The fairy Serena
Natura rigogliosa da tutte
le parti.
Lunghi fiumi cristallini
che corrono giù dai monti.
Animali pacifici che
brucano nei vasti altipiani e cacciatori naturali che li predano.
Questo è il mondo dove,
4300 anni orsono, è nata la fata dei fiumi, l’incantevole Serena.
Pioggia.
Acqua ovunque, acqua anche nei
più piccoli anfratti della terra.
Ed in uno di questi anfratti,
entrò dell’acqua speciale, mandata giù sulla terra direttamente dal dio del
Sole, il grande Apollo, che aveva creata ogni cosa.
Quell’acqua era speciale perché
il dio aveva infuso in essa il dono della vita e appena
l’acqua toccò il terreno, cominciò a trasformarsi, assorbendo la terra, la
roccia che via via andava incontrando sul suo
cammino, fino a quando per sua sfortuna, non cadde dentro il suddetto anfratto,
che si chiuse al passaggio.
Qui la goccia d’acqua, che
ormai aveva preso le sembianze di una donna umana [popolo che il dio era in
procinto di creare], ma con una lunghissima coda da
pesce per nuotare velocemente, rimase intrappolata a malincuore per migliaia di
anni, finchè a causa di forti terremoti non poté ammirare la vastità del mondo
esterno.
Quando la ninfa emerse
dalla grotta, si mostrò per quello che era, una bellissima fata con lunghissimi
capelli neri come la notte sfumati di un blu acquoso e occhi chiarissimi, di un
giallo cristallino come la sua pelle rosa con sfumature bluastre, a causa della
prolungata assenza del sole sulla sua pelle.
La povera fata però non sapeva cosa fare, da chi andare e
soprattutto non sapeva parlare perché Apollo l’aveva persa di vista dopo la sua
caduta sulla Terra.
Lei vagò a lungo, scoprendo che se usciva dall’acqua suo
elemento, al posto della sua coda di pesce, le spuntavano
due affusolate gambe umane, potendo così valicare montagne e attraversare
sconfinate pianure, alla ricerca di una meta da raggiungere.
Una sera sconsolata del suo inutile pellegrinare, si
sedette su una roccia, sopra un monte da cui si vedeva bene la Luna, grande
astro che vigilava le notti degli esseri che popolavano la Terra, e si mise a
piangere, talmente forte che il dio Apollo in persona venne a trovarla sulla
sua collina.
_ Chi, piccola ninfa, ha osato farti piangere? _ chiese ignaro della sua identità il dio, che negli anni seguenti la
scomparsa della ninfa, aveva mandato a salvaguardare le foreste, i mari,
le montagne altre ninfe.
La ninfa sorpresa dalla venuta di quell’essere
così simile a lei nella forma, smise di piangere e spinta da infinità felicità
abbracciò il dio, che rimase palesemente sorpreso.
Ripresosi, appoggiò una mano caritatevole sul capo della
ragazza, chiedendole ancora:_ Chi sei?
La ninfa si staccò dall’abbracciò
e rimase a bocca aperta, non potendo spiegare che non poteva parlare perché non
sapeva farlo.
Il dio, con le sue capacità speciali, solamente
appoggiando la mano sul piccolo capo di lei, le lesse nel pensiero e scoprì
cosa aveva fatto in tutti quei decenni la piccola goccia di rugiada che aveva
mandato per prima a colonizzare la terra.
_ Tu.. tu sei la piccola goccia
di rugiada che avevo mandato qua sulla terra, mille anni orsono!!_ esclamò sorpreso
il dio.
Con un solo gesto della mano diede alla ninfa il dono
della parola, e lei finalmente riuscì a parlare:_
G-Grazie, mio signore… _ proferì in un sussurrò non ancora sicura della sua
voce.
_ Era mio dovere.
Adesso puoi andare dove vuoi e comunicare con tutto ciò
che costituisce il mondo, ma mi raccomando _ i suoi occhi si indurirono un po’ _
Non avvicinarti mai agli Esseri umani, che sembrano simili a te come aspetto,
ma il loro carattere li rende tendenti alla guerra e allo sfruttamento degli
altri simili.
La piccola fata annuì e il dio ritornò alla sua casa nel
cielo.
Migliaia di anni ancora
passarono, e Serena sguazzò dalle foreste tropicali ai torridi deserti del
mondo, fino a ritrovarsi in un ambiente dove decise di fermarsi per molto tempo,
grandi foreste di latifoglie e grandi laghi costeggiati da lunghi fiumi.
Appena arrivata in quel
posto decise che per i prossimi anni si sarebbe stanziata lì, finchè non
avrebbe avuto voglia di cambiare ancora la sua casa.
Nei migliaia di anni in
cui lei aveva viaggiato il mondo, l’uomo ne aveva colonizzato in parte,
escludendo le zone ai poli reputate troppo fredde per viverci.
A volte vedeva di sfuggita qualche donna che lavava dei vestiti
nei fiumi da lei frequentati, o uomini che coltivavano il terreno per i frutti
che la Madre terra dava loro.
Serena ogni volta che ne vedeva uno come il suo dio le aveva detto si nascondeva o se ne andava via,
nuotando o correndo, velocemente per non essere vista.
Di notte quando la maggior parte della gente dormiva, lei
risaliva dai fiumi e scendeva sulla terra per sgranchirsi le gambe, che usava
molto meno della sua enorme coda da sirena, e si divertiva a correre insieme
agli animali che la seguivano docilmente e facendole feste.
All’alba, ritornava in acqua e andava nell’isola in mezzo
al fiume, dove gli umani non reputavano necessario andare e lei poteva star
tranquilla, e dormire tranquilla nel suo pagliericcio di paglia, rubata nei
campi coltivati.
Ma non tutti gli umani la
pensavano così su la sua piccola isola.
Nel lontano anno umano 1240, nella
Regno che occupava tutto il territorio dove risiedeva Serena, la Regina,
dopo un doloroso parto diede alla luce, prima di morire, un erede maschio, che
fece la felicità del padre, che poco dopo si risposò per dare una madre al
figlioletto.
La madre, prima di morire, disse in un soffio il nome che
avrebbe voluto che portasse suo figlio. Kais. Il nuovo principe dell’immensa Germania, aveva anche grandi possedimenti in
Spagna(*) che aumentavano il suo prestigio.
E con il passare degli
anni al prestigio, fu aggiunta una cultura per le armi nobili, quali l’arco e
le spade più antiche, buona volontà, gentilezza e una bellezza che abbagliava
tutte le dame, anche di regni lontani che ne sentivano solo parlare.
Ma il Destino, sfortuna per lui, lo volle fare incontrare
con il suo peggior incubo e la sua più grande gioia..
Nella calda estate del 1264, il principino
Kais aveva deciso, eludendo guardie e balie ancora attaccate a lui, di sellare
un cavallo e scappare, solo per un giorno, alla vita monotona e stressante del
castello.
Fuggendo velocemente arrivò al fiume chiamato Reno, e li
legò il cavallo ad un albero e lo lasciò a brucare l’erba rigogliosa del bosco.
Ammirando il paesaggio si tolse velocemente la giubba di
dosso e le scarpe, e, tuffandosi in modo abbastanza sgraziato, si abbandonò
alle acque del fiume, facendosi trasportare dalla lenta corrente.
Dopo qualche minuto, trasportato poco più in là, scorse
un’isola che prima non aveva visto, confondendola con l’altra riva.
Con spirito di avventura si
avventurò sulla terra fresca che, ravvisò con sorpresa, era pervasa da una
strana energia, e facendosi pervadere da essa, avanzò nell’esplorazione, finchè
non riconobbe una voce, una melodiosa voce che cantava.
‘Saranno le donne del
villaggio che sono venute a fare il bucato’ pensò senza convinzione.
Nessuna donna umana poteva avere una voce così… nessun
aggettivo poteva descriverla, ma era semplicemente meravigliosa, anche se
questo era un eufemismo.
Così decise di scoprire da dove proveniva quella voce da
sirena, che lo stava ammaliando; sentendo che nella direzione in cui stava
andando la voce aumentava di volume, crebbe in lui la voglia di vedere l’essere
che la possedeva.
Arrivato dall’altra sponda dell’isola una visione
incantevole lo sconvolse nell’animo, mai niente come quello
era stato visto da occhio umano.
Una donna, almeno per sembianze, seduta su un piccolo
promontorio di pietra cantava, muovendo appena le labbra di rosa, lisciandosi i
capelli corvini, con bizzarre sfumature blu, mentre muoveva i piedi su e giù
come una bambina.
Il principe non si era mai concesso a nessuna donna,
perché nella sua giovinezza voleva divertirsi senza gli obblighi del matrimonio,
ma per quella ninfa avrebbe fatto di tutto, anche
morire.
La donna, che si regalava il calore del sole sulla pelle
azzurrognola, non si accorse del ragazzo, troppo presa dal canto.
Così Kais si avvicinò senza essere sentito e, incredulo,
le toccò una morbida spalla, sperando che non fosse tutto un sogno.
Serena ne fu talmente sorpresa che smise di cantare; non
era mai stata avvicinata da un essere umano, e quell’uomo era lì, con gli occhi
socchiusi e languidi, sorpresi e confusi, che sembrava ammaliato dalla sua
presenza.
La prima cosa che pensò fu di fuggire, ricordando le
parole del Padre Apollo, ma il ragazzo si inginocchiò
di fianco a lei, prendendola cautamente una mano e cercando di parlare, senza
trovare voce davanti ad una visione talmente splendida.
_ Cos… chi siete, brillante dama
che illumina il bosco? _ chiese con voce bassa.
Serena, intimidita dalla presenza umana, rispose
altrettanto cautamente: _ Una ninfa. Serena, è il mio nome.
Il Principe si portò la calda mano della ninfa sulla
guancia, saggiandone il profumo e parlando ancora sommessamente: _ Siete, siete incantevole, non esiste donna al mondo che possa
competere con voi in bellezza…
Il Principe continuò a lodare le sue qualità, la sua grazia, la sua bellezza, la sua voce, con un tono così
ammaliante e un viso così dedito, che se ne sentì ammaliata a propria volta.
In fondo non tutti gli
umani erano maligni, Kais era l’antitesi di un demone, era colui che si
avvicinava di più ad un angelo nella mente ormai offuscata della ninfa.
Purtroppo, però, le fate dei fiumi hanno scritto nel loro
destino di non potersi innamorare degli umani.
Quando la ninfa provò ad
avvicinarsi di più al bel viso del principe, rimase sconvolta nel vedere che in
meno di un secondo il principe si era trasformato in una statua, che ricalcava
perfettamente i tratti di Kais, ma era del tipico colore della pietra di fiume,
un grigiastro azzurrino, e levigato come le stesse.
Serena si mosse verso di lui, gli prese il viso ormai non
più umano tra le mani, e sentì solamente la sua perfetta levigatura.
Scattò in piedi e, fatta comparire la sua grande pinna, nuotò veloce nell’acqua gelida del fiume,
scappando da un nemico inesistente ma presente nel suo cuore; sapeva che era
colpa sua se il principe si era pietrificato, ed ancora un volta ripensò al Dio
Apollo.
Non solo gli umani erano malefici: tutto il mondo era
composto da una parte di bene e di una di male. Lei
aveva appena ucciso un uomo, e Apollo, donandole quel potere, era stato
malvagio verso gli umani.
Quindi tutto aveva una
doppia faccia.
Mentre nuotava ancora e
ancora, copiose lacrime lasciavano i suoi occhi, trasformandosi per dileggio in
bellissime perle di un grigio cristallino.
Nuotò e corse molto prima di fermarsi, esausta. Crollò in ginocchio, spargendo perle tutte intorno a se, e una luce
rischiarò la notte oscura.
Alzò il viso e vide una gigantesca luna, come mai l’aveva
vista in tutta la sua lunga vita, e sentì la voce del Padre risuonare dentro la
sua testa.
_ Non disperarti piccola ninfa. Il tutto significa tutto
tranne quello. Ti avevo detto che gli umani portano solo dolori.
La ninfa pensò sprezzante al flemmatico Dio, che non
sapeva cos’era l’amore delle creature terrene, anche se era stato lui a crearle.
O forse non era così?
Che fossero state le
creature a cambiare, sviluppando nuovi sentimenti, e migliorando la loro natura
naturalmente conflittuale?
Da quel triste giorno, la fata continuò a vagare, come era solita fare, spargendo ogni tanto piccole perle
sulle rive dei fiumi, ma continuando a vivere, sicura che anche lei poteva fare
gesti benevoli agli umani e non portarli solo alla perdita di se stessi.
Non incontrò mai più direttamente gli umani, per paura di
far loro ancora del male, condurli all’annientamento, ma aiutò le loro
coltivazioni a crescere, aiutò gli animali da soma malati, e durante le sue
scorribande, si ritrovò di nuovo in quell’antica foresta, inaspettatamente
ancora intatta nel tempo, e lentamente ci si infilò
dentro.
La piccola isola era ancora lì, un pò
più piccola ma era ancora immutata, probabilmente perché aveva lasciato
la sua forza magica su di essa.
Ma quando riandò nel luogo del misfatto, vide la statua
di Kais, cosparsa di un’aura di un arancio immacolato, ancora come migliaia di anni prima, con la bellezza sempreverde del principe.
Grosse perle scivolarono per terra, rotolando fra i massi
e i fiori appena cresciuti nella Primavera.
Si avviò traballante verso la statua e, cadendo in
ginocchio, l’abbracciò, infinitamente commossa.
Decine di perle incorniciarono il corpo del Principe, e
alcune si fermarono sulle pieghe del vestito, quasi lui avesse
voluto trattenerle a sé.
_ Quanto vorrei avere i potere
di farti rivivere… solo per potermi scusare.. _ singhiozzò veramente toccata.
_ Darei la mia vita… _ continuò.
Ma non aveva un simile potere, lei piccola ninfa.
Sentì come delle braccia attorno a lei, e nella sua mente
si delineò il sorriso di Kais che l’aveva tanto
stregata.
_ Scusami, scusami… _ ma nessuna
voce la rimproverava, anzi sentì come se l’aura del ragazzo si fosse trasferita
in lei, e le donò un’infinita calma e dolcezza.
Una sensazione di amara felicità
la prese e si alzò su aggraziatamente. Un sorriso rigato da calde lacrime si
mostrò per la prima volta al mondo, mentre gli occhi si coloravano di un
azzurro che una volta era stato di Kais, e i capelli perdevano le loro
sfumature blu.
In pochi istanti, tanti quanti ne erano
serviti per crearla, la statua si frantumò, sparendo poi nel nulla, i frammenti
rimasti.
_ Grazie _ sussurrò grata la ragazza,
sapendo che ormai poco tempo, confrontato con la sua vita, la divideva
dalla sua morte.
Kais l’aveva trasformata in un umana.
Tutta la malinconia che Serena aveva provato in quei millenni unita all’amore, l’avevano cambiata
profondamente, facendole scoprire sentimenti che mai nessuna fata aveva
provato, visto gli inesistenti incontri con gli uomini.
Probabilmente si sarebbero reincontrati, nel Paradiso di
un altro Dio, un Dio che sapeva cos’erano i sentimenti umani più forti di qualsiasi magia.
(*) Questo è tutto
inventato, oltre che non avevo voglia di andare a vedere la storia della
Germania, è tutto preso dalla mia immaginazione sul momento, anche Kais, non
credo sia mai esistito..
VoV, come sono caduta
nel melenso nell’ultima parte.. vogliate scusarmi…
In realtà il finale era anche diverso (Serena rimaneva
ninfa e continuava a vagare per la terra spargendo a mo di concime le lacrime)
ma le dita, dopo tanto tempo, si sono messe a scrivere da sole e hanno scritto
questa roba, chiedendo aiuto anche alla mente, che intanto scuoteva la testa
(O_o) perché sapeva che si stavano imbucando in una brutta via.
Infatti non sapevo più
come finirla, visto che non ero io che la scrivevo! –le mie mani.
Comunque spero che almeno
la prima parte sia decente e, ultima cosa, questa è una lode a MOI, ossia
Serena, visto che mi chiamo proprio così!
Quand’ero piccola avevo letto questa storiella su un
giornale e allora mi sono cimentata in questa Fic
tutta per me! ^-^
Naturalmente è dedicata a tutte le SerenE d’Italia e
oltre!
Sperando in qualche sano commentuccio,
la vostra SerЭ