era meraviglioso e intenso: c’era odore di sangue e carne bruciata nell’aria che il vento trasportava tra loro insieme alle grida di dolore e Tobirama aveva l’armatura imbrattata di sangue, era tutto così macabro.
Gli occhi della sua anima gemella si fermarono su di lui, di un rosso letale e più scuro del suo sharingan, e non c’era gioia nel suo sguardo. Il sentimento con cui lo stava guardando gli schiacciò il cuore, era puro odio. Ma non ebbe molto tempo di pensarci: Tobirama si era distratto nel vederlo e un suo compagno di clan ne stava approfittando per colpirlo. Kagami vide chiaramente quanto sarebbe stato letale il colpo. Ancora una volta si mosse senza pensare, assecondando soltanto gli scossoni che sentiva tra le costole.
Tra le tante cose in cui eccelleva, una di queste era il shunshin, non c’era nessuno nel clan veloce quanto lui nel teletrasporto. Lo spinse con tutto il suo peso, evitandogli il colpo, ma non fu altrettanto veloce a spostarsi. La katana potenziata dal jutsu di fulmine lo colpì in pieno.
Ottimo, morto per amore salvando un nemico. Madara-sama non sarà contento.
L’ultima cosa che vide furono rami di alberi che crescevano attorno a lui, ma a quel punto era già svenuto dal dolore per chiedersi cosa diavolo fossero.
 
**
 
Il brontolio del fratello gli arrivò indistinto, ma Hashirama pensò comunque che meritasse l’occhiataccia.
“Non ho detto niente” si difese Tobirama, la testa fasciata e l’espressione imbronciata.
“Hai borbottato”.
“Trovo solo… controproducente curare un nemico” sostenne.
Hashirama lo guardò esasperato prima di tornare a occuparsi del ragazzino svenuto sul lettino dell’infermeria. A quanto pare per il fratello non significava niente che tale nemico si era piazzata in mezzo a salvarlo da un colpo mortale, prendendolo al suo posto.
Se ripensava a quella scena gli tremavano ancora le mani, per un momento aveva temuto di aver perso anche l’ultimo fratello – proprio come Madara. Non sapeva chi fosse questo Uchiha, perché lo avesse fatto o se era tutto un piano per penetrare nelle loro difese (possibilità offerta da Tobirama), ma ora era sua responsabilità ringraziarlo per quello che aveva fatto. Salvargli la vita gli sembrava un buon modo per ripagare, era fortunato che fosse lui il ninja con il più potente ninjutsu medico in circolazione. Gli sarebbe rimasta una cicatrice mostruosa, ma sarebbe sopravvissuto.
Guardò il ragazzino chiedendosi quanti anni avesse, a occhio sembrava sulla quindicina.
Ed era sul campo di battaglia…
Sapeva che la guerra pretendeva sangue sempre più giovane ormai, ma aveva dei lineamenti così gentili ed era così minuto... non sembrava giusto che appartenesse a un campo di battaglia.
Se solo Madara avesse accettato l’alleanza…
“Dovrebbe essere stabile” considerò alla fine. Staccò le mani dal suo corpo e il chakra verde smise di risplendere dai punti di fuga delle dita. “Gli serve solo del riposo”.
Tobirama grugnì qualcosa.
“Posso lasciarti qui con lui sperando che tu non lo uccida?” chiese paziente. C’erano altri feriti che doveva curare insieme al loro reparto medico e doveva anche fare il punto della situazione. Senza contare che doveva incontrare una certa persona…
Un leggero rossore si diffuse sulle guance solitamente pallide del fratellino, cosa che lo lasciò perplesso. Ma Tobirama si comportava stranamente da quando si erano ritirati, probabilmente era il suo orgoglio leso all’idea di essere stato salvato da un Uchiha.
Chissà perché l’ha fatto… si chiese un’ultima volta prima di uscire dalla tenda.
 
Si assicurò che suo fratello si fosse davvero allontanato prima di riportare l’attenzione sul ragazzo svenuto accanto a lui.
La sua anima gemella.
Tobirama aveva scoperto a otto anni di essere stato maledetto dagli dei, quando sul suo polso un chakra invisibile ed estraneo aveva tatuato un nome: Uchiha Kagami. Ricordava con chiarezza la rabbia e l’umiliazione che aveva provato all’idea che fosse segnato da un tale destino, aveva maledetto la sua anima gemella nel momento esatto in cui aveva letto il suo nome. Aveva già deciso che non poteva amare chi condivideva la genealogia con gli assassini dei suoi fratelli minori, li odiava tutti. Non lo avrebbe mai accettato e negli anni aveva tentato di cancellare più volte quel segno maledetto, a volte anche con la lama di un kunai, ma era tutto inutile. La firma di chakra estranea – quella della sua anima gemella, fuoco come la maggior parte degli Uchiha – persisteva sempre e per lui, dotato di una capacità sensoriale fuori dalla norma, era fonte di pazzia.
Aveva sempre sperato di non incontrarlo, che morisse prima che fosse possibile. Invece… era lì, davanti a lui.
Non era mai stato così confuso.
Ovviamente continuava a provare rabbia e rifiuto verso la sua anima gemella. Non c’era stata nessuna epifania, nessuna improvvisa magia che aveva cancellato in un solo colpo anni di rancore e odio. Solo che… era la sua anima gemella.
Non sapeva nemmeno lui cosa dovesse significare. Ma in qualche modo sentiva che quella persona non era una persona qualsiasi, lui era… suo?
Che assurdità, si arrabbiò con se stesso.
Si chiese se dovesse ucciderlo. Si era informato, sapeva che era l’unico modo per cancellare il segno, ma sapeva anche che perdere la propria anima gemella significava patire una sofferenza indicibile, anche se dopo aver sopportato la morte dei suoi fratelli Tobirama si sentiva pronto a qualsiasi dolore. Non poteva esistere niente di peggio di vedere il fratellino con un kunai nella pancia e lo sguardo vacuo. Sì, probabilmente doveva ucciderlo prima che qualcuno scoprisse del legame indesiderato che li univa, non avrebbe mai sopportato una tale umiliazione. Contava che l’Uchiha avesse mantenuto il segreto sul segno proprio come aveva fatto lui, del resto il suo polso era strettamente fasciato. Si alzò circospetto e andò dove Hashirama aveva incautamente lasciato un kunai e lo prese saldamente per il manico.
“Hai intenzione di uccidermi?”
Era raro prendere un sensore del suo calibro di sorpresa, ma Tobirama si ritrovò a sussultare e si voltò verso il ragazzo sul letto. Non era più svenuto e lo stava guardando desolato. Si ritrovò a notare che i suoi occhi erano molto dolci e che il suo chakra era intriso di tristezza. Quella era una novità, tutti gli occhi degli Uchiha con cui si era scontrato grondavano odio e avevano il chakra agitato da rabbia e paura di morire.
Perché era triste? Perché sapeva che stava per morire? Ma allora perché non era spaventato? Perché i suoi occhi ossidiana continuavano a guardarlo in quel modo un po’ sorpreso, quasi ammirato?
Tobirama ricambiò lo sguardo, osservò la forma rotonda e delicata dei suoi occhi scuri e dalle ciglia piene e il modo in cui i capelli ricci gli incorniciavano il viso. Perfino rovinato dalle ferite il suo volto era gentile. Era… bello.
Tobirama inspirò con forza, era come se vedesse un Uchiha per la prima volta, lo vedesse davvero. Come i suoi occhi brillavano, anche se così scuri e grandi, dalla luce delle poche candele nella tenda, come le labbra erano socchiuse e piene.
Sentì un forte strattone al cuore, una scossa di chakra che partiva direttamente dal tatuaggio sul polso. Gli si avvicinò lentamente, come se fosse un animale pericoloso, un serpente pronto a scattare, ma Kagami continuava a fissarlo tranquillo, ancora esausto dalla ferita. Sussultò solo quando gli afferrò il polso e cominciò srotolare le bende strette, con più delicatezza di quanto volesse, le sfilò via fino a vedere l’inchiostro scuro scintillante.
Il suo nome era inciso nella carne.
Non poteva avere più dubbi, era davvero lui. Lasciò andare il polso e riprese il kunai, la presa salda sull’elsa, e appoggiò la lama sulla gola di Kagami.
Provò un’improvvisa fitta di terrore per quello che stava per fare, si sentì ferito dal suo stesso gesto. Ma doveva essere fatto, andava fatto se voleva essere libero. Lui era Senju Tobirama, il Fantasma Bianco, non poteva essere legato a un Uchiha. Uchiha era il nemico e che razza di shinobi avrebbe lasciato vivere il proprio nemico?
Ma un artiglio scavava nel petto, strisciava una sensazione di profondo torto, come se stesse costringendo un fiume a risalire la corrente che seguire il suo naturale percorso. Non era giusto, non doveva sentirsi in quel modo, tremare al rifiuto, provare la fredda sensazione della perdita imminente, lui non stava perdendo niente. Era uno sconosciuto, era un nemico e lui era uno shinobi: gli shinobi non provano emozioni.
Senju e Uchiha? Era una follia. Anche se lo avesse lasciato vivere, non avrebbero potuto comunque, poco importava la sensazione che lo supplicava di fermarsi. Erano in ogni caso destinati a non poter stare insieme.
“Se non fossi stato un Uchiha, avrei potuto amarti”.
Tobirama non seppe cosa lo fece parlare, perché sentisse il bisogno di giustificarsi. Aumentò la presa sulla lama e l’abbassò quando Kagami mormorò:
“Io ti amo anche se sei un Senju”.
Fermò il kunai.
 
**
 
Hashirama gettò alcuni ciottoli nel fiume nero mentre aspettava. Dal bordo della foresta veniva un profondo silenzio e non si muoveva anima viva, c’era solo lui.
Ma solo per poco.
I suoi riflessi veloci riuscirono a catturare un sasso lanciato nella sua direzione poco prima che colpisse la sua testa.
“Questo poteva farmi male” si lagnò, ma si voltò con un ampio sorriso.
Madara si confondeva tra le ombre del bosco, i suoi livelli del chakra al minimo per non segnalare la sua presenza alle sentinelle del campo Senju vicino.
“Rischioso lasciare un messaggio del genere” commentò sprezzante e Hashirama guardò il sasso che gli aveva lanciato, rotondo e piatto, su cui era stato scritto: vieni al fiume.
“Eri l’unico che avrebbe capito” gli fece notare prima di lanciarlo con un sapiente colpo del polso. Il sasso rimbalzò sulla superficie dell’acqua fino a raggiungere l’altra riva.
Madara sospirò alla sua baldanza, ma si sedette comunque sul bordo del fiume.
“Cosa vuoi?”
“Il tuo compagno” spiegò. “L’ho curato, sta bene. Puoi riportarlo nel vostro accampamento”.
Madara represse una risata di scherno. “Lo restituisci? I tuoi anziano sono d’accordo?”
“Ha salvato la vita di Tobirama” spiegò imbronciandosi. “Credi davvero che lo trattenga come un ostaggio?”
Non rispose a quella domanda provocatoria, con le dita cercò un sasso abbastanza piatto da essere lanciato. Purtroppo affondò nel fiume dopo pochi salti, fece una smorfia.
“È la sua anima gemella”.
Cosa?”
Madara sospirò. Non sapeva perché gli stesse rivelando il segreto di Kagami, forse perché si fidava di Hashirama. Forse perché sapeva cosa sarebbe successo se l’avesse fatto.
Infatti quando si voltò a guardarlo ancora gli occhi dell’ex-amico di infanzia brillavano.
“Tobirama è l’anima gemella di quell’Uchiha?” chiese eccitato.
“Si chiama Kagami” precisò altezzoso. “E sì, purtroppo gli dei gli hanno appioppato questa sciagura”.
“Perché Tobirama non mi ha mai detto niente?” lo ignorò deprimendosi. “Ha un’anima gemella e non me l’ha detto!”
Roteò gli occhi, conoscendolo era piuttosto ovvio il perché. Anzi era sorpreso non avesse fatto seppuku dalla vergogna. Hashirama invece sembrava aver appena scoperto come raggiungere la luna e continuava a sorridere gongolante.
“Li ho appena lasciati soli… ecco perché era così nervoso” canticchiò.
Madara sgranò gli occhi. “Tu li hai lasciati soli?!” sbraitò incredulo dalla sua stupidità, come poteva essere il miglior shinobi del loro tempo?!
“Tranquillo, Tobirama è rispettoso. Non lo toccherà” cercò di rassicurarlo.
“Sono più preoccupato che lo ammazzi, piuttosto che attenti alla sua virtù…” ringhiò tra i denti. Del resto era la cosa più probabile, nessun Uchiha restava a contatto con Tobirama per più di dieci minuti e sopravviveva.
Ma l’altro non sembrava per nulla condividere la sua preoccupazione.
“Se gli anziani dei nostri clan lo sapessero…” iniziò Hashirama con eccitazione nella voce.
“Li esilierebbero” lo tagliò cinico.
“Forse potremmo davvero creare un’alleanza” non l’ascoltò nemmeno. “Potremo davvero creare il nostro Villaggio, quello che sognavamo da bambini”.
Strinse le labbra e cacciò in un angolo la stessa speranza, lo stesso pensiero che lo aveva colto quando Kagami si era tolto le bende. Ma aveva ancora la voce chiara di Izuna nella testa, la sua richiesta di non arrendersi nella guerra con i Senju. Erano le ultime volontà del suo ultimo fratello, poteva ignorarle?
Ma quel sogno…
“Uchiha e Senju non potranno mai stare insieme” proclamò scuotendo la testa e incrociando le braccia. “È qualcosa che è scritto nelle stelle”.
Hashirama non smise di sorridere e alzò il viso alla volta notturna con fiducia.
“Ma se loro riscrivessero le stelle?”
 
**
 
Tobirama si sentiva il cuore in tumulto, agitato come lo era stato poche volte in vita sua. Eppure la lama del kunai era ferma, sollevata appena sul pomo d’Adamo. Non riusciva a muoverla, ad abbassarla e compiere quello che andava fatto.
Che cosa mi hai fatto, anima gemella?
Gli occhi di Kagami lo stavano supplicando ed erano così belli, ipnotizzanti anche senza lo sharingan. Non riuscì a mantenere quella posizione, allontanò il kunai e si accasciò sconfitto a terra. Si sentì un fallimento.
“Mi ami” ripeté incredulo e per qualche motivo aveva il fiatone, si sentiva tutto sudato come se avesse fatto uno sforzo tremendo. “Non mi conosci nemmeno, che assurdità”.
“Ma sei per me. Da quando so leggere… da quando ho capito che esistevi ed eri stato scelto per me. Il solo saperlo mi ha fatto innamorare”.
Tobirama lo guardò con gli occhi spalancati alla sua audace dichiarazione, una confessione d’amore per uno sconosciuto, per un nemico.
Kagami si agitò fino a riuscire a mettersi seduto, più in alto di lui in una posizione di dominanza che mise Tobirama in allarme, ma rimase seduto a guardarlo con un misto di confusione e stupore.
“Ho sognato a occhi aperti per anni il giorno in cui ci saremmo incontrati e saremmo stati insieme, anche se siamo Uchiha e Senju! Ti ho tenuto vicino ai miei pensieri ogni notte, ti ho amato ogni giorno per anni”.
“Io… ho cercato di ucciderti”.
Tobirama gli lanciò uno sguardo duro, sprezzante, in realtà solo per nascondere il disagio che provava davanti a quel facile perdono.
Kagami sorrise giocoso. “Ma non l’hai fatto” annuì soddisfatto e incrociò le braccia come se lo sfidasse a sostenere il contrario. “Non ci riusciresti”.
“Sei troppo sicuro di te, anima gemella”.
Kagami gli rivolse un altro sorriso prima di abbassare lo sguardo e arrossire.
“Mi chiamo Kagami”.
Si trovò a sbuffare per non ricambiare quel sorriso.
“Lo so” disse e la sua mano si mosse a sciogliere le bende strette sul polso prima che se ne rendesse conto. Le sfilò lentamente, fino a scoprire quella porzione di pelle ancora più pallida, che era stata coperta da quando aveva otto anni. Scoprì a qualcuno, dopo ben sedici anni, i kanji che erano stati tatuati con il chakra sulla sua carne. Uchiha Kagami brillava come fuoco.
Kagami si illuminò a vederli.
“Puoi chiamarmi anima gemella, comunque,” disse sporgendosi, “mi piace, è possessivo”.
Tobirama borbottò qualcosa sul suo avere il cervello bruciato da un katon e scoppiò in una piccola e fragorosa risata. Gli occhi del ragazzo scintillavano e questo lo confondeva, si ritrovò a fissarlo ancora una volta mentre la risata sfumava piano. Non riusciva davvero a staccarsi dalla faccia di Kagami. Il rossore adornava ancora le sue guance, accompagnato da quel sorriso sbilenco sui denti bianchi. Gli occhi di Tobirama si ammorbidivano sempre di più mentre lo fissava, non era solo diverso da qualsiasi Uchiha avesse mai incontrato, ma anche da qualsiasi altro essere umano.
Si allarmò, però, quando lo vide alzare e allungare una mano verso di lui. L’afferrò al polso, coprendo con il palmo il proprio nome inciso e nel farlo sentì una scossa.
“Cosa fai?”
Kagami si morse il labbro con gli incisivi e lo guardò con gli occhioni spalancati.
“Voglio toccarti” spiegò esitante. “Non posso?”
Lo tenne stretto al polso per qualche secondo, valutando; alla fine mollò la presa.
“Sono un sensore, se farai qualcosa con il chakra me ne accorgerò e agirò di conseguenza” lo avvisò.
“Sono troppo ferito anche solo per attivare lo sharingan” protestò, ma si zittì quando non fu più trattenuto e poté scivolare oltre fino a toccare con il polpastrello lo zigomo pallido e affilato.
Fece un’espressione di puro stupore mentre vagava con la punta delle dita sulla pelle pallida e tesa del suo viso, seguendo i suoi lineamenti lentamente. Tobirama si sentì a disagio per tutto il tempo, ma c’era anche un’altra sensazione sottopelle… qualcosa che aveva provato solo nella furia di una battaglia, ma questa era positiva. Sentiva la pelle scottare dove Kagami passava con le dita e dopo l’iniziale diffidenza cominciò a sciogliersi a quei tocchi, stavano diventando stranamente piacevoli.
Ma poi Kagami scese a sfiorare il contorno della sua bocca e squittì con forza. Smise di toccarlo e si agitò sul lettino, dondolandosi a destra e sinistra con le mani sul volto, un piagnucolio indistinto lasciava le sue labbra.
Cosa.
“Stai bene?” indagò preoccupato che si fosse riaperta una ferita.
“Gnnnsdfghjk”.
Forse era un tipo di linguaggio in codice degli Uchiha che non conosceva. Ma prima che potesse preoccuparsi davvero Kagami si fermò e gli occhi sbucarono tra le dita separate delle mani spiaccicate in faccia. Erano due dischi che brillavano di felicità ed emozione.
Oh.
Non stava male, non si stava lamentando per un dolore. Era solo felice e cretino. Cosa di cui non doveva essere sorpreso trattandosi di un Uchiha.
“Sognavo di toccarti da anni e adesso sei qui” piagnucolò più comprensibile, rosso in viso e con un sorriso tremolante. “Non sai quanto sono felice”.
Il suo cuore continuava a contrarsi in modo strano, ma non gli faceva male, gli faceva solo formicolare le estremità. Assecondò l’istinto che lo spingeva a sua volta ad alzare una mano per toccarlo, giusto per curiosità di sapere che cosa si provasse nel toccare un’anima gemella.
Sì, per puro spirito accademico, ecco.
Cercò di allontanare le mani ancora appoggiate al suo viso.
“Che fai?” chiese Kagami irrigidendosi.
Inarcò un sopracciglio. “Tu puoi toccarmi e io no?”
Si sciolse nell’ennesimo sorriso e lasciò cadere le mani che gli coprivano il viso, Tobirama fu finalmente libero di sfiorargli lo zigomo pieno. Ma le sue dita indugiarono sulla pelle solo brevemente prima di trascinarsi sui riccioli che lo incorniciavano. Immerse la mano tra i capelli arruffati e la contrazione al cuore s’intensificò.
I suoi capelli erano così soffici. Era come accarezzare la pelliccia di un cucciolo, non riusciva a smettere di lisciare quelle ciocche morbide, vezzeggiare la cute. Kagami sembrò sciogliersi alle carezza, si spinse ancor di più contro il suo palmo e inciampò per tentare di avvicinarsi a lui.
“E… un bacio?” borbottò speranzoso.
Tobirama sgranò gli occhi. “No!”
Sembrò restarci davvero male e abbassò lo sguardo mogio. Si sentì un po’ in colpa nel vederlo perdere di colpo l’entusiasmo, sentì il bisogno di giustificarsi.
“Siamo ancora due estranei”.
“Ma siamo anime gemelle” si lagnò.
Immaginava che il ragionamento avesse un sua validità, ma non erano di certo in quel grado di conoscenza da giustificare un’azione così intima. Senza contare che solo perché erano anime gemelle non era detto che si piacessero. E poi, ancora, erano Senju e Uchiha, nemici.
“Per un bacio bisogna aspettare del tempo” si trovò a borbottare invece. Non se ne pentì, perché gli occhi di Kagami ripreso a brillare. Gli aveva praticamente detto che non era un no a lungo termine.
Del resto, rifletté Tobirama senza smettere di accarezzargli i capelli soffici, adesso Kagami era nel loro accampamento, era un loro ostaggio. Non sarebbe tornato dagli Uchiha tanto presto, poteva approfittarne e prendersi il suo tempo per familiarizzare con questa faccenda dell’anima gemella. Sì, non era come se Kagami stesse per sparire da un momento all’altro, nessuno glielo stava per portare via.
Madara entrò nella tenda.
“Kagami, prendi le tue cose, sono venuto a…” si bloccò congelato dalla scena che aveva davanti, gli occhi che freddavano Tobirama come un gatto che arruffa il pelo e mostra gli artigli. Al che si accorse di star ancora coccolando i capelli di Kagami e di essere appena stato beccato da Uchiha Madara in persona a farlo.
La sua reputazione, costruita duramente e con il sangue nel corso degli anni, era finita.
Ritrasse velocemente la mano, entrando in mentalità di battaglia. Madara nel loro accampamento era male, come aveva fatto a entrare eludendo le sentinelle nel perimetro e la barriera di chakra? Afferrò il kunai che aveva lasciato cadere a terra e istintivamente si frappose tra Kagami e Madara. Quando se ne rese conto era già in posizione di difesa, a quanto pare il suo istinto si era già settato nella protezione dell’anima gemella.
Madara lo guardò con lo stesso disprezzo che avrebbe riservato a una cimice.
“Spostati, Senju”.
“Non ti lascerò rapire il nostro ostaggio”.
Ecco, perfetto: ostaggio. Stava solo facendo il suo lavoro di shinobi, non c’era nessun motivo personale in mezzo.
Madara non sembrò per nulla impressionato, lo guardò solo come se stesse per azzannarlo alla gola. Non ebbe occasione di farlo perché arrivò Hashirama che mise con troppa confidenza una mano sulla spalla del nemico.
“Abbassa l’arma” flautò felice come lo aveva visto poche volte. “Ho detto io a Madara di venire a riprendersi Kagami. Oh, sei sveglio!” cinguettò vedendo il ragazzino seduto e parecchio confuso.
Un secondo prima stava vivendo il suo sogno segreto e la sua anima gemella gli stava accarezzando la testa, il secondo dopo era entrato il suo capo clan e… cosa stava succedendo?
Fu ancora più confuso quando Hashirama cominciò a inchinarsi con rispetto verso di lui un bel po’ di volte con entusiasmo.
“Piacere di conoscerti, Kagami-kun. Sono Hashirama, il fratello maggiore di Tobirama. È così bello averti qui” disse con gli occhi che brillavano e un sorriso enorme.
Tobirama impallidì e capì perché Madara lo stesse guardando con più astio del solito e il fatto che avesse puntato gli occhi sul suo polso con depressione chiariva tutto.
Madara sapeva, suo fratello sapeva: era la fine.
“Come ti senti? Ti sei riposato? La ferita ti dà noia?” continuò a bersagliarlo Hashirama avvicinandosi sempre di più.
Kagami lo fissava sbattendo le palpebre. “Sì, sì, no. Grazie per avermi…”
“No, grazie a te!” lo interruppe Hashirama abbracciandolo. “Sono davvero felice di averti qui. Davvero felice. E sei anche così carino…”.
Non stava succedendo davvero.
Madara cominciò a spazientirsi. “Kagami, ti ho detto di andare. Prendi la tua armatura”.
“È qui!” collaborò Hashirama, scodinzolando e con un’espressione amorevole. “È ancora sporca di sangue, ma…”
“Va bene così” sbottò Madara afferrandola bruscamente, sembrava esasperato da tutto quell’entusiasmo. “Andiamo”.
Kagami si alzò confuso, un po’ traballante, mentre Hashirama continuò a fargli le feste girandogli attorno.
“È stato un piacere averti qui. Puoi tornare quando vuoi! Saremo molto felici di averti qui. Magari ti mostrerò la mia collezione di baobab!”
“Ehm…”
Cercò lo sguardo di Tobirama, ma lo trovò confuso dall’improvvisa situazione quanto lui. Provò a rispondere qualcosa ad Hashirama, anche solo per ringraziarlo di averlo curato e assicurargli che sarebbe tornato molto volentieri, ma Madara lo agguantò per la collottola e lo trascinò via.
“È abbastanza. Andiamo”. Si voltò verso Hashirama per fargli un cenno. “Aspetto tue notizie”.
“Parlerò con gli anziani!” assicurò sprizzando gioia. “Troveremo un accordo”.
Madara fece per uscire, ma poi parve ripensarci e lanciò un’occhiata a Tobirama, ancora molto scombussolato. In un’altra situazione si sarebbe goduto vedere la sua gelida compostezza svanita a favore di confusione e imbarazzo. Ma c’era qualcosa che doveva mettere in chiaro.
“Kagami ha sedici anni” ringhiò, “e sono io il suo responsabile. Ti terrò d’occhio”.
Tobirama spalancò la bocca oltraggiato e arrossì furiosamente per la sua insinuazione ingiustificata, purtroppo Madara uscì dalla tenda prima che potesse insultarlo a dovere ed ebbe solo un veloce flash dell’occhiata dispiaciuta di Kagami.
La tenda dell’infermeria tornò vuota mentre i due chakra si allontanavano veloci. Tobirama aveva ancora il kunai in mano e non era sicuro di quello che era appena successo. Fu la presa decisa di suo fratello sul suo polso che lo riscosse, ma non fu comunque abbastanza veloce per impedirgli di leggere i kanji.
Hashirama strillò di gioia e cominciò a saltare per la tenda.
“Per il Buddha! Hai davvero un’anima gemella!”
“Gridalo più forte, non ti hanno sentito a nord” borbottò irritato, si portò una mano a stropicciarsi il viso.
Ovviamente non scalfì minimamente il suo buon’umore.
“Perché non me l’hai detto? Hai un’anima gemella” continuò ad agitarsi eccitato. “Sono così felice per te! Ed è anche così carino, vero? Sei stato fortunato! Allora, avete parlato? Adesso gli Uchiha ti sono più simpatici? Non preoccuparti, credo di aver raggiunto un accordo con Madara, potrai vivere la tua storia d’amore!”
Decise di chiudersi dentro un dignitoso silenzio. Cercò il suo equipaggiamento e iniziò a indossarlo.
“Vado a fare un turno di guardia” disse.
Hashirama gli si incollò a cozza. “Nooo, ti prego. Voglio sapere tutto!” piagnucolò.
Riuscì a liberarsene a fatica. “Non c’è niente da sapere!” abbaiò prima di poter finalmente uscire dalla tenda, il volto in fiamme.
 
 
 
 
Tempo dopo…
 
Tobirama camminava con passo deciso per il villaggio ancora in costruzione. Grazie all’arte del legno di Hashirama le case e i distretti erano stati costruiti a tempo record, ma c’erano comunque cantieri ancora in corso. Tobirama aveva aiutato il fratello nei lavori e per questo era stato molto impegnato, occupandosi delle noiose questioni diplomatiche – come l’unione con altri clan – che il fratello ignorava con leggerezza.
Insomma, era stato molto occupato.
Questa era la sua giustificazione sul perché si stesse muovendo solo ora, dopo mesi dall’alleanza con gli Uchiha, verso il loro maledetto distretto abitativo. Non era perché, per esempio del tutto improbabile e ipotetico, era un po’ spaventato da quello che stava per fare.
No effettivamente lui era molto impegnato, non avrebbe dovuto essere lì in quel momento, doveva osservare le reclute… no, non aveva tempo per quello.
Fece per girarsi, ma proprio in quel momento qualcosa cadde dai tetti e gli atterrò davanti. Si trovò a fronteggiare uno spettinato ragazzo Uchiha da un sorriso smagliante e gli occhi eccitatissimi – il motivo per cui si era spinto così vicino al distretto quando solitamente se ne teneva lontano.
“Oh, ciao. Anima gemella” borbottò facendo un passo indietro per stabilire un’opportuna distanza.
Kagami allargò il sorriso ed eliminò di nuovo lo spazio.
“Mi stavi cercando?” chiese felice.
Come faceva a saperlo? Forse era anche quello un potere da anime gemelle. Kagami non gli diede nemmeno il tempo di rispondere che continuò.
“Io ti sono venuto a cercare un sacco di volte, ma non c’eri mai!” si avvicinò ancora, imbronciandosi, ma poi sorrise spensierato. “Tuo fratello è simpatico, sai? Credo si sia affezionato a me!”
“Non dubito” ronzò a disagio, si stava avvicinando troppo e il suo sorrisetto non prometteva niente di buono.
“Quindi? Mi cercavi?”
Sussultò quando allargò le braccia attorno al suo busto e l’abbracciò appoggiando il mento sul suo petto, il sorriso da mascalzone e gli occhi da cerbiatto.
“Sì” ammise altero, cercando di conservare un po’ di dignità.
In realtà fremeva dalla voglia di tornare ad accarezzargli i capelli morbidi. Era un segreto, ma Tobirama adorava le cose morbide, era il motivo principale per cui aveva aggiunto la pelliccia nell’armatura. Ecco, i suoi capelli erano la cosa più soffice che avesse mai toccato e voleva toccarli ancora.
“Hashirama mi ha assegnato l’addestramento delle reclute più dotate” spiegò cercando di mantenere tutto molto professionale. “Mi servirebbe un aiutante”.
“Io?” esultò Kagami allargando il sorriso con espressione stupefatta e Tobirama confermò con un cenno.
Si staccò da lui e mise le mani sui fianchi. “Lo sai che non ti serve una scusa per passare del tempo con me, vero?”
Nel farlo alzò il braccio dove il suo polso era nudo, dove i raggi del sole colpivano le incisioni di chakra con il suo nome, mostrati a chiunque appoggiasse gli occhi.
Si ritrovò ad arrossire. “Non è una scusa”.
Ma Kagami ridacchiava come uno che la sapeva fin troppo lunga.
“Bene, quindi mi aspetto di trovarti più spesso adesso” lo sfidò prendendolo per mano.
Tobirama per un momento ebbe l’istinto di ritrarre la presa, non abituato a quel contatto. Ma poi ricambiò la stretta. Kagami lo tirò verso di sé con uno strattone e, prima che potesse bilanciare di nuovo il suo equilibrio, il ragazzo ne approfittò per stampargli un bacio.
Cosa?
Kagami rise più forte, ma se voleva dire qualcosa non ne ebbe modo perché dal fondo della via si sentì un grido di battaglia.
“TOBIRAMAAAAA!”
Quello era Madara. Che bella giornata.
Kagami fece un’espressione di scuse. “Ops, meglio scappare”.
Ancora scombussolato da quello che la sua anima gemella aveva avuto l’audacia di fare, si lasciò trascinare per le strade di Konoha, il posto dove forse avrebbe potuto anche lui smettere di tenere nascosto il suo segno, mentre un furioso Uchiha Madara li inseguiva minacciandolo di non molestare il suo innocente cuginetto.

 

   
 
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