Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: weweresotragic    05/05/2020    1 recensioni
Salve a tutti! Questa è la mia prima fanfiction Taekook, ispirata all'ultima live che li ha visti protagonisti ♡ è ambientata nel 2020, in casa di Taehyung, ed è scritta dal POV di JK che si sente irrazionalmente intimorito dalla situazione attuale del nostro pianeta. Spero vi piaccia!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Lost myself, seventeen
Then you came, found me.

 
L'altro giorno, ricordi? L'altro giorno ti ho detto: sono spaventato
Più ci penso, più capisco di esserlo davvero. Il panorama globale m'intristisce, mi abbatte. La situazione attuale in Asia, la staticità innaturale in cui versa il mondo oggi. Ci pensi mai? Forse sì, forse ci pensi spesso. Ma sei più bravo di me a far finta di niente. Io non ne sono capace. Lo sai meglio di me che non sono abituato a star fermo. Ho bisogno che l'energia mi arrivi da tutte le parti, perché mi contagia. Se tutto si spegne, attorno a me, è inevitabile che mi scarichi anch'io. Mi chiudo, mi isolo, resto solo coi miei pensieri. Non mi piace pensare troppo. L'altro giorno eravamo a casa tua ed io ti ho detto, a sguardo basso, che sono spaventato. Ammetterlo non è da me. Sono così abituato a trasmettere positività ogni giorno che questa sembra essersi instillata nel mio corpo, col passare del tempo, a suon di sorrisi e dita a forma di cuore. 
Sono spaventato. Te lo dissi anche qualche anno fa, nella stessa maniera, esitando, con un po' di vergogna, ma altrove. Avevo paura della piega che stavano prendendo le nostre esistenze, cominciavo a rendermi conto dell'impatto enome che avevamo sulle vite di milioni di persone. Ero spaventato dall'idea che queste potessero introdursi nella mia vita privata senza il mio permesso, legarsi eccessivamente alla mia immagine, finire per idealizzarla. Ero spaventato dai manager, dalla compagnia, dai critici, dalle case discografiche, dal mondo dello spettacolo in generale. Mi sentivo impreparato, oppresso, schiacciato dalle responsabilità che mi erano state date, dai pesi che mi venivano caricati sulle spalle e che sostenevo a fatica. Sei il nostro biglietto da visita, mi dicevano. Le ragazzine impazziranno, aggiungevano. Sei il fiore all'occhiello della band, Jungkook.
Quando ti ho detto di essere spaventato, comunque, tu non mi sei sembrato preoccupato. Anzi, anzi, sembravi addirittura più rilassato del solito. Hai preso un sorso di soju senza nemmeno guardarmi in faccia, come se già sapessi cosa dirmi per rasserenarmi, come se già te ne intendessi delle mie sensazioni. Forse perché ci conosciamo da tanto tempo. Forse perché le riconosci, perché le vivi anche tu.

« È comprensibile. » 

Atono, disteso, quasi con distacco professionale, mi hai detto: è comprensibile. Neanche lì ho smesso di torturarmi le dita, di assistere passivamente a quello spettacolo caotico di mani intrecciate. Non riuscivo a guardarti. Mi sentivo in difficoltà. Forse nemmeno lo sai, forse nemmeno te lo immagini, ma non è raro che mi senta piccolo così, di fronte a te. Ti ho sempre, sempre, sempre guardato dal basso. Fin dal primo giorno mi sono rivolto a te con ammirazione, con profonda stima. Sei il mentore a cui faccio affidamento quando mi sento sopraffatto, sei il saggio che ne ha passate di cotte e di crude e mi impartisce ogni giorno grandi lezioni di vita. Non è così, lo so. Abbiamo appena due anni di differenza. Eppure io ero lì, pronto ad ascoltarti ancora una volta, ad accogliere le tue parole, spinto dalla necessità di confidarmi con te, perché mi supporti, con te e basta, perché mi capisci, con te, Taehyung, che mi ascolti e mi dai una mano senza troppi sforzi, perché sei fatto così: sei spensierato, mentre io rimugino; sei tranquillo, mentre io mi stresso; sei a prova di bomba, mentre io rischio costantemente di crollare come un muro di sassi.

« Lo sono anch'io. » 

Poi c'ho pensato. Ho accantonato i miei pensieri ingarbugliati, ho smesso di torturarmi le dita una volta per tutte, ho sollevato il capo e ti ho guardato mentre osservavi un punto imprecisato del tuo salotto. Eri di pietra. Immobile, quasi statuario, mi rivolgevi il tuo profilo migliore senza nemmeno impegnartici. Ho deglutito, ho mandato giù le mie riflessioni più recondite, le stesse che compaiono sempre, sempre, sempre quando i miei occhi incontrano il tuo volto. E ho messo da parte tutto, davvero, ché ci sono abituato, con quelle emozioni ci convivo da anni, me le porto in tasca senza mai scordarle da nessuna parte e le nascondo con una maestria che un tempo avrei ritenuto impossibile, ma non ho potuto sottovalutare quell'impatto visivo. Ancora non me lo spiego. La nostra amicizia dura da anni, conosco a memoria ogni singolo dettaglio del tuo volto, ogni tuo segno particolare. Il neo impercettibile sulla punta del naso, ad esempio, quello un po' più visibile sulla gota, la linea delle labbra arcuata verso il basso. Ti ho guardato e ho capito, per l'ennesima volta, che non siamo poi così diversi. Non siamo diversi tra di noi. Non siamo diversi da quei ragazzi che nemmeno un anno fa si baciavano in questo esatto angolo di casa tua. Sono rimasto in silenzio, la mia mente ha rievocato quei ricordi nel momento meno opportuno. Ho percepito nelle viscere, nella pancia, l'effetto che quelle semplici parole avevano avuto sul mio stato d'animo. Forse ti ingigantisco, forse ti do troppa imporanza, troppo potere. Ma non sono io a concedertelo. Sei stato tu ad conquistartelo, anni fa, quando ancora ero troppo inesperto per fronteggiarti, troppo debole per respingerti. Sei sempre, sempre, sempre stato tu a guadagnarti la mia fiducia, il mio rispetto, il mio amore incondizionato. E non te lo sei preso con la forza. Tutt'altro. Lo hai accarezzato, sei stato accorto, cauto e docile. Hai fatto in modo che lievitasse col passare dei giorni, dei mesi, degli anni, con tutta la flemma che ti caratterizza, la calma che assopisce la mia smania. 
Il mio cuore, nel frattempo, iniziava a battere forte. La mia paura ha cominciato ad espandersi in tutto il corpo, ad assumere sfumature nuove, a fondersi col timore di averti fatto scivolare via da me in maniera irreversibile. Di colpo, tutto il mio nervosismo riguardo la nostra situazione è andato a farsi benedire. Le promesse, le colpe ingiuste che seguivano i nostri peccati. Quei peccati che ai miei occhi non sono mai stati tali. Tutte quelle mani avanti, quei "è stato un caso", "non capiterà più", "qualcuno potrebbe scoprirci", "dobbiamo smetterla". Tutte quelle parole che perdevano man mano di significato, si sbiadivano nel mio cervello per dare spazio ad altro. Alla necessità di alzarmi e di baciarti, tornare a lambire quelle labbra morbide per consolidare la nostra sintonia, quella connessione mentale che è sempre tangibile e presente quando ci siamo noi due.
Come un profeta, invece, ti sei voltato di scatto per impedirmelo. Ad oggi non so dirti se te ne sia grato o meno. Mi hai dedicato un sorriso tirato, di quelli che ti deformano la faccia e ti rendono buffo per una frazione di secondo. Hai preferito smorzare la magia che c'era e che c'è sempre, quando ci siamo noi due; l'hai scacciata via con un metaforico gesto distratto della mano e ti sei alzato di scatto dallo sgabello per raggiungere il divano, sculettando, fischiettando, perché hai ancora Never Not di Lauv impressa nella testa.
We were so beautiful.
We were so tragic.
No other magic could ever compare.


« Film? »

Ho sospirato in segno di resa.
Ho capito, attraverso un rapido sguardo, che avere paura è normale.
Mi rende umano.
Poi ho annuito.  
Ma ti ringrazio ancora, perché per un momento che è sembrato un'eternità, te lo garantisco, non ho avuto più paura di niente.
   
 
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