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Autore: _sweetnightmare_    06/05/2020    2 recensioni
"Ti volevo nella mia vita. Ti voglio ancora. Ma adesso è troppo tardi. Ho pagato il mio errore col non avere più la possibilità di averti. Ti ho amata...e ti amo. E non smetterò mai di farlo, nemmeno quando qualcosa -o qualcuno- mi porterà via tra le fiamme dell’Inferno a scontare la mia pena."
Partecipa al contest "Un minuscolo assaggio del mio mondo" indetto da Frenzthedreamer sul forum di EFP.»
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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I'm not a dreamer




La testa fa male.
Troppo champagne, ieri.
E questa luce, così forte da accecarmi e da non permettermi di aprire gli occhi.
Sono stanca. Mi sento come se avessi corso così velocemente senza mai fermarmi, come se il mio unico obiettivo fosse stato quello di arrivare per prima al traguardo.
Provo a muovere le gambe, avvolte dalle lenzuola candide dell’hotel che mi ha ospitata solo per questa notte. Fanno troppo male, come le ovaie, i seni, il cuore.
Non avrei mai creduto che sarebbe stato così. E pensare che io, a questa maledetta cena, non volevo neanche andarci.
Fisso il soffitto bianco intervallato da immagini che raffigurano puttini e dei, avvolti in un’atmosfera quasi mistica. Non ho le forze per muovermi e ho una tale confusione in testa che mi scoppia anche al solo tentativo di ricordarmi quello che è successo ieri.
Nella mia mente si intervallano una serie di fotogrammi nei quali ci sono io che bevo champagne,  parlo con gente sconosciuta, che sorrido a battute squallide solo per compiacere gli altri interlocutori, uomini d’affari abituati a donne civettuole e prive di un certo senso dell’umorismo.
E poi le sue braccia forti, i suoi capelli, la sua voce che mi chiede il numero della stanza mentre cerca di sorreggermi per portarmi, ormai sbronza, a dormire.
Dio, non bevevo così da quando ero una ragazzina ancora inesperta al primo anno di università!
Sorrido. Chissà cosa devono aver pensato di me gli altri, una donna che sarebbe dovuta essere lì con suo marito, che beve esageratamente e  viene portata via da un uomo perché non è più in grado di reggersi sulle sue gambe.
E poi di nuovo le sue mani che mi spogliano e la mia voce che lo invita a restare.
Chiudo gli occhi e premo due dita sulle tempie. Non ricordo più nulla, se non i nostri respiri, le nostre gambe che si intrecciano, la nostra unione.
E’ passato troppo tempo.
Mi giro dall’altra parte e, per un attimo, perdo un battito.

Sono sola.

Abbraccio forte il suo cuscino e cerco, disperatamente, di ricordare il suo odore, lo stesso di quindici anni fa. Una lacrima scivola via dall’angolo del mio occhio, macchiando la federa bianca ricamata ai bordi.
Mi commuovo pensando che, oggi come allora, siamo stati ancora una volta amanti.
Che tutto il tempo passato, in fondo, non ha cambiato le cose.
Che Alice e Axel, in fondo, non sono cambiati.

Ho voglia di piangere, ma impongo a me stessa che devo essere forte, non devo e non posso permettere ai ricordi di distruggermi ancora.
Mi tiro su facendo forza con entrambe le braccia, i gomiti puntati sul materasso, e sospiro.
Mi mordo il labbro, lo torturo fino a farlo sanguinare.
Guardo davanti a me e intravedo un foglio spiegazzato sul pouf arancione che contrasta con il colore candido dell’intera stanza.
Mi impongo di non vomitare o cadere ai piedi del letto e mi avvicino incuriosita da quel foglio al bordo della toeletta tenuto fermo dalle chiavi della stanza e dalla bottiglia che, evidentemente, ho portato con me la sera prima.
Una sensazione di nausea  e morsa tra il cuore e lo stomaco mi sorprende, quando riconosco quella calligrafia che non avevo mai dimenticato.
 
‘’Mia cara Lic
Mia dolce, car
Lici,
ti osservo mentre dormi tranquilla, illuminata dallo spiraglio del Sole che nasce e dà vita all’alba, probabilmente la più bella, di tutta la mia vita.
Rivederti è stato inatteso e riaverti tra le mie braccia un’ultima volta mi ha sciolto il dubbio che mi ha colto sin dai tempi della giovinezza quando, dopo una notte tra canzoni e bicchieri di vino, ci addormentavamo stretti in un letto troppo piccolo per entrambi.
In questo momento la sola tua presenza mi fa credere di essere invincibile ed è proprio per questo motivo che ho trovato finalmente il coraggio di darti la risposta a quella domanda che mi hai fatto in lacrime una sera di quindici anni fa.

Ti amo.

Ti amavo anch’io e, se solo avessi avuto più certezze, fossi stato più audace e meno vigliacco nel mettere in discussione la mia vita, te lo avrei confessato.
Ma la codardia ha avuto la meglio e così, ogni volta che ti baciavo, mi ripetevo come un mantra la più grande bugia della mia intera esistenza: che eri la mia migliore amica, la sorella mai avuta e parte della mia stessa anima. E poi tornavo nuovamente  a pensarti, per un attimo, come la mia donna quando, su di me, quasi sul punto dell’orgasmo ansimavi il mio nome.
Ero entrato in un circolo vizioso che mi penetrava il cuore fino a farlo sanguinare e, proprio per evitarti tutto il dolore che io provavo ogni volta che vedevo i tuoi occhi felici, i tuoi capelli al vento, ho preferito allontanarti, scacciarti via come se davvero fossi stata tu la causa di tutti i mali, il vero motivo della mia sofferenza.
Sono stato uno stronzo, un egoista, una persona squallida e meschina, lo so. Me lo sono ripetuto giorno dopo giorno in questi anni. Sentivo ronzarmi nella testa le tue parole, le tue lacrime e mi ripetevo che una notte, da un momento all’altro, avrei smesso di sognarti.
Speravo, in fondo, che ti avrei dimenticata e più volte sono stato sul punto di cancellare il tuo numero, i tuoi messaggi inviati in orari assurdi in prenda all’alcool, di strappare la nostra unica foto che mi hai costretto  a fare.
Ogni volta sentivo una vocina dentro di me che mi diceva di non farlo, che tu, quella violenza non la meritavi.
Ho fatto molti errori nella mia vita, Lici: il più grande è stato l’aver rotto la nostra promessa, abbandonandoti.
E ne sono consapevole.
 Se fossi adesso sveglia accanto a me, mi guarderesti con quell'aria imbronciata e un po' infantile che da ragazzina a volte sfoggiavi quando qualcosa non ti convinceva e che io amavo -e amo- incondizionatamente, dicendomi che nessuno me l'ha imposto.
Che ho deciso io, per entrambi.

Hai ragione.
 
Più o meno.
Tuttavia, mi sembrava l’unica soluzione che potesse non fare a cazzotti con la mia coscienza.
Inoltre, me l'ordinava il mio senso del dovere e l'uomo, dentro di me, che ha poi portato all’altare una donna…ma che ne amava follemente un’altra.
Una donna che mi ha dato tutta se stessa e che io ho fatto soffrire. E che mi ha perdonato, nonostante tutto.
Tu, invece, quella promessa l’hai mantenuta.
Finanche ieri sera, mi sei corsa tra le braccia, come quindici anni fa.
Se potessi tornare indietro, metterei in discussione la mia vita e proverei a renderti felice.
A farti sorridere di più.
Non so se ci saremmo sposati, se avessimo avuto una famiglia convenzionale, se avessimo litigato per i nomi dei nostri figli o semplicemente con il tuo brio, mi avresti imposto una casa con venti gatti.

Ti volevo nella mia vita.
Ti voglio ancora.
Ma adesso è troppo tardi.
Ho pagato il mio errore col non avere più la possibilità di averti.

Come ultima cosa vorrei chiederti perdono. Lici.
Per tutte le volte che siamo stati amanti, per rifuggire quell’orribile sentimento chiamato amore.
Per tutte le volte che hai cercato di capirmi, di parlarmi…e io ho alzato un muro di cemento così alto contro di te.
E anche per quelle volte che non ho saputo asciugare le tue lacrime, regalandoti anche le mie.

Ti ho amata…
…e ti amo.
E non smetterò mai di farlo, nemmeno quando qualcosa -o qualcuno- mi porterà via tra le fiamme dell’Inferno a scontare la mia pena. Forse sarà meno orribile se tu avrai la forza di perdonarmi, ancora una volta.
Continua a sorridere, Lici.
Dimenticami, non cercarmi.
E se puoi, perdona anche questa ultima notte.
 
 
Ti amo, mio piccolo scricciolo. ‘’

 
Mi giro verso il letto. C’è ancora la tua impronta tra le lenzuola sgualcite e disordinate dai nostri corpi che questa notte si sono uniti per l’ultima volta.
Mi scende una lacrima, tracciando una riga perfetta e colorata da ciò che è rimasto dell’eyeliner sulla mia guancia. Sapevo che al mio risveglio non ti avrei più trovato, eppure dentro di me ho desiderato con tutto il cuore di vederti coperto a malapena dalle lenzuola che si confondono con la tua pelle così chiara e luminosa.
Guardo la finestra. La luce del Sole è così potente che non ho bisogno di guardare l’orologio color cremisi appeso al muro tra la TV e Les Amants di Magritte per capire che ormai è quasi ora di pranzo.
Dovrei rivestirmi, rifare la valigia e lasciare la chiave della stanza alla reception prima che chiuda.
Non ne ho voglia.
Stringo tra le mani la lettera che ormai ha succhiato tutta la mia forza vitale in quelle parole che, in fondo, conoscevo già.
Sapevo quali erano i tuoi sentimenti e, anche se volevo nasconderlo a me stessa, ti amavo anch’io.
Ho pensato a lungo che, se fossi stata più coraggiosa, se avessi avuto meno paura di perderti, ti avrei confessato che la mia non era solo un’amicizia così forte e che quel terrore di non averti, in realtà, era dettato dall’amore che provavo per te.
Questa notte, come te, ho avuto la conferma di ciò che mi ha tormentato per anni: non ti ho mai dimenticato e, come te, ti ho sognato ogni notte a partire da quella notte in cui ci siamo baciati per l’ultima volta sotto il nostro albero decorato con i CD rotti.
 Non hai bisogno di chiedermi perdono. Io, quel perdono, te l’ho già concesso quindici anni fa.
Tra le tue braccia sono diventata donna e, tra le tue braccia, mi hai fatto sentire di nuovo la ragazzina inesperta e innamorata che ero.
Neanche io ho cancellato il tuo numero, o strappato la nostra unica foto.
Non meriti di essere sottoposto  a una così brutale damnatio memoriae.
Quando mi sono sposata con l’uomo che mi ha donato il suo affetto e la stabilità che non ho mai avuto, per un attimo ti ho visto sull’altare, al suo posto, e ho desiderato che quel giorno tu ci fossi davvero.
Forse sono anch’io una codarda, un’approfittatrice, o più semplicemente una stronza. Potrei chiamare un taxi, correre all’aeroporto imprecando contro il traffico e quel maledettissimo autista troppo lento, cercare il tuo volo e gridare a squarciagola che si, sono ancora disposta a mettere in discussione tutta la mia vita.
Ma non lo farò.

E’ questa la punizione alla nostra pusillanimità.
Ho pagato il mio errore col non avere più la possibilità di averti.
Ti ho amato, Axel…
…e ti amo.
E non smetterò mai di farlo, nemmeno quando qualcosa -o qualcuno- mi porterà via tra le fiamme dell’Inferno a scontare la mia pena.

 
Il tuo scricciolo.
 


NDA: A volte ritorno. Avevo voglia di scrivere e così, ispirata dal contest, l'ho fatto. Mi ci sono ributtata. Non so quanto possa essere in linea con quello che è, appunto, il contest, ma mentre rileggevo il testo sono scoppiata a piangere e ho dedciso di pubblicarlo lo stesso. Credo che la cosa importante a prescindere per un autore ma anche per il lettore sia l'emozione che suscita ciò che si sta scrivendo o leggendo. Bene, sarà la primavera, questa situazione strana o semplicemente il mi bisogno di buttar fuori ciò che sento. 
_SweetNightmare_
   
 
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