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Autore: Angel TR    02/05/2020    3 recensioni
Soulmate! AU | GarxRachel
Incontriamo le nostre anime gemelle quando siamo sul cammino della nostra anima.
(Karen M. Nero)
In un mondo di anime gemelle, può una ragazza alla scoperta di una nuova, misteriosa identità trovare qualcuno come lei?
La disordinata zazzera di capelli verdi corrispondeva esattamente alla sua idea del proprietario provetto – o, almeno, del commesso provetto – per cui Rachel marciò verso di lui senza indugio.
Schiarendosi appena la gola, chiese educatamente: «Buongiorno. Avete libri sui demoni? Magari su come scacciarli dopo averne evocato uno per sbaglio?»
Il proprietario sollevò la testa di scatto mentre rispondeva: «No, non sono io...» poi i suoi occhi scuri incontrarono quelli chiari di Rachel.

{Sesta classificata al contest "The one about Soulmates" indetto da Soficoifiocchi (DeaPotteriana) sul forum di EFP e vincitrice del Premio miglior personaggio protagonista femminile}
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beast Boy, Raven
Note: Movieverse, Otherverse, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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Storia partecipante al contest "The one about Soulmates" indetto da Soficoifiocchi (DeaPotteriana) sul forum di EFP. “
Nome: Angel Texas Ranger
Titolo: Nell'Ade fioriscono azalee
Fandom: Titans
Soulmate!tattoo + frase «Buongiorno. Avete libri sui demoni? Magari su come scacciarli dopo averne evocato uno per sbaglio?»
Personaggi: Rachel, Gar



Nell'Ade fioriscono azalee






*

I. Nell'Ade…



Incontriamo le nostre anime gemelle quando siamo sul cammino della nostra anima.
Karen M. Nero



I was looking for a little touch of heavenly light
But all the choirs in my head sang, "No!"



La città era in fiamme.
Quattro paia di occhi rossi come il sangue la fissavano, una luce maligna ad accenderli come se stessero pregustando una vittoria di cui lei non era cosciente.
Poi, inaspettatamente, gli occhi parlarono.
«Sei quasi pronta, figlia mia.»
Una voce profonda, tonante, che scosse le ossa della ragazza come uno di quegli scheletrini voodoo che aveva visto al negozio esoterico aperto da poco vicino casa. Quelle parole si affollarono nella sua testa come numerosi ragni zampettanti, confondendola.
Pronta? Pronta per cosa?
«Hai compiuto sedici anni. Il tuo sangue si risveglierà, il tuo battesimo avverrà stanotte. Gioisci, figlia!» tuonò ancora la voce, prima di riversarle una colata di vischioso liquido nero, nero come le tenebre che inghiottirono il mondo attorno a lei.

Un urlo squarciò la notte.
Rachel sbarrò gli occhi, ansimando. Inizialmente non riconobbe il profilo delle pale immobili del ventilatore e pensò di essere ancora intrappolata nell'incubo. Il respiro le si condensò in una nuvola e fu allora che si rese conto di star congelando, nonostante la maglietta di cotone del pigiama fosse zuppa di sudore. Sudore freddo.
Ancora scossa, trovò la forza per mettersi a sedere, scalciò via le lenzuola bagnate e automaticamente sollevò la mano per chiudere le ante della finestra. Tuttavia la sua mano urtò il vetro umido.
La finestra era già chiusa.
Imponendosi di stare calma – anche se il poderoso misto di sudore freddo e temperatura glaciale le rendeva ben difficile mantenere la lucidità – Rachel ruotò la maniglia e spalancò le ante. Quando la fresca brezza settembrina invase la stanza, spazzando via il gelo e calmando i bollori del suo corpo ancora tremante, Rachel respirò a fondo, grata, prima di posare la testa sul cuscino e chiudere finalmente gli occhi. Il battito del suo cuore le rimbombava nelle orecchie ma la consapevolezza che presto si sarebbe attenuato era abbastanza forte da permetterle di addentrarsi nel regno di Morfeo.
L'indomani sarebbe stata un'altra lunga giornata.

**

«No, Rachel, non ti ho sentita urlare questa notte. Hai avuto un altro incubo?» le chiese la mamma, badando bene a mantenere un tono calmo per non lasciar trapelare le sue emozioni. Peccato che Rachel la conoscesse troppo bene per non notare il lampo di preoccupazione che era balenato nei suoi occhi scuri – così diversi da quelli chiari della figlia.
«No, no. Sarà l'ansia da primo giorno in una scuola nuova.» mentì, abbozzando un sorriso, prima di dedicarsi ai suoi cereali per liquidare la faccenda.
La mamma colse l'antifona. «Va bene, tesoro. Allora vado a lavoro. Buon inizio di scuola!» la salutò, dirigendosi verso l'uscita. Sulla soglia, si fermò e si voltò. «Buon compleanno! Stasera festeggiamo.»
Rachel restò a osservare la sua schiena sottile mentre apriva la porta. Un lampo di dolore le trafisse il petto. Forse la mamma non se n'era accorta ma un sospiro di sollievo era sfuggito dalle sue labbra quando aveva richiuso la porta alle sue spalle.
Ti stai impressionando, cercò di convincersi. Abbassò lo sguardo sulla tazza di cereali che galleggiavano placidi nel latte. Raddrizzando la schiena, si decise a terminare la colazione velocemente; la scuola, dopotutto, poteva essere una buona distrazione dagli incubi che la stavano tormentando da qualche giorno. Avrebbe incontrato suoi coetanei, nuovi possibili amici e nuovi insegnanti che magari l'avrebbero fatta appassionare a qualche materia, facendole trovare la sua strada dritta verso il futuro. In fondo, aveva appena compiuto sedici anni: non sarebbe stato uno stupido brutto sogno a rovinarle una giornata così importante né il barlume del tatuaggio che le sporcava l'avambraccio da quando era nata e che le sembrava racchiudere il senso di non appartenenza che la dilaniava: "No, non sono io."
Sapeva che quelle costituivano le prime parole che la sua anima gemella le avrebbe rivolto ma, al momento, erano spine affilate che tagliavano una ferita già aperta. Rivolse loro un ultimo sguardo prima di alzarsi da tavola, ripulire le stoviglie e lasciare finalmente le quattro mura di casa. La sveglia sul piccolo frigo segnava esattamente le otto in punto.
Rachel si avviò verso la scuola che, a detta di Google Maps, distava circa quindici minuti a piedi da casa sua: un'ottima scusa per riordinare i suoi pensieri. Mentre camminava, colse il suo riflesso nella vetrina del nuovo negozio esoterico che aveva aperto da poco – fine agosto, se non ricordava male – proprio a due passi da casa sua, dopo la lavanderia. Sembrava il genere di posto dove i nerd si danno appuntamento o dove ragazze dai capelli blu e con gli occhi bistrati da chili di kajal cercano libri per i loro incantesimi Wicca. Qualcuno avrebbe potuto far presente che Rachel era la perfetta rappresentante della seconda categoria. Il pensiero le strappò un sorriso.
Effettivamente, con quelle ciocche ebano che la luce del sole arricchiva di riflessi bluastri e la pelle chiara come uno spicchio di luna, Rachel sembrava proprio la tipa da libreria esoterica e incantesimi Wicca. Da quanto tempo sentiva una sorta di attrazione per quel genere di cose? Risolse il problema affermando a se stessa che le pareva piuttosto normale per la sua età sperimentare nuovi generi, nuovi modi di vivere…
È davvero così, Rachel?, le sussurrò una vocina all'orecchio, una versione stridente e più maliziosa della sua tranquilla voce da adolescente angloamericana nella quale si udivano ancora i residui dell'infanzia. A quel suono così estraneo eppure tanto familiare, sobbalzò.
Un clacson rimbombò nell'aria, spazzando via la voce, e lei si riscosse. Sollevò lo sguardo: il conducente gesticolava animatamente, gli occhi sbarrati, evidentemente infuriato. Rachel lo guardò senza capire; poi si rese conto che si trovava proprio in mezzo alla strada e il semaforo segnalava il divieto di passaggio per i pedoni con la sua luce rossa. Rossa, rossa, rossa.
Rossa come gli occhi del demone del suo incubo.
Il clacson riprese a strombazzare. «Ti vuoi togliere di mezzo, ragazzina!?» finalmente urlò il guidatore, facendo capolino dal finestrino. Anche lui aveva la faccia pallida e stralunata come quella di Rachel. La sua pelle sembrava carta velina pronta a stracciarsi se solo lei avesse allungato le mani, poteva già scorgere le vene blu… Ma cosa le veniva in mente? Era colpa della voce? E da quando in qua sentiva voci?
Rachel parò le mani avanti. «Sì, sì, mi scusi.» disse, attraversando finalmente la strada. Quando giunse sul marciapiede, tirò un sospiro di sollievo: la scuola si trovava di fronte a lei e mise fine al suo viaggio quasi suicida (e anche omicida?).
L'edificio era costituito da vari blocchi uniformi di mattone dal colore grigio scuro che non emanavano esattamente un'aura confortevole, anzi, assomigliavano vagamente al carcere minorile che Rachel aveva visto a un telegiornale. Il cielo plumbeo, simile a una spruzzata di cenere infernale, si stagliava sopra di loro giusto per completare il quadro. Ma le belle sorprese non erano ancora finite: appena riportò lo sguardo davanti a sé, incontrò le facce divertite di un gruppetto di studenti che avevano assistito alla scenetta con il conducente.
Ovviamente, constatò Rachel, decisa a ignorarli.
Si avviò verso la scuola, seguita dalle risatine del gruppetto che, però, la sfioravano appena: Rachel aveva ben altro in testa per dare conto a qualche studente nullafacente. Purtroppo, quegli studenti la seguirono fino alla classe dove presero posto, squadrandola dalla testa ai piedi. Avevano già deciso che la nuova arrivata non stava loro simpatica. Problema loro, pensò lei, facendo spallucce e sedendosi in fondo a una fila ben lontana da loro.
Le tre ore successive si susseguirono piuttosto monotonamente, tra lezioni di matematica il cui programma era abbastanza in linea con quello affrontato nella scuola precedente e lezioni di spagnolo che invece colsero Rachel impreparata. Gli studenti ridacchiarono davanti alla sua pessima pronuncia e l'insegnante, una donna latina di mezz'età, le rivolse un sorriso mesto.
La terza ora invece segnò l'inizio del rituale più noioso per ogni nuovo studente: la presentazione di fronte a tutta la classe. Fortunatamente il professore si accorse di lei quando ormai mancavano pochi minuti all'intervallo che, prontamente, mise fine alla tortura e Rachel, come i suoi nuovi compagni, non perse tempo a uscire dalla classe.
L'edificio dov'era capitata ospitava un unico bagno per le ragazze, per cui vi era solitamente una fila piuttosto lunga che si condensava in capannelli di adolescenti intente a rivelarsi i propri segreti, scambiarsi consigli per i compiti oppure fumare una sigaretta, creando un alone che, insieme alle lucide mattonelle nere delle pareti del bagno, donava loro un'aura quasi gotica. La puzza di fumo pizzicava le narici di Rachel, creandole disagio. Restò ad aspettare all'entrata, davanti a un lavabo sormontato da uno specchio sporco di polvere che non sembrava possedere proprietà riflettenti ma che, per qualche assurda ragione, attirò la sua attenzione.
Poi successe qualcosa di strano. In attesa che uno dei bagni si liberasse, Rachel continuò a fissare lo specchio. Improvvisamente, la polvere depositata sul vetro si condensò in due cerchi irregolari, grigio su grigio, sempre più scuro, fin quando assunsero una sfumatura nero liquirizia. I granelli di polvere che circondavano quegli accumuli sembravano abbozzare i lineamenti di un viso, un viso pauroso, come quello dei film horror che la mamma di Rachel le aveva sempre vietato di guardare.
Una ragazza esclamò: «Che cazzo sta succedendo allo specchio!?»
Buon sedicesimo compleanno, sibilò lo specchio attraverso la polvere che formava la bocca. Solo per un momento, un momento così labile che Rachel se lo sarebbe perso se avesse battuto le ciglia, lo specchio sporco rifletté il suo viso bianco come la cenere.
«È stata lei! È una freak!» notò qualcuno, indicandola.
«Ah, non dire stronzate. È stata una tua impressione.» tagliò corto qualcun altro, liquidando la faccenda.
Altri assentirono e nessuno badò più a lei. Voci e facce sconosciute che si susseguivano ma che Rachel non riusciva a identificare, a focalizzare, come se la faccia allo specchio avesse catalizzato ogni suo senso.
Il bagno si liberò. Finalmente vi poté entrare, chiudendo la porta con il lucchetto in un patetico tentativo di proteggersi.

**

La sedia affianco a quella di Rachel strusciò. Vi si sedette una donna dai capelli della stessa sfumatura dell'evidenziatore rosa fluo nel suo astuccio che faceva risaltare la tonalità scura, talmente scura da essere quasi blu, della sua pelle. La bella sconosciuta le rivolse un sorriso. «Allora, com'è essere la nuova arrivata? Ah, io lo so.» intavolò il discorso.
Rachel le scoccò uno sguardo interrogativo. «Lei è un'insegnante?»
La donna rise, una risata argentina. «No, no, sia mai.» si affrettò a negare, scuotendo una mano affusolata dalle unghie smaltate di rosso. Si rese conto di come poteva risultare quella frase e si sporse in avanti. I suoi occhi scuri sembravano sinceri. «Sono solo di passaggio. Devo tornare a casa.» spiegò, vaga. Il suo bel viso si corrucciò per un istante.
A Rachel stette subito simpatica. «Quindi anche tu sei una nuova arrivata?» chiese.
«Beh, diciamo che non lo sono più.» sorrise, misteriosa; aveva tutta l'aria di qualcuno che vuole chiedere qualcosa ma ha paura di risultare sciocco – oppure sospettoso, valutò Rachel, visto che la donna non sembrava proprio temere di apparire sciocca. Abbassò lo sguardo sul suo avambraccio. «Oh, anche tu hai quel buffo tatuaggio.» osservò, divertita.
Rachel ebbe l'impulso di tirare giù la manica della maglietta nera per coprirlo. «Eh già. Non credo di meritarmi un’anima gemella, a essere sincera.» rivelò, in un sussurro, pensando ai suoi incubi demoniaci. Non avrebbe saputo fornire una spiegazione a quello sfogo con una perfetta sconosciuta e, nel momento stesso in cui quella frase le sfuggì dalle labbra come una bimba birichina, recuperò il contegno e decise di distogliere l'attenzione da lei. «Perché, tu non hai il tatuaggio dell'anima gemella?» chiese, incuriosita. Quella donna aveva un ché di bizzarro, quasi come se non appartenesse alla sua stessa specie.
Lei tentennò per qualche secondo, il che costituiva un lasso di tempo sufficiente per far inarcare il sopracciglio scuro di Rachel. Tutti avevano un tatuaggio che indicava le prime parole che la propria anima gemella avrebbe rivolto, persino le belle sconosciute dai capelli fucsia – un colore molto carino, vagliò lei, ma che avrebbe proprio stonato con la sua pelle chiara.
Fu allora che la donna posò una mano sulla sua, in un gesto impulsivo che voleva frenare ogni pensiero strano di Rachel riguardo al silenzio. «Non è come pensi.» iniziò ma la ragazza non la stava ascoltando.
Flash di vita della sconosciuta le stavano sfrecciando nella testa: lei che pilotava un mezzo che Rachel aveva visto solo nei film di fantascienza, lo schianto sul suolo, lei che ne usciva miracolosamente illesa e, soprattutto, il senso di confusione che governava la sua mente. Rachel si ritrasse, come scottata. Prima la voce e ora questo: cosa diavolo le stava succedendo? Aveva forse qualcosa a che fare con l'incubo della notte scorsa o con lo specchio? Era tutto collegato? O era colpa della donna?
Intanto quest'ultima la stava osservando, valutandola. Evidentemente la valutazione non andò bene perché scosse la testa e decise che avrebbe chiesto informazioni a qualcun altro. «Non importa. Buon primo giorno di scuola.» le augurò e se ne andò, strusciando la sedia, ma Rachel non se ne accorse, troppo immersa nelle sue riflessioni. Più ci pensava, più un senso di pesantezza sembrava trascinarla giù, giù, verso un abisso che non avrebbe dovuto appartenere al suo universo di sedicenne.
Il pranzo sul suo vassoio di plastica era ancora intatto. Avrebbe dovuto ingurgitare qualcosa se voleva superare indenne la giornata quindi si costrinse a mangiare la zuppa e la mela. Mentre tagliava una fettina, il coltello le scivolò dalla mano, finendo per incidere un lembo di pelle della mano. Soffocando un gemito di dolore, Rachel si chinò a raccogliere la posata che tintinnava sul pavimento, nella speranza che nessuno l'avesse notata: aveva già attirato troppa attenzione quella giornata. Prese anche il fazzoletto sul vassoio e stava per avvolgerlo attorno al dito quando notò che la goccia di sangue che stava colando placida era nera, nera come la colata che il demone del suo incubo le aveva rovesciato addosso. Tremando e convicendosi che fosse solo una svista – in fondo, il sangue non era certo rosso fuoco quindi niente di cui preoccuparsi – avvolse velocemente il fazzoletto attorno alla mano, occludendo la buffa visione dalla vista altrui.
Sospirò: tutto quello che desiderava era semplicemente che la giornata filasse liscia.



*


II… fioriscono azalee



Alla fine le anime gemelle si incontrano poiché hanno lo stesso nascondiglio.
Robert Brault


Gradevole nota positiva della sobria festa di compleanno a casa fu il sonno profondo, sereno e sgombro di incubi. Rachel si svegliò la mattina successiva carica di energie, ripetendosi buoni propositi – "Andrà tutto molto meglio, ieri è stata una giornata no, oggi sarà diverso" – come un mantra. Quando scese in cucina per fare colazione, trovò un bigliettino di sua madre che la informava di essere già andata a lavoro. Quel messaggio la spiazzò: la mamma non se ne andava mai senza salutarla. Rimuginò a lungo fino a quando la sua mente facilmente impressionabile iniziò a inviarle memorie del giorno precedente: lo sguardo inquisitore, quasi atterrito, che le scoccava la mamma di tanto in tanto mentre lei sistemava i quaderni e scriveva la lista dei libri da comprare, il viso cinereo quando si era voltata verso il forno incastonato tra due cassettoni.
Tu sai bene cos'ha visto riflesso. Il collo della ragazza si tese come quello di un cigno. Trasse un respiro profondo. Se la stava solo immaginando, quella voce; era l'adolescenza che le stava giocando brutti tiri. Ma la sua testa sembrava voler collaborare con la voce e subito le mostrò la prova, la terribile prova che Rachel aveva voluto immediatamente dimenticare e relegare nel cassetto più buio e recondito della sua memoria: il suo volto riflesso sulla superficie del forno e gli occhi della mamma che si sgranavano nell'intravederlo.
No, non era un moto di orgoglio materno, tutt'altro. Era puro orrore, puro terrore, pura conferma dei propri dubbi.
Per una sola manciata di secondi, anche Rachel aveva visto quella scena e aveva capito perché dalle guance della mamma fosse defluito il sangue; ma quell'immagine era troppo terrificante per essere accettata e il cervello della ragazza si era prontamente messo all'opera per spazzarla via. Perché allora gliela stava sbattendo in faccia così prepotentemente in quel momento? Perché ora devi sapere. Devi sapere ciò che sei, ciò che sarai.
Ovvero un mostro.
Il ricordo le si stampò davanti agli occhi, si piantò lì davanti, costringendo Rachel ad affrontarlo, a osservarlo, a non dimenticarlo: il viso riflesso nel forno era di un bianco cera, cadaverico, e, al posto degli occhi, due crateri bui i cui fluidi si riversavano lungo le gote.
La figlia di un demone.
Improvvisamente il tavolo di vetro assunse un'aria minacciosa, diventò il banco di prova di un possibile evento degno di menzione: la sua trasformazione, la rivelazione della sua vera natura. Rachel si allontanò di scatto, la sedia, strusciando, produsse un rumore sinistro che pareva una risata soddisfatta e melliflua.
Sì, esattamente. La figlia di un demone, il demone.
Nel tendere le braccia per spingersi via dal tavolo, lo sguardo le era rimbalzato, come accadeva in molteplici occasioni, sul tatuaggio: "No, non sono io." Inspiegabilmente, quelle parole, che solitamente innescavano in lei un senso di amarezza e pateticità, la confortarono. Lei era molto di più di quella maschera spaventosa che esalava il suo fiato infernale nei suoi polmoni. Era ora di agire e, se c'era qualcosa che gli interminabili anni a scuola le avevano insegnato, era che analizzare e crearsi un'idea su un problema, sulla massa sconosciuta che galleggiava nei suoi sogni, era il primo passo per risolverlo. E quale luogo migliore per apprendere di più, per farsi una cultura sul personaggio che dominava i suoi incubi e su quello che le stava succedendo, del negozio esoterico a pochi passi da casa sua?
Finalmente, un sorriso le si dipinse sul viso pallido. Il sorriso si schiuse affinché un motivetto pieno di speranza potesse perdersi nell'aria: «And the fever began to spread from my heart down to my legs… »
Da adolescente modello, avrebbe marinato il secondo giorno di scuola.

**

Il campanellino trillò allegro quando Rachel aprì la porta del negozio, respirando l'odore vagamente inebriante degli incensi che, unito ai lumi delle candeline sparse sugli scaffali, creava un'atmosfera misteriosa, quasi mistica, che sembrava trasportarla in un'altra dimensione. Sulla sua testa, oltre al campanellino, ondeggiava un enorme acchiappasogni. Non mi sei servito a molto in questo periodo, pensò, divertita. I suoi occhi chiari sottolineati dal kajal – un look oltremodo adatto all'occasione – scandagliarono il luogo, incuriositi e attratti dal posto. Le piaceva, decise subito Rachel. Tuttavia, lo scopo della sua missione andava oltre una mera ricognizione del negozio quindi raddrizzò la schiena e si mise all'opera per individuare il commesso o il proprietario del negozio.
La prima fase della sua missione fu alquanto semplice dato che non vi erano molti impavidi avventori che gironzolavano tra gli scaffali, e quei pochi avevano un aspetto comune che non si confaceva all'immagine che Rachel aveva del possibile proprietario. Individuò, invece, una testa verde china su un bancone che recava l'enigmatico – e distrattamente eurocentrico nel tentativo di attirare l'attenzione – cartellino "Antiche arti divinatorie dell'Estremo Oriente". La disordinata zazzera di capelli verdi corrispondeva esattamente alla sua idea del proprietario provetto – o, almeno, del commesso provetto – per cui Rachel marciò verso di lui senza indugio.
Schiarendosi appena la gola, chiese educatamente: «Buongiorno. Avete libri sui demoni? Magari su come scacciarli dopo averne evocato uno per sbaglio?»
Il proprietario sollevò la testa di scatto mentre rispondeva: «No, non sono io...» poi i suoi occhi scuri incontrarono quelli chiari di Rachel e il suo bel viso – perché aveva un bel viso e no, non poteva essere il proprietario, era troppo giovane per essere il proprietario, e perché era andata lì? Cos'è che doveva fare, non se lo ricordava, carino il commesso, sì, proprio carino, quei capelli verdi gli donavano un tocco eccentrico che gli si confaceva, che bel taglio di occhi allungato, eh sì – si illuminò e le sorrise, rivelando denti bianchi. Un sorriso rassicurante. Subito, però, si rese conto dell'equivoco e, riscuotendosi dal torpore e schiarendosi la gola, chiarì: «Non sono io il commesso.»
Per qualche secondo, Rachel restò imbambolata. Perché le serviva il commesso? Ah, sì, il libro sui demoni. Sul demone, più precisamente, poiché lei era la figlia di uno di loro – o, almeno, così sembrava. Eppure, davanti al viso fresco e sbarazzino del ragazzo che non era il commesso né il proprietario, si dimenticò per un attimo di quella parte della sua vita che adombrava e faceva marcire tutto ciò che di buono fioriva attorno a lei. In quel momento e solo per quel momento, Rachel si sentì una banale, e per questo meravigliosa, ragazzina americana di sedici anni.
Avvertiva chiaramente il legame che la teneva stretta alla Terra: percepiva con estrema nitidezza il sangue scorrere nelle vene, i polmoni inspirare ed espirare, il cuore battere, la luce diffusa delle candele che incendiava gli occhi scuri del ragazzo, simili a ebano bruciato.
«Mi chiamo Gar.» si presentò lui, la voce roca. Se la schiarì subito, palesemente imbarazzato – persino la giovanissima e inesperta Rachel se ne doveva essere accorta.
«Io sono Rachel.» rispose lei, sentendosi a suo agio – il che la sorprese, la sorprese più del bizzarro colore di capelli del ragazzo. Ormai si era convinta che dovevano essere gli unici in città ad avere tinto le ciocche della propria chioma.
Restarono così per un po', scambiandosi sorrisi, ignari di ciò che succedeva intorno a loro – non che succedesse molto, oltre un leggero vociare di ragazzini più giovani che si erano accorti della scena e ridacchiavano o il potere demoniaco di Rachel che, come un fiore ben innaffiato, espandeva le sue radici e cresceva, deprivando la parte umana della ragazza dell'ossigeno di cui necessitava, risucchiandolo avidamente.
Finalmente, decisero di rompere il silenzio, non perché risultasse ingombrante ma perché avvertivano il bisogno impellente di approfondire la conoscenza.
«I tuoi capelli sono fighi.»
«Mi piacciono i tuoi capelli.» dissero contemporaneamente. Appena se ne accorsero, scoppiarono a ridere, un suono semplice e gioioso, così adatto a due ragazzi della loro età. Il sorriso solare di Gar tradiva la sua giovane età: aveva all'incirca uno, massimo due anni in più a lei.
«Allora, cosa ci devi fare con un libro per scacciare demoni?» chiese incuriosito lui. Il suo sguardo era luminoso e gentile e Rachel fu quasi tentata di rivelargli i problemi che, come mosconi appiccicosi, le ronzavano attorno senza mai lasciarla in pace. Raccontargli tutto, però, avrebbe significato troncare sul nascere… Cosa? Cos'era quel lambiccarsi il cervello su quel ragazzo? Sentiva un ronzio nell'anticamera del cervello, come se avesse dimenticato qualcosa di fondamentale e ce l'avesse sulla punta della lingua. Si morse un labbro nel tentativo di recuperare quella memoria sfuggente perché avvertiva che costituiva un tassello importante all'interno di quella storia, un tassello che avrebbe collocato Gar al posto giusto.
Purtroppo, per quanto si sforzasse, fu del tutto inutile. Non ricordava.
Gar la stava ancora fissando, in paziente attesa. Rachel gli rivolse un sorriso appena imbarazzato. Non gli avrebbe mentito – non voleva – ma non gli avrebbe nemmeno detto la verità. «Devo fare una ricerca importante.» spiegò, annuendo.
Lui ricambiò il suo sorriso. La luce delle candele creava dei giochi d'ombra sul suo viso che sottolineavano i suoi zigomi alti e lo sguardo caldo e intelligente. Com'era possibile che non l'aveva mai visto prima? Era probabile che non frequentasse la sua scuola? La città non vantava altri istituti superiori oltre a quello.
«Beh, cerchiamolo, allora.» propose allegramente Gar. Poi, forse temendo di essere stato troppo irruente, aggiunse: «Se ti va.»
Trattenendo l'entusiasmo, Rachel annuì.
Il libro fu un'ottima scusa per chiacchierare un altro po', intrattenersi e, ovviamente, lamentarsi della piccola città, hobby preferito di qualunque adolescente. Tuttavia Rachel non aveva dimenticato la propria missione e finalmente riuscì a trovare un tomo dal titolo promettente: "Demonologia". La prefazione garantiva di fornire un elenco dei demoni più importanti, le indicazioni su come invocarli e – punto che fece accelerare ancora di più il già potente battito del suo cuore – come disfarsene. Mentre sfogliava le pagine con mano tremante, Gar avvicinò la testa alla sua per riuscire a leggere insieme a lei e i suoi capelli le solleticarono la pelle, provocandole un gradevole brivido. Per quanto potesse essere una mossa strategica, il ragazzo sembrava davvero disposto ad aiutarla. Dal canto suo, Rachel scoprì con sorpresa che nessuna parte del suo cervello si preoccupava di apparire stramba e fintamente alternativa ai suoi occhi: era facile passare del tempo con lui.
Fin troppo facile.
Il grande orologio a pendolo dall'aria vintage nel negozio segnò mezzogiorno. Rachel sollevò la testa di scatto: di lì a poco avrebbe dovuto essere di ritorno a casa. Il suo sguardo incontrò quello di Gar. Imbarazzata, abbozzò un sorriso mesto.
«Devo andare…» si giustificò.
Sul bel viso di Gar si dipinse la sua stessa espressione dispiaciuta, il che le procurò una buffa sensazione di piacere, quasi si beasse che le sue emozioni fossero lo specchio riflesso di quelle del ragazzo. «Ah! Ok!» concordò lui. «Pago io il libro.» si offrì, galantemente. Tuttavia Rachel rifiutò, non tanto per il gesto in sé ma per quello che il libro rappresentava: le sembrava che sporcasse le mani pulite di Gar, che marchiasse il suo animo gentile.
Alla porta, lui la chiamò. Persino alla luce fioca delle candele del negozio esoterico, sulle sue guance spiccavano due chiazze rosse. «Qui c'è il mio numero.» disse, impacciato, porgendole un bigliettino.
Lei lo accettò di buon grado, sorridendo. Sul punto di uscire, si fermò e si voltò. La punse di nuovo la terribile sensazione che ci fosse qualcosa di importante, di importantissimo, che dimenticava… Ce l'aveva proprio sulla punta della lingua…
Ancora una volta, la sua memoria la deluse. «A presto, Gar.» si limitò a salutarlo.
Quando la porta di casa si richiuse dietro di lei, si lasciò scappare un sospiro.
Era fatta.
Aveva il libro, era tornata prima di sua madre e aveva incontrato un nuovo amico. Il pensiero la rese inaspettatamente allegra, il cuore improvvisamente dimentico delle radici maligne che vi affondavano, libero come un colibrì. Fischiettando, si diresse in camera sua per nascondere il tomo incriminato in modo tale da non destare sospetti. Il davanzale dove sarebbe stato al sicuro era posizionato piuttosto in alto dunque Rachel fu costretta a issarsi sulle punte e tendere il braccio.
Fu allora che lo vide di nuovo: il tatuaggio – che recava le prime parole che la sua anima gemella avrebbe pronunciato – quelle quattro parole che sembravano così casuali, incise sul suo avambraccio bianco come la neve, scintillavano festose alla luce del sole che filtrava dalla finestra.
Qualcosa dentro di lei tremò e si tese come se fosse in procinto di spezzarsi – e non aveva nulla a che fare con l'immagine mostruosa che albergava la parte più recondita della sua anima. Il cuore le batteva così forte in gola che sembrava volerle schizzare fuori. Proprio quando aveva smesso di concentrarsi sull'inseguimento del tassello sfuggente, sul perché l'incontro con Gar sembrava essere tanto importante, quello vi si palesava davanti agli occhi come un boomerang e, come un boomerang, l'aveva colpita dritta alla testa, scuotendola.
"No, non sono io."
Rachel trattenne il fiato. La testa le girava forte.
L'aveva trovato. Lei, una sedicenne con gli incubi, aveva trovato la sua anima gemella.
Congratulazioni, Rachel.
Sorpresa, Rachel si voltò di scatto verso lo specchio. Sere prima, aveva deciso di coprirlo con un panno per evitare spiacevoli sorprese. Evidentemente non aveva ricevuto visite perché non aggradava al demone in lei – o lei stessa, questo ancora non le era chiaro – e non per l'effimera protezione costituita dal panno. Trasse un respiro profondo. Smettila di temerlo, Rachel, si convinse, avvicinandosi a passi felpati verso lo specchio. Cosa può farti? Fino a ora si è solo rivelato un fenomeno da baraccone, si disse, per farsi coraggio. Trattenendo il fiato, scoprì lo specchio con un gesto deciso.
Il suo viso mostruosamente deformato l'accolse, sfoderando il sorriso di chi la sa lunga. Sei sicura che accetterà il suo destino nonostante tutto?, chiese, la voce – la sua voce – ridotta a un rollio mellifluo. Era chiaro quale fosse il suo intento: scardinare le certezze appena acquisite sull'identità dell'anima gemella di Rachel. Voleva farle credere che lei fosse l'eccezione alla regola, che lei non potesse avere diritto a un'anima gemella o, peggio, che la sua anima gemella la rifiutasse dopo la scoperta della sua identità, del suo segreto inconfessabile. In fondo, chi vorrebbe mai essere legato dal destino a un'indemoniata?
Sarebbe stato facile cedere alle lusinghe della voce, eppure…
La luce filtrava dalla finestra, illuminando gli occhi chiari della ragazza. Il bigliettino sul quale era scribacchiato il numero di Gar cominciò a pesare come un macigno nella sua tasca, ricordandole la sua materialità, il suo posto sulla Terra. Quel peso era confortante, umano. Ripensò ai piacevoli e sereni momenti appena trascorsi e alla certezza che ce ne sarebbero stati tanti altri a seguire, attinse alla loro forza gentile e li issò come fossero uno scudo contro l'oscurità che si srotolava dallo specchio.
Lo scudo funzionò.
Nonostante il demoniaco si fosse imposto nella sua stanza, la zona più intima dove cercava rifugio, violandola, si sentiva umana. Fu forse quella la ragione per la quale ricambiò il sorriso, un sorriso altrettanto supponente.
Rispose semplicemente: «Sì.»


And I started to hear it again
But this time it wasn't the end
Flower + The Machine - Breath Of Life



N/D: Eccomiii. Nonostante “conosca” questa serie da un bel po’, è la prima volta che scrivo qualcosa.
-Il Fandom è Titans su Netflix, non il fumetto/cartone, e di preciso la prima stagione. Quindi i personaggi traggono ispirazione dalla serie dove sia Gar che Rachel sono alle prese con la scoperta dei loro poteri e non ne sanno molto. Nei fumetti e nel cartone, Rachel ha i capelli viola ma nel film sembrano neri con i riflessi blu o. O nei fumetti, Gar è più "bestiale" mentre nella serie è interpretato da un attore di origini giapponesi e ha ancora un aspetto "umano", oltre ai capelli verdi xD
-Il titolo! L'Ade ahahha un modo molto altezzoso di dire "Inferno". Nel linguaggio dei fiori le azalee indicano "gioia inaspettata" e quindi… 2+2… XD
-La canzone! È bellissima, l'ho trovata per puro caso e mi ha subito colpito per il testo che sembra calzare a pennello.
-Nella serie, i due ragazzi sono adolescenti mentre Robin e Stella sono adulti.
-Adoro Rachel
-Adoro Gar
-Adoro Stella
-Basta.

  
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