Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: ValeAck    27/04/2020    0 recensioni
| Ereri | Mini-Long | Modern!Au |
«Se avessi la capacità di riavvolgere il tempo, tornerei ad un anno fa, solo per cercarti e dirti queste stesse parole.»
«Mi dispiace essere arrivato in ritardo.»
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La cravatta annodata in gola lo stava soffocando, per non parlare di quanto strette sentisse le maniche della giacca blu che indossava sopra quell'insopportabile camicia. La sua vecchia scuola non spiccava di certo tra le migliori, ma almeno lì aveva l'assoluta libertà di vestirsi (nei limiti della decenza) come più gli aggradava. E in quel momento, mentre metteva piede nella sua nuova aula, avrebbe dato qualsiasi cosa per rimpiazzare quell'odiosa divisa con una qualsiasi delle sue felpe. Come avrebbe fatto di tutto per ritornare nella sua amata Tokyo e passare l'ultimo anno di liceo in compagnia di Hanji ed Erwin.

Invece suo padre l'aveva letteralmente parcheggiato a casa dei suoi zii, a Shiganshina, giustificando il tutto con un importantissimo viaggio d'affari in Canada che l'avrebbe tenuto occupato fino al mese di settembre dell'anno successivo. E così lui, un eterno solitario, si era ritrovato a convivere con dei parenti che a stento conosceva, con una cugina che aveva visto una volta sola in tutta la vita, in un paesino dimenticato dal mondo che come unico punto a favore aveva un prestigiosissimo liceo privato. E definire quella postilla come qualcosa di positivo era assolutamente un eufemismo colmo di sprezzante sarcasmo. La Shiganshina High School era esattamente il posto in cui, nemmeno per tutto l'oro del mondo, avrebbe volontariamente messo piede: ragazzini ricchi cresciuti nella bambagia che rabbrividivano al concetto di "scuola pubblica", con una vita perfettamente programmata e con ambizioni personali ridotte ai minimi termini. Preconcetti, pregiudizi, ci tenne a ricordare a se stesso per tranquillizzarsi, fallendo miseramente.

La prima cosa che notò non appena mise piede nella propria classe fu il silenzio. Non che i suoi nuovi compagni non parlassero, semplicemente si limitavano a chiacchierare a voce bassa, rimanendo seduti al proprio posto. Fino a quel momento era stato abituato a tutt'altro: nella sua vecchia scuola, in assenza di un docente, ci sarebbe stato, nel più fortuito dei casi, un chiasso assordate. Percepì qualche occhiata incuriosita spiarlo, mentre attraversava con più scioltezza possibile l'aula, ringraziando il cielo che ci fossero sia l'ultimo che il penultimo banco della fila adiacente alle finestre, liberi. Fu proprio lì che si diresse, spogliandosi della tracolla per lasciarla cadere sul ripiano di legno bianco perfettamente lindo.

«Tu sei quello nuovo, non è così?» alzò lo sguardo e insieme ad esso un sopracciglio, ritrovandosi davanti una ragazza con enormi occhi ambrati e un caschetto ramato che appena le sfiorava le spalle.

«Levi Ackerman.» si presentò e la ragazza annuì con esagerata enfasi, sorridendogli affabilmente proprio come farebbe un venditore porta a porta. Vuole qualcosa, capì immediatamente nel notare le sue spalle rigide e i piedi ben piantati al suolo.

«Sono Petra Ral, rappresentante di classe e a tua completa disposizione per qualsiasi cosa! - Non le rispose, limitandosi semplicemente a farle intendere di aver chiaro il concetto, ma quando scostò la sedia, allontanandola dal banco per accomodarsi, la ragazza increspò le labbra, prima di affondarvi timidamente i denti. - Lungi da me l'essere scortese, Levi. Ma questi due posti - posò i palmi aperti su ambedue le superfici - sono occupati. - dunque giunse le mani all'altezza del petto, stringendo gli occhi e facendo un piccolo inchino colmo di mortificazione. - Potresti gentilmente scegliere un posto diverso?» certo, ultimi due posti di fianco alla finestra liberi: troppo bello per essere vero. Avrebbe potuto fregarsene, in fondo era il primo giorno di scuola e non vi era nulla che simboleggiasse l'esclusiva appartenenza di quei posti ad altri studenti; invece sospirò, alzandosi e afferrando la propria cartella, del tutto maldisposto a dare il via ad inutili questioni. Dunque fece un paio di passi, guardandosi intorno ed evitando le occhiate che sentiva arrivare da ogni singola direzione. Posò la mano sul terzo banco della fila centrale, voltandosi e indirizzando a Petra Ral uno sguardo interrogativo e al tempo stesso sarcastico che lei non parve cogliere, in quanto si limitò a sorridergli con un cenno affermativo.

Non appena prese posto, vide la porta anteriore della classe aprirsi e venire solcata da un anziano signore le cui rughe tagliavano di parte in parte il suo volto, intensificandosi all'altezza degli occhi e rendendo calanti le sue palpebre. Nemmeno un capello a coprire il suo capo, ma in compenso folti baffi brizzolati a solcargli il sottile labbro superiore.

«Spero abbiate passato delle piacevoli vacanze estive e che vi sentiate pronti per affrontare l'ultimo anno che, come ben sapete, sancirà la fine della vostra adolescenza. - ridacchiò affabilmente alle flebili proteste annoiate degli studenti, poi si avvicinò alla cattedra, posandovi i libri che stringeva tra le mani. - Come già avrete sentito, da oggi si unirà a noi un nuovo compagno. - tese il braccio e il palmo aperto nella sua direzione, invitandolo ad alzarsi e Levi agitò nervosamente le gambe in risposta: detestava quel genere di formalità. - Pretendo che ognuno di voi collabori affinché si senta come a casa propria.» Petra, seduta al primo banco, si voltò nella sua direzione, rivolgendogli un sorriso d'incoraggiamento, dunque trattenne uno sbuffò limitandosi a sollevarsi, lasciandosi andare solo ad un impercettibile sospiro. Stava per aprire bocca e fare la sua sbrigativa e preconfezionata presentazione, quando la porta posteriore dell'aula si spalancò di colpo, venendo attraversata da due ragazzi sudati e particolarmente affaticati. Levi si voltò per osservarli, un sopracciglio inarcato nel constatare quanto entrambi fossero esageratamente inchinati.

«Mi scusi per il ritardo, professore.» disse il primo, rimanendo in posizione: i capelli biondi che ricadevano verso il basso e una mano stretta alla bretella della tracolla per evitare di farla rovinare al suolo. Venne immediatamente seguito dal compagno.

«Si, ci scusi tanto! Non ricapiterà.» assicurò, alzando lo sguardo e rivelando gli occhi più incantevoli che Levi avesse mai visto. Enormi gemme di smeraldo, impreziosite da pagliuzze dello stesso blu che tinteggiava l'oceano e contornate da folte ciglia che altro non facevano che ingigantirgli naturalmente lo sguardo: semplicemente spettacolari, in particolar modo se accostate all'incarnato naturalmente scuro che lo contraddistingueva da qualsiasi altro componente della sezione. Decisamente non era orientale.

«Che non si ripeta, Kirschtein. - sospirò il professore al primo, facendo un cenno con il capo. - Vai a sederti. - concluse pazientemente, senza rivolgere all'altro nemmeno uno sguardo. Questi non parve farci caso, semplicemente si avvicinò all'orecchio del suo amico, sussurrandogli qualcosa e sghignazzando da solo, prima di prendere posto proprio dove Levi avrebbe voluto sedersi quella mattina. - Riprendiamo da dove eravamo rimasti, a te la parola, ragazzo mio.» annuì infine il docente, rivolgendosi nuovamente a lui. Si schiarì la voce con un colpetto di tosse e raddrizzò la schiena.

«Mi chiamo Levi Ackerman, ho vissuto tutta la vita a Tokyo, ma per via del lavoro di mio padre mi sono ritrovato qui. - fece un veloce inchino, ricacciando indietro una nascente smorfia di fastidio e obbligandosi a mantenere la solita espressione stoica. - Spero potremmo andare d'accordo.» concluse, tornando seduto.

«Io sono il professor Pixis, coordinatore e responsabile di questa classe. Per qualunque problema potrai rivolgerti a me. - fece un cenno d'assenso con il capo, evitando di aggiungere altro e sperando che l'attenzione si focalizzasse il prima possibile sul prossimo argomento. - Passiamo alle cose divertenti e no, non parlo dei vostri compiti delle vacanze, quelli verranno ritirati dalla vostra rappresentante di classe a fine lezione e portati da me in aula insegnanti. Mi riferisco, bensì, al programma che svolgeremo insieme affinché possiate arrivare al diploma con la migliore delle preparazioni.» il ragazzo con la testa rasata, seduto alla sua destra, raccolse le braccia sul banco e vi affondò il volto con una teatrale disperazione, facendo sghignazzare la compagna alle sue spalle

Quando il professor Pixis, libro alla mano, prese ad elencare gli argomenti che avrebbero affrontato nei prossimi mesi, Levi si voltò per spiare da sopra la spalla il ragazzo ritardatario. Lo beccò perso tra i suoi pensieri, un gomito poggiato sul banco e il mento sorretto dal palmo, mentre i suoi occhi erano indirizzati oltre il vetro della finestra. Aveva un bel profilo, la divisa gli calzava a pennello e su di lui sembrava quasi un abbigliamento decente. Forse il vero problema, quello che stonava con tutto il resto, era la massa disordinata di capelli le cui ciocche parevano lottare (e vincere) contro la gravità stessa. Quando si voltò, rivolgendo lo sguardo alla lavagna, Levi si rese conto che, per quanto illegale fosse girare con quella zazzera, l'insieme non era affatto male. Probabilmente quella trasandatezza era addirittura voluta. Quelle gemme verdi scivolarono distrattamente verso il basso, incantandolo con il solo movimento e, quando le vide posarsi su di sé, accompagnate immediatamente dopo da un sorriso radioso, il corvino sentì le guance andare a fuoco e il respiro bloccarsi. Illegali, delle labbra del genere non potevano essere considerate diversamente, in particolar modo se il loro distendersi implicava la formazione di una minuscola fossetta a scavargli la guancia sinistra. Si voltò di scatto costringendosi a mantenere il contatto fisso con la lavagna. Ottimo, non sai neanche come si chiama ma ti fai beccare a fissarlo. Livello figura di merda: avanzato.

...

Un'intera lezione passata con il capo immobile, gli occhi fissi e il collo rigido, gli causò l'indolenzimento dell'intera schiena che lo indusse a stiracchiarsi non appena suonò la campanella che sanciva l'inizio della pausa pranzo. Forse avrebbe fatto bene ad alzarsi per andare a scusarsi (e magari a presentarsi) con quel ragazzo, ma cosa avrebbe potuto dirgli? Scusa se ti fissavo, ma hai degli occhi meravigliosi ed è difficile esserne indifferenti? Assolutamente una pessima idea.

«Connie, andiamo a mangiare?» Kirschtein, l'amico del ragazzo dagli occhi di giada, si diresse verso la porta, sollevando un braccio. Levi capì dunque che Connie, fosse il ragazzo seduto alla sua destra e lo sentì chiamare "Sasha" la sua amica che si trascinò dietro, afferrandole la mano. Sospirò, arrendendosi alla consapevolezza che non sarebbe mai riuscito a memorizzare i nomi di tutti i suoi nuovi compagni di classe.

«Hey, ragazzi, aspettatemi!» fu più forte di lui voltarsi ed intercettare l'unica persone che fino a quel momento aveva trovato vagamente interessante in quelle quattro mura. Aveva le guance gonfie per il disappunto e le sopracciglia aggrottate, mentre raccattava velocemente le sue cose per raggiungere i suoi amici. E che amici, si disse Levi, non si danno nemmeno la pena di rispondergli. Il tempo di tornare a guardare dritto avanti a sé, che il ragazzo dai capelli biondo platino seduto davanti a lui, aveva girato la propria sedia e posato entrambi i gomiti sul suo banco, sorridendogli affabilmente.

«Io sono Farlan Church! - allungò una mano e Levi gliela strinse titubante, provando a sua volta a presentarsi e venendo interrotto. - Levi Ackerman, il cugino di Mikasa.» il corvino aggrottò le sopracciglia, studiandolo con lo sguardo per alcuni secondi.

«Siete amici?» gli chiese velocemente, occhi puntati in quelli cristallini del ragazzo. Non era sua intenzione risultare scortese, ma non aveva alcuna voglia di entrare nella vita sociale di sua cugina e vivere nel suo gruppo come un parassita unicamente per pietà.

«No, non direi. Ma visto che in questo paesino ci vivono sì e no cento anime, sarebbe strano se non conoscessi qualcuno, specie se questo qualcuno è l'ex del presidente del consiglio studentesco. - Levi scosse il capo, facendogli intendere di non sapere assolutamente nulla. Vero che vivevano insieme, ma da quando si era trasferito a stento si erano rivolti la parola, lei passava la maggior parte del suo tempo chiusa in camera a suonare il pianoforte mentre lui si isolava per poter leggere indisturbato. - Jean Kirschtein, - spiegò velocemente. - sono stati insieme per tre anni.»

«E poi cos'è successo?» non che gli interessasse realmente fare del gossip spicciolo, a maggior ragione se questo riguardava un componente della sua famiglia, semplicemente si adattava a quella che era una convenzione sociale giustificando il tutto con lo "spirito di sopravvivenza del nuovo arrivato". Fu la reazione del suo interlocutore a quella domanda, però, ad incuriosirlo per davvero. Fiato trattenuto, iridi che vagavano in qualsiasi direzione e mano a grattarsi timidamente la nuca: chiaramente l'aveva messo in difficoltà. Anzi, si era messo in difficoltà da solo.

«Diverse cose. - mormorò infine, mordendosi l'interno guancia, soppesando le parole da utilizzare in seguito. - Cose spiacevoli di cui non parliamo. - ancora un volta gli rivolse uno sguardo interrogativo. Cosa poteva essere successo di tanto grave da metterla in quei termini? Magari un tradimento, si disse, senza avere il tempo di chiedere conferma. - Allora vieni da Tokyo?» gli domandò, tornando ad avere un'espressione radiosa. Di qualunque cosa si trattasse, non aveva alcuna intenzione di aprir bocca al riguardo.

«Sì, esatto.» annuì, scorgendo il ragazzo estrarre il proprio bento dal sottobanco e piazzarlo su quello di Levi per aprirlo.

«Oh, spero tanto di essere ammesso in una delle sue università. Vivere in città, lontano da questo posto dimenticato dal mondo, è sempre stato il mio sogno. Dimmi com'è?» scrollò le spalle, imitandolo e prendendo a sua volta il proprio pranzo.

«Bella, se ti piacciono il caos, lo smog, la marmaglia e un'esagerata quantità di automobili.» ironizzò, non preoccupandosi di lasciar trasparire una generosa dose di sarcasmo, finendo poi per sorridere al luccichio negli occhi del suo interlocutore, provocato da quella grossolana descrizione.

«Mi sembra fantastica!» annuì, assorto da chissà quale fantasticheria. Sembrava un tipo decente quel Farlan Church, estroverso al punto giusto, per nulla invadente e con una voce piacevole che faceva quasi passare inosservata la sua evidente logorrea. Quasi allo scadere della pausa, Levi vide nuovamente Jean rientrare in aula, testa bassa sul cellulare, mentre l'amico gli stringeva un braccio intorno alle spalle, parlando a raffica di qualcosa che, data la lontananza, il corvino non riuscì a cogliere. Ancora una volta incontrò quei maledetti occhi, ancora una volta ricevette in cambio un sorriso.

...

Nei giorni che seguirono, Levi capì diverse cose riguardanti il ragazzo con gli occhi di giada.

Era perennemente incollato a Jean Kirschtein ma quest'ultimo non pareva apprezzare sufficientemente la sua presenza, rivolgendogli a stento lo sguardo. Durante le lezioni si distraeva facilmente, preferendo passare intere ore a rimirare il cielo, piuttosto che prendere appunti. Quando invece era particolarmente interessato ad una materia, adorava fare dei piccoli commenti (o meglio, battute poco velate) durante la spiegazione, non venendo mai ripreso. Come se, sia per Pixis che per il resto della classe, fosse un atteggiamento assolutamente normale. Non era, però, ancora riuscito a scoprire il suo nome e, per quanto la curiosità e la voglia di parlargli lo stessero mangiando vivo da giorni, proprio non riusciva ad individuare l'occasione adatta per incalzare una conversazione. Se solo non fosse stato costantemente alle calcagna di quel Kirschtein, probabilmente ci sarebbe riuscito... ma chi voleva prendere in giro? Se Hanji fosse stata lì con lui sicuramente l'avrebbe bonariamente canzonato, accusandolo di saper sedurre solo le persone che non gli piacevano realmente. Ma quella curiosità poteva seriamente essere descritta con il termine "piacere"? Non lo conosceva affatto, non sapeva nulla di lui e perfino associare quell'assurda fissazione ad una cotta gli sembrava esagerato. Eppure, più passava il tempo, più non riusciva a darsi pace, crogiolandosi perennemente nell'incertezza sul come comportarsi.

O almeno, così era stato fin quando, due settimane dopo l'inizio della scuola, l'aveva intravisto alzarsi nel bel mezzo della lezione e uscire dall'aula senza dire una parola. Nemmeno in quell'occasione Pixis lo rimproverò, continuando tranquillamente a spiegare la seconda rivoluzione industriale.

Fu come essere sospinti da una forza maggiore, alzarsi a sua volta per seguirlo fu incontrollabile. A differenza di quel ragazzo, Levi non godeva dello stesso assurdo trattamento di favore, dunque dovette giustificarsi con l'insegnante, rifilandogli la scusa di dover andare in bagno. Quando fu fuori, dopo essersi chiuso la porta alle spalle, si girò a destra e a manca, individuandolo alla fine del corridoio intento a girare verso destra per imboccare le scale. Si apprestò a seguirlo, provando ad ignorare tutti gli improperi della sua coscienza su quanto inopportuno fosse pedinare una persona con la quale non aveva neanche un minimo di confidenza. Ma ancora una volta il desiderio di conoscere ebbe la meglio, concretizzandosi in un vero e proprio bisogno nascente al centro del petto che gli accelerava i battiti passo dopo passo, scalino dopo scalino. Giunse in cima al tetto, lì dove lo vide con i gomiti poggiati sulla ringhiera, il busto appena sporto in avanti e il vento che gli sferzava tra le ciocche castane, tirandole all'indietro e scompigliandole ancor più del solito. Gli si avvicinò lentamente, finché non fu a pochi passi da lui.

«Stai bene?»

Il ragazzo si voltò di scatto, gli occhi spalancati e le labbra a malapena schiuse per la sorpresa, come se l'idea che qualcuno avesse potuto seguirlo fin lì fosse particolarmente assurda. Annuì lentamente, prima di sciogliersi in un sorriso così radioso da far invidia al sole stesso e di appoggiarsi con i fianchi alla balconata.

«Sto bene, avevo solo sentito il bisogno di... pensare? - scosse il capo, ridacchiando di se stesso. - Credi sia strano?» Levi avanzò ancora di qualche centimetro, osservandolo attentamente.

«T'interessa sul serio ciò che pensano gli altri?» un sopracciglio inarcato e le braccia conserte strette contro il busto, mentre azzerava del tutto le distanze, affiancandolo e poggiandosi a sua volta con gli avambracci sul ferro battuto. Parve rifletterci su per alcuni istanti, le iridi che si alzarono lentamente verso l'alto per poi tornare a trafiggerlo con quel colore assolutamente unico nel suo genere.

«Non proprio. - ammise in tutta onestà, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni scuri. - L'opinione delle persone non mi spingerebbe a comportarmi diversamente da quanto faccio, ciò non esclude il fatto che sia curioso di conoscerla.» aveva sperato con tutto se stesso che quel ragazzo si rivelasse un idiota, che una singola conversazione sarebbe bastata a smentire ogni fantasia formulata sul suo conto nelle ultime settimane. E invece (quasi poteva sentire la vocina di Hanji sbeffeggiarlo) quella risposta l'aveva indotto a sorridere flebilmente, incuriosendolo ulteriormente.

«Allora diciamo che reputo strane tante cose e che questa non rientra nella lista.» rispose pacatamente, improvvisamente desideroso di conoscere le riflessioni che l'avevano indotto ad isolarsi in quel modo.

«Quindi hai una lista delle cose che trovi strane? - domandò sinceramente meravigliato, prima di mettere su un ghigno saputo. - Ed io rientro nell'elenco?» quell'ultima domanda quasi la sussurrò, sporgendosi un minimo nella sua direzione.

«Non vedo perché dovresti, non ci conosciamo.» gli fece notare, scrollando piano le spalle.

«Giusto, - convenne con lui con finta condiscendenza. - ma mi hai seguito per vedere se stessi bene e in classe non fai che fissarmi. - disse quell'ultima frase con una naturalezza spiazzante che altro non fece che mandare Levi in agitazione. Ovviamente se n'è accorto.

«Non ti fisso, è solo che... - l'imbarazzo lo costrinse ad abbassare lo sguardo, avvertendo le guance cominciare a prendere fuoco. - Non è facile far finta di niente dinnanzi a determinati comportamenti. - il castano annuì, come se fosse completamente d'accordo con lui, nonostante non avesse fatto esplicitamente riferimento a qualcosa. Quasi si sentì in obbligo di specificare a cosa si stesse riferendo, dunque continuò. - Insomma, parli senza essere interpellato, ti distrai continuamente ed esci e rientri in classe senza nemmeno chiedere il permesso. E Pixis lascia correre, sempre.»

«Sono iperattivo, credo sia per questo che si limiti a lasciarmi fare senza richiamarmi. - Levi schiuse le labbra, richiudendole immediatamente dopo e limitandosi ad annuire. Quella proprio non se l'aspettava, nonostante fosse la più ovvia delle giustificazioni.  - Quando ero più piccolo era peggio, non riuscivo a rimanere seduto per più di cinque minuti e, beh, credo tu possa immaginare il mio andamento scolastico. - spiegò tranquillamente. - Crescendo, comunque, la situazione è migliorata, anche se in alcune occasioni, come quella di prima, il desiderio di evadere ha la meglio. - piegò la testa di lato, assottigliando le palpebre, prima di sorridergli dolcemente. - Tu invece cosa hai fatto all'occhio?» Levi sentì una serie di brividi percorrergli la spina dorsale e diramarsi in tutte le direzioni fino ad accapponargli la pelle, ma si costrinse ad assumere un'espressione neutra.

«Non so di cosa tu stia parlando.» asserì serio, ricevendo in cambio un'occhiata scettica.

«Quindi mi stai dicendo che quella a destra non è una protesi? - domandò, spingendolo a portare le dita alla sua altezza per coprirla. Come aveva fatto ad accorgersene? Si era allenato interi anni a non compiere movimenti con l'occhio sano che rivelassero quello finto, riuscendoci alla perfezione. Aveva smesso di coprirlo a partire dalle scuole elementari e nessuno aveva mai fatto domande o aveva mai dato cenno di aver intuito qualcosa. Ed ora arrivava quel ragazzo, di cui nemmeno sapeva il nome, riuscendo a smascherarlo con una facilità assurda. - Non volevo essere indelicato, mi dispiace.» calò il capo in imbarazzo, dunque Levi abbassò la mano, scoprendosi nuovamente.

«A due anni ho avuto un cancro, fermato in tempo affinché non raggiungesse la testa, ma non abbastanza per potermi salvare... - se lo indicò, scrollando le spalle. - Non mi ricordo niente, ero troppo piccolo e non l'ho mai vissuto come un vero problema. Mi ha solo stupito il fatto che tu te ne sia reso conto così facilmente. - sollevò un angolo della bocca abbozzando un sorriso. - Come hai fatto?»

«Magari ti ho osservato più di quanto mi piaccia ammettere, Levi Ackerman.» come poteva dire una cosa del genere con una tale naturalezza?

«E tu? - non poteva più aspettare, doveva saperlo. - Come ti chiami?» annegò in quelle iridi per istanti lunghi quanto ore, il petto in tumulto per l'attesa, la smania a nutrirsi dei suoi battiti.

«Eren. Eren Jaeger.»

 

   
 
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