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Autore: giambo    03/05/2020    1 recensioni
Boruto non era un tipo tranquillo. Eppure, in quel momento, desiderava solo rimanere lì, sdraiato sotto il sole primaverile, gli occhi chiusi, a rimuginare su quanto il mondo femminile fosse crudele ed ingiusto.
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Si accese una sigaretta, ma non la fumò. Rimase lì, seduto mollemente sull’erba, il tabacco che si consumava lentamente tra le sue labbra, proprio come il suo desiderio di ritornare a casa ad affrontare il suo futuro.
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Si sedette al fianco di Shikadai, tirando fuori il foglio di prima e iniziando a disegnare l’intricato gioco di ombre e luci osservato precedentemente
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Song-fic basata su Ipocondria di Giancane.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Boruto Uzumaki, Inojin Yamanaka, Shikadai Nara
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Ipocondria
 
Adesso cosa farò?
Di certo qui morirò
In questo albergo di merda, non a casa mia.
Braccio sinistro fa male
Ansia scende e risale
Lingua asciutta, è partita la tachicardia

 
 
Boruto non era un tipo tranquillo. Odiava trovarsi senza avere nulla da fare, o peggio, senza nessuno con cui allenarsi. Dopotutto, lui era un ninja, ed anche piuttosto bravo. Allenarsi per non sprecare il proprio talento era una delle poche cose che Sasuke-san era riuscito a fargli capire dopo tutti quegli anni.
Eppure, quella appariva una di quelle giornate dove niente sembrava andare per il verso giusto. La ragazza con cui usciva da alcune settimane lo aveva scaricato. Di solito, Boruto non se la prendeva per simili cose, convinto dal suo essere sedicenne che un buon hamburger fosse capace di far smaltire la delusione d’amore più atroce. Quello però che l’aveva urtato era ciò che la ragazza aveva pronunciato per giustificare la sua decisione.
 
“Credevo che il figlio dell’Onorevole Settimo fosse più interessante.”
 
C’erano molte cose di quella frase che lo facevano imbestialire. Innanzitutto il fatto che non lo trovasse interessante. Boruto aveva un’ottima opinione di sé, alcuni sussurravano perfino troppa. Poteva accettare di essere definito brutto, non compatibile, non abbastanza abile a pomiciare… ma sentirsi definire poco interessante era decisamente inaccettabile.
E poi… beh, poi c’era quell’ennesimo commento, così fastidioso da urtarlo come un nugolo di zanzare.
Bella merda…
 
E adesso cosa farò?
Son certo che morirò
In questa stanza di merda, non a casa mia.
La fame d'aria che sale
L'ansia cresce e fa male
Lingua asciutta, è partita la tachicardia
 
Figlio dell’Onorevole Hokage. Paradossalmente, Boruto era quasi felice che l’avesse scaricato. Una che usciva con lui solo per il fatto che suo padre fosse l’Hokage non meritava niente, neanche se disponeva di un seno abbondante e generoso.
Il ricordo di quei seni morbidi e profumati gli diede una strizzata alle viscere. Un gesto di rimpianto o lussuria, non ne era sicuro. Si grattò il naso, inspirando profondamente, chiedendosi cosa non andasse in lui per non riuscire a trovare uno straccio di ragazza. Per un istante si chiese se non fosse colpa sua, ma poi il suo ego ricacciò indietro quel pensiero, dandosi del debole per averlo pensato.
Colpa di quelle sgallettate. Pensò, incrociando le braccia dietro la testa. Meglio non pensarci troppo.
Boruto non era un tipo tranquillo. Eppure, in quel momento, desiderava solo rimanere lì, sdraiato sotto il sole primaverile, gli occhi chiusi, a rimuginare su quanto il mondo femminile fosse crudele ed ingiusto. Per qualche strano motivo, sentiva che rimanere all’aperto fosse la scelta giusta. Rimanere chiuso tra quattro pareti gli era insopportabile in quel momento, proprio come ascoltarsi le prediche di Sarada o le frasi ermetiche di Mitsuki.
 
È solo ipocondria questa mia nostalgia
Ma è solo ipocondria questa malinconia.

Guardo la sorte che bussa alle porte
Ho l'ansia e mi sale, la sento più forte
Il cuore mi batte a tempo di morte: ho una patologia!
 
Prima o poi avrebbe trovato la ragazza giusta. Una capace di capirlo, di accettarlo per quello che era, e che magari non gli facesse pesare la sua ingombrante parentela. Una parentela che, per quanto ormai l’avesse accettata, sembrava rovinargli, o quantomeno rendergli più difficile, ogni aspetto della sua vita, anche quelli più banali o quotidiani.
Anche se, in caso avesse avuto diritto di scelta, una più femminile di Sarada sarebbe stata veramente perfetta.  
 
Ma adesso cosa farò? Son certo che morirò
In questa stanza di merda, non a casa mia.
Braccio sinistro fa male
Ansia scende e risale
Lingua asciutta, è partita la tachicardia!

 
Shikadai camminava lentamente, strascicando i piedi. Sbadigliò, coprendo di malavoglia la bocca, quasi che anche quel banale gesto gli costasse una fatica tremenda. A prima vista, sembrava che il Nara fosse privo di qualsiasi preoccupazione, o pensiero. Ma dietro lo sguardo annoiato, il giovane shinobi rifletteva morbosamente sulle parole che la madre gli aveva urlato dietro dieci minuti prima, il tutto condito da una padellata che avrebbe tramortito Madara in persona.
 
“Quando la finirai di perdere tempo?! Sei il futuro del tuo clan, eppure non sei ancora Jonin! Perfino quell’irresponsabile di tuo padre era più maturo alla tua età!”
 
Jonin. Alla fine, il succo del problema era tutto lì. Sua madre dava per scontato che avrebbe ricalcato le orme di suo nonno e suo padre, ovvero di diventare un grande politico e tattico. In realtà, quello lo pensavano tutti, ed anche lui, fin da ragazzino, aveva imboccato quella strada con noncuranza, quasi che gli fosse indifferente diventare un ninja o un postino. Eppure, negli ultimi tempi, l’idea di ripercorrere le orme di suo padre non lo lasciava indifferente ma, piuttosto, vuoto. Come se davvero non provasse nulla al pensiero del suo futuro.
 
E adesso cosa farò? Di certo qui morirò
In questo albergo di merda, non a casa mia.
La fame d'aria che sale
L'ansia cresce e fa male
Lingua asciutta, è partita la tachicardia.

È solo ipocondria questa mia nostalgia.
Ma è solo ipocondria questa malinconia
 
I suoi passi lo portarono lontano dalle strade del Villaggio, conducendolo nel mezzo del verde del parco centrale, il tutto senza neanche che se ne accorgesse, impegnato com’era a capire cosa diavolo volesse dalla vita. Cosa voleva essere lui? Perché aveva scelto proprio quella strada? Aveva avuto mai una vera scelta libera in merito? Oppure sì, ma non se ne era mai accorto?
Domande che gli martellavano il cervello, lasciandolo svuotato e privo di qualsivoglia risposta possibile. Un angolino della sua mente desiderava ardentemente poterne parlare con Mirai, sua sorella adottiva, ma la Sarutobi era impegnata in una missione. Inoltre, aveva come la sensazione che Mirai non sarebbe mai stata capace di comprenderlo fino in fondo. Sembrava sempre molto sicura di sé, così convinta della sua scelta di diventare una kunoichi, che sembrava quasi futile chiederle se avesse avuto dubbi o paure in merito a quella scelta. Una scelta che invece Shikadai, ormai alle soglie dell’età adulta, sentiva quasi sbagliata, come se quell’abito non fosse cucito su misura per lui, ma per qualcun altro.
Il suo sguardo corrucciato fu, alla fine, catturato dall’immagine più improbabile di tutte: Boruto, sdraiato immobile sotto il sole, in una radura del parco cittadino. L’Uzumaki sembrava addormentato, gli occhi chiusi ed il respiro regolare, ma la tensione sul suo volto fece capire al Nara di non essere l’unico ad avere pensieri.
Come se lui potesse pensare.
Sbuffò. Poi, scrollando le spalle, si avvicinò all’amico, sedendosi con le gambe incrociate alla sua sinistra. Boruto non mosse un muscolo, riconoscendo l’amico dall’odore acre di fumo che, da qualche tempo, aveva iniziato a circondarlo. A differenza di tanti altri, il giovane Uzumaki non gli aveva mai chiesto la ragione dietro a quella scelta. Uno dei motivi per il quale, ultimamente, prediligeva la sua compagnia a quella di tante altre persone.
Si accese una sigaretta, ma non la fumò. Rimase lì, seduto mollemente sull’erba, il tabacco che si consumava lentamente tra le sue labbra, proprio come il suo desiderio di ritornare a casa ad affrontare il suo futuro.
Forse non dovrei fumare più…
 
Adesso cosa farò?
Di certo qui morirò
In questo albergo di merda, non a casa mia.
Braccio sinistro fa male
Ansia scende e risale
Lingua asciutta, è partita la tachicardia

 
 
Inojin scrutava il cielo, gli occhi socchiusi, intento a catturare il gioco di ombre e luci che i raggi creavano attraverso le fronde degli alberi. La sua mente cercava disperatamente nella pittura una via d’uscita ai pensieri degli ultimi giorni, dove l’armonia che rifletteva nei suoi disegni era del tutto assente. Lo shinobi si sistemò meglio con la schiena appoggiata sul tronco d’acero, le gambe a penzoloni, le iridi chiare che tentavano, senza successo, di concentrarsi nell’immagazzinare lo scenario che aveva di fronte.
Il tratto della matita, così sicuro fino a quel momento, ebbe un tremito, sporcando di grafite il foglio. Lo Yamanaka corrucciò la fronte, spazientito da quell’errore così inconsueto. Trafficò per alcuni istanti con la propria borsa a tracolla, tirando fuori gli strumenti adatti a ripulire il foglio, ma sempre con la mente assente, muovendosi meccanicamente come un automa.
A chi interessa se sbaglio?
Era stata una frase innocua, quasi innocente che l’aveva portato a quel turbamento. Generalmente, lo shinobi non era un individuo troppo pensieroso. Aveva imparato da tempo che le cose era meglio affrontarle subito, invece che lasciarle in sospeso, a marcire, dentro di sé. Eppure, stavolta aveva davvero difficoltà a farlo, non fosse altro perché non c’era nessuno con cui poteva prendersela, se non sé stesso.
 
“Inojin è bravo, non c’è dubbio. Ma suo padre è su un altro livello.”
 
Quelle parole, catturate per caso da una conversazione di sua madre con una cliente, l’avevano ferito, lasciandolo quasi sorpreso di ciò. Non si era mai posto il quesito su chi fosse il disegnatore più bravo in famiglia, anche perché suo padre non aveva mai voluto porre il loro rapporto da quel punto di vista. Eppure, improvvisamente, sua madre sembrava aver già dichiarato che lui, Inojin Yamanaka, sarebbe sempre stato l’eterno secondo, incapace di scrollarsi di dosso l’ombra di suo padre.
 
E adesso cosa farò?
Son certo che morirò
In questa stanza di merda, non a casa mia.
La fame d'aria che sale
L'ansia cresce e fa male
Lingua asciutta, è partita la tachicardia


 
L’amarezza di quei pensieri fu tale che si accorse con un istante di ritardo di aver sparso grafite su quasi un quarto del foglio. Con un sospiro, lo shinobi ripose tutto in borsa, scendendo con un abile salto dall’albero. Decisamente, non era il momento giusto per disegnare.
Fu quasi per caso che li vide, uno sdraiato e l’altro seduto su quell’anonimo prato urbano. Ognuno perso nei propri pensieri e nelle proprie paure. Capì subito cosa fare. L’idea di tornare a casa, e convivere con quel pensiero, gli creava un senso di nausea profondo, un malessere che trovava intollerabile da sopportare. Tutto sembrava migliore come opzione, anche riprovare a disegnare su quel maledetto pezzo di carta.
Si sedette al fianco di Shikadai, tirando fuori il foglio di prima e iniziando a disegnare l’intricato gioco di ombre e luci osservato precedentemente. Parte del foglio era ancora macchiato, ma lo Yamanaka non ci fece caso: improvvisamente, tutto ciò non aveva alcuna importanza.
 
La mia malattia è la tosse che porto
Dico sempre che l'ho presa ieri
Quante orecchie non reggono lo sporco
Ho le rime piene di batteri
Guardo questo cielo, tu non torni
Sei la mia malattia quando non mi chiami.
Se ti dico che io muoio tra due giorni
Forse ti vedrò un'oretta dopodomani

Siamo un gruppo di ragazzi strani
A volte ammalati, disinformati
E voi siete nati imparati, belli, perfetti, fermi, impalati!
Bene, perfetto, scrivo del nulla
Tranne di un mucchio di insicurezze
Che a me mi accarezzano sin dalla culla
In mezzo alle urla, Gig Gundam!

Datemi ancora un aiuto, sono il re Kunta
Di ansie che libero al volo
So che se poi morirò sarò muto
Pensavo di farlo in un po' di decoro.
Ma non lo farò a casa mia anche se poi casa mia
è grande al massimo come uno sputo
Eppure un dottore che grazie a me può pagarsi il mutuo dicendomi solo che

 
Il frusciare della matita sul foglio era l’unico rumore udibile nella radura, assieme al ronzio degli insetti, al fruscio delle foglie e il canto melodioso degli uccelli. Dopo alcuni minuti, Shikadai spense la sigaretta con un sospiro. Non ne aveva fumato neanche un tiro. Se ne accese una seconda, iniziando stavolta a fumarla. In quell’istante, non gli interessava se gli causava il cancro o chissà quale altro maleficio. Non gli interessava neanche schiarirsi le idee od altro. Voleva semplicemente fumare. Proprio mentre aspirava la prima boccata di fumo, Boruto inarcò le proprie labbra, dando vita ad un sorriso sbarazzino.
Ora ti riconosco.
Non disse nulla, non aprì gli occhi, ma proseguì a sorridere, mentre l’amico fumava, lo sguardo fisso davanti a sé, deciso a lasciarsi tutto dietro per qualche minuto, o forse qualche ora. Il tutto mentre, alla sua sinistra, Inojin muoveva rapido la matita, le iridi chiare fisse sul foglio che teneva sulle ginocchia, cieco a ciò che accadeva intorno a lui. Eppure, anche lo Yamanaka, improvvisamente, sembrò più rilassato, quasi che ciò che stesse disegnando fosse l’opera migliore che avesse mai creato.
 
È solo ipocondria questa malinconia.
Ma è solo ipocondria questa mia nostalgia!
è solo ipocondria questa mia nostalgia
Ma è solo ipocondria questa malinconia!

 
Forse era così che doveva andare. Forse per alcune domande non esistevano risposte, così come non esistevano cure per quel senso di smarrimento che li colpiva a tradimento, rendendoli incapaci di tornare alle proprie case e riprendere la vita di sempre. La compagnia che si facevano non era che un palliativo, un misero paravento per tentare di non vedere le ingombranti ombre dei loro genitori. Eppure, in quegli istanti, le cose sembrarono più leggere, quasi sopportabili. Non era importante sapere cosa sarebbe accaduto in futuro. Se avrebbero avuto successo con le ragazze, trovato la propria ragione di vita o semplicemente fatto pace con le proprie capacità, era qualcosa che soltanto il tempo avrebbe loro mostrato.
 
È solo ipocondria questa malinconia.
Ma è solo ipocondria questa mia nostalgia!
è solo ipocondria questa mia nostalgia
Ma è solo ipocondria questa malinconia!

 
Per ora, poteva bastare.
 
Fine
 
Angolo dell’Autore:
 
Ehm… salve! Ogni tanto ritorno anch’io, a distanza di mesi, con questa storiella senza senso. Non so se trovarla liberatoria (dopo mesi in cui non riuscivo a scrivere 2 righe in croce) oppure spaventosa per l’assenza di qualsivoglia trama.
Partiamo subito con il dire che qui ho voluto ritrarre Boruto e amici come dei sedicenni che, mentre si affacciano alla vita adulta, sentono il confronto con i loro genitori molto pesante. La canzone, molto melodica, di Giancane ha fatto il resto per aiutarmi a buttare giù questa piccola storiella. Spero che possa piacere a qualcuno.
Come sempre, ricordo che recensioni, commenti, opinioni e critiche sono ben accetti.
Un saluto!
Giambo
 
 
 
  
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