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Autore: profumoditae    04/05/2020    2 recensioni
-E giravamo, giravamo e giravamo fino a quando il tuo povero addome chiedeva pietà a causa delle troppe risa e le mie labbra si curvavano in un dolce sorriso. Ora però non sorrido più a questo ricordo, forse perché nel nostro gioco, in compagnia della Terra, sono cascato solo io.-
Yoonkook
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Min Yoongi/ Suga
Note: AU, Nonsense, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Mi appoggio prepotentemente sulla mia fragile mano senza pensare a nient’altro che a te. La tua figura spalanca quella che è la porta della mia testa per intrufolarsi ladra nelle mie memorie confuse. Sento la testa vorticare, vittima di quell’uragano che sta prendendo vita in me a causa di questi bicchieri ormai asciutti.
“Giro, giro tondo, casca il mondo, casca la Terra e tutti giù per terra!” ti piaceva il tuo lavoro. Eri circondato da quei minuscoli esserini che amavi osservare e con cui ti divertivi giocare. Erano davvero graziosi in tutte le loro piccole forme, sempre allegri e poche volte tristi. Li adoravi da impazzire, tanto che odiavi doverli richiamare quando commettevano qualche innocente marachella. Tu li amavi e loro amavano te. Eri sempre disponibile, giocoso ma soprattutto loro amico. Li rincorrevi quando giocavate ad acchiapparella, ti facevi trovare quando era il turno di nascondino ma il tuo gioco preferito in assoluto rimaneva questo. Era banale e per nulla divertente a parer mio, girare e girare per poi cadere era infantile. Però decisi di accontentare questo tuo inspiegabile desiderio che ti veniva ogni volta che non ti trovavi all’asilo, per non lasciarti solo e perché nulla mi rendeva più allegro e spensierato del tuo dolce sorriso da fanciullo. E giravamo, giravamo e giravamo fino a quando il tuo povero addome chiedeva pietà a causa delle troppe risa e le mie labbra si curvavano in un dolce sorriso. Ora però non sorrido più a questo ricordo, forse perché nel nostro gioco, in compagnia della Terra, sono cascato solo io.
Sbuffo l’amaro di questo ricordo verso il ragazzo dietro al bancone, non ricordo esattamente come si chiama e non mi impegno nemmeno a ricordarlo, non mi serve saperlo e non c’è posto per lui nella mia testa. Con la mano libera dal mio pesante capo, gli faccio il segno di prepararmene un altro di questi drink particolari.  Intanto che lui lo prepara contemplo osservando in modo maniacale il fondo dell’ultimo bicchiere che ho appena concluso di versare nella mia gola. Era il tuo preferito e mi domandavi sempre di accompagnarti a prenderlo nelle serate più no che sì. Volevi solo questo perché dicevi che il sapore dolciastro del mirtillo ti faceva sentire decisamente meglio. Quelle sere ti perdevi a fantasticare, esprimevi opinioni e riflessioni contrastanti fra loro, ti cimentavi in assai tortuosi discorsi che faticavo a seguire data l’incompatibilità dei termini accostati gli uni agli altri. Annuivo in balia della tua bellezza, senza prestare realmente attenzione alle tue sviste ed ai tuoi racconti. Mi specchiavo negli occhi tuoi lucidi, offuscati da fiumi di alcool e da lacrime mai versate. Intrappolate dal tuo altruismo e dalla tua stupidità. Una sera più no di altre eri il ritratto perfetto della malinconia, lo potevo notare in tutto ciò che ti apparteneva. Gli occhi stanchi, i capelli arruffati, il fatto che avevi emesso poche parole ma molti sospiri durante il pasto serale e soprattutto da quella linea triste che ti contornava la parte inferiore del volto. Quella notte non volevi che ti accompagnassi a bere ed io non ne capivo il motivo, insomma era il tuo modo di affrontare il dolore no? Mi feci raccontare tutto, eri strano e quella che tu chiamavi “stanchezza da troppe ore di lavoro” non era altro che il riflesso del tuo cuore sanguinante. Sentivo il mio a mille ed in mille, com’era possibile che tu, dolce ed infantile, stessi così male? Pensavo tu non ti saresti mai sentito distrutto a tal punto, o più che pensarlo, lo speravo.
Accenno un ringraziamento al biondo davanti a me. I capelli suoi sono slavati come i jeans che indossavi spesso. Le radici scure corrono verso le bionde punte cercando di prendere il sopravvento.  Anche tu ti eri tinto i capelli una volta. Avevi scelto il colore più strano che io avessi mai visto. Ti ostinavi a definirlo color ciliegia quando, a detta mia, era solo un rosa più scuro. Argomentavi questa tua tesi cimentandoti in spiegazioni assai ridicole che io smontavo in una quantità minima di secondi per ottenere in cambio una delle espressioni che secondo me meglio ti abbellivano il volto. Ti imbronciavi di rado e nell’esatto momento in cui lo facevi, germogliava nella mia cassa toracica l’amore. Parevi d’innanzi ai miei occhi sempre come un bambino, non ne ho mai realmente compreso il motivo. Forse erano quei tuoi morbidi lineamenti, o forse quei tuoi denti che riportavano la mia mente ad accostare il tuo volto all’immagine di un tenero coniglietto, o più semplicemente quei tuoi modi di fare semplici e simpatici certamente condizionati dagli omini che frequentavi ad ogni alba. Mi sarei dovuto accorgere che questo cambiamento improvviso non fosse emerso a galla per qualche malsana idea piombatati in testa, tu odiavi i capelli colorati e l’unica tintura con cui saresti stato disposto a rifletterti nello specchio era quella bruna della tua chioma originaria.
Smetto di vagare in questi tortuosi pensieri per osservare l’anziano che si è appena accomodato sullo sgabello vicino al mio. Ha l’aspetto poco curato tipico di chi trascorre il suo tempo a scorrazzare tra il proprio tavolo ed il bancone per riuscire dissetarsi con quante più possibili oscenità, mai del tutto contento dei risultati ottenuti. Lo guardo mentre schiamazza verso il barista cercando di farsi notare il prima possibile per mandar giù quel miscuglio di cui continua ad urlare il nome e di cui già può assaporare il gusto in bocca. Una volta accontenta questa sua voglia, posa con la sua mano ruvida una banconota infestata di microbi sul bancone alzandosi per ritornare al suo trasandato tavolo nell’angolo della sala. Levatosi però, sui suoi arti inferiori, incrocia il mio sguardo ed indugia il suo sul mio viso. -Quant’è vero che il sole bacia i belli…- farfuglia con la bocca impastata dall’alcool allontanandosi con un cipiglio disgustato sul volto. Non mi sento ferito da questa sua affermazione, sono parole che spesso si sentono pronunciare in questi squallidi bar dove uomini di tutte le età, con le membra disturbate da sostanze di tutti i generi, cercano di approcciarsi alle povere cameriere che percorrono questa abitazione con vassoi stracolmi ed appiccicosi per risparmiare qualche won per viziarsi un poco. Però non le ho mai sentite pronunciare con una tale espressione, una che non trasudasse lussuria. Non mi sento accarezzato da queste parole, tantomeno scalfito, semplicemente provo un senso di stupore che brucia nel petto.
Mi rilasso pochissimi istanti dopo rammentando la veridicità di quelle lettere avvicinate le une alle altre. Stupidamente ripercorro quei mesi di sole passati ad imprecare qualche assurda divinità a causa di minuscoli granelli di sabbia. Io che odio il caldo, il sudore ed il sole; tu che ami l’estate. Ricordo la tua pelle profumante di salsedine e crema solare. Adoravi quelle settimane dell’anno nelle quali potevi nutrirti di solo misture ghiacciate e frutti gelati senza mai darti il pensiero di un eventuale aumento di massa perché troppo intento ad amare la tua pelle ambrata dal sole e gli occhi curiosi che si accollavano alla tua figura. Eri costantemente costellato di attenzioni e come sempre non te ne occupavi perché troppo desideroso di sentirti viziato da quelle premure per nulla dolci e gentili, premure che non ricevevi dalla persona amata. Camminavi con i tuoi occhiali da sole calati a nascondere i tuoi piccoli occhi e la tua granita verde in mano quasi oscillando i tuoi graziosi fianchi pur di ottenere qualche occhiata in più. Ti comportavi da persona che non eri, ed io lo sapevo. Banalmente eri un ragazzo timido, con la testa tra le nubi e gli occhi che esaminavano il movimento ritmico dei piedi che si alternavano ad ogni passo. Jungkook, ti ritrovasti spaesato nel cambiamento a cui tu stesso avevi dato vita a causa dell’ardore tuo non corrisposto. Celavi questa tua trasformazione sotto il tuo nuovo colore dei capelli e favole raccontate per concentrare i miei timori addosso ad altre innocenti tematiche. Io lo sapevo ma ho preferito coprirmi gli occhi con le mie mani e continuare a privilegiarmi di questo tuo nuovo essere senza dedicarci troppa attenzione. Che sciocco sono stato a vederti scivolare lontano da me senza aggrapparmi alla tua essenza. Avrei dovuto insistere con te, graffiarti nella memoria che quello non ti meritava e che se non ti amava per quello che eri davvero, non lo avrebbe mai fatto; avrei dovuto abbracciarti le lacrime ed accarezzare il cuore dolente, ma non l’ho fatto. Tu stavi mutando definitivamente nella persona che lui voleva, senza concederti sbavature di te stesso. Rimaneva di te solo il lato tuo giocoso ed infantile che emergeva in mia unica presenza, più precisamente quando ci ritrovavamo entrambi nel mio angusto bagno d’appartamento intenti a strofinare con vigore i nostri spazzolini dai colori sgargianti. Era il nostro momento più intimo, tu eri tu ed io ero la persona che più ti voleva suonare il cuore al mondo. Quei pochi istanti erano come un piccolo confessionale tra noi: a te venivano in mente le domande più assurde e prive di logica ed anche le più intrise di sofferenza ed io invece per poco non ti confessavo l’amore che m’annegava la testa del tuo sorriso. Ridevi e sorridevi componendo melodie zuccherate, confessavi le tue più nascoste paure al nostro riflesso ed esprimevi le tue poesie d’affetto per un altro. Non ti stavi allontanando da me, eri sempre presente come le farfalle in primavera ed il Natale il 25 dicembre, ma stavi partendo per un viaggio senza aver preparato il passaporto per te. Ti eri imposto di annullarti per poter ricevere l’amore che tanto bramavi.
Sposto lo sguardo sul cellulare che ha appena emesso un fremito, è un tuo messaggio: Hyung, posso dormire da te? Abbiamo di nuovo litigato... ti spiego meglio a casa. Mi affretto a digitare una risposta affermativa mentre con una linea amara a contornarmi il volto lascio i soldi sul bancone e mi dirigo verso la porta d’ingresso del locale. Rifletto sul mio patetico essere che ancora non ha mai espresso l’attaccamento che ha nei tuoi confronti. Sempre pronto a riscaldarti le lacrime con le mie mani gelate ma mai per riscaldare il tuo cuore con l’amore mio. Come potrei mai farlo? Tu che dolce malattia continui a consumarmi le ossa ed a strappare via le mie sicurezze senza mai accorgerti della mia lenta dissoluzione.
Volgo lo sguardo verso il grigio cielo abbondante d’ inquinamento minacciando l’acqua formatasi sugli occhi di non correre ad abbracciare le labbra screpolate dal freddo. Sprofondo le mani nelle tasche dei pantaloni cercando un minimo di conforto dal molesto freddo pensando a quando siano affusolate e pallide, nulla di speciale paragonate alle tue leggermente ambrate. Sono così pesante a causa degli eccessivi drink ingurgitati eppure sono così dannatamente vuoto, privo di te. Testa leggera e cuore pesante, bevo solo per avere impressa di te un’immagine più nitida. Non sei sparito, mi hai sempre affiancato porgendomi una spalla su cui versare il mio pianto senza mai sapere che fosse scaturito da te. Povero mio dolce amante, puoi davvero considerarmi solo come compagno avventuriero della tua vita? Non sembra un compromesso tanto malvagio eppure le parole e le sensazioni dettate da esso s’infrangono contro il mio cuore come le onde del mare sugli scogli d’estate corrodendolo lentamente. Ti vedo da lontano intento a soffiare calore sulle tue mani tentando invano di farle sentire meglio, alzi lo sguardo verso di me e le tue labbra si rallegrano verso l’alto. In questo istante vorrei solo rallentare il passo per non dovermi subire l’ennesima tua sofferenza eppure lo velocizzo per poterti stringere tra le mie esili braccia ancora una volta. Avvolgi le tue attorno al mio busto affondando il viso nel mio petto. -Ciao Hyung…mi sei mancato- sbuffi fuori facendo aumentare la mia stretta introno a te mentre un sorriso dolce nasce spontaneo. Eccoci qui, tu finto adulto dal cuore rattoppato ed io bambino che parla di te al passato sperando di lasciarti scivolare via così facendo. Siamo questo mio dolce amore: piccoli protagonisti adulti di una storia ambientata nell’asilo in cui ami lavorare che continuano a graffiarsi con le schegge del proprio amore non corrisposto.




 
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Holaa!! Eccomi qui con una nuova one shot, sta volta una Yoonkook. Non ne sono pienamente soddisfatta ma è abbastanza carina... spero i personaggi vi abbiano lasciato qualcosa. Fatemi sapere se vi è piaciuta e cosa potrei migliorare, a parer mio forse la trama è un poco confusa.
Grazie per aver letto questa mia accozzaglia di penseri.


 
 
   
 
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